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Il paganesimo è già tornato: si chiama naturalismo

Quella in cui viviamo non è, semplicemente, una società post-cristiana; non è nemmeno, semplicemente (si fa per dire), una società anti-cristiana: è una società neopagana, in tutto e per tutto, cioè una società attivamente, consapevolmente, coerentemente pagana, basata su valori pagani, e perciò, necessariamente, incompatibile con il cristianesimo e nemica mortale di esso. Chi non ha capito questo, non ha capito il mondo in cui viviamo, né quale sia la posta in gioco, né, infine, se si tratta di un credente, in che cosa consista la dialettica che oggi dilania la Chiesa cattolica e la cultura cattolica. Fra le due culture, fra le due visini del mondo, fra le due morali, non può esservi compromesso, né mediazione, ma solo una lotta senza quartiere: e chi non se ne vuol rendere conto, finirà per trovarsi nel bel mezzo della guerra come uno sprovveduto che s’illude di poter continuare la sua pacifica esistenza, mentre il suo destino è già segnato, senza che lui lo sappia e vi partecipi, e dipenderà dalla vittoria dell’una o dell’altra.

Il paganesimo odierno si è ripresentato, dopo secoli e secoli in cui la società occidentale è stata cristiana, essenzialmente come una forma radicale di naturalismo. Il naturalismo consiste nel fare della natura un fine in se stessa; nel vederla come il principio, la causa e il termine di tute le cose; e nell’approvare, come intrinsecamente legittimo, e quindi "buono", tutto ciò che da essa viene, senza passarlo al vaglio della coscienza e senza sottoporlo al dominio della volontà, guidata dall’etica. Il naturalismo, di conseguenza, si traduce in un individualismo e in un edonismo esasperati: ciò che grida il mio istinto è legittimo, e perciò "buono": realizzarlo è un mio diritto, e guai a chi osa opporvisi. Chiunque si ponga in contrasto con la realizzazione del mio piacere, diventa mio nemico giurato: fra me e lui non può esservi intesa, né ragionevole modus vivendi: deve scomparire, deve essere ridotto al silenzio, deve essere rinchiuso in prigione. L’altro diventa mio nemico non solo se mi ostacola attivamente, ma anche solo se esprime un giudizio negativo sulla mia pretesa di santificare e perseguire incontrastato i miei istinti: la sua stessa esistenza diventa, per me, un oltraggio, una sfida ideologica, che deve essere vinta a ogni costo, senza misericordia e senza fare alcun prigioniero. Se gli fosse lasciato anche un minimo margine per lasciar trasparire la sua disapprovazione, la mia coscienza non sarebbe tranquilla: per esserlo, ho bisogno che tutto quel che faccio non solo possa esser fatto, ma che le pubbliche autorità lo dichiarino lecito e che la cultura dominante lo proclami "santo", nel senso di giusto e doveroso. Reprimere i miei impulsi, sarebbe il grande peccato; non perseguire il principio assoluto del mio piacere, sarebbe la colpa inescusabile. Bisognerà, dunque, far sparire dalla faccia della terra qualsiasi voce, qualsiasi cosa che possa suonare, anche tacitamente, anche implicitamente, come disapprovazione verso la filosofia dell’edonismo naturalista assoluto.

Il primo assertore di questa nuova maniera di porsi di fronte alla vita è stato, nella cultura europea, Giovanni Boccaccio. Nel Decameron, si assiste a un completo rovesciamento dei valori, un rovesciamento che sarebbe piaciuto a Nietzsche: buono diventa ciò che prima era cattivo, e cattivo ciò che era buono. L’eros, in particolare, ritorna a ciò che era stato nel mondo antico, liberato dalla spiritualizzazione che il cristianesimo, nell’arco di secoli, vi aveva operato; e, tornato ad essere una pura forza della natura, possente e indomabile, porta in se stesso il "diritto" ad esplicarsi e realizzarsi, senza vergogna e senza timori: essendo una forza della natura, contrastarlo sarebbe non solo inutile, ma anche ingiusto. Boccaccio, perciò, assai più di Petrarca, è il primo uomo moderno, nel pieno senso della parola: Petrarca, con tutti i suoi scrupoli e i suoi sensi di colpa, è ancora un uomo irrisolto — e perciò contraddittorio e nevrotico -, dilaniato fra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo; dove il "vecchio" è, in effetti, l’uomo nuovo di san Paolo e sant’Agostino, mentre il "nuovo" è, in effetti, l’uomo vecchio, l’uomo pagano, che ritorna con tutta la sua antica forza, dopo secoli di "repressione". E poco importa che lo stesso Boccaccio, a un certo punto, sia stato preso, a sua volta, da scrupoli e sensi di colpa, tanto da meditare di dare alle fiamme il suo libro: ciò riguarda la sua biografia privata, non il contributo che egli ha dato allo sviluppo della cultura occidentale. E quel contribuito è consistito in un radiale ritorno al naturalismo e al paganesimo. Si prenda la famosa novella di Nastagio degli Onesti: in essa viene detto a chiare lettere che il "peccato" non è più cedere all’amore, ma resistere all’amore, e colui (o colei) che vi resiste, va all’inferno, capovolgendo la concezione di Dante, così eloquente, fra gli altri, nell’episodio di Paolo e Francesca.

