fonte sisinono
La questione democristiana
Gramsci scriveva che la Democrazia Cristiana è necessaria al Comunismo per ottenere il consenso e poi il governo in Europa, specialmente nei paesi cattolici. Ma perché? Don Dario Composta risponde: “Il modello ideale DC si potrebbe definire… come politica progressista e aconfessionale”[1]. Essa è “un partito di centro che guarda a sinistra”, come diceva De Gasperi.
Don Composta distingue tre tipi di cattolici:
- a) I cristiano-sociali, che respinsero i princìpi della rivoluzione francese per rimanere fedeli alla dottrina sociale e politica del Magistero ecclesiastico.
- b) I cristiano-liberali, che si collocarono a mezza strada tra le idee della rivoluzione e l’insegnamento della Chiesa cattolica.
- c) I democristiani, che, pur accogliendo un certo indirizzo o ispirazione vagamente cristiana, si mantennero laicisti e si orientarono verso teorie affini a quelle della rivoluzione francese; essi ebbero come capiscuola Lamennais e Maritain in Francia e in Italia Murri-Sturzo-De Gasperi.
I democristiani – continua don Composta – “erano convinti che il pensiero sociale cattolico in qualche modo avrebbe dovuto riconciliarsi con la situazione di fatto… ed abbandonare l’intransigenza”[2]. La DC pensava che la rivoluzione francese fosse un fenomeno divino e positivo, e che ogni forma di governo non democratica fosse inaccettabile e anticristiana. La DC rappresenta l’ aspetto sociale del modernismo. Don Romolo Murri, fondatore della Lega democratica nazionale, fu condannato assieme alla sua Lega, e scomunicato come modernista il 28 luglio 1906. Don Sturzo fu più abile: non volle invischiarsi, in modo aperto, con il modernismo, anche se era di idee progressiste o modernizzanti; egli fondò il PPI (Partito Popolare Italiano), che fu severamente criticato da padre Agostino Gemelli, monsignor Olgiati e dal cardinal Pio Boggiani O.P., Arcivescovo di Genova. Questi il 5 agosto 1920 pubblicò una “Lettera pastorale” ove metteva in luce i gravi errori del PPI:
- a) emancipazione dalla Gerarchia ecclesiastica;
- b) esaltazione della libertà come valore assoluto in collusione coi liberali;
- c) derivazione della sua teoria politica dai princìpi della rivoluzione francese.
Tali errori si ritrovano puntualmente nella DC. De Gasperi, in un discorso tenuto a Bruxelles il 20 novembre 1954, affermò che la DC si fonda sulla triade: libertà, fraternità, democrazia, che sono l’eredità della rivoluzione francese. Pio XII ne fu talmente irritato che da quel momento non lo volle mai più riceverlo in udienza.
I fondamenti della DC sono – secondo don Composta – due:
1ª) il progressismo politico nella linea dell’azione;
2ª) l’aconfessionalità nella linea dei princìpi.
Il progressismo è una teoria ottimista circa la natura umana, che in campo socio-politico si manifesta come fiducia illimitata in uno sviluppo economico civile e morale continuo ed inarrestabile.
L’aconfessionalità della DC l’ aveva già professata don Sturzo il 19 marzo 1919 in un discorso a Verona, in cui asseriva: “ Il PPI è nato come partito non cattolico, aconfessionale,… a forte contenuto democratico, e che si ispira alla idealità cristiana, ma che non prende la religione come mezzo di differenziazione politica”. Ecco perché Gramsci vedeva nella DC un alleato indispensabile del comunismo per poter egemonizzare la società civile e prendere stabilmente, poi, il governo politico[3].
Morto PIO XII, la DC non ha più “chi la trattenga…”: apre a sinistra e porta i socialisti al governo. Aldo Moro ha preso il posto di De Gasperi ed è convinto che il socialismo sia la carta vincente, per cui è necessario stringere un patto con esso; nel 1961, con Giovanni XXIII, cade l’ ostilità al centro-sinistra da parte del Vaticano e nel 1963 Moro presiede il primo governo di centro-sinistra. I frutti saranno: la legge sul divorzio (1970) e sull’aborto (1978). Né si deve dimenticare che tra il 1976 e il 1978 la DC cercherà di far entrare i comunisti al governo, rispondendo positivamente alla “mano tesa” (il compromesso storico) offerta da Berlinguer sin dal 1973, dopo l’esperienza cilena. Il 16 marzo 1978, però, le BR sequestrano e poi uccidono Moro, mettendo – temporaneamente – a tacere la questione.
JACQUES MARITAIN
maitre à penser della DC
Ricordiamo che Maritain ha attraversato varie tappe nel suo cammino filosofico: la prima è quella bergsoniana, la seconda è quella tomista e la terza, purtroppo, è quella cattolico-liberale, in cui cerca di sposare S. Tommaso con il pensiero moderno. Qui ci occupiamo della terza tappa di Maritain, conosciuta come quella de L’Umanesimo integrale (1936).
Maritain nel 1946 scriveva: “Se si stabilisce come postulato che l’ umanità marcia sempre in avanti e verso il meglio, tutto lo svolgersi della storia deve essere interpretato come necessariamente buono; non bisogna contrariarlo in nulla, ma anzi stimolarlo”[4]. Dunque, Maritain come De Gasperi era convinto del continuo inarrestabile progresso terrestre dell’umanità.
Ora il fatto di stabilire come postulato il progresso all’infinito dell’ umanità presuppone una filosofia fondata sulla dialettica della filosofia moderna, figlia della rivoluzione e dell’immanentismo. Nel caso si accetti tale filosofia, opporsi alla rivoluzione è un male, favorirla è un bene. Infatti don Julio Meinvielle, il più lucido critico di Maritain, scrive: “In tal caso bisognerebbe ammettere la bontà della Riforma protestante, mentre la Chiesa le ha opposto la Controriforma; bisognerebbe ammettere il liberalismo della rivoluzione francese, e tuttavia la Chiesa lo ha condannato e stracondannato; e infine bisognerebbe ammettere, oggi, il comunismo e tuttavia Pio XII lo ha scomunicato….”[5].
