Pagine scelte di don Dolindo Ruotolo – La Sacra Scrittura – vol. I La Genesi
fonte casamarianaeditrice.it
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4. Il delirio dell’umana ragione che ottenebra.
L’umanità in ogni tempo ha veramente delirato, quando ha preteso di spiegare l’origine delle cose prescindendo dalla divina rivelazione. Specialmente in questi ultimi tempi la pretesa filosofia moderna è diventata una stupida e fastidiosissima gara di cervellotiche ed arbitrarie spiegazioni che non spiegano nulla, ma ottenebrano la mente rendendola folle. È strano! Sono spiegazioni assurde, che si sforzano di negare la vera spiegazione delle cose, sono farneticamenti da manicomio diretti non ad affermare la verità ma a negarla con la parvenza di un pensiero o di un sistema, sono miseri cumuli di detriti minati che non s’innalzano ma rovinano e lasciano solo il vuoto di un pauroso abisso. Quale mente equilibrata e ragionevole si arrischierebbe di fondare la propria vita su questi terreni minati, su queste melme che inghiottono chi vi si posa, su queste sabbie mobili che soffocano ? È un fatto che nessuno dei pretesi filosofi riesce a formare intorno a sè una religione; se quello che affermano fosse la verità, dovrebbero formarne una religione, invece formano il vuoto spaventoso, perché scavano abissi e tracciano solo delle fogne dove nessuno può vivere.
Noi ci guardiamo bene di riportare qui i sogni deliranti di questi pretesi filosofi, poiché sarebbero come l’assenzio sparso sul cibo di vita. Nessuno raccoglierebbe in un album coi disegni del Raffaello i poveri sgorbi tracciati da un demente o in un volume di sapienza i detti smembrati ed inconcludenti di un ubriaco. L’uomo deviato dalle passioni, dalla miscredenza e dall’orgoglio non è degno neppure di essere ricordato! I suoi pensieri sono obbrobrio, e le sue affermazioni sono confusioni che è pietà umana seppellire nell’oblio. Le generazioni future si stupiranno che la nostra generazione abbia potuto, non diciamo credere, perché nessuno ci crede, ma semplicemente ammettere all’onore degli studi le panzane balorde dei pretesi filosofi.
I pensieri di Dio sono come garruli gorgheggi di uccelli, che risuonano nella campagna fiorita, fra delicati profumi e fra raggi smaglianti di luce; i pensieri di Dio sono vita e verità che discende dal cielo come pioggia che tutto ravviva. | pensieri stolti dell’uomo traviato invece sono come muffa di rifiuti putrescenti, come efflorescenze di lebbra, come fragori d’un edificio che rovina. Non hanno luce, non hanno profumi, non hanno vita, sono asfissianti, danno le vertigini, congestionano il cuore, gli tolgono i palpiti più belli, sono somma derisione all’anima assetata di Dio, e sommo scherno al cuore sitibondo d’amore! Non vengono dal Cielo, dove solo è la verità, non si librano nell’aria luminosa e serena come farfalle d’oro che scendono dall’alto, sbucano dalle profondità della terra fangosa come topacci dalle fogne, escono dalla melma delle | passioni disordinate, dove non può germogliare la vita. Come i topacci odiano la luce, e vanno nelle tenebre gli uni appresso agli altri, contendendosi un misero avanzo putrefatto, così gli uomini traviati dalla stoltezza dei loro pensieri vanno errando nelle tenebre, gli uni appresso agli altri, poveri schiavi del fermento della deviata ragione, ignari della luce soprannaturale, ignari della nobiltà della loro origine, privi della dolcezza di Dio, agghiacciati dall’errore!… Essi sono come una notte polare: cielo senza stelle, mare senza moto e senza vita, fermato e pietrificato dal freddo terribile, risonante solo per lo sfasciarsi dei blocchi pesanti, che non conoscono il sorriso di un sol fiore! Mare turbinante che nel levarsi s’agghiacciò… senza navi, senza fulgori…. silenzio di morte, solitudine sterminata, uniforme, piena d’ insidie, che non conosce altro movimento che la deriva… trascinato verso l’ignoto, senza guida, senza freno… urta contro se stesso, muggisce, si solleva, ripiomba nella desolata solitudine!…
Gli scienziati senza Dio non spiegano nulla, ma ricoprono tutto.‘ di un gelo agghiacciante: l’anima, la vita soprannaturale, l’amore di Dio, la virtù; le aspirazioni più belle e i fremiti più profondi dell’anima, non sono per essi che ignoti fenomeni. della materia; si perdono tra le aride foglie senza cogliere un frutto dalla vita.
Non veggono confini, non sanno donde vengono nè dove vanno, sono poveri smarriti abbandonati alla deriva, sono come esploratori polari sorpresi dalla notte, che non conoscono più il sole, non sanno più misurare le distanze del loro cammino, non hanno altra meta che la tenebrosa morte, baratro più tenebroso di un cammino senza speranza.
Non è poesia questa, è realtà. Se si potesse approfondire lo stato nel quale si riduce la creatura senza il Creatore, si vedrebbe uno spettacolo .mille volte più desolante della corsia di un manicomio, dove si grida, si piange, si ride, s’inveisce, si parla, si opera senza ragione; dove ogni manifestazione di forza è una rovina, ogni gentilezza è stoltezza, ogni scoppio di gioia è più penoso di un pianto, ogni gemito è inconsolabile, ogni ragionamento è follia!
Sul delirio dell’umana ragione si leva la voce paterna di Dio che grida ai poveri naufraghi, che risveglia alla vita i poveri pazzi, che richiama a sè gli smarriti, che trae dal gelo i poveri assiderati, e li trasporta in alto nel volo sublime della Fede che è assoluta certezza, raccogliendoli nella magnifica pace della Chiesa Cattolica, e fa loro sentire la voce paterna che tutto spiega: In principio Dio creò il cielo e la terra.
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Data la mancanza del termine di paragone tra la perversione posteriore al diluvio e quella antidiluviana, noi non possiamo dire che il Signore non abbia colpito le nostre generazioni, benché a noi sembrino più perverse.
Ma anche se così fosse, anche se potesse dimostrarsi il peggioramento dell’umana razza, non dobbiamo dimenticare che l’umanità dopo il diluvio ha avuto mille forze che ne controbilanciarono l’iniquità. L’elezione del popolo di Dio riempì la terra delle luci della futura Redenzione e l’arricchì di Santi. L’ombra stessa del Redentore futuro, riflessa nel Tempio, nell’agnello pasquale, nell’altare, nei sacrifici, ed in tutta la vita del popolo eletto, difese l’umanità e temperò i castighi che avrebbe meritati. Dopo la Redenzione, con più ragione, il mondo fu risparmiato dalla rovina per i meriti di Gesù Cristo. Il suo Sangue scorre continuamente sulla terra, è impresso nelle sue membra mistiche, è luminoso nei suoi Santi. Se ci fosse un’anima sola vivente di Lui, questa sola sarebbe sufficiente ad attrarre sulla terra la misericordia, ed a coprire di luce tutto il fosco tenebrio dell’iniquità umana. Nel mondo ci sono falangi di anime sante, c’è la Chiesa che è il Corpo mistico del Redentore, che in Lui e per Lui adora, ripara, s’immola e prega. Dio dunque promise con ragione che non avrebbe più colpito l’umanità col diluvio, poiché l’umana scelleratezza sarebbe stata controbilanciata dalla ricchezza della Redenzione fino al termine dei secoli.
Noi però sappiamo certissimo che alla fine dei tempi il mondo sarà tutto consunto dal fuoco, e che perciò Dio novellamente colpirà l’umanità con un flagello universale, con un diluvio di fuoco. Come può accordarsi questo con la divina promessa ?
È evidente che Dio promise che non avrebbe colpita l’umanità durante il suo percorso mortale, durante tutta la sua storia. La distruzione finale del mondo, più che un castigo, sarà il riepilogo grandioso di una triste storia d’ingratitudini e d’inesplicabile freddezza, sarà come un olocausto nel quale si consumerà tutto quello che non fu gloria per Dio, un olocausto che riparerà con una fiamma purificatrice la mancanza di amore della creatura verso il Creatore.
Appare poi chiaro dal capitolo seguente, che Dio promise per un atto di delicata carità verso Noè, come vedremo, che non avrebbe più colpito il mondo con un diluvio di acqua. La sua promessa quindi era limitata a questo, ed Egli l’ha mantenuta e la manterrà.
Nell’ultimo giorno sarà l’umanità stessa che con le sue scelleratezze, e forse con le sue guerre spaventose, farà piovere fuoco e distruzione dai suoi areoplani sulle disgraziate regioni della terra.
Se oggi in cinque minuti una flottiglia di areoplani può distruggere una città con una vera pioggia di fuoco, che cosa sarà di qui a cento anni, quando gli areoplani saranno mostri giganteschi, e 1 quasi vulcani volanti nel cielo? La pioggia la mandò Dio, ma il fuoco con ogni probabilità lo manderà l’uomo stesso sulla terra, consumando con le sue mani quello che edificò senza Dio, anzi contro Dio.
Questo pericolo già si delinea nel mondo; l’umanità non si accorge del tremendo pericolo che costituisce per lei la stupida associazione dei senza Dio, non vede che questi si preparano ad essere i suoi carnefici ed i suoi giustizieri, che questi cagioneranno nel mondo una rovina morale e materiale più grave di quella del diluvio! Essi sono i tristi precursori dell’anticristo e si preparano a sommergere il mondo in un incendio spaventoso, dal quale potrà venire, anche materialmente, l’incendio e la distruzione di tutto quello che la civiltà, illuminata dalla Fede, ha elevato sulla terra.
Questi miserabili però, più turpi degli Angeli ribelli, non potranno fare nulla alla Chiesa, e si accorgeranno troppo tardi quale rocca imprendibile Essa è in mezzo ai secoli. Infurierà la persecuzione finale, sarà sconvolta la terra da un turbine di fuoco, ma la Chiesa navigherà illesa fino ai confini dell’eternità, uscirà come Noè dall’arca del terreno pellegrinaggio, ed innalzerà a Dio l’altare della lode e del ringraziamento, per benedirlo nei secoli eterni, e per goderlo nell’ineffabile luce che non tramonta mai. Quando la Chiesa avrà compiuto il suo pellegrinaggio, ed uscirà dalla terra tutta purificata dalla stessa persecuzione finale che la colpirà, allora il mondo non avrà più il sostegno e la difesa che lo salva dalla completa rovina, e si dissolverà in un diluvio di fuoco e di spaventosa distruzione.