La società moderna ha recepito la lezione, l’ha introiettata, l’ha fatta sua fino alla più intima essenza, espellendo letteralmente secoli e secoli di tradizione, di morale, di dottrina cristiana, con la volonterosa collaborazione dei cristiani stessi. Si prenda in mano una qualsiasi rivista illustrata, e, sfogliandola, si dia un’occhiata all’immancabile rubrica di psicologia; la musica è sempre la stessa: Siate voi stessi; Liberatevi dalle inibizioni; Siete meravigliosi, così come siete; Manifestate apertamente quel che sentite; Non ponete limiti alla vostra voglia di vivere, laddove, per "voglia di vivere", si intende qualsiasi licenza, disordine, eccesso, fatti passare per giuste e legittime "esigenze" della propria personalità. Quel che si sente, d’istinto, d’impulso, è già bene, di per se stessa; il male, come per Boccaccio, consiste nel negare i propri sentimenti, nel misconoscere la propria sete di felicità. Anche se si tratta di portar via la donna a nostro fratello, a nostro padre, al nostro migliore amico; anche se si tratta di sedurre un ragazzino da parte di una ultracinquantenne, l’amico del proprio figlio, per esempio; anche se si tratta di un professore che sbava di desiderio per la propria studentessa quindicenne. Va tutto bene, è tutto giusto e lecito. Dell’omosessualità, non parliamone neppure: chi mai oserebbe trattarla come una deviazione? E deviazione da che cosa, poi? In amore non esistono regole, non esistono leggi: è bello quel che piace, è giusto quel che si desidera; abbiamo una vita sola e dobbiamo cercare di goderla. Vige un naturalismo radicale, assoluto, che non ammette ostacoli, né scrupoli, né remore di sorta. In una cosa sola il naturalismo odierno differisce da quello del paganesimo antico: che è un naturalismo furbesco, perché esalta la bontà della natura fin dove ciò gli fa comodo, altrimenti se ne infischia della natura e rivendica il proprio diritto alla felicità utilizzando altri argomenti, completamente diversi. Tali argomenti sono, essenzialmente, quelli della tecnologia. Il naturalismo della civiltà moderna è ci si conceda l’ossimoro, un naturalismo ad alta definizione tecnologica.

Prendiamo il caso di una donna di sessant’anni che, dopo essersi dedicata alla carriera, decide che è giunto il momento, per lei, di godersi le gioie della maternità: con o senza marito, si capisce, questi sono dettagli trascurabili; non è importante che il nascituro abbia una mamma e un papà, ma che lei abbia un bambino. Ovviamente, secondo le leggi della natura, la cosa sarebbe impossibile, o meglio, impensabile: una donna di sessant’anni non può nemmeno sognarsi di desiderare d’essere mamma. Se voleva provare la gioia di avere un figlio, doveva pensarci prima; ora il tempo è scaduto. Potrà dedicarsi ai nipotini, se ne ha; potrà dedicarsi al volontariato, e prendersi cura di bambini estranei; potrà dedicarsi ad altre forme d’interazione sociale, frequentare l’università degli anziani, iscriversi a qualche gruppo di beneficenza, di preghiera, di spiritualità; oppure godersi la pensione viaggiando, se ne ha i mezzi economici, visitando musei e città d’arte; oppure ancora leggendo, praticando — moderatamente — qualche attività sportiva, coltivando il giardino, praticando l’uncinetto. Insomma, potrà fare molte, moltissime cose, comprese quelle che una sessantenne di una o due generazione fa non avrebbe mai potuto fare; ma metterà una bella pietra sopra ai suoi sogni materni frustrati. Invece, oggi, con l’ausilio della tecnica, vi sono donne di sessant’anni che vogliono essere madri e che effettivamente lo diventano. Poco importa se, prima che il bambino abbia finito le elementari, loro saranno delle nonne di settant’anni e non potranno stargli vicino con la necessaria efficienza fisica e mentale; poco importa se il povero figlio, a vent’anni, dovrà fare i conti con la senilità di sua mamma, cercarle una sistemazione per la vecchiaia, interessarsi delle cure mediche, subire gli effetti devastanti che il morbo di Alzheimer crea non solo all’anziano, ma anche alle persone che si prendono cura di lui. Quel che la nostra sessantenne voleva ottenere, l’ha ottenuto: il gusto della maternità e il piacere di aver sottomesso la natura. In questo caso, il naturalismo cui ci si rifà non è quello della natura vera, ma quello della natura artificiale, ricreata e manipolata secondo la volontà di dominio degli esseri umani. Con l’inseminazione artificiale e con la fecondazione eterologa si può comandare alla natura in una maniera che sarebbe stata impensabile per le donne di una o due generazioni fa. Si può perfino avere un figlio dal compagno morto da parecchi anni, purché si disponga di una certa quantità del suo liquido seminale, opportunamente congelata in qualche "banca" del seme.