Bisogna anche, secondo Maritain, che lo Stato rinunci alla sua confessionalità e che tutte le confessioni religiose siano riconosciute, di diritto, nella “nuova cristianità”. Per Maritain, infatti, vi sono anche due cristianesimi: il cristianesimo come credo religioso, che conduce alla vita eterna, e il cristianesimo come fermento della vita sociale e politica, che procura la felicità temporale dell’uomo. Meinvielle obietta che si può ammettere l’esistenza di un’azione politica cristiana “liberata” dall’autorità della Chiesa, ma non si può ammettere la sua bontà morale; infatti nella misura in cui è indipendente dalla Chiesa, l’azione politica non è più cristiana, ma anticristiana o “demi-cristiana”. Eppure è questa la nuova cristianità di Maritain, la quale consiste nell’ accordo tra rivoluzione e Chiesa. Idee che abbiamo visto tutte esposte da De Gasperi e dalla DC italiana nella loro professione di fede nell’ Umanità, nel Progresso, nella Libertà, nella Fraternità e nella Democrazia.
“Maritain – scrive don Meinvielle – ha la triste missione di cooperare, dall’interno della Chiesa, all’opera social-comunista… Secondo lui vi sono nel comunismo degli elementi cristiani (Humanisme Intégral, pag. 48)… La famosa cristianità di Maritain è una città super-comunista, una sintesi della città libertaria americana e della città comunista russa”([6]). Maritain esclude l’ influsso dell’Ordine Soprannaturale sulla vita politica-sociale e materializza il soprannaturale, scivolando così verso l’ anticristianesimo radicale. Meinvielle conclude: «La nuova cristianità di Maritain e la vera cristianità sono le due città di cui parla S. Agostino [la città di Dio e la città di satana], “le quali ora sono mescolate, ma alla fine saranno separate e già lo sono quanto al cuore” e per sempre”[7].
Anche padre Antonio Messineo S.J., per esplicito ordine di PIO XII, criticò su La Civiltà Cattolica l’ umanesimo integrale di Maritain; il Papa apprezzò l’articolo, ma lo reputò troppo moderato. Secondo il padre gesuita si scorgono nell’opera del pensatore francese “gli influssi della filosofia di Bergson sull’ evoluzione creatrice… Per Maritain, infatti, la storia consiste essenzialmente in un processo evolutivo incessante, che si svolge, senza mai sottostare a ritorni o a cicli involutivi, per successive tappe, in ciascuna delle quali l’umanità consegue nuove conquiste, anche se apparentemente alla superficie possa sembrare che attraversi un periodo di decadimento… o punto morto, dal quale muoverebbe il processo evolutivo… [punto morto] sarebbe il medioevo, epoca in cui l’uomo avrebbe obliato compiutamente se stesso […] perché sarebbe stato assorbito in Dio… Ma la storia non si arresta. Con le sue scosse costringe l’uomo a risvegliarsi e a prendere coscienza di sé. La prima scossa […] è la riforma protestante, la quale ebbe il merito… di fargli comprendere il valore dell’ iniziativa umana […] e di averlo così orientato verso la ricerca della prosperità materiale […] Poi grazie al pensiero agnostico contemporaneo […] è bastato abbattere il frontone della grazia, per raggiungere un umanesimo totale […]. L’ umanesimo totale sarebbe stato conseguito soltanto nel tempo moderno, quando il pensiero, avendo abbattuto il frontone della grazia, si è del tutto sganciato dal trascendente. […]. Affermata l’essenza puramente umana della civiltà, non si può evitare di inferirne la separazione dalla religione e dalla rivelazione, per cui comincia a vacillare il concetto tradizionale di civiltà cristiana […]. La religione dunque sarebbe fuori della storia e fuori del tempo. [Maritain ci presenta] un cristianesimo e un vangelo svuotati del loro contenuto soprannaturale e naturalizzati, temporalizzati. Solo sotto questa forma l’uno e l’altro possono diventare elemento di civiltà ed entrare come componenti dell’umanesimo integrale. […]. Segue che l’ umanesimo integrale non è un umanesimo intrinsecamente cristiano […] è un umanesimo soltanto estrinsecamente cristiano; ad esso possono infatti aderire persino l’agnostico e l’ateo […]. Nella sua sostanza l’ umanesimo integrale è, dunque, un naturalismo integrale”([8]).
Falso concetto di persona umana in Maritain
Don Julio Meinvielle criticò anche il falso concetto filosofico di persona umana che sta alla base de L’Umanesimo integrale di Maritain; infatti da un errore filosofico sull’ individuo segue necessariamente un errore sulla Società, che è un insieme di individui. Se la persona umana ha una dignità assoluta, che non perde mai, anche se aderisce all’errore e fa il male, la Società di conseguenza dovrà essere pluralista, relativista e indifferentista. Non c’è più spazio per la Cristianità medievale, che deve essere rimpiazzata dalla Nuova (demo)-Cristianità de L’Umanesimo integrale ([9]).
Liberalismo e cattolicesimo- liberale
- A) il liberalismo
Le origini della D.C. maritainiana e degasperiana vanno ricercate nel Liberalismo e in quella sua forma specifica che fu il “Cattolicesimo-liberale”.
Secondo il cardinal Louis Billot S.J. (De Ecclesia Christi. tomus secundus. De habitudine Ecclesiae ad civilem societatem, ed 3ª, Roma, Gregoriana, 1929, che è un compendio di quanto ha scritto, ancor meglio, padre Matteo Liberatore S.J., Lo Stato e la Chiesa, Napoli, Giannini, 1872, pagg. 7-47), il Liberalismo, sia individuale che sociale, è un errore nella fede, poiché vuole emancipare l’uomo e la Società da Dio, come se quest’ultimo non esistesse, fondandosi sul postulato della libertà umana come valore infinito e assoluto[10]. Ma – prosegue il cardinale – il principio fondamentale del Liberalismo è assurdo e contraddittorio. Infatti la libertà assoluta non può essere, come dicono i liberali, un fine ultimo, poiché essa è una facoltà o potenza di agire in vista di un fine. Quindi la libertà è mezzo per raggiungere il fine (ea quae sunt ad finem). Essa, inoltre, deve avere dei limiti, e non può essere assoluta o illimitata, come insegna la scuola liberale. In effetti, non esiste crimine o delitto in cui la libertà non precipiti se usata male; quindi essa deve essere ritenuta da freni potenti ed efficaci perché non si getti in un burrone. Ma, se si ammette il principio fondamentale del Liberalismo e si nega questa conclusione, allora si cadrà necessariamente in una delle due assurdità: o si pretenderà che la libertà sia infallibile e non possa cadere in nessun difetto, oppure si ammetterà che la libertà può fallire, ma che ciò è un bene, e l’uso della libertà deficiente deve essere comunque rispettato, e questa è pura demenza[11].
