fonte Fonte: fsspx.news 27-28/09/2022
Il 6 agosto 2022 Papa Francesco ha nominato Presidente della Pontificia Accademia di Teologia mons. Antonio Staglianò, Vescovo emerito di Noto, nella Sicilia sud-orientale. Questo prelato si è fatto conoscere per il suo desiderio di promuovere quella che lui stesso chiama teologia pop.
E aggiunge: “è un approccio in cui si rispecchia la scelta di monsignor Staglianò, divenuto celebre per la sua teorizzazione di quella che viene chiamata teologia pop. È una teologia popolare, “non convenzionale” nelle parole dello stesso vescovo, che si propone di presentare il Vangelo con un linguaggio contemporaneo. In particolare, Monsignor Staglianò ama utilizzare brani di musica leggera, soprattutto quelli del festival di Sanremo”.
Secondo Andrea Gagliarducci, “per papa Francesco la priorità è ringiovanire il linguaggio. Può non avere intenzione di cambiare la dottrina, ma è convinto che la dottrina debba essere presentata in modo diverso per essere attraente. La dottrina deve comunicare gioia. Non deve sbandierare divieti”.
In fondo, si chiede il giornalista italiano, “la dottrina come questione di linguaggio è forse il tema teologico centrale di papa Francesco”.
Forse Francesco non ha proprio intenzione di cambiare la dottrina, – come scrive Andrea Gagliarducci -, ma ha l’ovvia ossessione di rendere questa dottrina “presentabile” agli occhi del mondo, che non può che obbligarlo a modificare la dottrina per adattarla alle esigenze di questo mondo – caso per caso, come per la comunione dei divorziati risposati.
Modificare la forma senza toccare il fondo, è stata la pretesa mostrata dall’aggiornamento conciliare fin dall’inizio. Questa è un’illusione ora lampante.
Il vaticanista romano continua: il pensiero di papa Francesco “consiste nell’affrontare le grandi questioni [dette “sociali”, ndr] piuttosto che i temi centrali della dottrina. Si tratta di guardare soprattutto all’essere umano, e il discorso su Dio deve essere piuttosto un discorso umano”.
Con mons. Staglianò al suo fianco, Francesco avrà “un pastore che si mostra alle periferie (anche del pensiero) come sempre il Papa invita a fare. La nuova linea teologica consisterà dunque nel ringiovanire il linguaggio, spiegando il Vangelo da un’altra prospettiva”.
“Così, vengono minimizzati alcuni temi fondamentali del dibattito – da quelli sulla dottrina a quelli sulla vita e sulla bioetica, che vanno messi in prospettiva e accantonati – per consentire questioni [sociali, come l’ecologia] che possono favorire il dialogo [con il mondo contemporaneo].”
Per Vincenzo Rizza, inviato di Aldo Maria Valli, che lo cita sul suo blog, il 13 agosto, è davvero una rivoluzione. Con ironia commenta la recente nomina di monsignor Staglianò: ” La giusta e attesa promozione per un fine teologo che si è particolarmente distinto per originalità e ossequio al nuovo magistero”
“Tutti quegli sforzi sono stati infine premiati e il nostro potrà lasciare il piccolo palcoscenico di Noto (che gli andava evidentemente ormai stretto) per esibirsi su palchi ben più prestigiosi.”
E promette un brillante futuro al nuovo presidente dell’Accademia di Teologia, che “finalmente egli potrà estendere i benefici della sua predicazione all’intero mondo cattolico e contribuire alla formazione dei nuovi sacerdoti e alla riforma (pop)teologica. “
“Primo passo, l’obbligo di nomina (come già fatto a Noto) di un assistente pop-teologico (qualsiasi cosa voglia dire) in ogni diocesi; secondo passo, la sostituzione del Credo con Imagine di John Lennon, canzone che anche Gesù, secondo il prelato, avrebbe recitato con convinzione; terzo passo… Imprevedibile, per ora. Perché la fantasia non ha limiti. La rivoluzione è appena iniziata!”
Con tono pungente, Vincenzo Rizza conclude proponendo un’altra nomina: “Proporrei, comunque, una menzione speciale al sacerdote che ha celebrato la Messa in mare a torso nudo usando come altare un materassino; in fondo, ha interpretato alla lettera gli insegnamenti della chiesa in uscita e potrebbe degnamente sostituire Staglianò come vescovo nella sede vacante di Noto.”
Saint Vincent de Lerino non è un teologo pop
Questa strumentalizzazione della teologia al servizio di una pastorale allineata allo spirito del mondo trova un’illustrazione nel modo in cui Francesco usa e abusa di una citazione troncata dal Commonitorium di San Vincenzo de Lerino, monaco della Gallia meridionale del V secolo. È quanto emerge da un articolo di padre Thomas G. Guarino, pubblicato il 16 agosto sul sito americano First Things, ripreso da Giuseppe Nardi su katholisches.info il 30 agosto.
