
La donna, la seduzione, l’amore nel mondo greco e… oggi
28 Luglio 2015
Fino a che punto è giusto coltivare la virtù dell’umiltà?
28 Luglio 2015C’è stato un tempo – non già un tempo mitico, come quello del "buon selvaggio" alla Rousseau: e quelli della nostra generazione l’hanno conosciuto – in cui era possibile imbattersi, con una certa frequenza, in un tipo umano divenuto, al giorno d’oggi, rarissimo e quasi introvabile: il tipo dell’uomo e della donna "buoni".
Parliamo di persone buone, senza aggettivi: non buone perché aderivano a una certa ideologia; non buone perché desideravano farsi notare; e nemmeno perché avessero fatto una particolare scelta esistenziale, o possedessero un certo bagaglio culturale, o volessero dimostrar qualcosa agli altri: buone, semplicemente perché erano buone.
La loro bontà non aveva niente di generico, di artificiale, di zuccheroso: erano uomini e donne forti, talvolta con una famiglia a carico, altre volte no; talvolta laici, talvolta sacerdoti, o frati, o suore; talvolta molto anziani e resi saggi e miti dalle loro esperienze di vita, altre volte, invece, ancora relativamente giovani. Una cosa accomunava questi individui: una benevolenza istintiva verso il prossimo e verso la vita nel suo insieme; la delicatezza d’animo, unita alla volontà e alla fortezza; la grande capacità di discernimento morale, frutto di una disposizione al bene che veniva loro da una autentica e misteriosa forza interiore, e non certa estranea ai buoni esempi ricevuti, a loro volta, dalle famiglie da cui provenivano.
Quasi sempre erano persone animate da una profonda fede religiosa, il più delle volte semplice; non persone che conoscessero a memoria la Bibbia, né persone che stavano tutto il giorno in chiesa a pregare (anche se pregavano spesso, spessissimo: ma anche a casa loro, anche sul lavoro, e non necessariamente nella maniera "classica", piuttosto colloquiando continuamente con il Signore); ed erano talmente dedite al bene, talmente generose, talmente pure di cuore, da non vantarsi affatto della loro vita, da non ritenersi, anzi, in nulla superiori ai loro compaesani. Vivevano in mezzo alle rispettive comunità come angeli discreti, senza farsi notare in alcun modo: eppure risaltavano ed erano ben conosciute da tutti, proprio — si direbbe — in ragione della loro fortissima propensione alla modestia e al nascondimento.
Quando venivano a mancare, perché la morte le chiamava in Cielo, la comunità percepiva immediatamente un pensoso senso di vuoto: solo allora gli altri potevano misurare fino a che punto la presenza di quelle anime buone fosse stata positiva, fosse stata benefica, fosse stata portatrice di pace, di serenità, di spirito di collaborazione. Le loro case, rimaste vuote, senza più i fiori sul davanzale, senza più il fumo che esce dal camino, e destinate a deperire poco alla volta, o magari ad essere radicalmente ristrutturate dagli eredi, che le trasformavano in edifici ultra-moderni e irriconoscibili, restavano come gusci vuoti, la cui vista riempiva il cuore di mestizia e di malinconia a quanti le avevano conosciute.
Erano, inoltre, persone serene, ottimiste, spesso decisamente allegre; amavano la vita; frequentemente le si udiva cantare o fischiettare; e chi bussava alla loro porta, era certo di non andare via senza un sorriso e una parola buona, ma non una parola buona generica e insipida, bensì una parola buona di quelle vere, di quelle forti, di quelle che rialzano il morale anche a quanti sono più scoraggiati e disorientati, anche a quanti sono giunti al limite della disperazione. Oggi, per avere un buon consiglio, molto spesso bisogna pagare dei sedicenti professionisti della psiche: ma che, da essi, riceveremo davvero dei consigli buoni, è tutto da vedere. Anche da questo si può capire quanto siamo diventati più poveri, noi che ci vantiamo di avere costruito la "civiltà del benessere". Abbiamo perso l’elemento primario di ciò che far star bene le persone e le comunità: la presenza di uomini e donne realmente buoni.