Inoltre, secondo l’illustre teologo gesuita, il Liberalismo conduce al caos e all’Anarchia, ancor prima del Comunismo; infatti il Liberalismo volendo l’applicazione dell’ individualismo puro in ogni campo (religioso, morale, politico, economico) porta immancabilmente alla dissoluzione degli organi sociali e dello Stato, e questa è Anarchia. Oppure, volendo evitare questo eccesso, cade in un altro difetto: lo Stato Leviatano che, per non crollare, si fa rispettare schiacciando ogni individuo o corpo intermedio che gli si ponga innanzi, come si addice ad uno Stato di polizia; ma questa è la sconfitta implicita e intrinseca del Liberalismo[12].
Il principio del liberalismo, continua il Billot, è essenzialmente anti-religioso, esso se la prende direttamente con Dio, volendo sopprimere nella società il culto al vero Dio e cancellare ogni influsso della Religione da Lui istituita sugli individui e sugli organismi sociali. Perciò, contro il “Credo” definitivo e contro l’autorità religiosa esterna, il Liberalismo rivendica l’autonomia del pensiero umano e della “coscienza” individuale; contro il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, vuole lo Stato “neutro” cioè aconfessionale, largo di “diritti” a tutte le credenze religiose, vere e false che siano (v. Leone XIII Libertas). In ciò il Liberalismo è tributario dei princìpi della rivoluzione francese “satanica nella sua essenza”.
L’empietà del Liberalismo ha qualcosa di nuovo e di più grave. Nell’antichità l’empietà esiste, anzi inizia ad esistere già con il primo uomo, ma non ancora è organizzata e acrimoniosa. Quando Gesù predica il Vangelo, è già più intensa e meglio organizzata, ma solo in un piccolo angolo della terra. Però col XVIII secolo essa diventa universale, furiosa, rabbiosa, forsennata, infiammata; si passa dall’odio alla Religione all’odio esplicito di ex-cristiani contro Gesù Cristo: è l’apostasia, più o meno aperta; perché il Liberalismo sa nascondersi, quando è il momento, e presentarsi sotto sembianze di angelo di luce, mentre è un angelo decaduto[13].
- B) il cattolicesimo-liberale
Nel secondo articolo, Billot, tratta delle diverse forme di Liberalismo, e – come il padre Liberatore – ne distingue tre:
1°) il Liberalismo assoluto o radicale in cui lo Stato domina la Chiesa.
2°) Il Liberalismo moderato in cui vale il principio “Libera Chiesa in libero Stato”.
3°) Il Cattolicesimo-liberale che, separando la dottrina dalla prassi, ritiene che la separazione tra Stato e Chiesa è il miglior modo di vivere, non de jure (la loro cooperazione rimane l’ideale, la “tesi”, buona da insegnare nei seminari), ma de facto (l’ipotesi, buona da applicare in pratica, senza curarsi di tendere all’ instaurazione della tesi)[14].
Secondo Billot il Liberalismo assoluto coincide con il materialismo e l’ateismo perché nega l’immortalità dell’anima, come ogni materialismo, e nega che Dio sia fine ultimo dell’ uomo, come ogni ateismo. Onde l’essere più nobile dell’universo è l’uomo, che è principio e fine di se stesso[15]: è l’antropocentrismo opposto al teocentrismo, non più Dio ma l’uomo come al centro dell’universo.
Il Liberalismo moderato, invece, è riconducibile al manicheismo: per lui Chiesa e Stato sono due princìpi irriducibili, come il “dio” cattivo e il “dio” buono di Mani, il primo dei quali crea la materia (cattiva) e il secondo lo spirito (buono). Soltanto che il Liberalismo, in questo punto, rovescia la teoria di Mani e la peggiora: le cose temporali (Stato) sono buone, mentre quelle spirituali (Chiesa) sono cattive; “l’una contro l’altra armate”, mai potranno trovare un accordo. Il Liberalismo moderato separa l’uomo pubblico dal privato, il politico dal fedele; ma ciò sarebbe concepibile solo se in un unico uomo ci fossero due anime, due mentalità, due coscienze, due personalità, realmente distinte tra loro (come nello schizofrenico), di cui una è atea, l’altra religiosa; una incredula, l’altra fedele; una del tutto materiale, l’altra assolutamente spirituale[16].
Infine il Cattolicesimo-liberale è l’ incoerenza stessa sussistente. Infatti il Cristianesimo professa che l’ uomo ha per fine il Cielo, che la vita presente è tutta relativa alla vita eterna e che le cose temporali devono essere subordinate a quelle spirituali; mentre il Liberalismo insegna tutto il contrario, ossia i princìpi del 1789: l‘uomo è assolutamente libero (Liberté) e non è per nulla ordinato a Dio o al Cielo; vita presente e vita eterna sono la stessa cosa ossia la vita eterna è ridotta a questa presente (Egalité ); e tra Stato e Chiesa vige l’assoluta fratellanza o meglio lo Stato ingloba e fagocita la Chiesa (Fraternité) (Paragr. 3°, Quod Liberalismus “catholicorum”-liberalium est perfecta incohaerentia, pagg. 51-59).
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Il nostro lettore è ora in grado di valutare l’apertura del Vaticano II al modernismo anche sociale ovvero a quel “cattolicesimo liberale” che da tempo premeva per conciliare, contro il costante Magistero pontificio, la Chiesa con i pretesi “valori” del liberalismo. Sull’apertura ala “concezione liberale dello Stato” nei testi del Concilio, in particolare nella Gaudium et Spes, nella Dignitatis Humanae e in Nostra Aetate, rimandiamo alla testimonianza inoppugnabile dell’allora Card. Ratzinger ne Les principes de la Théologie Catholique (ed. Tequi, Parigi, pp. 423 ss.).
U.T.T.
LA “STRANA TEOLOGIA” DI RATZINGER
La speculazione teologica di Ratzinger (come dottore privato) è assai vasta e multiforme. Essa spazia dal primato della coscienza alla patristica, specialmente agostiniano-bonaventuriana, in funzione anti-scolastica; dalla collegialità in funzione anti-monarchica nel governo della Chiesa al concetto di libertà kantianamente inteso; dal dialogo inter-religioso all’escatologia. Ma i due pilastri fondanti sembrano essere la considerazione del rapporto cristianesimo-giudaismo e la teologia della storia in San Bonaventura, letta con un forte accento gioachimita.