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Dio è infinitamente buono e delicato, e non lascia nessuna azione buona senza premio. Noè nell’uscire dall’arca aveva immolato a Dio gli animali, ed il Signore, quasi per restituirgli la cortesia, li immolò in certo modo all’uomo, donandogli il dominio sopra tutti gli animali e permettendogli di mangiarli, mentre, secondo la condanna avuta nell’Eden, l’uomo non avrebbe potuto mangiare che delle erbe e dei frutti della terra.
Gli animali sono come voci di gloria, come corde armoniose del cantico di lode che si eleva a Dio dalla creazione, e sono assoluta proprietà del Signore. Noè, sacrificandoli in olocausto, offrì a Dio quello che gli apparteneva di diritto. Ma il Signore riguardò il cuore di Noè in quell’offerta e gli donò tutti gli animali in dominio ed in cibo. Il dominio su questi esseri irragionevoli non poteva esercitarsi che con la forza, e perciò Dio disse: Temano e tremino innanzi a voi tutti gli animali della terra. Questo dominio giungeva fino a potersi servire di questi esseri bruti come di cibo.
Dio non faceva alcun torto agli animali disponendo così, poiché essi non hanno nè ragione nè personalità, ma sono parte di una specie vivente. Quando sono uccisi, la loro specie rimane intatta, ed il Signore cede in beneficio dell’uomo questi esseri viventi che appartengono a Lui e cantano la sua gloria.
Con quanta riconoscenza dobbiamo mangiare le carni degli animali e dei pesci, pensando che il Signore stesso ce li dona, e che senza la sua divina liberalità noi non potremmo mangiarne!
L’atto di amore di Noè a Dio ci procurò questo beneficio che ancora dura, e noi siamo così avari col Signore nel dargli noi stessi, pur sapendo che Egli risponde con immensi doni al nostro amore! Di quanta prosperità, anche materiale, il mondo sarebbe arricchito, se noi sapessimo dare generosamente a Dio quello che siamo e quello che abbiamo da Lui!
I vegetariani si rifiutano di mangiare la carne degli animali, perché sembra loro una crudeltà; essi si cibano solo di frutta, di legumi e di erbe. È un’esagerazione come le altre, che ha anche una punta di occulta presunzione, quasi volessero dar lezione al Signore. I vegetariani non riflettono che anche cibandosi di erbe, essi stroncano la vita delle piante, e che per essere logici essi dovrebbero cibarsi solo di… terra. Noi mangiamo i viventi inferiori, senz’anima e senza ragione, quasi per trasformarli in noi; essi alimentano la nostra vita che è ragionevole e che dev’essere spesa per la gloria di Dio. L’orrore non sta nel cibarsi di carne, ma nel cibare un essere peccatore che non glorifica il Signore.
Non è crudele trasformare una vita inferiore in sostegno di una vita superiore, ma è sommamente brutto che la nostra vita la quale si sostiene per un particolare benefizio di Dio, gli si rivolga contro.
Ci sono alcuni ordini religiosi che per regola o per voto non si cibano di carni pur nutrendosi di pesci; essi fanno omaggio a Dio del suo dono, e rinunziano per spirito di penitenza e per desiderio di purezza ad un cibo che potrebbe solleticare il gusto. La Chiesa proibisce di mangiare carne il venerdì, in onore della Passione di Gesù Cristo, e nei giorni di digiuno per salutare penitenza. Sono pratiche sante e lodevolissime, derise o violate solo da quelli che abdicano alla loro ragione ed al loro amore. Chi pensa che nel venerdì fu sparso il Sangue di Gesù Cristo per la nostra salvezza, non potendogli dare il proprio sangue in ringraziamento, gli dona almeno l’omaggio di una privazione; chi sa di aver peccato prendendo tante soddisfazioni illecite, sente il bisogno di offrire in compenso la rinunzia a soddisfazioni lecite. È un atto amoroso e ragionevole, che onora Dio, giova all’anima, ed è anche indice di decoro e di nobiltà.
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[…] Alcuni pretendono di dare lezione al Signore che ha registrato nel Sacro Libro certi fatti, e presumono di essere puritani fino al punto da affermare con sacrilega improntitudine, che nella Sacra Scrittura ci sono fatti indecorosi, e che il Sacro Libro non può stare nelle mani di tutti. […]
Noi possiamo conoscere il male in due maniere: o in una luce affascinante che turba i sensi e disorienta la volontà, o in una luce soprannaturale che ce ne dà l’orrore e ci premunisce in tempo contro gli assalti della seduzione. Il mondo ce lo fa conoscere sfacciatamente nella prima maniera, Dio ce lo fa conoscere sobriamente nella seconda, in mezzo ai raggi della sua grazia che c’illuminano e ci riscaldano di purezza. È dimostrato pedagogicamente che è un errore il presumere che l’infanzia e la gioventù conoscano le malignità della colpa, ma è pure dimostrato che è errore il non prevenire delicatamente il cuore umano, sugli orrori della seduzione. Ci sono miriadi di anime che cadono negli abissi della impurità perché non ne hanno conosciuto in tempo il pericolo, e che si lasciano sedurre spesso dai lupi rapaci per mancanza di difesa nella loro coscienza.
Dio, nell’infinito suo amore, conoscendo Egli solo il cuore umano perché lo scruta nel fondo, ci previene del male con una misura sapientissima e sobria, che sarebbe blasfemo presumere di criticare. C’è la corruzione che fa imputridire, e c’è la corruzione che lievita la massa del pane; le cognizioni che ci dà il mondo ci corrompono, quelle che ci dà Dio ci lievitano, ci rendono espansi nella sua carità e nel fuoco dell’amore divino, ci rendono come pani profumati del suo altare.
È dimostrato dall’esperienza che nel campo spinosissimo dell’impurità, la semplicità custodisce la purezza assai più dell’esagerata cautela. È pericoloso spesso il mostrare una soverchia preoccupazione, perché questo acuisce la curiosità e la malizia. Il Signore, parlandoci di certe cose paternamente e soprannaturalmente, ci abitua alla semplicità, e ci rende adulti nell’innocenza del cuore, fortifica la nostra volontà contro il male e ci rende più puri. Chi si preoccupa soverchiamente del male, quasi ne fosse circondato da ogni parte, lo vede nelle cose più innocenti, se ne lascia affascinare, se ne lascia turbare, e giunge a tale eccesso di complicazione, da trovare una tentazione nelle cose più semplici della vita.
È così che il cuore si addestra al male, perché volontariamente si mette in un ambiente tutto impuro, e moltiplica inutilmente le seduzioni dell’impurità.
Non può dirsi che si è innocenti quando s’ignorano certi fatti della vita; ci sono esempi numerosissimi di Santi e di Sante che conoscevano la malizia umana e che erano purissimi gigli. C’è l’esempio luminosissimo di Maria Immacolata, la Vergine delle Vergini, la quale, nel colloquio con l’Angelo, mostra di conoscere i le leggi della vita, senza che questo annebbi menomamente la sua immacolata purezza. Maria SS. era purissima e semplice, conosceva certe cose e leggeva certamente la Sacra Scrittura nel Tempio, eppure era sempre quel fiore immacolato che profumò i Cieli e la terra. Chi oserebbe presumere di voler essere più puro dell’Immacolata ?
Si potrebbe dire che lo stile orientale è più libero, e che non si adatta alle nostre abitudini, o che certi fatti scritturali sono alimento per alcune anime e non per tutte. Ma noi non dobbiamo dimenticare che è Dio che ci ha data la Scrittura, e l’ha data a tutte le età e da tutti i secoli, e che come la Fede non ha regionalismi, così non l’ha la parola di Dio. La Sacra Scrittura è il libro di tutti e di tutte le età, e ripetiamo, la Madonna cominciò a leggerlo dall’età di tre anni, quando si ritirò nel Tempio. Noi non abbiamo abitudini diverse dagli orientali, ma molte volte siamo più ipocriti e facciamo lo scrupolo del tarlo, che per non rodere la Croce, rose il Crocefisso. Così i protestanti inglesi fanno scrupolo a nominare in pubblico la camicia ed i calzoni, ma non fanno scrupolo a tenere nella sola Londra più di trecentomila donne perdute. È vero che S. Paolo parlando dell’impurità ha detto che essa non deve essere neppure nominata tra i cristiani: Non si senta neppure nominare tra voi fornicazione o qualsiasi impurità od avarizia, come si conviene ai santi, (Efes. V, 3), ma S. Paolo intendeva dire che i cristiani debbono avere una condotta così pura, da essere inappuntabili; egli stesso poi parla con «chiara franchezza di certe miserie impure, e non esita a bollare con termini espliciti delitti mostruosi (I Corint. V, 1). Quante anime fanno scrupolo per sciocchezze, e poi non fanno scrupolo a peccare! Quante si complicano in certe inezie, e poi cedono con facilità alla tentazione!
Dio non disdegna di passare con la sua grazia attraverso le stesse. miserie umane, perché Egli ci vuole sapienti nel bene e semplici nel male (Rom. XVI, 19). Non ha Egli cantato l’amor suo nel Cantico dei Cantici con le stesse espressioni dell’amore umano, e di un amore che, fuori della sua luce, sembrerebbe spinto fino ai confini del male? Dio ci trae con la sua parola fuori della nostra ammorbata atmosfera, ci eleva a Sè, c’immerge nel suo amore, È ed in quell’atmosfera divina le espressioni del suo amore non sono più quelle umane, sono lampi della divina carità che unisce il Padre al Verbo, sono le espressioni del Verbo verso la sua purissima Madre, verso la Chiesa, verso le anime sposate a Lui nella grazia e nella carità. Presumere di non far leggere il Cantico dei Cantici perché qualche cuore corrotto potrebbe trovarci le espressioni adatte alla sua degradazione, sarebbe lo stesso che interrompere ogni corrente di luce sol perché qualche cretino può fulminarsi.
