Il martirio dell’amore! Le esigenze dell’amore.

Autore Maria Valtorta

LEZIONI SULL’EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE XXV

RM-7 1-25

7-11 giugno 1948

[…]

  Il martirio del dolore è sempre nella vita degli eletti, i quali mostrano la loro giustizia anche mediante il loro amore al dolore, non soltanto sopportato con rassegnazione, ma anche chiesto come ottavo sacramento e nona beatitudine, per essere unti vittime e per essere vera effigie di Gesù-Vittima.
    Sono il sacramento non istituito e la beatitudine non proposta, apertamente, dal Maestro Divino e Sacerdote Eterno. Ma coloro che sanno leggere e comprendere il Vangelo, non nella lettera ma nel suo spirito, trovano questa beatitudine sempre proposta dalle stesse azioni di Gesù, l’Uomo del Sacrificio e del Dolore, e trovano questo sacramento, che non abbisogna di materia e forma né di ministro per rendersi sensibile ed efficace segno di grazia, ma è esso stesso materia e forma di grazia, e facendo dell’uomo una vittima rassegnata o, raggiungendo un grado più alto di identificazione col Maestro Divino e Redentore Ss., una vittima volontaria e accettata da Dio, fa di lui il ministro della sua immolazione e un piccolo cristo, continuatore del Sacrificio divino di Gesù Cristo.
    Perché è per il dolore e la morte che Gesù fu “Gesù”, ossia Salvatore. Fu per il dolore e la morte che Gesù raggiunse il fine per cui si fece Uomo e compì il disegno di Dio: quello di fare del suo Unigenito – il Verbo – l’Uomo-Dio, perché potesse essere Redentore e Datore della Grazia ai figli di Adamo, diseredati, per colpa di lui, da tal sublime dono.
    Ed è ancora e sempre per il dolore e l’olocausto che l’uomo salva, continuando l’opera di salute iniziata dal Cristo. Il dolore, meditato, compreso, contemplato soprannaturalmente, non è castigo del rigore divino, ma è grazia dell’amore divino. Grazia che Dio concede ai suoi figli migliori per farne dei cristi per compartecipazione.
    Sì. Per compartecipazione al calice amaro, alla dolorosa passione, dal Getsemani al Golgota, alla Croce, che fu il giogo di Cristo, giogo pesantissimo, schiacciante, giogo che non potrebbe venire portato se l’amore a Dio e al prossimo non lo rendesse “soave e leggero”, se non alla carne, almeno al cuore, alla mente, allo spirito. Fu il perfetto amore a Dio e al prossimo che fece correre il Verbo di Dio incontro alla sua Croce con santa ansia di “aver tutto compiuto”.
    Tutta la sua Vita, ossia la sua Eternità di Verbo, fu un anelito a questo compimento. Tutta la sua Vita, sia quando era ancora col Padre nel Cielo, sia quando scese ad incarnarsi nel seno di Maria, sia quando ebbe il primo respiro, come quando cresceva in età, grazia, sapienza, stando soggetto a Maria e Giuseppe, come poi alla Legge e ai Voleri supremi del Padre Ss. sino a consumarsi per poter esalare lo spirito dicendo: “È compiuto”, ebbe questo anelito. Aveva insegnato che se il granello non muore non dà frutto. Ed era morto, Egli, il Vivente, l’Eterno, per farsi, da granello di spiga verginale, Pane di Vita agli uomini.
    Il dolore e l’olocausto è compartecipazione alla sorte del Granello Ss. nato da spiga immacolata e verginale: Gesù; è compartecipazione all’amore perfetto del Figlio dell’uomo per i suoi fratelli al punto di dare la vita per loro; è compartecipazione alla santità del Cristo, santità che si raggiunge attraverso alla rinuncia, al sacrificio, alla morte anche.
    Gesù fu esaltato dal Padre e ricevette Nome superiore ad ogni altro nome, e tale che a quel Nome tutto si deve prostrare, adorando, in Terra e in Cielo, dopo che si umiliò sino alla morte di croce.