1) Radici ebraiche del cristianesimo secondo Ratzinger
Abbiamo già visto (sì sì no no 15 marzo 2009, pp.1-6) i rapporti di Ratzinger con la Comunità Cattolica d’Integrazione (CCI) che datano dal 1972. Nel 1997 l’allora card. Ratzinger, nell’introduzione al libro qui citato in nota n.1, scriveva: «L’altro grande tema che acquista sempre più rilievo in ambito teologico è la questione del rapporto tra Chiesa e Israele. La consapevolezza di una colpa, a lungo rimossa, che grava sulla coscienza cristiana dopo i terribili eventi dei dodici funesti anni dal 1933 al 1945, è senza dubbio una delle ragioni primarie dell’ urgenza con cui tale questione è oggi sentita»[17]. L’interesse del Nostro per i rapporti tra Chiesa e Israele risale, come dice lui stesso, al 1947-1948, quando studiava teologia a Monaco sotto la direzione del professor Gottlieb Sönghen, di cui abbiamo già parlato (sì sì no no cit.). L’ importanza della “shoah’ nello sviluppo della sua teologia giudaico-cristiana è fondamentale e risale ai suoi primi venti anni. Onde erreremmo se volessimo vedere nel suo penchant verso l’olocaustimo ebraico, una novità, dovuta – magari – alle pressioni delle lobby giudaico-americaniste o allo scoppiar del “caso Williamson”.
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L’incipit del libro “Molte religioni un’unica Alleanza” è significativo: «Dopo Auschwitz il compito della riconciliazione e dell’accoglienza si è presentato davanti a noi in tutta la sua imprescindibile necessità»[18]. A pagina 14 Ratzinger cita il testo del Vangelo di San Giovanni (IV, 22) “La salvezza viene dai giudei”, e lo applica erroneamente ai rapporti tra ebraismo post-biblico e Cristianesimo. Questa frase di Gesù alla samaritana presso il pozzo di Giacobbe riguarda, invece, la querelle di quel tempo tra giudei e samaritani. Questi, infatti, nel 722 a. C. avevano fatto scisma dalla Giudea ed avevano accolto le usanze e le superstizioni dei Popoli pagani e politeisti che li avevano invasi, corrompendo la purezza della Fede abramitica o dell’Antico Testamento per dar luogo ad una falsa religione sincretistica. Alla domanda della samaritana se la vera Fede sia quella del Tempio di Gerusalemme o quella dei samaritani che sul monte Garizìm, riguardato come sacro, celebravano i loro riti, Gesù risponde che nell’ Antica Alleanza la vera Fede è quella dei Giudei (salus ex judaeis) che adorano Dio in Gerusalemme come Dio stesso aveva prescritto nel Pentateuco, ma aggiunge anche che si avvicina l’ora [Nuova Alleanza, nda], anzi è già venuta “in cui si adorerà Dio in spirito e verità” (col sacrificio della Messa, in tutto il mondo) e allora né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre” [cessazione dell’Antica Alleanza]. Ora, dire che la salvezza oggi, dopo il Sacrificio di Cristo, viene – come scriveva anche Léon Bloy – ancora dai Giudei, è oggettivamente falso ed è contrario a ciò che ha rivelato realmente Gesù nel Vangelo di Giovanni.
Ratzinger, invece, dopo aver citato Giovanni IV, 22 afferma: «Questa origine [“la salvezza viene dai giudei”] mantiene vivo il suo valore nel presente» (ivi), anche se poi aggiunge, contraddicendosi com’è suo costume: «non vi può essere nessun accesso a Gesù […], senza l’ accettazione credente della rivelazione di Dio […], che i cristiani chiamano Antico Testamento» (ivi). La sua frase precedente, però, diceva che la salvezza viene ancora oggi dai Giudei, e non dall’Antico Testamento, il quale non è certamente il cuore del giudaismo post-biblico, poiché l’ Antico Testamento è tutto relativo a Cristo e quindi al Nuovo Testamento, che i Giudei di oggi rifiutano ostinatamente come i loro antenati. Purtroppo tutto il pensiero di Ratzinger è una “coincidentia oppositorum” e questa è anche l’essenza del modernismo come l’ha descritta San Pio X nella Pascendi (1907): “leggi una pagina di un libro modernista ed è cattolica, giri la pagina ed è razionalista”. In Ratzinger ciò avviene persino passando da una frase a quella successiva.
La conclusione pratica della teologia giudaico-cristiana, nata dopo la riflessione sulla “shoah” è – secondo Ratzinger – la seguente: «Ebrei e cristiani debbono accogliersi reciprocamente in una più profonda riconciliazione, senza nulla togliere alla loro fede e, tanto meno, senza rinnegarla ma anzi a partire dal fondo di questa stessa fede. Nella loro reciproca riconciliazione essi dovrebbero divenire per il mondo una forza di pace. Mediante la loro testimonianza davanti all’unico Dio…»[19]. Ora, come può un cristiano, che crede nella SS. Trinità e nella divinità di Cristo, accogliere “a partire dal fondo di questa stessa fede” l’ebraismo che nega recisamente la SS. Trinità e la divinità di Cristo? Solo la dialettica hegeliana, la coincidentia oppositorum cusano-spinoziana lo permettono. Ma la retta ragione, il principio per sé noto di identità e non contraddizione ed inoltre la divina Rivelazione lo negano.