E quel che abbiamo detto per la donna di sessant’anni che vuole divenire mamma, vale anche per mille altre situazioni, le quali, dal punto di vista biologico, sono impossibili, ma che la tecnica oggi esistente è capace di risolvere, mettendo le rispettive soluzioni a portata di mano di quanti possono e vogliono farvi ricorso. Si può, con la chirurgia e con delle opportune cure ormonali, cambiare sesso: diventare donna oppure uomo, secondo i casi. Non ci sono quasi più limiti a quel che si può fare. E, come sempre accade, l’aumento esponenziale dell’offerta crea un aumento esponenziale della domanda. Persone che, in epiche tecnologicamente meno sviluppate, si sarebbero rassegnate a non poter fare certe cose, o a non poter essere in un certo modo, oggi non si rassegnano affatto e dicono che preferirebbero morire, piuttosto che rinunciare ai propri sogni. Rivendicano il loro diritto alla felicità, come chiunque altro. Un uomo, maturo e villoso, corona il proprio sogno di tutta la vita: sposare il suo dolce compagno, indossando un abito bianco da sposa, coi fiori d’arancio, naturalmente dopo aver cambiato sesso. Oppure no? In fondo, questi sono dettagli: l’edonismo radicale odierno rivendica il diritto di sentirsi quel che si vuole, di volta in volta, secondo una identità liquida, umbratile, cangiante. È l’estrema rivolta degli eroi di Pirandello contro l’odiata società, che impone le maschere: adesso sono gli altri che devono far buon viso al nostro gioco; e se lui vuole essere chiamato "lei", o se lei vuole essere chiamata "lui", gli altri devono adeguarsi e obbedire, altrimenti si beccano una bella denuncia per il reato di omofobia, e ci penserà lo Stato a punirli di essere intolleranti e bigotti. L’ultimo ostacolo alla realizzazione dei propri "sogni" edonisti non è l’impossibilità tecnologica, ma le "obsolete" barriere legislative. Ma anche a tale ostacolo si è provveduto, o si sta provvedendo. Oggi, in quasi tutti i Paesi occidentali, sono state riconosciute le unioni omosessuali e le adozioni di bambini da parte di tali coppie, col supporto di stuoli di psicologi i quali affermano l’esatto contrario di ciò che loro stessi, o i loro colleghi, affermavano venti o trent’anni fa: ossia che i bambini affidati a simili coppie cresceranno felici e perfettamente equilibrati. Ma non basta: quasi tutti gli Stati hanno varato una legislazione contro l’omofobia, riducendo al silenzio, di fatto, qualsiasi critica e qualunque obiezione alla dilagante ideologia omosessista. Tutto ciò dimostra almeno una cosa: che la natura viene invocata quando si tratta di soddisfare istinti "semplici", anche se, magari, aberranti; quando si tratta di istinti complicati, tortuosi, contraddittori, assurdi, deliranti, si invoca la tecnologia, affinché "corregga" la natura. È un gioco facile: si vince sempre, non si perde mai. Si vince quando si invoca la natura e si vince quando ci si affida alla tecnica. L’importante è stabilire un principio: che nulla e nessuno hanno il diritto di frapporsi fra me e l’oggetto del mio desiderio: è sufficiente sfoderare la parola magica, istinto, per ottenere ascolto e comprensione; poi si ricorre alla seconda espressione magica, situazioni di fatto, e si induce il legislatore a riconoscere ciò che, fino al giorno prima, era considerato assurdo, pazzesco. È una partita in due mosse: con la prima mossa si stabilisce il diritto ad essere "se stessi", per esempio ad avere un figlio, pur trattandosi di due uomini che convivono e che, secondo le leggi di natura, figli, certo, non ne possono avere; con la seconda mossa, si pretende la soddisfazione di quel "legittimo" desiderio di paternità, e si rende lecita, ad esempio, la pratica del’utero in affitto. Così tutti sono contenti e nessuno deve sacrificarsi, nessuno deve rinunciare a nulla. Tranne, forse, i bambini che vengono così "ottenuti", oppure adottati; ma anche per loro, ci sarà sempre un volonteroso magistrato, disposto a stabilire che quella famiglia arcobaleno è quanto di più idoneo si possa immaginare per la crescita sana e felice di un bambino, dato che non vi fa difetto l’unica cosa che conti realmente: l’amore. Ora ci sono anche teologi, vescovi e sacerdoti cattolici pronti a benedire simili pratiche e famiglie; che altro manca affinché si realizzi la perfetta felicità universale, secondo gli auspici del pensiero illuminista? In Brasile, due genitori gay hanno fatto battezzare i loro tre figli adottivi e poi hanno chiesto la benedizione di papa Francesco: giunta puntuale, insieme alle felicitazioni. E cosa potrebbe mancare a un tale quadretto di gioia domestica?

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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