È proprio satana che spinge alcune anime a mutilare la Sacra Scrittura con la scusa della purezza, perché satana vuole che certe cose si conoscano naturalmente e turpemente. L’insidia diabolica 1 più terribile e più occulta è proprio quella di mutare ogni atto della nostra vita in un atto naturale che non glorifica Dio. Egli c’insidia anche nelle piccole cose: ti dà la pigrizia nel levarti all’ora stabilita, perché tu ti levi cinque minuti dopo, non per amore di Dio ma per necessità. Ti fa sentire ripugnanza al digiuno comandato, ma subito dopo ti persuade che il digiuno ti fa bene alla salute, e te lo fa fare per egoismo. Ti fa sentire ripugnanza a mangiare un cibo amaro per amor di Dio, ma te lo fa prendere appena ti si dice che l’amaro è tonico. Se devi vigilare per Dio, ti assonna; se devi vigilare per un motivo umano, ti sveglia. Se devi riprendere uno per zelo ti fa credere imprudente ogni parola, ma se devi riprenderlo per movimento d’ira o per tuo interesse, ti dà lo scilinguagnolo. Questa insidia costante e continua, che ci avvolge nelle spire della tentazione, come nelle strette di un serpente, cresce quando gli atti della nostra vita sono più nobili; così il demonio in un malanno ti rende ribelle alla volontà di Dio, mentre ti fa acquetare nella fatalità; tu non dici: “ Dio così vuole, sia fatta la sua volontà, e ti sembra impossibile tollerare quel dolore, mentre dici subito dopo, conilità e con calma che… “ non c’è che fare, la cosa così deve andare. Per questa terribile malignità, satana vuole quasi il monopolio della conoscenza del male; si ricorda della tentazione fatta ad Adamo nell’Eden, e la continua in noi; vuole che conosciamo il male per le sue suggestioni, perché è sicuro di mutarlo in veleno nell’anima nostra, e non vuole che ce lo faccia conoscere la divina i parola perché è sicuro che essa ce lo fa detestare.
Non siamo dunque così presuntuosi e meschini da pretendere di dar lezione a Dio. Se il Signore ci ha parlato, chi oserà dire che ha fatto male? Se Egli pone questo lievito nella nostra massa, chi oserà pretendere che sia migliore un pane azzimo? Ignoriamo forse che l’infanzia medesima oggi conosce certe malignità che persino i vecchi ignorano? Non sappiamo che il male, incastonato nel disegno di Dio, appare più tenebroso alla coscienza, e suscita nel cuore la reazione ed il disgusto ? Ed anche se potesse turbarci per un momento, non ci farebbe più persuasi della nostra debolezza e della necessità che abbiamo di vigilare sul nostro cuore?
Leggiamo dunque con devota semplicità certe cose, passiamoci sopra come gli uccelli che sfiorano le onde e non si fanno travolgere; constatando la malignità umana, teniamoci più avvinti al Signore.
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Dio discende e vede, ogni volta che la nostra anima forma in se stessa l’edificio dell’orgoglio, ogni volta che rifiuta di camminare nelle vie della Divina Volontà; Dio discende e vede, discende come una immensa corrente di vita, quasi come vento caldo che penetrando in un ambiente freddo vi produce correnti di aria che scuotono le foglie aride e dissipano le inutili pagliuzze. Dio discende e vede, ed intorno all’anima si forma la confusione dei contrasti, delle pene, delle incomprensioni, che sono vere confusioni di lingue, ed essa non può rimanere nel suo stato, deve mutare indirizzo, deve prendere altra via. Quanto è ammirabile il Signore in queste silenziose discese, quanto è commovente il pensare a questo suo intervento così lene, così placido, così soave e nello stesso tempo così forte, che lascia intatta la libertà e fa sentire i diritti del suo ineffabile amore!
Dio avrebbe potuto imporre agli uomini di Babele la cessazione del lavoro, avrebbe potuto mandare un terremoto in quella regione per spaventarli e per demolire la loro fabbrica; invece discese placidamente come discende la notte, e fece in modo che nelle tenebre della confusione quegli uomini avessero liberamente smesso l’inutile e vano lavoro. Per questo Dio si mostra tanto buono, e guarda l’attività delle sue creature quasi con preoccupazione: Questa è la prima impresa che fanno, ormai non sarà loro difficile fare quanto venga loro in mente. È l’amore che lo fa parlare, poiché che cosa sarebbe stato di quegli uomini se avessero fatto tutto quello che stoltamente pensavano? Avrebbero creata la civiltà della morte, quella che il mondo moderno ha creata nella sua apostasia da Dio, la civiltà degli edifizi, della meccanica, delle orge, delle sbornie intellettuali, e l’inaridimento della vita, la fame, la desolazione. Dio troncò l’impresa che sembrava audace ed era folle, e conservò agli uomini i campi, l’aria libera, il nutrimento e la gioia di riprodursi e di vivere.
Deve notarsi che il Sacro Testo. dice due volte che Dio discese: discese a vedere la città e la torre, e poi soggiunge più avanti: – Venite, scendiamo, e confondiamo il loro linguaggio. – Tutti i Padri riconoscono in queste parole un’allusione alla SS. Trinità, poiché Dio parla in plurale: Venite, scendiamo, invitando quasi le sue divine persone a discendere. Anche questa è una rivelazione ammirabile del modo di operare di Dio: Egli discende e vede per la grazia e per la Provvidenza; confonde il linguaggio delle sue creature, per la loro salvezza, discendendo nella sua augusta Trinità; la sua Potenza fa loro sentire la debolezza della loro attività, la sua Sapienza ne fa loro sentire la stoltezza, il suo Amore ne fa loro sentire la vacuità. Sono i tre raggi che mutano le creature e le convertono, quando esse delirano nella loro libertà; questi tre raggi diventano nel loro cuore dolore, umiliazione, disinganno; il dolore le arresta nella loro china, l’umiliazione le impiccolisce nel loro gonfiamento, il disinganno le distacca dalle creature. Dio così confonde il linguaggio interiore dell’orgoglio, getta l’ anima nelle tenebre dell’angoscia, fa sì che non intenda più il linguaggio del mondo, e la converte pur lasciandola libera. Prima le sembravano dolci le voci dell’orgoglio, dei sensi e del mondo e le intendeva; dopo le sembrano una strana confusione, non intende più, non vive più, non ama più, e prende altra via, cercando la luce di Dio nei placidi ed ubertosi campi della Fede.
pag. 348
Abramo parlò certamente a Sarai delle promesse avute da Dio, ed essa vi credette fino ad un certo punto. Comunemente si crede che le donne siano più facili agli entusiasmi religiosi ed a prestar fede a qualunque fatto straordinario; invece è proprio l’opposto. La donna è più positiva di quello che si pensi, ha nell’interno tutto un mondo proprio, che raramente manifesta al di fuori; vede, giudica, apprezza, misura, ma tace o si esprime in modo monco ed enigmatico. A volte si lascia persuadere perché condiscende facilmente quando crede inutile lottare, ma nel fondo del suo animo non si convince, e quando le è possibile, ritorna infallibilmente sui propri pensieri e sulle proprie idee. Per naturale condizione il più delle volte è soggetta, ma nel suo animo è sempre indipendente, cede alla necessità anche con eroismo, ma non cede con profondo convincimento, perché se non vede con i suoi occhi e non ragiona con la sua testa non crede. Se in generale la donna è più religiosa dell’uomo, lo è non per debolezza, come stupidamente si crede, ma per sapienza; ha l’intuito della verità, e quando la conosce l’abbraccia con più fervore e con maggiore eroismo, perché l’assimila nel profondo del cuore. L’uomo ha bisogno di ragionare per intendere, la donna ha bisogno di vedere e vuol vedere perché le affermazioni non la contentano.
pag. 354
Agar doveva essere serva della sua padrona e doveva darle dei figli, invece si riguardò essa come padrona, e fuggì dalla casa di Abramo, il Padre dell’elevazione, per non sottomettersi alla Signora. La Sinagoga doveva dare alla Chiesa Cattolica i figli della novella generazione, e doveva servire alla gloria di Dio nel Nuovo Testamento; invece si riguardò e si riguarda come padrona del mondo, fuggì e fugge dalla casa del Padre Celeste rimanendo ostinatamente nel deserto della sua religione, senza altare, senza Sacerdozio, senza vita. La Chiesa di Gesù Cristo, quando vide che la Sinagoga si rifiutava di servire Dio, la riguardò come serva ribelle della Divina Provvidenza, e si staccò da essa; la Sinagoga a sua volta avversò la Chiesa e cercò in tutti i modi di nuocerle. Anche oggi gli Ebrei avversano la Chiesa; essi posseggono le banche, il commercio e, direttamente o indirettamente, i governi di quasi tutto il mondo; rifiutano con ostinazione di conoscere la verità cattolica, e tentano in tutti i modi di attraversarle il cammino.
Questa contesa finirà quando l’Angelo di Dio, il Papa, il Pastore Angelico, riunirà novellamente nella stessa famiglia del Padre Celeste le due Chiese, facendo riconoscere alla Sinagoga il suo errore, e riconducendola umiliata e convertita nella casa del Signore da essa abbandonata, formando così un solo ovile sotto un solo pastore.
pag. 359
Dio, completando la magnifica promessa, disse che avrebbe mantenuto il suo patto con Abramo e con i suoi discendenti in perpetuo, per essere loro Dio, e promise la terra di Canaan in perpetuo a lui ed ai suoi posteri, per essere loro Dio. Egli, fin d’allora, promise alla Chiesa l’indefettibilità, e l’infallibilità nella verità, perché Essa solo avrebbe avuto il Dio vivo e vero e l’eterno deposito della fede vera, le promise il possesso perenne della patria eterna, figurata nella terra di Canaan, frutto del pellegrinaggio terreno, frutto delle angustie e delle umiliazioni della vita, prezzo di giustizia e premio delle opere buone.
Promettendo ad Abramo di stabilire con lui un patto eterno, e con la sua posterità, Dio disse solennemente: Io sono; era come il giuramento che confermava la sua promessa, ed era la sintesi dell’eterna verità che affidava fin d’allora alla Chiesa futura, poiché Dio solo è, Dio solo è verità assoluta, e chi ha Lui come Dio non può avere come eredità che la verità infallibile.