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Per quanto riguarda i rapporti tra Antica e Nuova Alleanza, le cose si complicano. Infatti Ratzinger scrive che il termine “Testamentum” (Testamento), usato dall’antica versione latina e reso poi da San Girolamo con “foedus” o “pactum” (Alleanza o Patto), non è stata una scelta propriamente corretta per tradurre la parola ebraica berìt. I traduttori greci della Bibbia ebraica (traduzione dei Settanta) l’hanno resa, infatti, quasi sempre (267 passi su 287) non con l’equivalente greco di “patto” o “alleanza” (syn-theke), ma bensì con il termine dia-theke, che vuol dire non “un accordo reciproco”[20], ma «una disposizione in cui non sono due volontà a mettersi d’ accordo, ma vi è una volontà che stabilisce un ordinamento»[21]. Sembrerebbe cosa di poco conto. Invece Ratzinger, a partire da questa distinzione, arriva – come vedremo – a formulare la teoria che l’Antica Alleanza non è mai cessata: poiché berìt, reso con Alleanza in latino, significa solo volontà divina e non comporta la corrispondenza umana, Dio ha mantenuto l’Alleanza con Israele, anche se questo è stato infedele. Ratzinger, infatti, scrive: «Ciò che noi chiamiamo “Alleanza”, nella Bibbia, non è concepito come un rapporto simmetrico tra due partner che stabiliscono tra loro una relazione contrattuale paritetica con obblighi e sanzioni reciproche. […] l’’ “alleanza” non è un contratto che impegna a un rapporto di reciprocità, ma un dono, un atto creativo dell’amore di Dio»[22]. E cita San Paolo (2 Cor. III, 4-18[23] e Gal. IV, 21-31[24]), nel quale si trova la «contrapposizione più netta tra i due Testamenti»[25], mentre, quando parla di Alleanza (Ebr., XIII, 20), usa il termine di «alleanza “eonica”[26], cioè eterna, con una terminologia che è ripresa dal Canone romano [della Messa]»[27]. Ratzinger specifica che, se San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi «pone in netta antitesi l’Alleanza instaurata da Cristo e quella di Mosè», le cose vanno diversamente tra Abramo e Cristo. Infatti «nel nono capitolo della lettera ai Romani» San Paolo utilizza non più il termine Patto o Testamento, ma Alleanza al plurale e Ratzinger commenta: «l’Antico Testamento conosce tre alleanze: il sabato, l’ arcobaleno, la circoncisione […]. L’ alleanza con Abramo [San Paolo] la vede come l’alleanza vera e propria, fondamentale e permanente, mentre quella con Mosè “è sopraggiunta in seguito” (Rm., V, 20), 430 anni dopo quella con Abramo (Gal.3,17) e non ha affatto privato quest’ultima del suo valore»[28]. Quindi il Patto o il Testamento stipulato da Dio con Mosè (1330 a. C.) è transitorio e non eterno, mentre l’Alleanza stipulata con Abramo (1900 a. C.) è permanente ed eterna! Perciò l’Antica Alleanza con Abramo sussiste ancora, non è mai cessata. Ma – osserviamo – quando gli ebrei increduli asseriscono di avere per padre Abramo, Gesù risponde loro che Abramo lo è solo carnalmente, poiché egli credeva nel Messia venturo, mentre loro lo vogliono uccidere, quindi il loro padre spirituale è il diavolo (Gv., VIII, 42) e aggiunge: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; ecco perché voi non le ascoltate: perché non siete da Dio” (Gv.VIII, 47). Ora come conciliare la Rivelazione del Vangelo di san Giovanni con l’ interpretazione ratzingeriana, secondo la quale Abramo sarebbe tuttora padre degli increduli ebrei post-biblici, dacché l’Alleanza stipulata da Dio con lui è eterna? Certo, si può rispondere che essa è eterna nel momento in cui è vissuta nella Fede di Abramo nel Messia Gesù Cristo, onde l’Alleanza con Abramo continua in quella Nuova ed eterna, a cui era finalizzata, ed è perfezionata e realizzata da questa nel Sangue di Cristo. Ma gli ebrei post-biblici, che rifiutano Cristo Dio e la SS. Trinità, non sono in Alleanza né con Abramo né con Dio, come afferma Gesù nel Vangelo di San Giovanni. Ratzinger, però, asserisce il contrario: «con questa distinzione [tra alleanza abramitica e alleanza mosaica] viene meno la rigida contrapposizione tra Antica e Nuova Alleanza e si esplicita l’unità […] della storia della salvezza, in cui nelle diverse alleanze si realizza l’unica Alleanza»[29], onde l’ebraismo odierno, benché incredulo, sarebbe tuttora in Alleanza eterna con Dio tramite Abramo (e non Mosè). Ma anche ciò è falso, benché Ratzinger cerchi – distinguendo tra Mosè ed Abramo – di dare un fondamento più solido alla teoria di Giovanni Paolo II dell’«Antica Alleanza mai revocata» (Mainz, 1981).
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Da notare che per Ratzinger non solo l’alleanza di Dio con gli israeliti in Abramo, ma anche l’alleanza di Dio con tutti gli uomini in Gesù Cristo è “incondizionata” cioè non “legata alla condotta degli uomini” perché “Dio, per la sua stessa essenza, non può lasciar cadere l’alleanza, per quanto essa venga rotta”[30] e perciò dinanzi all’infedeltà degli israeliti, così come dinanzi all’infedeltà dei “cristiani, Egli la “rinnova” nel senso che “l’alleanza condizionata, che dipende dalla fedeltà dell’uomo alla Legge e che per questo è stata spezzata, viene sostituita dall’alleanza incondizionata in cui Dio s’impegna irrevocabilmente”. Questo “rinnovamento dell’ alleanza” è, per i Cristiani, la S. Messa.[31]
“Deus non deserit nisi prius deseratur” (“Dio non abbandona, se prima non è abbandonato”) dice Sant’ Agostino, ripreso dal Concilio di Trento. Anche la Nuova ed Eterna Alleanza (come già l’Alleanza abramitica) è un patto bilaterale condizionato. Essa è eterna ed irrevocabile solo con la Chiesa di Roma; ma non con ogni uomo: i doni di Dio “sono irrevocabili” a condizione che l’uomo Gli resti fedele. Per Fede sappiamo che “le porte dell’Inferno non prevarranno” contro la Chiesa; ma nessun uomo sa “se sia degno di odio o di amore”, ossia la perseveranza finale è qualcosa che non è garantita a nessun uomo in particolare: se rompe con Dio, egli è abbandonato da Dio. La Chiesa soltanto, nata dal costato di Cristo, ha la promessa formale dell’ indefettibilità e della perseveranza usque ad finem, in virtù del Sangue di Cristo, ma non ha questa promessa Israele in virtù dei meriti di Abramo.
