fonte vanthuanobservatory.com 06/03/2024
Di Andrea Mondinelli
In ottobre-novembre 1874, William Gladstone, prima conservatore e poi capo del Partito liberale britannico, attacca duramente i Decreti del Concilio vaticano I, sostenendo che essi non si possono conciliare con l’autonomia intellettuale e la lealtà allo Stato. Nel gennaio 1875 Newman risponde con A letter addressed to His grace the Duke of Norfolk, on occasion of Mr Gladstone’s recent Expostulation. E nel capitolo quinto affronta il tema della coscienza morale; più precisamente: l’affermazione del primato della coscienza in relazione all’autorità magisteriale e governativa del Papa [munus docendi, munus regendi]. A nessuno sfugge la centralità del tema. La tesi di Gladstone è la seguente. Poiché il Papa gode di infallibilità in doctrina fidei et morum; poiché ha sui fedeli cattolici giurisdizione piena, la coscienza morale del singolo deve semplicemente eseguire ciò che il Papa insegna. La risposta di Newman è articolata e fine. Tutta la sovrana grandezza della coscienza deriva dal fatto che essa è l’organo dell’apprensione della Legge divina. «Questa legge in quanto viene appresa e viene a far parte dello spirito dei singoli individui, prende il nome di coscienza». La spiegazione del Card. J.H. Newman è terribilmente bella e vera:
Sembra, dunque, che vi siano casi estremi nei quali la coscienza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita.
“[…] Quando divenne Creatore impresse questa legge [divina], che è Lui stesso, nell’intelligenza di tutte le sue creature ragionevoli. La legge divina è dunque la regola della verità etica; il criterio del bene e del male; un’autorità sovrana, irrevocabile, assoluta, davanti agli uomini e davanti agli angeli. «La legge Eterna», scrive Sant’Agostino, «è la ragione divina o volontà di Dio, la quale comanda l’osservanza e vieta di turbare l’ordine naturale delle cose». «La legge naturale», osserva san Tommaso, «è un’impronta della luce divina in noi, una partecipazione della legge eterna fatta alla creatura ragionevole». Questa legge, in quanto percepita dalla mente dei singoli uomini, si chiama «coscienza» e benché possa subire rifrazioni diverse passando attraverso l’intelligenza di ogni essere umano, non ne viene per questo intaccata al punto da perdere il suo carattere di legge divina. […] La coscienza non è egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti.” (cap. 5 della “Lettera al Duca di Norfolk”).
Il referente della coscienza è la legge divina, ed il Papa esiste per aiutare la coscienza ad essere illuminata dalla divina Verità. Quindi e per il Papa e per la coscienza il referente è lo stesso: la luce della divina Verità. Tutti e due guardano nella stessa direzione. Newman non lascia spazio ad alcuna interpretazione:
“Se il vicario di Cristo parlasse contro la coscienza, nell’autentico significato del termine, commetterebbe un suicidio; toglierebbe la base su cui poggiano i suoi piedi. Sua autentica missione è proclamare la legge morale; proteggere e rafforzare quella «Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo». Sulla legge e sull’autorità della coscienza sono fondati tanto la sua autorità in teoria, quanto il suo potere in pratica. […] Io qui esamino il papato nel suo ufficio e nei suoi doveri e con riferimento a quanti riconoscono i suoi diritti. Costoro non sono legati dal carattere personale o dagli atti privati del vescovo di Roma, bensì dal suo insegnamento ufficiale. […] La sua (del Papa) raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza. La realtà della sua missione è la risposta al lamento di quanti sentono l’insufficienza del lume naturale; e l’insufficienza di questo lume è la giustificazione della sua missione”.
Il vero problema, o la radice di tanti problemi è che questa idea di coscienza è combattuta intellettualmente, e di fatto rifiutata dalla maggioranza delle persone. È impressionante quello che scrisse nel 1875 il Card. Newman, nella Lettera al Duca di Norfolk (cap. 5):
“Durante tutto il mio tempo c’è stata una guerra decisiva, stavo quasi per dire una cospirazione, contro i diritti della coscienza quale io l’ho descritta. Letteratura e scienza si sono organizzate in grandi istituti per abbatterla. Sono stati innalzati stupendi palazzi, quasi altrettanti fortilizi, contro il suo influsso spirituale, invisibile, troppo sottile per la scienza, troppo profondo per la letteratura. Cattedre universitarie sono state costituite centri di tradizione ostile. Giorno, dopo giorno, noti scrittori hanno infarcito le menti di innumerevoli lettori con teorie sovversive”.