Chi deve compire nella Chiesa le opere del Signore, non può fondarsi sulle umane speranze, deve fondarsi su d’una fede incrollabile in Dio, deve avere come base questa roccia incrollabile: Dio solo è tutto, Dio è padrone di tutto, Dio solo è la mia forza. Credere, credere; credere e sperare contro tutte le idee umane e contro tutte le speranze mortali, significa fecondare le opere di Dio con la forza di Dio. Perciò nelle angustie, nelle contrarietà, nelle pene, l’anima poggi sempre più in alto la sua speranza, e quando crede tutto perduto allora confidi di più perché allora sulle umane tempeste e sulla confusione generata dagli uomini risplende la bontà
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Dio è pieno di delicatezza con noi, ma non fa passare senza risposta quelle colpe che disonorano i suoi divini attributi, perché se tacesse, Egli ci farebbe un gran male, e permetterebbe in noi delle tenebre pericolose alla vita stessa dell’anima. È per questo che quando la miscredenza ride delle cose sacre, il Signore interviene e risponde con pubblici flagelli. L’umanità incredula e stoltissima ride dietro la porta, perché non vede Dio, non lo conosce, non gli è familiare, ma il Signore risponde a queste risa| stupide e sconce e si fa sentire, perché l’umanità non finisca per i crederlo una chimera od una favola. Così quando l’infelicissima Russia ha riso di Dio, ha visto lo sfacelo della nazione; quando i gitanti della nave francese “Philippar, risero di Dio, uscendo di domenica con tempo splendido dal porto, e burlandosi della Messa che perdevano, a poca distanza dalla costa, furono colpiti da una tempesta improvvisa che li sommerse; quando i miscredenti di Messina “risero di Dio nel 1908, domandandogli un terremoto per oscena derisione, videro la loro città travolta nella stessa notte dal flagello.
Nessuno oserà certo ridersi di Dio dopo esempi così impressionanti della sua presenza, dei quali ci sono molti testimoni oculari.
Sara rise perché le sembrò impossibile l’avveramento della divina promessa, ma il Signore la confuse dicendo: – C’è forse una cosa difficile per Dio ? – Abbiamo fiducia nella divina misericordia, e non crediamo impossibile la rinascita delle anime in i questo mondo invecchiato nel male e sterile di ogni vita soprannaturale. Il Signore ci fa sentire per mezzo della Chiesa e dei Santi che questa povera umanità non rimarrà per sempre isterilita; abbiamo fiducia, lavoriamo, diamo a Dio il concorso della nostra nullità ed aspettiamo con fede il trionfo della Chiesa. Quando Gesù Cristo mandò gli Apostoli per il mondo non sembrava impossibile che lo avessero convertito? Eppure lo convertirono. Abbiamo fede, Gesù Cristo vince il mondo.
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La figura profetica prende un nuovo aspetto, perché l’ umanità non doveva ricevere bene il suo Redentore. Dio promette un figliuolo a Sara, e questa ride, ride dietro la porta, senza vedere i personaggi misteriosi, e poi, rimproverata da loro, mentisce.
La Sinagoga, figurata qui in Sara, la sterile che Dio voleva rendere feconda di grazie, così ricevette il Redentore: si nascose nella angusta tenda, nelle sue tradizioni e nei suoi riti, e derise il Re, lo derise fino a metterlo in Croce, lo schernì perché le aveva promesso la vita. Infedele alla grazia, pose e pone il colmo a sua colpa mentendo; mentì travolgendo le parole dei suoi Profeti e mentisce chiamandosi popolo di Dio, quando non è che un popolo rigettato.
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L’amore umano dev’essere dominato da Dio, poiché questo è diritto dell’Eterno Amore. Il Signore ci ha dato la legge della carità, perché noi lo amassimo nel prossimo, ed ha santificato il Matrimonio rendendolo Sacramento, perché la funzione dell’amore umano si mutasse in funzione del divino amore. Egli così non ha menomato la mostra libertà, ma nello stesso tempo ha salvaguardato i frutti del suo amore, che sono imprescrittibili. Egli, può dirsi, ci lascia liberi in tutto e sembra quasi assente da noi, fuorché nell’amore, perché ci ama e vuole essere amato. L’amore suo si fa sentire appena è offeso, reagisce, c’insegue, ci percuote, ci ricaccia nelle più tormentose angustie ma non cede. L’impurità lo contrasta in questo amore, ed Egli l’insegue e la combatte fino alla distruzione.
Egli è vigilante amore anche quando le creature si uniscono santamente; le tribolazioni della carne, proprie dei coniugi, delle quali parla S. Paolo (I Corint. VII, 28), sono l’amor vigilante di Dio che impedisce il pieno riversarsi di una creatura nell’altra, e che le costringe a ricercarlo fuori dei diletti della carne o delle effimere armonie della vita. Non lo vediamo noi che l’amore troppo vivo ed ardente fra due creature è troncato presto dal Signore, e che persino l’amore materno o paterno troppo concentrato nel figliuolo è spezzato dalla morte? Se Dio fa questo con l’amore benedetto da Lui, che cosa non farà con l’amore che gli è estraneo, o peggio con quello che si concentra in se stesso? Chi ama illecitamente una creatura nei limiti della legge naturale, conserva ancora un barlume di amore, perché ama la creatura di Dio, ed in certo modo esce ancora fuori di sè, pur fermandosi sull’umana nullità; ma chi si riversa in se stesso, o ama per se stesso il turpe diletto che lo soddisfa, s’allontana così completamente dall’Amore, che si trova per necessità di fronte ai fulmini dell’Amore contrastato e profanato. Un peccato contro natura non conserva più neppure il più piccolo vestigio di amore, è turpe concentramento in se stesso, è orrore che Dio abomina e colpisce senza misericordia.
È un fatto che nessun peccato è colpito più severamente da Dio quanto quello dell’impurità; i più spaventosi flagelli che l’umanità ricorda, sono dovuti a questo peccato, le più gravi angustie della vita hanno questa triste radice. Le calamità del mondo, la rovina di tante città, i terremoti, le pestilenze, le guerre, la fame, hanno origine dall’impurità. Anche quando sono castighi dell’irreligione e della miscredenza hanno la radice nell’impurità, perché l’irreligione è l’impurità dello spirito che infallibilmente, presto o tardi, diventa impurità della carne, come l’impurità della carne porta con sè quella dello spirito ed allontana da Dio.
Tu, piccolo verme umano, inutilmente tenti persuaderti che certi peccati sono frutto del tuo istinto o delle tue esigenze fisiologiche, inutilmente neghi Dio e la sua giustizia per essere più libero nelle tue degradazioni. L’Amore Eterno non ti dà tregua, ti insegue, e la lotta fra Lui e l’amore tuo recalcitrante è duello all’ultimo sangue. Egli ti castiga nel corpo e te ne fa sentire il peso, finché tu non l’abomini e non ricacci da te la carne come oggetto indegno del tuo amore; Egli t’acceca la mente, t’indurisce il cuore, ti priva di ogni grazia, perché tu nell’angoscia del tuo spirito lo cerchi come refrigerio. Egli a volte ti punisce con la stessa impurità, e permette che tu cada in abissi profondi di abominazione, che ti senta schiavo di abiti inveterati, e ti riconosca un orrore finché non confessi il tuo male, e non ti emendi, dandoti vinto all’Amore che ti cerca e che solo può purificarti. Le tue vie sono tenebrose e piene di affanni, il tuo cuore è stretto da un torchio, l’anima tua cammina, come lo spirito immondo del quale parla l’Evangelo (Matt. XII, 43), per luoghi aridi, cercando riposo e non lo trova; cerca compagnie più cattive per tentare almeno così di giustificare il suo operato, ma è sempre angustiata finché non cede all’Amore Eterno che la insegue per amore!
Dio non rinunzia alle esigenze del suo amore, è l’unico diritto che vuol conservare pieno su di noi, perché sa che solo l’ amor suo ci sazia. L’affanno. col quale l’impurità ci tormenta viene da Lui direttamente, Egli non si affida ad altri per punire l’amore infedele, e come per Sodoma e Gomorra è detto: Signore piovve dal Signore sopra Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco dal cielo, così per ogni anima il flagello che punisce l’impurità viene direttamente dal Signore. Non fu un’ eruzione vulcanica l’ inabissamento delle città peccatrici, fu l’impeto dell’Amore contrastato che arse di sdegno; non vengono dalle creature i castighi sugli uomini impuri, vengono da Dio, è il Signore che piove dal Signore fuoco e zolfo di angustie e di desolazione su di loro.
Satana che è invidioso del nostro bene, ci spinge perciò all’impurità fin dai più teneri anni, e tenta di porre come base di ogni vita che si schiude questo tristissimo germe di sventure. Per questo la vita infantile di certe creature è irta di spine, benché non si sia ancora sviluppata: quelle immodestie, quelle curiosità impure, quegli atti sconci, quelle parole degradanti fanno piovere fuoco di angustia sulla giovane vita che cresce. A volte una sola immodestia in un’anima che Dio predilige e che destina a grandi cose, può determinare un’infanzia ripiena di lutto, di fame, di percosse, di contrasti, di affanni; un sol peccato impuro può rendere la vita disgraziata e piena di sventure. È inutile ricercare nel cielo la cattiva stella che è stata causa del nostro amaro destino; la stella del cielo è l’Amore Eterno che c’incalza, e l’ amaro destino dell’amor nostro infedele; il combattimento è l’urto di questi due amori, e la vittoria deve rimanere all’Eterno Amore.
Che se la creatura ostinatamente rifiuta l’Amore, avviene a lei come a Sodoma ed a Gomorra: è sommersa nel fuoco eterno e non ha più scampo. L’ Amore la insegue in ogni ridotta della libertà, in ogni trincea del cuore, in ogni rifugio dei sensi, e giunge fino al punto che preferisce vederla nell’odio eterno, anziché data all’amore di un altro. È terribile, ma è la verità! L’anima dannata è tutta odio, ma almeno così non può dare ad altri quell’amore che avrebbe dovuto dare a Dio. Odia se stessa, odia l’inferno, odia i dannati, odia la vita, odia la morte, odia Dio, ma l’odia perché non può amarlo. È questa la forma che prende l’amore ingrato che non s’è fatto sconfiggere dall’Eterno Amore: l’odia, ma non ama altri, l’odia ma lo apprezza sopra tutte le cose, ne rifugge ma non trova riposo fuori di Lui, arde ma non trova refrigerio fuori di Lui. Non può dire mai: lo t’ho scambiato per un altro amore, poiché lungi da Lui non trova che l’odio, e la vittoria è sempre dell’Eterno Amore.