In realtà, Ratzinger (come dottore privato) fonda, purtroppo, la sua distinzione su Martin Lutero. Infatti, per lui, la nuova ed eterna alleanza “risulta nuova” appunto perché “non si tratta di un patto a certe condizioni, ma del dono dell’ amicizia [di Dio] che viene irrevocabilmente offerta. Al posto della Legge subentra la grazia. La riscoperta della teologia paolina nella Riforma [luterana] ha posto particolarmente l’accento su questo aspetto: non le opere ma la fede; non ciò che l’uomo fa, ma il libero disporre della bontà di Dio. […]. Le espressioni riferite all’ esclusività dell’azione di Dio, vale a dire quelle contenente l’aggettivo solus (solus Deus, solus Christus), sono da intendersi in questo contesto”[32]. Peccato, però, che san Giacomo ha scritto, sotto divina ispirazione: “la Fede senza le Opere è morta” (II, 26) e che il concilio di Trento ha definito questa verità de Fide catholica! (Sess. VI, cc. 6-7). La “teologia” di Lutero è la negazione e la distruzione della vera Religione (da religare ossia unire l’uomo a Dio), dacché Lutero diceva “pecca fortiter, sed fortius crede”, ma il peccato separa da Dio e non unisce a Lui. La “speranza sfiduciale” luterana è la “presunzione di salvarsi senza meriti”, che porta all’«impenitenza finale» ed è un “peccato contro lo Spirito Santo”. San Paolo non ha mai voluto insegnare l’inutilità delle “Opere buone” (ossia osservare i 10 Comandamenti), anzi insegna che la carità o stato di grazia è conditio sine qua non per entrare in Cielo: “se avessi la Fede che sposta le montagne, ma non ho la carità sono un nulla” (1 Cor., 13, 2). L’Apostolo, quando insegna che la giustificazione non si consegue con le opere della Legge, ma per la fede in Cristo (cfr. Gal. 2,3), parla non della Legge divina, ma delle osservanze rituali, delle prescrizioni legali e cerimoniali della legislazione mosaica, riservate al popolo ebreo per prepararlo a Cristo (“pedagogo a Cristo”), ma per le quali il fariseismo imperante si lusingava di poter raggiungere la salvezza senza la fede in Cristo e senza la Sua grazia.
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Tutta la teologia ratzingeriana è un tentativo di conciliare l’ inconciliabile nell’ottica cusana della coincidentia oppositorum; metaforicamente essa è l’ossimoro o l’ircocervo di Pera e Croce (v. sì sì no no 15 marzo 2009) e le “convergenze parallele” di Aldo Moro. Infatti nella parte finale del suo libro Ratzinger cita esattamente il De pace Fidei di Niccolò da Cusa (1453), in cui «Cristo come logos universale [cfr. il “cristo cosmico” di Teilhard de Chardin, nda] convoca un concilio celeste [cfr. il concilio Vaticano II, nda] , perché lo scandalo della molteplicità delle religioni sulla terra è divenuto intollerabile»[33].
Lo stesso Ratzinger spiega che il cammino del movimento ecumenico cominciò nel XIX presso i protestanti, poi vi si avvicinò l’ortodossia e infine «l’avvicinamento della Chiesa cattolica cominciò da alcuni gruppi di Paesi in cui si soffriva maggiormente la divisione tra le Chiese, finché il concilio Vaticano II aprì le porte della Chiesa alla ricerca dell’unità di tutti i cristiani»[34]. Onde, per Ratzinger (1997) – oggettivamente – tra Concilio e Tradizione non vi è continuità, ma rottura, anche se – soggettivamente o ermeneuticamente – Benedetto XVI (2005) ce la vuol vedere.
Come si evince da quanto sopra, la teologia del giudeo-cristianesimo è congenere a Ratzinger e a Benedetto XVI (come dottore privato). Per capire la sua reazione davanti alla montatura del “caso Williamson” non si deve guardare alla persona del monsignore “incriminato”, ma alla dottrina giudaizzante del Pontefice modernizzante. Ci sembra, pertanto, inutile, se non pericoloso, andare a dialogare con lui (o chi per lui) e a tal fine “gettare a mare Giona”.
2) Teologia della storia e gioachimismo in Ratzinger
Sempre con lo stesso professore Sönghen il giovane Ratzinger fece la sua Tesi di laurea su san Bonaventura (che era di Viterbo e non di “Fiuggi”) nel 1956-1957, appena dieci anni dopo la svolta di Auschwitz, tesi in cui appare la sua concezione di Dio e del dogma, considerati non oggettivamente, ma storicamente e soggettivamente e per di più visti (cfr. sì sì no no cit.) in un’ottica tendenzialmente e moderatamente millenarista. Questa tesi è stata rieditata dalle Edizioni Porziuncola sotto il titolo San Bonaventura /La teologia della storia.
Secondo il Nostro, San Bonaventura studia Gioacchino da Fiore come Generale dell’Ordine francescano, “che era quasi giunto al suo punto di rottura a causa della questione gioachimita”, più che come teologo privato, ma, nonostante ciò, «Gioacchino viene interpretato all’ interno della tradizione, mentre i gioachimiti lo interpretarono contro la tradizione. Bonaventura non rifiuta totalmente Gioacchino (come aveva fatto Tommaso): egli lo interpreta piuttosto in modo ecclesiale, creando così un’alternativa ai gioachimiti radicali»[35]. Come si vede l’ idea della “ermeneutica della continuità” è congenere anch’essa al giovane e al vecchio Ratzinger (1956-2005). Ratzinger riconosce che «l’ idea di un nuovo ordine, in cui l’ ecclesia contemplativa degli ultimi tempi deve trovare la sua vera e definitiva forma d’esistenza, viene chiaramente espressa in Gioacchino da Fiore. Il concetto di “ordine” acquista così un nuovo significato e “novus ordo” […] potrebbe tradursi allora come “nuovo ordine salvifico” e “nuovo ordine religioso della società”. […] Si potrebbe forse rendere “novus ordo” persino come “nuovo popolo di Dio”»[36]. Insomma se San Tommaso ha confutato radicalmente la teologia della storia di Gioacchino, «il Dottor Serafico [ha, secondo Ratzinger] un atteggiamento più positivo nei confronti della teologia gioachimita della storia»[37].
Confutazione tomistica del Gioachimismo
San Tommaso d’Aquino confuta meglio di ogni altro gli errori millenaristi e tendenzialmente giudaizzanti di Gioacchino e della sua scuola. Nella Somma Teologica dimostra che la Nuova Alleanza durerà sino alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Infatti, la Nuova Alleanza è succeduta alla Vecchia, come il più perfetto al meno perfetto. Ora, nello stato della vita umana in questo mondo, nulla può essere più perfetto di Cristo e della Nuova Legge, poiché qualcosa è perfetto in quanto si avvicina al suo fine. Ora, Cristo ci introduce – grazie alla sua Incarnazione e morte – in Cielo. Quindi, non vi può essere – su questa terra – nulla di più perfetto di Gesù e della sua Chiesa.