Questo specialista di San Vincenzo di Lerino, dell’Università Cattolica degli Stati Uniti (Washington DC), scrive che il Papa si riferisce alla “felice formulazione” (queste sono le parole di Francesco), secondo cui la dottrina cristiana annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur ætate, “si consolida con gli anni, si amplia col tempo [e] si affina con l’età”. (…)
“Ha ragione il Papa, riconosce padre Guarino, a dire che questa è una frase decisiva. Ma se dovessi dare qualche consiglio al Papa, lo incoraggerei a tenere conto di tutto il Commonitorium di San Vincenzo, e non solo della selezione che cita costantemente.”
Per il teologo americano, infatti, va notato che il santo monaco non si esprime mai in modo positivo sui cambiamenti di rotta: “Un tale cambiamento non è, secondo Vincenzo di Lerino, un progresso nella comprensione della verità da parte del Chiesa; non è un insegnamento “ampliato dal tempo””.
“Al contrario, tali cambiamenti sono il segno distintivo degli eretici. Questi sono cambiamenti che indicano che tutti coloro che sono stati incorporati in Cristo, il capo della Chiesa, “vagabondano e bestemmiano e non sanno in cosa credere”. Quando San Vincenzo condanna tali cambiamenti, si riferisce sempre al tentativo di alterare o modificare gli insegnamenti solenni dei concili ecumenici.”
“È particolarmente preoccupato per i tentativi di rovesciare l’insegnamento di Nicea [nel 325], come avvenne al concilio [ariano] di Ariminum [Rimini, nel 359], che tolse la parola decisiva homoousios [consustanziale] nella sua proposta confessione di fede.”
E continua: “Vorrei anche invitare papa Francesco a fare riferimento ai sani limiti che San Vincenzo poneva nell’interesse di un adeguato sviluppo. Mentre papa Francesco si attiene alla formula dilatetur tempore di San Vincenzo (ampliata dal tempo), Vincenzo usa anche la formula suggestiva res amplificetur in se (la cosa cresce in se stessa)”.
“San Vincenzo sostiene che ci sono due tipi di cambiamento. Un cambiamento legittimo, un profectus, che è progresso, crescita regolare nel tempo, come in un bambino che diventa adulto. E un cambiamento inappropriato, che è una distorsione perniciosa, chiamata permutatio. È un cambiamento nella natura di qualcuno o qualcosa, come quando un roseto si trasforma in spine e cardi.”
Per padre Guarino un altro ostacolo all’interpretazione data dal Papa è l’affermazione di San Vincenzo di Lerino secondo cui la crescita e il cambiamento devono avvenire in eodem sensu eademque sententia, cioè secondo lo stesso significato e lo stesso giudizio. Per il santo monaco, qualsiasi crescita o evoluzione nel tempo deve conservare il significato sostanziale degli insegnamenti precedenti.
Lo studioso americano precisa: “Ad esempio, la Chiesa può certamente crescere nella sua comprensione dell’umanità e della divinità di Gesù Cristo, ma non può mai discostarsi dalla definizione nicena. L’eodem sensu o “stesso senso” deve essere sempre mantenuto in ogni evoluzione futura. Papa Francesco cita raramente, se non mai, questa importante frase di San Vincenzo”.
Il teologo americano consiglia quindi anche al Papa “di evitare di citare San Vincenzo per sostenere cambiamenti di rotta, come nel caso del suo insegnamento che la pena di morte è “intrinsecamente contraria al Vangelo”. Una comprensione organica e lineare dell’evoluzione di San Vincenzo non implica un capovolgimento delle posizioni precedenti”.
E ricorda molto giudiziosamente che, in tutta la sua opera, San Vincenzo esorta con san Paolo: “Timoteo, custodisci ciò che ti è stato affidato. Tieniti lontano dall’empio chiacchiericcio e dai falsi insegnamenti della cosiddetta “conoscenza”” (1 Tm 6,20).
È alla luce di questo prezioso richiamo alla tradizione che è opportuno accogliere le ripetute dichiarazioni di Francesco contro ciò che chiama indietrismo, come in occasione della benedizione dei pallii degli arcivescovi dell’anno passato, il 29 giugno scorso. O più recentemente, il 1 settembre, al ricevimento per i membri dell’Associazione Italiana Insegnanti di Liturgia:
“La tradizione è la fede viva dei morti. E il tradizionalismo è la fede morta di alcuni vivi…”, ha affermato Francesco per il quale i tradizionalisti sono vittime dello “spirito mondano dell’indietrismo”. Per lui attingere alla radice non significa “tornare indietro”, perché “tornare è andare contro la verità e contro lo Spirito”.
E affermare che la liturgia “non è un monumento di marmo o di bronzo, non è un pezzo da museo”, criticando ancora una volta una liturgia tradizionale “con tono funebre”, quando dovrebbe cantare “la lode del Signore”. Lasciamo perdere questi giudizi superficiali, dettati dalla teologia pop più che dalla sacra dottrina, e preghiamo per il loro autore.
Ricordiamo che nella lettera apostolica Desiderio desideravi del 29 giugno scorso, Francesco ha espresso l’auspicio che le “polemiche” liturgiche cessino. Non c’è niente di meglio per riscoprire la pace, la “tranquillità dell’ordine”, che rileggere San Vincenzo di Lerino in una versione integrale, né troncata né falsata.