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2. La minaccia di Dio ad Abimelec. La mediazione di Abramo. Condizione del perdono.
Dio dunque si rivelò in sogno ad Abimelec, e gli disse senz’altro che sarebbe morto per aver preso Sara. Abimelec sentendosi ancora puro, perché non aveva consumato il peccato, domandò a Dio se avesse ucciso il giusto che aveva mancato solo per ignoranza. Si gloriava della sua giustizia, e non rifletteva che egli non aveva peccato perché Dio gli aveva mandato un grave malanno. Il Signore perciò lo corresse delicatamente del suo orgoglio, e gli fece riflettere che proprio per la rettitudine del suo cuore Egli lo aveva custodito dal peccato. Non era quindi merito suo l’essersi conservato giusto, ma era effetto di una speciale misericordia.
Le parole che Dio rivolse ad Abimelec: Io ti custodii perché tu non avessi peccato contro di me, sono profondissime. Quando un peccatore, infatti, riesce a consumare il proprio peccato, è proprio in questo castigato da Dio; egli crede di agire da padrone, e non si accorge che la sua pessima volontà lo priva dell’aiuto divino, e lo rende schiavo della colpa. Quando si ha il cuore semplice e retto, anche stando nell’illusione, Dio non permette che si cada in peccato. Il Signore vigila in modo speciale su quelle ani«me che cadono in un’illusione, e credono in buona fede di fare una cosa lecita. Egli le richiama con le sofferenze, le risveglia dal loro sonno spirituale con le angustie interiori, e le sostiene in tal modo, che la loro volontà si conservi lontana dal peccato, e si liberi a poco a poco dall’illusione. Per delicatezza Dio non disinganna di un colpo un’anima illusa in buona fede; Egli non vuole precipitarla di un tratto da una visione di bene nel vuoto del disinganno, che sarebbe per lei atroce; le toglie a poco a poco, per così dire, i giocattoli della sua fantasia, come una mamma fa con la sua bambina, la custodisce perché non si faccia male, ed al momento opportuno la eleva nel campo della realtà divina, utilizzando per la sua formazione le stesse angustie delle sue illusioni.
Dio disse ad Abimelec che gli aveva impedito di peccare contro di lui, e con questo manifestò tutto il suo orrore per l’adulterio.
Questo peccato, benché abbia per oggetto una creatura, pure è rivolto contro Dio, perché la creatura è tempio vivo del Signore ed appartiene a Lui solo. Se Abimelec, pur stando in buona fede, fu colpito con tanta severità, con quanta maggiore forza saranno colpiti quelli che insidiano volontariamente la pace della famiglia e profanano il matrimonio con le loro iniquità? È davvero raccapricciante il pensare alla facilità con la quale oggi si consumano i peccati di adulterio, ed è sommamente doloroso il constatare come la società non pensi a porre un valido freno a simili orrori!
Il Signore concluse il discorso rivolto ad Abimelec, con una minaccia che era diretta a paralizzare la passione che egli aveva per Sara: Se fu non la rendi, sappi che di certo morrai tu e tutti i tuoi. Sembrerebbe superflua questa minaccia dopo che Abimelec aveva mostrato il proposito di restituire la donna; ma il Signore sapeva che egli le era affezionato, sapeva che se non aveva peccato materialmente, aveva peccato di desiderio, e perciò lo minacciò di morte e lo esortò ad andare da Abramo, a confessargli il peccato ed a supplicarlo di pregare per lui per ottenerne il perdono. Si noti che mentre Abimelec si confessava con Dio, il Signore che avrebbe potuto certamente perdonargli, non volle farlo senza la mediazione di un uomo che lo rappresentava, cioè di Abramo, da lui perciò chiamato profeta. Il Signore volle affermare solenne mente la necessità del mediatore per ottenere la grazia del perdono, e la necessità di un mediatore visibile. Il mediatore doveva essere il Redentore; ma non sarebbe bastato la fede in Lui invisibile per ottenere il perdono, sarebbe stato necessario la preghiera del profeta, cioè del Sacerdote, senza del quale invano l’ uomo avrebbe sperato misericordia.
I protestanti che pretendono di ottenere la remissione dei loro peccati confessandosi con Dio ed implorando misericordia dal Mediatore invisibile, non riflettono che Dio stesso non dì il perdono senza il ministero di un uomo. Chi pecca sottrae a Dio la gloria che gli è dovuta e deve restituirla ai piedi del Confessore, il quale prega per lui e lo assolve in nome di Dio uno e trino. Nei primi tempi della Chiesa l’ assoluzione sacramentale era data in forma deprecatoria, cioè consisteva proprio in una preghiera con la quale il Sacerdote implorava sul penitente la misericordia divina. Oggi alla preghiera il Sacerdote aggiunge la formola imperativa del perdono, suggellando così la preghiera con la certezza della mise ricordia che Dio elargisce infallibilmente quando noi non vi mettiamo ostacoli.
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4. La sterilità della casa di Abimelec ed il problema demografico.
Il Sacro Testo dice che dopo le preghiere fatte da Abramo per Abimelec, Dio risanò lui, la moglie e le serve, ridonando loro la fecondità che s’era isterilita a causa del rapimento di Sara. Da ciò si rivela che questa stette molto tempo in casa di Abimelec, diversamente sarebbe stato impossibile constatare la sterilità delle donne di Gerara.
È la prima volta che si nota nel Sacro Libro quello che oggi si chiama il problema demografico, cioè la mancanza di nascite in una nazione. La morte che Dio minacciò ad Abimelec ed ai suoi poteva essere precisamente l’estinguersi della sua razza per mancanza di figliuoli. È questo il castigo che Dio dà alle nazioni, quando in esse l’adulterio diventa un peccato comune. Noi lo constatiamo col fatto : gli Stati sono preoccupati delle mancanze di nascite; la Francia, l’Inghilterra, l’America, la Germania decadono lentamente, perché in queste nazioni l’adulterio è legalizzato dall’infame legge del divorzio, o è diffuso dalla costante propaganda immorale. Si dà il grido di allarme per impedire questa rovina, ma è un grido stolto, perché non si fa nulla per ridonare al matrimonio la sua santità, e per impedire la propaganda sfacciata dell’adulterio che si fa con i romanzi e con gli spettacoli, sotto gli occhi dei governi più o meno ciechi o compiacenti. La mancanza di nascite conduce i popoli prima alla rovina e poi inesorabilmente alla morte; perciò è dovere di ogni governo vigilare affinché non dilaghi questa piaga così turpe.
C’è un altro peccato che il Signore chiama anche adulterio, ed è la noncuranza di Dio, la ricerca del proprio tornaconto e l’idolatria delle creature. Dio chiamava adultero il popolo suo quando si rendeva infedele, e adulteri i Sacerdoti quando trascuravano i loro doveri; anche questo adulterio spirituale porta la sterilità.
Nel Bollettino Ecclesiastico di una Diocesi dell’Italia meridionale è detto che nel 1928 a tutto novembre si ebbero 30 Sacerdoti morti e solo quattro Sacerdoti novelli. È una statistica spaventosa che si constata più o meno da per tutto; è una sterilità che conduce alla morte, se Dio non ci mette la mano. Questa sterilità è causata dall’adulterio spirituale del popolo cristiano. Si abbandona Dio, si cerca il piacere, si è legati alle cose temporali, e s’ isteriliscono le generazioni delle anime sante e dei Sacerdoti di Dio. Così gli Stati Uniti di America non hanno dato alla Chiesa nessun Santo, proprio nessun Santo! Sono gli Stati più adulteri demograficamente e spiritualmente, e sono completamente isteriliti nella generazione dei Santi che è la sublime fecondità della Chiesa.
Le anime consacrate. a Dio sono sue spose; esse non possono dunque abbandonarlo e darsi al mondo, senza commettere un peccato gravissimo che attira sui popoli il castigo di Dio, privandoli delle voci più belle di riparazione e d’impetrazione che abbiano.
Quando queste anime si danno al mondo se non materialmente almeno col cuore, allora s’isteriliscono e non sono più capaci di fare gli atti di virtù che costituiscono la loro fecondità spirituale.
Perciò quando notiamo in noi la sterilità spirituale, esaminiamoci accuratamente per vedere se in noi ci sia qualche elemento di vita estranea a Dio, che rende adultera l’ anima nostra, e se troviamo in essa qualche affetto rubato al Signore restituiamolo a Lui. Siamo fedeli al suo amore, ripariamo la nostra infedeltà, ed Egli ci benedirà rendendoci soprannaturalmente fecondi.
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Il pellegrinaggio di Giacobbe e quello della vita umana. L’umiliazione della morte segna tutti gli uomini col suggello della Redenzione.
Giacobbe era partito dalla casa paterna col solo bastone, era andato in terra straniera, vi aveva sofferto vent’anni ed era ritornato in patria con tanta ricchezza e con tanta gente. È questa un’immagine del nostro terreno pellegrinaggio; veniamo sulla terra spogli di tutto e come in un esilio; viviamo per un periodo di tempo assegnatoci da Dio, e con le sofferenze della vita produciamo i frutti degni del Cielo. Giacobbe andò in Mesopotamia per sposarsi, e l’anima nostra viene sulla terra per sposarsi al Verbo Umanato e per ritornare così a Dio suo Padre, ricoperta delle ricchezze del Prezioso Sangue. L’anima viene in questa terra macchiata di colpe e trepida tanto nel doversi presentare al Signore; ma essa manda avanti a sè i doni che lo placano, i meriti di Gesù Cristo, è profondamente umiliata nella morte e con quell’umiliazione può affrontare in pace la giustizia di Dio!
La morte è un gran dono del Signore; l’uomo peccatore ed ingrato per essa può presentarsi a Dio, umiliato in tutte le sue potenze in tutta la sua vita, in tutto il suo corpo. Se non avesse questa tremenda e salutare umiliazione non potrebbe affrontare lo sguardo di Dio.