Per quanto riguarda lo Spirito Santo come perfezionatore dell’ opera della Redenzione di Cristo, Esso è inviato proprio da Cristo per confessare Cristo stesso, che ha promesso formalmente ai suoi Apostoli: “Lo Spirito Santo che Io vi manderò, procedendo dal Padre, renderà testimonianza di Me”. Quindi il Paraclito non è l’iniziatore di una terza èra, come vorrebbe il gioachimismo, ma testimonia e spiega Cristo agli uomini e li rafforza per poterlo imitare. Onde, dopo l’Antica e la Nuova Legge, su questa terra non vi sarà una terza Alleanza, ma il terzo stato sarà quello dell’eternità, sempre felice del Cielo o sempre infelice nell’ Inferno. Gioacchino erra nel trasportare la realtà ultramondana o eterna su questa terra. Il Regno, di cui parla l’abate da Fiore, non riguarda questo mondo, ma l’aldilà. Infatti lo Spirito Santo ha spiegato agli Apostoli, (il giorno di Pentecoste del 33 d.C.) tutta la verità che Cristo aveva predicato e che loro non avevano ancora capito appieno. Il Paraclito non deve insegnare una nuovissima Legge o un altro Vangelo più spirituale di quello di Cristo, ma deve solo illuminare e dar forza per ben conoscere e ben vivere la dottrina cristiana, che ha perfezionata quella mosaica (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Inoltre come la Vecchia Legge non fu solo del Padre, ma anche del Figlio (prefigurato da Mosè); così pure la Nuova Legge non fu solo del Figlio, ma anche dello Spirito promesso e inviato da Cristo ai suoi Apostoli. La Legge di Cristo scritta nei nostri cuori (Geremia) è la Grazia dello Spirito Santo, che illumina, vivifica e irrobustisce per potere osservare la Legge divina. Così come già nell’Antico Testamento era la grazia dello Spirito Santo ad illuminare e corroborare i Patriarchi e i Profeti, i quali, pur vivendo sotto la Vecchia Legge, avevano già lo spirito della Nuova e la vivevano eroicamente.
Quando Gesù insegna agli Apostoli che “Il Regno dei Cieli è vicino”, non si riferisce – spiega san Tommaso – solo alla distruzione di Gerusalemme come termine definitivo della Vecchia Alleanza e inizio formale della Nuova, ma anche alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 6, a. 4, ad 4; III, q. 34, a. 1, ad 1; III, q. 7, a. 4, ad 3-4). Infatti il Vangelo di Cristo è la “Buona Novella” del Regno (ancora imperfetto) della ‘Chiesa militante’ su questa terra; e del Regno (oramai e per sempre perfetto) della “Chiesa trionfante” nei Cieli. Inoltre, nel Commento a Matteo sul discorso escatologico di Gesù (XXIV, 36), san Tommaso postilla: “Qualcuno potrebbe credere che questo discorso di Cristo, riguardi solo la fine di Gerusalemme…; però sarebbe un grosso errore riferire tutto quanto è stato detto solo alla distruzione della Città santa e quindi la spiegazione è diversa, … cioè che tutti gli uomini e i fedeli in Cristo sono una sola generazione e che il genere umano e la fede cristiana durerà sino alla fine del mondo” (Expos. In Matth. c. XXIV, 34). L’ Angelico si basa su tale testo per confutare l’errore gioachimita, secondo il quale la Nuova Alleanza o la Chiesa di Cristo non durerà sino alla fine di tempi; egli riprende l’insegnamento patristico (specialmente del Crisostomo e di s. Gregorio Magno) e lo sviluppa anche nella Somma Teologica (I-II, q. 106, a. 4, sed contra): il Cristianesimo durerà sino alla fine del mondo, e perciò non ci sarà bisogno di una “terza Alleanza pneumatica e universale” (Catolikòs), ma la Chiesa di Cristo è già il Regno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (con buona pace di Gioacchino e seguaci).
Non occorre sognare il rimpiazzamento del cristianesimo, basta solo viverlo sempre più intensamente[38].
sì sì no no
[1] D. Composta, Questione cattolica e questione democristiana, CEDAM, Padova, 1987, pag. 25.
Cfr. N. Arbol, I democristiani nel mondo, ed. Paoline, Milano, 1990.
- Corti, Breve storia della democrazia cristiana con particolare riguardo ai suoi errori, in «Il Fumo nel Tempio», Ares, Milano, 1997, pagg. 154-184.
- Delassus, La Democratie Chretienne, Lille, Desclée, 1911.
[2] D. Composta, op. cit., pag. 36.
[3] Cfr. A. Del Noce, L’Eurocomunismo e l’Italia, Editrice Europa Informazioni, Roma, 1976.
- Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano, 1978.
- Del Noce, Il catto comunista, Rusconi, Milano, 1981.
- Caruso S.J., Da Lenin a Berlinguer, Idea Centro Editoriale, Roma, 1976.
Card. L. Billot S.J., De Ecclesia Christi. Tomus secundus. De habitudine Ecclesiae ad civilem societatem, 3ª ed., Roma, Univ. Gregoriana, 1929, Q. XVII De errore liberalismi et variis ejus formis.Trad. francese della Q. XVII: Les principes de 89 et leurs conséquences, Tequi, Paris, 1989.
[4] J. Maritain, Les droits de l’homme et la loi naturelle, Hartmann, 1946, pag. 37.
[5] v. ancheJ. Meinvielle, De Lamennais a Maritain, La Cité Catholique, Paris, 1956, pagg. 9-10. Esiste una recente traduzione italiana del libro succitato, che s’intitola: Il cedimento dei cattolici al liberalismo, a cura di don Ennio Innocenti, Roma, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, 1991. J. Meinvielle, Critica de la conception de Maritain sobre la persona humana, Ediciones Nuestro Tiempo, 1948, Buenos Aires.
[6] J. Meinvielle, op. cit., pagg. 235-236.
[7] Ibidem, pag. 300.
[8] A. Messineo, L’umanesimo integrale, ne “La Civiltà Cattolica”, vol. III, quad. 2549, 25 agosto 1956, pagg. 449-462.
Cfr. anche: A. Roussel, Libéralisme et Catholicisme, Semaine Catholique, 1926, Rennes ; F. Sardà y Salvany, Il liberalismo è peccato, rist. Forni ed., Bologna, (1888) 1972.
- Morel, Somme contre le catholicisme libéral, 2 voll., Paris-Bruxelles, Palmé-Lebrocquy, 1876.
- Barbier, Histoire du catholicisme libéral et du catholicisme social en France, 5 voll., 1923, sine ed. et loco.
- Castellano, L’aristotelismo cristiano di Marcel De Corte , Pucci Cipriani ed., Firenze, 1975.
- Gedda, 18 aprile 1948, Mondadori, Milano, 1998.
[9] J. Meinvielle, Critique de la conception de Maritain sur la personne humaine , (1948), tr. fr., sine loco, et editore, 1993.
[10] Q. XVII, De errore Liberalismi et variis ejus formis, pag. 17.