Per quanto riguarda l’ottimismo, si tratta di un punto importante da chiarire. Quando diciamo che le persone buone erano, generalmente, ottimiste, non ci riferiamo ad una qualche forma di ottimismo sciocco e superficiale, all’ottimismo di chi ripete delle formule preconfezionate e imparate a memoria, o, peggio, di chi non possiede la benché minima consapevolezza di quanto sia forte e radicata, e perciò temibile, la presenza del male nell’economia della vita universale, e anche in quella della nostra vita individuale.
No: alludiamo a una forma serena e pacata di ottimismo, che non ignora le profondità misteriose del male, ma che non se ne lascia sbigottire, non se ne lascia ipnotizzare, come il topolino che si lascia ipnotizzare dal serpente, prima di esserne divorato. In particolare, alludiamo all’ottimismo che deriva dalla fede: perché la persona buona sa che nessuno di noi, con le sue sole forze, può fare nulla di buono, e tanto meno sconfiggere il male; ma che non ci sono quasi limiti a ciò che possiamo fare, pur essendo creature, con l’aiuto di Dio, se a Lui ci rivolgiamo e a Lui ci affidiamo con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Leggiamo una bella pagina del libro di Mauro Corona «I fantasmi di pietra» (Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, pp. 17-9):
«.., Proseguo dentro l’inverno del villaggio. Gli scarponi frantumano barbe di ghiaccio che emettono suoni argentini. Un vento tagliente corre tra le vie, entra nei cortili, nelle case, nei vestiti, nell’anima. Guardo la casa del caro amico Carle. L’aveva ristrutturata con sacrifici. Era sua intenzione tornarvi ad abitare, voleva invecchiare nel luogo d’origine. Il destino non gli concesse questa soddisfazione. Dalla dimora di Carle, proseguendo verso il tramonto, sulla sinistra appare il cielo di Marzana, sul lato opposto della valle. Un tempo l’azzurro non si vedeva. Una fila di case occupava lo spazio. Oggi non ci sono più, il vuoto è riapparso liberando cielo. Allungando la mano, si possono toccare le pietre dei crolli accatastate alla rinfusa l’una sull’altra. Ricordo una casa dall’aspetto fiabesco tutta in legno, con scala esterna di larice e un grande portico a galleria sopra il quale, appollaiate come nidi di rondini, vivevano quattro famiglie. D’inverno nevicava. Il freddo tappava tutti dentro, il paese restava deserto. Percorrevo quella stretta via per andare a trovare mia nonna. Di fronte alla casa fiabesca alzavo gli occhi Vedevo teste di bambini che guardavano cadere i fiocchi. I camini fumavano giorno e notte, per non far raffreddare le stanze. Sulle macerie di quella splendida casa in cui sognavo di abitare, oggi qualcuno ha alato una rete metallica per rinchiudervi galline da uova. Un investimento a rischio. Non per l’aviaria, per la gioia della volpe.
Calpesto sassi ed erbe ghiacciate. Lungo tutta la via non c’è altro. Sopra un alto muro di sassi tappezzato di muschio rattrappito, un cortile abbandonato dorme nel gelo. Le case attorno lo guardano attonite, senza voce. Imposte scardinate penzolano nel vuoto come bandiere di legno a mezz’asta lungo i muri. Un cesso di cemento, che stava incollato alla parete della casa come un francobollo, è crollato. Lo squarcio lascia intravedere l’interno di una stanza con le giacche da festa ancora appese alle grucce. Era gente di chiesa, andava a messa ogni mattina mettendo la giacca buona. Qualche metro prima vi è una casupola dove tirava avanti i suoi giorni una vecchina tutta sola, che pregava sempre e invitava al perdono. La chiamavano "quella che non fa del male a nessuno". Girava casa per casa, dove sapeva ci fossero dissapori, nel tentativo, spesso riuscito, di sedare quelle incomprensioni inutili. Cercava di metter pace tra parenti rissosi o componenti di famiglie in disaccordo. Era di una bontà disarmante. Forse per questo riusciva a convincere i contendenti che non valeva la pena beccarsi. Alcuni la prendevano a male parole, ma lei non batteva ciglio.