La nostra morte ricorda quella di Gesù Cristo; Egli volle salvarci con la sua morte per imprimere così su ogni creatura il segno della Redenzione, perché la morte è il retaggio di tutta l’umanità, come lo è il dolore. Ogni uomo spirando porta impresso almeno questo tratto di rassomiglianza con Lui. Non è questa una supposizione, è una verità; S. Paolo infatti dice che noi risorgiamo perché Gesù Cristo è risorto come primizia dei dormienti. Dunque c’è una relazione stretta fra la sua Resurrezione e la nostra, e per conseguenza, fra la sua morte e la nostra, giacché la resurrezione suppone la morte. Tutti quelli che morirono prima della Redenzione figurarono la morte di Gesù Cristo, tutti quelli che sono morti e muoiono dopo la Redenzione la esprimono. Anche il più perverso degli uomini riceve questo suggello, che certamente gli concilia la misericordia di Dio e gli diminuisce la pena che merita per i suoi peccati.
La morte è come l’ombra della Croce che dal Calvario, da Gesù Crocefisso, si proietta lontano su ogni creatura che muore; si proietta sul moribondo che sta: sul letto dell’estremo dolore come sulla Croce, ed egli rassomiglia così a Gesù morente, si proietta sul mare furente che inghiotte le sue prede, sui campi di battaglia, sulle solitudini agghiacciate, sui deserti infuocati… dove muore un uomo là si disegna la Croce. La morte dunque è la prostrazione di tutta l’umanità a Dio, unita alle prostrazioni del Redentore, è come l’ultimo sacramento di misericordia che ricevono tutti, anche i pagani, anche i barbari, anche gli antropofagi. Com’è grande Iddio in tutto quello che dispone!
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Rachele che partorisce l’ultimo suo figlio fra grandi dolori, è immagine della Chiesa Cattolica che negli ultimi tempi, quando la persecuzione sarà più terribile, darà a Dio fra i dolori più gravi i suoi figli prediletti, gli ultimi Santi, che rifulgeranno come soli in mezzo al tenebrio spaventoso del mondo. Prima di giungere al luogo ubertoso del suo eterno riposo, Efrata, nell’ultimo tratto della via del suo mortale. pellegrinaggio, la Chiesa darà a Dio gli ultimi suoi frutti, i più belli di tutti, perché generati fra i dolori più fieri.
La Chiesa è una madre sempre addolorata, poiché in ogni tempo la sua fecondità è frutto di angustie. Essendo Essa il Corpo mistico del Redentore, è tutta piagata, come il Corpo reale del suo Capo Divino. Quello che nella Chiesa ci appare come disordine, i suoi membri infetti, le sue angustie, sono le piaghe dolorose per le quali Essa, sanguinando di pena, genera a Dio gli eletti. È un errore il credere che la Chiesa debba essere senza angustie e senza membri disordinati 0 peccatori, perché Essa è pellegrina e sta sempre nella prova; per questo Gesù Cristo stesso disse: – È necessario che vi siano degli scandali (Matth. 18, 7). – Gli scandali dei membri della Chiesa sono un segno della sua vita, poiché le malattie non colpiscono le statue o le figure dipinte, ma gli esseri vivi. Nella sua anima la Chiesa è invece immacolata, santa, senza macchie e senza rughe. Le sette che sono un corpo senza vita, hanno spesso un volto incipriato e dipinto, si gloriano della loro apparenza, ma vanamente. Un fiore soverchiamente manierato e simmetrico, è un fiore artificiale, senza profumo e senza vita, mentre quasi ‘sempre il fiore sbocciato da una pianta viva, ha qualche petalo che cade, o qualche foglia intristita dal gelo. La Chiesa non è una vetrina di fiori artificiali, belli solo in apparenza; è un giardino fecondo dove cresce il germe cattivo con quello buono, fino alla raccolta e alla mietitura.
Non ci scandalizziamo dunque quando veniamo 2 conoscenza di Sacerdoti cattivi o di membra guaste della Chiesa, piuttosto pensiamo noi a consolarla nei suoi dolori con la nostra virtù. La Chiesa in mezzo alle sue pene dà a Dio le anime privilegiate, formate esse pure dall’angustia e dal dolore ; fioriscono in Lei per la lotti fra il bene ed il male gli atti più vivi di amore, le riparazioni, l’apostolato, la virtù. Germinano in Lei i gigli candidi della purezza, i fiori vermigli del martirio, e le gemme profumate della carità in mezzo all’uragano che vorrebbe sradicare da Lei ogni vita, come germinarono dal Corpo piagato del suo Redentore i fiori dell’amore, della riparazione della vita che salvò il mondo. Persuadiamoci che la Chiesa è guidata da una specialissima Provvidenza di Dio, e che ogni male in Lei è utilizzato come concime delle piante buone. Essa è tutto un ricamo ammirabile della grazia, dove, proprio come nel ricamo, ci sono anche dei vuoti, che fanno risaltare la bellezza dell’insieme. Giudicarla a modo umano, significa non intendere nulla della sua divina costituzione, significa smarrirsi nelle conclusioni più stolte e ‘più menzognere.
pag. 613
Riponiamo in Dio solo la nostra speranza. Se bussiamo alle porte degli uomini, riponendo in loro la nostra fiducia, raccogliamo solo disinganni. Anche se in questa terra non avessimo altro che umiliazioni ed affanni, Dio muterebbe la nostra situazione nei cieli, dove il trionfo è eterno. Raccogliamoci in Dio solo in tutti i nostri affanni; più gravi sono le pene, più orrida è la solitudine che ci opprime, più chiuse sono le porte ad ogni scampo, più dobbiamo confidare in Dio solo, nostra speranza e nostra vita. Persuadiamoci che ogni volta che confidiamo negli uomini, considerandoli come termine della nostra speranza e non già come semplici strumenti della Provvidenza, passiamo un guaio. In un tempo di tanto egoismo è difficile trovare uno che s’ immedesimi delle nostre pene; l’umanità corre vertiginosamente appresso alle comodità della vita ed ai piaceri; è una nuova idolatria questa delle comodità e del divertimento, è un’ idolatria che rende i cuori come macigni, preoccupati solo del loro benessere, come gli animali.
Questo egoismo dà l’ incomprensione del dolore altrui, e quindi rende vana la speranza di essere consolati dagli uomini. Dio ci vuole più vicini a Sè, e per questo permette il fallimento delle speranze umane, vuole che noi facciamo appello al soprannaturale con piena fede, quando le forze naturali falliscono. Non lo vediamo noi in modo speciale quando confidiamo nei medici? Sembra che una particolare maledizione pesi su alcuni medici, a causa dell’irreligione e del materialismo che distingue tanti di essi. Pare che non ne imbrocchino una, è chi ha un po’ di esperienza sa quanto siano fallaci i loro responsi. Dio li confonde, rende vani i loro sforzi, li umilia, perché vuole che noi ci ricordiamo di avere un Padre nei Cieli, e di avere un aiuto in Maria SS. e nei Santi Avvocati. Ogni tribolazione è per noi come una prigione che ci priva di libertà e di vita; facciamo appello a Dio, alla vergine, S.S., ai Santi, e confidiamo nei mezzi soprannaturali, perché Dio non vuole che viviamo come esseri reietti, schiavi della materia, servi dei miseri uomini della terra.
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Anche nelle vie dello spirito, Dio ha questo modo di operare mirabilmente provvido: Egli, a volte, conduce le anime che sceglie per le grandi opere sue in certi stati di vita ed in ambienti dai quali poi le libera anche con prodigi di misericordia. Un’ anima può discendere anch’essa nell’Egitto, e può credere che quella sia la sua via e la sua dimora; può cioè incominciare il suo sviluppo e la sua preparazione anche in un ambiente transitorio, che può mutarsi in schiavitù per le illusioni o per le deviazioni che subentrano a causa dell’umana miseria. È un fatto di grandissima importanza, ignorando il quale si potrebbe credere illusione tutto un piano di Divina Provvidenza.
Un’anima chiamata da Dio a diventar luce delle altre, ha bisogno di un largo corredo di esperienze che il Signore non le dà soprannaturalmente, perché non fa mai opere superflue; ha bisogno anche di temprarsi in un campo nel quale le dosi del soprannaturale siano, per così dire, temperate da intrecci e da fatti naturali, affinché a poco a poco si sgrossi; ha bisogno di conoscere la propria nullità e la propria fallibilità, per abituarsi ad abbandonarsi a Dio; ha bisogno infine di grandi dolori per aprire il varco allo Spirito Santo e per farsi condurre da Dio. Il Signore la pone in un ambiente particolare che nel primo momento diventa alimento di pietà, utilizza le deviazioni dell’ambiente in cui vive, e le dà l’esperienza dello spirito falso; utilizza le conseguenze di queste deviazioni e le suscita intorno la lotta; demolisce il primo edificio, e con prodigi d’amore trae l’anima da quello stato che cominciò con l’essere una risorsa di vita, e divenne schiavitù d’idee errate e groviglio di confusione; la tempra nella lotta, la ingigantisce nella fiducia, la educa nelle sconfitte, la purifica nelle pene, ed al momento opportuno la spinge nella sua via maestra.
È così che un’anima eletta da Dio, può cominciare la sua missione incontrandosi, per es. in una persona che ha dei doni soprannaturali, e che la spinge nel campo del divino ; questa persona è allora quello che fu l’Egitto per la famiglia di Giacobbe : è risorsa di vita nell’inedia, è terra di Gessen, cioè è avvicinamento al bene che spinge l’anima verso ideali nuovi, e le dà il desiderio sintetico di ciò che poi deve compire. L’anima eletta, ignara delle vie soprannaturali, può errare, può credere da Dio quello che è umano o peggio diabolico, e può trovarsi in un groviglio di confusioni che la rendono schiava della sua idea. Essa s’immola magari per la sua idea, in mezzo alle persecuzioni che le si suscitano intorno, soffre e geme e si purifica col dolore. Poi d’un tratto la luce della Chiesa la illumina, essa obbedisce, si distacca dalla radice selvatica, s’innesta alla Chiesa, riceve nuove grazie, e si trova ricca di esperienza, di pazienza, di umiltà, di carità, di amore, e pronta a compire la missione assegnatale dal Signore.