[11] Art. I, De fundamentali principio Liberalismi, pagg. 19-20.
Paragr. 1°, Quod principium fundamentale Liberalismi est in se absurdum et chimericum, pagg. 20-28.
[12] Paragr. 2°, Quod principium Liberalismi in applicationibus ad res humanas, secum fert dissolutionem omnium socialium organorum, pagg. 28-34.
[13] Paragr. 3°, Quod principium Liberalismi est essentialiter antireligiosum, pagg. 34-40.
[14] Art. II, De variis formis Liberalismi in re religiosa, pag. 41.
[15] Paragr. 1°, Quod prima forma Liberalismi convertitur cum materialismo et atheismo, pagg. 41-45.
[16] Paragr. 2°, Quod Liberalismus moderatus ad manicheismus reducitur, pagg. 45-51.
[17] j. ratzinger, Molte religioni un’unica Alleanza./ Il rapporto ebrei cristiani. Il dialogo delle religioni, Cinisello Balsamo, San Paolo, [1998] 2007, p. 5.
[18] Ibidem, p. 9.
[19] Ibidem, p. 29.
[20] Ibidem, p. 32.
[21] Ivi.
[22] Ibidem, p. 33.
[23] «Le loro [dei giudei] menti si sono ora inebetite: infatti sino al giorno d’oggi un velo rimane, non rimosso, sulla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Ma sino ad oggi tutte le volte che essi leggono Mosè un velo si posa sul loro cuore» (14-15), Settimio Cipriani commenta: «La maggior parte degli Ebrei non ha compreso la provvisorietà dell’AT e continua a dare un valore definitivo a Mosè, non intuendo il significato del “velo” posto sulla sua faccia […]. Dal momento che gli Ebrei continuano a ritenere valido l’AT, è segno che non interpretano più giustamente il “velo” calato sul volto di Mosè, che voleva appunto sottolineare la sua provvisorietà: questo significa allora che il “velo” è calato sulle loro menti e sul loro cuore» (Le Lettere di San Paolo, Assisi, Cittadella Editrice, 1962, pp. 276-277, nota 14-15).
[24] «I due Testamenti; uno ha origine dal monte Sinai, genera per la schiavitù […], esso corrisponde alla Gerusalemme presente, che di fatti è schiava con i suoi figli. La Gerusalemme celeste, invece, è libera: essa è la nostra madre [la Chiesa di Cristo]» (24-26). Sempre Settimio Cipriani commenta: «La “Gerusalemme presente”, in quanto simbolo dell’ebraismo e di fedeltà alla Legge mosaica, è legittima erede di questo spirito di schiavitù […]. Sara [NT] invece è simbolo della “libertà” e presignifica la Chiesa, la “Gerusalemme celeste”, ossia [che viene] dal cielo e al cielo ritorna. [..] I veri “figli della promessa” sono dunque i cristiani e non più gli israeliti» (cit., pp. 380-381, nota 24-28).
Tuttavia con l’acuta distinzione tra Mosè ed Abramo, Ratzinger pensa di aver scansato l’ostacolo; infatti se il Patto o Testamento con Mosè è perituro, l’Alleanza con Abramo no. Ma come vedremo alla nota 11, il suo escamotage non regge
[25] Ibidem, p. 34. ,
[26] Eonico: “Nella filosofia gnostica del II secolo d. C. esseri eterni che emanano da Dio e che fungono da intermediari tra Lui e il mondo. Etimologia: in greco: aion, in latino aeonem = eterno” (N. Zingarelli).
[27] Ivi. Il testo di san Paolo cita Zacc. IX, 11 e recita «In virtù del Sangue dell’Alleanza eterna [in sanguine Testamenti aeterni]». Anche altri Profeti hanno usato l’espressione di Alleanza eterna, cfr. Is. LV, 3; Ez., XXXVI, 26; Ger. XXXII, 40. Inoltre san Paolo scrive: «Il Dio della pace, che ha risuscitato dai morti il grande Pastore delle pecore, in virtù del Sangue dall’Alleanza eterna, Gesù nostro Signore, vi renda atti a compiere la sua volontà […] per mezzo di Gesù Cristo» (Ebr., XIII, 20-21). È chiaro che ora, nella Nuova Alleanza, dopo la morte di Cristo sino alla fine del mondo, l’uomo può compiere la volontà di Dio, tramite le buone opere e la Fede, solo in virtù del Sangue sparso da Gesù Cristo, Sangue della Nuova ed Eterna Alleanza. Ma se l’Alleanza, oltre che eterna, è anche Nuova, significa che la Vecchia in Abramo è rimpiazzata o perfezionata; infatti Abramo, essendo un semplice uomo aveva anch’egli bisogno dei meriti del Messia venturo, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. La salvezza è stata promessa ad Abramo in quanto progenitore secondo la carne di Cristo, vero uomo che avrebbe sparso il suo Sangue sulla Croce e in virtù della Fede nel “giorno” della venuta del Messia Gesù. Onde l’escamotage ratzingeriano non regge: non è Abramo che salva l’umanità ferita dal peccato originale, ma solo Gesù Cristo.
Settimio Cipriani, Le Lettere di San Paolo, Assisi, Cittadella Editrice, 1962 commenta: «L’Alleanza eterna è sinonimo di Nuova Alleanza, di cui Cristo è il Mediatore; in opposizione a quella mosaica che rappresentava solo una tappa nella storia della salvezza, l’Alleanza instaurata da Cristo rappresenta la fase ultima e decisiva di questo avvicinarsi di Dio alla sua creatura» (p. 831).
[28] J. Ratzinger, Ibidem, pp. 37-38.
[29] Ibidem, p. 39.
[30] Ibidem, p. 53.
[31] Ibidem, pp. 45 e 46 e in generake tutto il capitolo secondo sulla “Nuova Alleanza”.
[32] Ibidem, p. 48.
[33] Ibidem, p. 65.
[34] Ibidem, p. 67.
[35] J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, Assisi, Edizioni Porziuncola, 2008, pp. 11-12.
[36] Ibidem, p. 66.
[37] Ibidem, p. 194.
[38] Si legga anche U. Lattanzi, La visione biblica della storia, in “Enciclopedia Moderna del Cristianesimo” a cura di R. Spiazzi, Alba, ed. Paoline, 1958, vol. II, pp. 683-722; B. Prete, La pienezza finale del Regno di Dio, ivi, pp. 781-808; L. Paggiaro, Ebraismo e Cristianesimo, Ivi, vol. III, pp. 539-546.