    Quindi chi ama la sua anima e vuol dare ad essa la vita eterna e beata, deve odiare la sua carne, amando anche le persecuzioni e le infermità che distruggono la materia, amando anche l’innalzamento, materiale o spirituale, sulla croce di un qualsivoglia martirio, sulla croce che stacca dalla Terra e solleva verso il Cielo in una elevazione mistica, in una continua “messa” del cristiano, veramente formato, che si muta da uomo in ostia, in piccola ostia che vuol esser consumata con la grande Ostia: Gesù Eucarestia, in sacrificio latreutico, eucaristico, propiziatorio, impetratorio.
    E col martirio del dolore è quello dell’amore. Non meno struggente, nella sua ardente dolcezza, di quello del dolore.
    Il martirio dell’amore! Le esigenze dell’amore. L’assolutismo dell’amore che isola in una santa follia la creatura abbracciata dall’Amore e immersasi con pieno e volontario consenso nell’oceano fiammeggiante dell’amore. La generosità totale dell’amore, ormai regnante con potenza di re assoluto in uno spirito, generosità che non misura più cosa alcuna, né rinunce, né pene, né perdoni, né soccorsi di misericordia corporale e spirituale, purché Dio abbia gloria e il prossimo abbia sollievo, perdoni e grazie.
    L’adesione assoluta e continua della creatura datasi all’amore, alla Ss. Volontà di Dio, conservante, della sua libera volontà di uomo, un unico ramo: quello di voler fare ciò che Dio vuole. Fare ciò che il Dio, vivente nelle anime, inabitante nelle anime che amano, indica, comanda o propone di fare. Questo amore ubbidiente, attivo, costante, mette la vita divina in voi e completa l’identificazione vostra con Dio che è Amore, oltre che Spirito, come spirito è l’anima vostra; che è Libero, come voi siete liberi di volere; che è l’Eterno come eterno è, da quando è creato, lo spirito vostro.
    Somiglianza divina di natura spirituale, di moti d’amore, di luci intellettive, mette l’amore, il più grande dei comandamenti, in voi; e, non per prevaricazione arbitraria come quella di Adamo, seguente l’insinuazione e suggestione del Serpente e mordente al frutto proibito per divenire “come dèi”, ma per partecipazione a quella che è essenza dell’Essere Supremo: l’amore, vi fa “dèi e figli dell’Altissimo”. Perché l’amore presuppone la Grazia nello spirito che ama, e la Grazia è partecipazione di vita divina; è, attraverso la capacità di intuire ciò che è Iddio, operare secondo il suo volere, amare come siete amati, preparazione a vedere ciò che credeste, a conoscere il Mistero di Dio e tutti i misteri di Dio, e tutti i misteriosi moventi delle azioni di Dio, talora incomprensibili sinché siete nell’esilio terrestre e nelle sue nebbie, a contemplare faccia a faccia Iddio, a possedere la piena conoscenza di ogni Verità, a divenire una sol cosa con Dio, nella perfezione dell’unione che solo può aversi in Cielo, dopo la prova e dopo l’elevazione alla gloria, nella perfezione dell’Amore che ormai avrà raggiunto la misura perfetta, anzi le tre misure perfette.
    L’amore è veramente il dono dei doni, mezzo al mantenimento del dono della Grazia, alla crescita delle virtù, al raggiungimento del fine ultimo. Per questo viene donato dallo Spirito Santo, Spirito dello Spirito divino, essenza dell’amore perfettissimo e reciproco del Padre e del Figlio, procedente dal loro bacio, dalla loro attrazione mutua, dalla loro contemplazione giubilante.
    La volontà dell’uomo può rendere attivissimo questo dono dello Spirito d’Amore, sufficiente per se stesso a far conseguire il fine per cui gli uomini furono creati: la predestinazione alla Grazia e alla Gloria. Perché, in verità, tutti coloro che sono mossi dall’amore divengono “figli di Dio” (Paolo ai Romani c. 8 v. 16) poiché ogni loro azione ispirano all’amore, ossia al bene verso Colui che sentono esservi, anche se esattamente non lo conoscono, e verso i loro simili; e vivono perciò secondo la legge naturale-morale, messa e conservata da Dio Creatore nel cuore dell’uomo.