Certe vie straordinarie volute da Dio, come fu voluta da Dio la discesa della famiglia di Giacobbe in Egitto, non sono il frutto, sono le foglie ed i fiori destinati a sfrondarsi ed a cadere ; chi è ignaro delle vie del Signore può scambiarli per il frutto, ma si persuade del contrario vedendone la dissoluzione ; la terra che era oasi di ricchezza diventa allora deserta, il grano si esaurisce e non si raccoglie che paglia e creta di desolazione; si è schiacciati fra grandi umiliazioni, perché l’anima si ricordi della divina promessa, e perché tenti con tutte le sue forze di compiere la Divina Volontà.
L’anima in questi momenti difficili vede tutto rovinare, ma spera; vede dimenticati i servigi da essa resi alla Chiesa, come gli Egiziani dimenticarono i servigi resi da Giuseppe, quando perseguitarono il popolo di Dio, ma si abbandona al Signore e prega; si vede maltrattata e vilipesa, ma conserva intatta la sua aspirazione a glorificare Dio; vede vano ogni aiuto umano ma grida al Signore, e quando meno l’ aspetta, in un momento di angustia generale, vede aprirsi la via della terra promessa, passa a piedi asciutti anche nel mare tempestoso, è difesa dal Signore e vince glorificando solo il suo Dio, al quale donò e dona tutta la sua vita.
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Se tu dai un urto alla prima di una serie di palline accostate l’una all’altra, esse sembrano immobili, e solo l’ ultima si sposta visibilmente; è un fenomeno che si studia negli elementi della fisica. Eppure tutte le palline ricevono l’urto, benché non lo dimostrino. Allo stesso modo passò, per così dire, la promessa di Dio di Patriarca in Patriarca, tutta ‘intera e reale, fino a rendersi manifesta nella pienezza dei tempi. Giacobbe, trasportato nel futuro prima di morire, era veramente nel pieno compimento delle divine promesse, e quindi la benedizione che aveva avuta non era stata vana per lui.
Così Dio opera in mezzo alle anime quando le sue parole e le sue promesse sono più vaste della loro vita, ed esigono uno sviluppo superiore alle forze ed agli anni loro. Egli rivela ad esse quello che avverrà, e lo rende loro come reale nella fede e nella speranza, per darlo poi in possesso in una maniera più grande nella vita eterna. Una promessa che si realizzasse nell’ambito della vita terrena, sarebbe in verità una promessa molto limitata. Quando sai che è Dio che parla e vedi che la sua parola non si realizza come tu avevi pensato, ritieni per fermo che quella parola ha un significato più vasto ed una portata più ampia. Credi e spera, e Dio certamente non ti farà rimanere confuso.
A volte Dio non risponde alle nostre aspirazioni superficiali, ma risponde alle più profonde aspirazioni del nostro cuore, ancorché esse rimangano nella coscienza. Tu desideri convertire un’anima, per es., ma il tuo desiderio più vasto è quello di convertire tutti. Dio ti ascolta, e prepara un più largo movimento di misericordia, nel quale Egli travolgerà anche l’anima per la quale tu preghi. A te sembra che per essa la grazia ritardi, mentre Dio la amplifica e la estende ad altre anime, utilizzando così anche gli ostacoli che alla conversione oppone quella libera volontà. Egli l’attende, la ferisce, la scuote, e quando trova in essa una resistenza, diffonde le sue misericordie su altre anime, mentre attende che essa si pieghi all’azione della grazia. Così se tu preghi per la conversione di un protestante, Dio riceve la tua preghiera come un grido più grande, ed utilizza il tuo zelo per farti cooperatore del ritorno del protestantesimo alla Chiesa Cattolica. Egli non fa il sordo alla tua preghiera, ma ascolta il gemito più vasto e più profondo dell’anima tua. Oh come è grande il Signore in quello che in noi appare avvolto da tenebre! A noi
basti pregare ed operare, il resto lo deve fare Dio; in Lui solo dobbiamo confidare, nonostante tutti gl’insuccessi apparenti che ci angustiano.
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CONCLUSIONE
1. La grande lezione della Genesi: Dio solo è tutto. Da Dio viene ogni cosa. Dio regge tutto con infinita provvidenza di amore.
Il primo libro della S. Scrittura, la Genesi, è terminato. Ringraziamo Dio con profonda gratitudine. Egli ama di parlare all’umanità, ed i libri della Scrittura sono come le labbra che articolano le Sue parole. Dio che ci ha parlato con il linguaggio della creazione, facendovi risplendere la sua gloria, si è degnato di parlarci anche più intimamente attraverso le vicende della storia umana. Egli ha raffigurato in questa storia il disegno e lo sviluppo del piano del suo misericordioso amore, e ci ha addestrati a riconoscerlo in tutte le vicende della nostra vita. Oggi che l’umanità è avvelenata da una concezione così materialistica e naturalistica della vita, è di supremo interesse il metterci nei raggi di quest’arcana luce, per considerare che tutto parte dal Signore, e tutto deve ritornare a Lui. È illusione funesta il vivere come se Dio fosse estraneo a noi, e come se intervenisse solo nei grandi avvenimenti del mondo. Egli ci assiste come una mamma, nelle grandi e nelle piccole cose, poiché noi in Lui viviamo, ci moviamo e siamo. È questa la stupenda lezione della Genesi.
Con uno sguardo sublime, veramente colossale, in una sintesi che raggiunge un’altezza immensa, Dio ci mostra come tutto fu creato da Lui. Non c’è per noi nulla di oscuro: fra quegli astri scintillanti brilla il nome di Dio, nelle profondità dei cieli risuona, negli abissi del mare si rispecchia, nei monti fioriti e nelle campagne verdeggianti si mostra come il fiore più bello, nella vita si glorifica, nell’uomo si esalta, nello spirito è adorato per la sua infinita maestà! DIO! DIO! DIO! Com’è placido e com’è grande questo nome! È come una stella che ci guida attraverso il creato, e che ci fa discernere tutto questo immenso mistero! Egli solo è tutto, Egli solo vale, Egli è il nostro unico amore.
Noi vediamo con grande stupore la germinazione delle piante; è Dio che comandò alla terra di produrle. Noi vediamo il riprodursi degli animali e degli uomini; è Dio che li benedisse perché si fossero moltiplicati. Noi possiamo studiare stupefatti tutte le meraviglie di questi fenomeni, tutte le armonie di questi stupendi canti di vita, ma la dominante e la fondamentale di questi canti è sempre Dio, Dio solo! E noi che ci scorgiamo così elevati nella nostra natura e così diversi dagli animali, noi sentiamo ancora sul nostro volto l’alito di Dio che ci dette l’anima, la meraviglia più grande del creato! Nel misterioso labirinto della nostra anima, nelle lotte interne, nelle inclinazioni disordinate che in noi constatiamo, nelle afflizioni della vita, noi abbiamo in mano la chiave per scorgere tanti misteri: DIO!
L’infedeltà a Dio ci fece decadere; il castigo di Dio ci sottopose all’espiazione; la misericordia di Dio ci risollevò, la bontà di Dio ci riabbracciò. Nei cataclismi spaventosi che devastano la terra, ecco il Signore che tutto dispone: non sono forze cieche che si slanciano come lupi della foresta sulla preda nel terribile disordine della loro ferocia, ma sono elementi ordinati, per quanto formidabili, di una infinita giustizia. Dio preavvisa l’umanità, le prepara lo scampo, perché non perisca interamente, attende centoventi anni, e poi apre le cateratte del cielo e gli abissi del mare, e l’acqua straripa in una tremenda placidezza, che per i piccoli fuscelli di paglia travolti, apparisce spaventoso cataclisma, irruzione formidabile. Ecco l’Arca che galleggia ….. È l’invito di Dio ad ogni anima perché trovi salvezza: le paterne braccia di Dio sono arca di salvezza, la Chiesa è arca di pace, la Madonna è arca di alleanza e di misericordia.
Sulla terra le generazioni si succedono alle generazioni; è Dio che le divide e le manda attraverso le varie regioni per popolarle, e sulle nazioni rifulge il suo santo nome. È Dio che chiama Abramo, è Dio che lo guida, è Dio che lo consola con arcane pro messe, è Dio che dona un figliuolo alla consorte di lui, e quindi è Dio che regola le famiglie nel loro sviluppo. Sodoma, Gomorra e le città peccatrici sono devastate dalla giustizia divina, che fa piovere il fuoco sopra di loro.
Dio domanda alla fedeltà di Abramo il sacrifizio più grande e la testimonianza più bella nell’immolazione d’Isacco; Dio guida il servo di Abramo per fargli trovare una moglie per Isacco; Dio guida Giacobbe nel suo angoscioso pellegrinaggio; Dio ricama un disegno di predilezione nella vita di Giuseppe, utilizzando le più basse manifestazioni delle umane passioni. Insomma è Dio che si mostra sovrano signore, misericordioso, giusto, potente, infinito, e soprattutto padre!
2. La Santa Scrittura è il vero e profondo libro di scienza.
L’uomo si affanna tanto nel campo della scienza, e stenta per scoprire qualcuna delle meraviglie operate da Dio; ma sulla terra la scienza diventa patrimonio soltanto di poche persone. Dio dona alle sue creature la scienza che può dare il riposo dell’anima, dona la scienza delle origini, ossia la genesi delle cose create: i cieli, la terra, gli animali, le piante, l’uomo, la donna, la famiglia, la società, la nazione. Dona la scienza psicologica, ossia la genesi di tutto il complesso fenomeno della vita morale e spirituale, con tutti i riflessi che ha nella vita naturale: la legge di Dio, la prevaricazione, la tentazione, il peccato, il castigo, l’espiazione, la riparazione; e poi, in tanti quadri reali e storici, pieni del più vivo colore di verità, tutto lo sviluppo dell’attività dell’anima, la sua nobiltà, le sue debolezze, le sue aspirazioni, le sue miserie. Dona
– la scienza del governo della Divina Provvidenza nel mondo, con tutti i suoi oscuri misteri che nascondono i tratti più delicati del suo amore. Com’è grande la delicatezza e l’amore di Dio in ogni manifestazione della sua Provvidenza! Com’è logico e sapiente ogni suo atto, ogni sua disposizione, ogni sua parola! Non si può non amare Dio meditandolo in questa luce così placida e serena, che è luce di Lui, vero ed unico Signore.