È nel principio liberale che Newman individua il fattore principale della riduzione della coscienza a semplice opinione personale, che nessuno ha l’autorità di giudicare. Più avanti Newman aggiunge che “nel nome della coscienza si distrugge la vera coscienza”: qui entriamo nel cuore della mentalità liberale, contro cui tanto combatté Newman[1], secondo cui basterebbe seguire la coscienza per essere a posto, come se fosse lei a stabilire ciò che è bene e ciò che è male indipendentemente dalla Legge Eterna. Niente di più falso e pericoloso. Papa Leone XIII, che elevò Newman al cardinalato nel 1879, chiarisce bene il punto nell’enciclica Libertas:
“Una volta confinato nella sola e unica ragione umana il criterio del vero e del bene, la corretta distinzione tra il bene e il male sparisce; le infamie non differiscono dalla rettitudine in modo oggettivo ma secondo l’opinione e il giudizio dei singoli; il libito diventa lecito; stabilita una regola morale che non ha praticamente il potere d’infrenare e di placare le torbide passioni dell’animo, si spalancherà spontaneamente la porta ad ogni corruttela. Nell’ordine pubblico, poi, il potere di comandare viene separato dal giusto e naturale principio da cui esso attinge ogni virtù generatrice del bene comune; la legge, nello stabilire i limiti del lecito e dell’illecito, è lasciata all’arbitrio della maggioranza, che è la via inclinata verso il regime tirannico”.
Newman rimarca la seduzione del liberalismo nel suo celebre “Discorso del biglietto”[2]:
«Non dimentichiamo che nel pensiero liberale c’è molto di buono e di vero; basta citare, ad esempio, i principi di giustizia, onestà, sobrietà, autocontrollo, benevolenza che, come ho già notato, sono tra i suoi principi più proclamati e costituiscono leggi naturali della società. È solo quando ci accorgiamo che questo bell’elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo. Invero, non c’è mai stato un piano del Nemico così abilmente architettato e con più grandi possibilità di riuscita. E, di fatto, esso sta ampiamente raggiungendo i suoi scopi, attirando nei propri ranghi moltissimi uomini capaci, seri ed onesti, anziani stimati, dotati di lunga esperienza, e giovani di belle speranze».
Il liberalismo, infatti, distrugge la vera religione che è la religione cattolica. Prosegue Newman:
“Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni”.
Di conseguenza, il liberalismo demolisce anche la società umana. Leone XIII, nell’enciclica Au milieu des sollicitudes, insegna:
“Prendiamo anzitutto come punto di partenza una verità ben nota, accettata da ogni persona sensata e solennemente proclamata dalla storia di tutti i popoli: la religione, e solamente essa, è capace di creare il vincolo sociale; solo la religione può tenere ancorata la pace di una nazione a solide fondamenta. Quando diverse famiglie, senza rinunciare ai diritti e ai doveri della società domestica, e seguendo l’ispirazione della natura, si uniscono per diventare parte di una famiglia più vasta chiamata società civile, non si ripromettono solo di trovarvi i mezzi per provvedere al proprio benessere materiale, ma di trarne in primo luogo un beneficio per il loro perfezionamento morale. In caso contrario la società sopravanzerebbe di poco l’aggregazione di esseri senza ragione, la vita dei quali è tutta rivolta alla soddisfazione degli istinti sensuali. Ma c’è di più. Senza questo perfezionamento morale, sarebbe difficile dimostrare che la società civile, lungi dal costituire un vantaggio, non tornerebbe a danno dell’uomo in quanto tale”.
Purtroppo, il cattolicesimo liberale, di cui tratta l’amico Gianni nel suo articolo di recensione del libro L’ILLUSIONE LIBERALE di Louis Veuillot, era già penetrato profondamente tra i cattolici del 19° secolo.
Oggi il liberalismo, tanto avversato da Newman, è diventato dominante anche tra i cattolici di ogni ordine e grado.
Andrea Mondinelli
[1] “Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione” [Discorso del biglietto].
[2] https://www.culturacattolica.it/cm-files/2019/02/17/discorso-del-biglietto_newman.pdf