    È di costoro che S. Paolo scrive: “Quando i Gentili, che non hanno legge, fanno naturalmente ciò che la legge impone, e non avendo legge son legge a se stessi, e mostrano che il timor della legge è scritto nel loro cuore, testimone la loro coscienza… saranno giustificati nel giorno in cui Dio, per mezzo di Gesù Cristo, giudicherà le azioni segrete degli uomini”.
    Infatti chiunque agisca con retta coscienza, seguendo i dettami della legge morale, dimostra di avere un’anima naturalmente cristiana, aperta al Bene e al Vero, e Gesù, morto perché gli uomini avessero la Vita eterna – gli uomini di buona volontà – sarà la loro giustificazione. Perché tutti coloro che, anche non sapendo di Dio quale è conosciuto dai Cattolici, credono fermamente che un Dio è, un Dio giusto, provvido e rimuneratore ad ognuno di ciò che ognuno ha meritato, appartengono – per la carità che per Lui sentono e per la carità e giustizia che hanno verso il loro prossimo e verso se stessi, per il desiderio di Dio, per la contrizione perfetta delle colpe potute commettere – all’anima della Chiesa.
    Come ho detto che il dolore è l’ottavo sacramento e la nona beatitudine, così dico che l’amore, veramente vissuto e praticato, e il pentimento sincero del male potuto involontariamente commettere, sono battesimo di desiderio, valido a dare la partecipazione implicita al Corpo Mistico e quindi la partecipazione alla Grazia. Solo Dio e gli uomini in cui Dio opera conoscono le azioni divine per portare le creature umane a quella salvezza e a quel conoscimento celeste della Verità per cui sono state create.
    L’amore è santa attività che muove tutte le forze dell’uomo volgendole al loro ultimo fine. L’amore è sapienza. E la sapienza è libertà dalle cose caduche e limitate. E la libertà da ciò che limita e tiene attaccati alla Terra, apre allo spirito gli spazi dell’infinito perché esso vi voli, si lanci incontro alla Eterna Verità che si abbassa verso il suo amatore, e già si concede facendosi gustare ed amare, per quanto creatura ancor mortale può, strappando l’uomo alle nebbie del suo triste esilio per elevarlo a Sé e disvelarsi in parte per esserne sempre più amato, senza, con ciò, renderlo distaccato ed estraneo ai bisogni dei fratelli. Ché, anzi, l’uomo perduto in Dio adora Dio e attinge da Lui grazie e benefizi, non per se solo, ma anche per fratelli sui quali li sparge con azione santa e continua di carità.
    Per questi molti martirii, dati dal dolore e dall’amore, coloro che resteranno fedeli all’uomo interiore avranno in Cielo la veste e la palma descritte da Giovanni. Perché con la loro volontà si saranno fatta quella veste, mondando le loro stole nel Sangue dell’Agnello che avrà cancellato, sotto la sua onda purificatrice, le ombre dei trascorsi iniziali e quelle delle imperfezioni terminali, e i martirii sopportati, quello dell’amore più d’ogni altro, secondando, con tutte le forze dell’uomo, l’azione della Grazia divina, avuta per Gesù Cristo Signor vostro, faranno che costoro siano i vincitori dal nome nuovo, ai quali verrà data la manna nascosta, la corona di vita, la potestà sulle nazioni, la gloria di sedere intorno al Trono eccelso, stando in eterno dinanzi all’Agnello, alla Stella del Mattino che li guidò durante la via dalla Terra al Cielo, alla Stella del loro mattino terreno, di cui invocarono sollecito termine ad ogni palpito del cuore col grido dell’anima amante: “Vieni, Signore Gesù”, alla Stella del loro mattino celeste ed eterno, del giorno in cui entreranno per sempre nel Regno celeste.»