All’umanità che stenta quasi a credere alla reale comunicazione del Cielo con la terra, Dio si mostra in frequente colloquio con gli uomini. Nei deliri innumerevoli dell’umana ragione, e nelle degradazioni delle umane, passioni, Dio rimane sempre come fulgido sole di verità in mezzo a noi! DIO, DIO! Come questo nome adorabile ci vivifica e ci riempie di arcana consolazione! La Santa Scrittura è il solo libro che si può leggere sempre senza stancarsi mai. È come un giardino che tu conosci, ma nel quale non discendi senza trovarvi novelli fiori sbocciati, o novelli zampilli di limpida acqua. Noi abbiamo percorsa la prima aiuola di questo giardino, la Genesi, e quanti fiori vi abbiamo raccolti! Eppure se l’anima si ferma un poco su questi fiori, da quanti profumi no velli non potrà essere imbalsamata! Tu puoi guardare una fontana, e puoi dilettarti del gioco dei suoi zampilli; tu puoi rispecchiarti nel bacino limpido dell’acqua, e vedere il tuo volto; tu puoi raccogliere quell’acqua e puoi: spargerla sulle piante inaridite.
Ecco, ad esempio, la prima scena della Genesi, la creazione: “La terra era informe e vuota, e le tenebre erano sulla faccia dell’abisso“. È uno spettacolo grandioso nel quale io posso rispecchiarmi, vedendovi me stesso. Se vivo di terra, sono inerte, informe e vuoto, e le tenebre sono sulla mia anima….. E disse Dio: Sia fatta la luce… Dunque, mio Dio, tu solo puoi fare la luce in questa mia anima, e la puoi fare con una tua parola di vita: Disse Dio!… Parlami, e la luce piena si farà. nell’anima mia!…
Dio divide la luce dalle tenebre, dunque anche nella mia vita non è possibile unire insieme la luce e le tenebre, l’errore e la verità, il male ed il bene. Ed allora se voglio vivere nel giorno tuo, o Signore, io debbo essere tutto illuminato dalla tua luce soprannaturale!
Dio divide le acque che sono sopra del firmamento da quelle che sono sotto del firmamento. In queste acque io posso vedere un’immagine delle pene che mi crucciano. Vi sono anche per me le pene che mi vengono da Dio, e quelle che sono prodotte dai miei peccati… Quando l’anima mia passa attraverso la tribolazione diventa poi come terra che emerge dalle acque, e si arricchisce di mille germi di vita.
In quanti modi l’anima può parlare a Dio, e Dio può parlare all’anima passando per le fiorite aiuole della S. Scrittura! Se tu ti avvicini a Dio con semplice umiltà, Egli ti parla profondamente, e penetra l’intimo del tuo cuore. Perciò umiliamoci innanzi a Dio, e diamogli così la libertà di parlarci come gli piace. Apriamo a Lui questo nostro cuore come fiore che vuole essere da Lui fecondato, e riguardiamolo senza sospetti, senza preconcetti, senza alterige e senza timidezze, come nostro Padre, come nostra unica vita, come ; nostro principio, come nostro fine, come Colui nel quale dobbiamo ora vivere, e nel quale dobbiamo riposare un giorno eternamente, per i meriti di Gesù Cristo, Nostro Signore.
3. Ecce ancilla Domini… In manus tuas… Fiat voluntas tua!
Noi siamo sulla terra in un pellegrinaggio penoso, nel quale troviamo tante tristi sorprese, ma non siamo soli, abbiamo con noi Dio che ci ha creati, e possiamo trovare in Lui il rifugio e la pace.
Ecco un’altra lezione che ci viene dalla Genesi : nel nostro pellegrinaggio ci possiamo trovare in tre posizioni distinte: come servi di Dio, adoperati da Lui per i suoi grandi fini; come piccoli atomi smarriti quasi in questo mondo, fra mille angustie e mille pericoli; come creature tribolate che espiano le loro colpe, e che compiono la loro purificazione ed il loro elevamento spirituale. In tutte queste posizioni della nostra vita, noi non possiamo guardare che a Dio soltanto. Chiamati da Lui a cooperare alle opere della sua gloria, noi rispondiamo come Abramo: Eccomi. Gli dobbiamo dare interamente la libertà di servirsi di noi, anche a costò di dover salire sul monte e sacrificargli quello che abbiamo di più caro. Dobbiamo fare nostra la parola della Vergine benedetta: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum.
Nelle incertezze della vita, nei pericoli, nelle angustie, dobbiamo affidare tutto a Dio, facendo nostre le parole di Gesù Cristo sulla Croce: manus tuas commendo. Com’ è bello affidare tutto a Dio! Perché ci affanniamo tanto, perché ci preoccupiamo di quello che può succederci ? Rivolgiamo lo sguardo a Dio e ripetiamogli con fiducia filiale: Signore, nelle tue mani raccomando questo affare. Non si affidò interamente a Dio il servo di Abramo, intraprendendo un viaggio incerto, per trovare una moglie ad Isacco? E gli riuscì tutto bene. Non si affidò a Dio Giacobbe, quando partì dalla sua casa col suo solo bastone? E ne ritornò ricco di armenti e con numeroso seguito. Non si affidò a Dio Giuseppe nelle sue angustie? E da carcerato divenne signore dell’Egitto. Se vi fu un’ombra nella vita di questi Patriarchi, questo avvenne solo quando affidarono agli uomini le loro cose: Dunque rimettiamo tutto a Dio. Infine quando espiamo i nostri peccati, quando le tribolazioni ci angustiano, quando le prove ci affliggono, curviamo la fronte innanzi al Signore in una piena sottomissione alla sua volontà che è sempre amore: Fiat voluntas tua.
Quando cominciamo la nostra giornata, cominciamola adorando Dio prostrati per terra, e recitiamo tre Gloria Patri, ripetendo queste tre proteste della nostra sudditanza a Lui. Offriamoci alla sua volontà: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum; affidiamogli la nostra giornata e le nostre cose: In manus tuas commendo ; accettiamo in pace ogni dolore ed ogni angustia: Fiat voluntas tua. Noi cominceremo la nostra giornata raccogliendo sopra di noi un luminoso riflesso di Dio uno e trino. Il Verbo di Dio disse per primo al Padre: Ecce ego, mitte me; eccomi, mandami. Il Padre disse al Verbo suo: Filius meus es tu, ego hodie genui te, e lo abbracciò con infinito amore, glorificandolo. Lo Spirito Santo, spirato dal Padre e dal Figliuolo, diffuse la grazia, compiendo i disegni di Dio. Il Padre è la mano che custodisce: In manus tuas. Il Figliuolo è l’obbedienza che glorifica Dio: Ecce ego.
Lo Spirito Santo feconda con la grazia: Fiat! Com’è bello cominciare la giornata aprendo il cuore a Dio, riposando nelle sue braccia, compiendo la sua volontà.
Le anime in genere rifuggono dall’immolarsi al Signore, perché credono che l’immolazione sia un intreccio di sventure, accettate volontariamente. Le anime vittime ‘in realtà sono quelle che meno soffrono, quando sanno di darsi a Dio. Ogni sacrifizio termina, come il sacrifizio di Abramo, in una sorpresa di amore ed in una benedizione immensa. È più bello soffrire immolandosi volontariamente a Dio, anziché essere come pagliuzze travolte dall’uragano della vita. Consacrandosi come vittime innanzi a Dio, si è sicuri di stare nelle sue mani amorose, e si riposa nella sua volontà che è amore.
Infine raccogliamo dalla Genesi la grande lezione della preghiera : l’anima che prega non rimane mai delusa. Anche quando non vede subito l’effetto della sua preghiera, deve attenderlo con fiducia, poiché Dio risponde sempre, e supera ogni nostra aspettazione. La Genesi è piena di benedizioni divine che sembrano fallite: ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe fu promessa la terra di Canaan, ma non la possedettero. Eppure la promessa di Dio non fallì; essi ebbero da Dio il diritto su quella terra, e con questo la possedettero. La loro discendenza la conquistò e vi si stabilì; quella terra divenne il simbolo di un possesso più vasto, e da essa sbocciò come un fiore, la Chiesa, la vera terra promessa.
Gli Ebrei moderni non capiscono che negando Gesù Cristo, rendono menzognere e vane tutte le promesse da Dio fatte ai loro padri. Essi non posseggono più quella terra che fu promessa loro in sempiterno, essi sono dispersi nel mondo! Ma la promessa di Dio non è fallita: come un fiore ricco di semi, strappato dal suo stelo dal vento, è trasportato in tante parti, dove fa cadere i suoi semi e germina, così la terra promessa si è come trapiantata in tutto il mondo, e si trova là dove si trova la Chiesa Cattolica. Abramo ha avuta la sua discendenza più numerosa delle stelle del cielo e delle arene del mare nella Chiesa Cattolica, e da lui, erede della divina promessa, sono veramente usciti tanti popoli. Non c’è una sola parola di Dio che non abbia avuto il suo avveramento, benché in maniera spesso diversa, ma sempre di gran lunga superiore alle piccole vedute umane.
Preghiamo e confidiamo anche contro ogni umana speranza.
Ci basti sapere che Dio ascolta le nostre preghiere, e che mai la nostra supplica è vana innanzi a Lui. Ci sono certi disegni di Dio più ristretti, più proporzionati a noi; di questi soltanto noi vediamo il compimento. Così fra i Patriarchi, Giuseppe soltanto vide i avverarsi in pieno le promesse divine, perché era stato eletto ad essere il salvatore dei popoli dalla carestia materiale. Egli fu figura di Gesù Cristo, ma la sua prosperità fu limitata alla sua vita mortale. Noi che aspiriamo alla vita eterna, non possiamo desiderare da Dio soltanto quei beni che si limitano a questa misera vita; sarebbe una stoltezza aspirare solo ad un benessere tanto fugace. Dio dunque tante volte ascolta le nostre preghiere in una maniera diversa da quella che noi pensiamo, perché ci prepara e ci dona i beni imperituri del cielo.
Affidiamoci a Dio in ogni cosa, e sappiamo attenderlo in pace, poiché Egli ha cura di noi e sa quello che ci giova. Dobbiamo riguardarci come suoi figliuoli, dobbiamo amarlo con tutto il cuore, compire la sua volontà, servirlo con tutte le forze, con la sicurezza assoluta che Egli non deluderà mai le nostre speranze, perché è sommamente fedele.