Lungo l’intera via abita la desolazione dell’abbandono che, anno dopo anno, corrode i muri delle case strette nell’abbraccio glaciale dell’inverno. Da tutto questo sfacelo, come immune dai morsi del tempo, si salva la casa della vecchia che non faceva male a nessuno. L’abitazione è rimasta intatta, integra come appena tirata su, come se la bontà della donna fosse nascosta dentro i muri a preservare la casa dalle spallate del tempo. La bontà è un conservante speciale, mantiene giovani, fa rimanere bambini, tiene in piedi l’entusiasmo, la fiducia, il buonumore. Chiedevamo alla vecchietta se aveva paura della morte per sentirci rispondere che non aveva alcuna paura, anzi, non vedeva l’ora di morire per incontrare Dio. Il destino la premiò prima che potesse assistere al dramma del Vajont. Il 2 ottobre 1963, sette giorni prima della catastrofe, qualcuno s’accorse che il camino di colei che non faceva male a nessuno non fumava. Non fumò per tutto il giorno. Allora andarono a chiamarla senza ottenere risposta. Spinsero la porta (non chiudeva mai a chiave) ed entrarono. La vecchietta stava seduta sulla panca del focolare, la schiena appoggiata al muro, lo sguardo rivolto verso l’alto, dove s’apriva la cappa del camino. Teneva la corona del rosario nella mano destra, l’unghia del pollice puntata sulla settima Ave Maria. Aveva l’aria tranquilla. "è morta pregando", dissero. Il suo viso cercava Dio nella cappa del camino. Quel Dio che voleva incontrare dopo morta e che ora, sicuramente, le stava davanti. Non molto tempo fa ho saputo che la casetta di quella santa donna è stata venduta a un forestiero. Spero che il nuovo padrone non apporti troppe modifiche a quel luogo di pace. Se saprà rispettare l’interno, dove l’anima della vecchietta palpita tra i muri come un pulcino nell’uovo, ne riceverà benefici. Là dentro si sentirà sereno e rilassato. Il piacere della bontà si eredita. Abita i luoghi dove è stato esercitato, impregna i muri, le assi, i solai, i soffitti, cala addosso come neve benefica a chi apre la porta e accende il fuoco.»
Sì: erano angeli della pace, quelle persone buone: il calore che da esse irradiava, era sufficiente a scaldare il cuore di una intera comunità.
Oggi, sono diventate estremamente rare; e tuttavia esistono ancora. Bisogna imparare a vedere, e non limitarsi a guardare: il tesoro della loro presenza non ci ha lasciati del tutto; ma è come se si fossero ulteriormente ritirate, quasi intimidite dal clima generale che si respira nella società odierna. Un clima complessivo che non abbiamo alcuna esitazione a definire come estremamente negativo, quasi diabolico: che una simile espressione piaccia o che non piaccia ai Soloni della cultura, del giornalismo, dell’insegnamento, tutti debitamente progressisti e politicamente corretti.
Già: perché oggi non è più di moda parlare del male, e nemmeno del Diavolo: si vuol fare finta che vada tutto bene, che la natura sia buona in se stessa, e che ciascuno di noi sia perfettamente in grado, purché usi lo strumento della ragione, di riconoscere e separare ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, ciò che è bene da ciò che è male, nonché di metterlo in pratica. Perfino i cristiani sono giunti, spesso, a questo estremo di semplificazione, di buonismo ingenuo, di indottrinamento ideologico laicista e materialista: come se si potesse vedere e riconoscere il bene, senza averne la giusta nozione; e come se davvero lo si potesse praticare, senza aver mai allenato la volontà, né aver mai ricevuto dei buoni esempi.
Eppure abbiamo bisogno di persone buone, perché esse sono il sale del mondo: senza di loro, tutto va a rotoli. Se vengono a mancare le persone buone, o se diventano troppo poche, la società viene influenzata in misura crescente dai malvagi: bastano poche mele marce per infettare tutto il canestro. Oggi, lo sappiamo bene, non è più di moda fare simili discorsi; si vende l’ottimismo antropologico all’ingrosso, e si proclama, in nome della democrazia (o, piuttosto, della più spudorata demagogia), che tutti sono capaci di vedere e praticare il bene; però, nello stesso tempo, si predica e si sparge a piene mani il cattivo seme del relativismo, che paralizza e rende vana la pratica del bene. Infatti, se tutto è bene, purché corrisponda a un nostro piacere, a un nostro vantaggio, a un nostro utile, chi mai scorgerà più il male? Chi potrà opporvisi? Chi riuscirà a difendersene?
L’astuzia del Demonio è proprio questa: insinuarsi, con sottili ragionamenti e con raffinata superbia intellettuale, nelle menti delle persone istruite: una volta convertite queste al proprio credo, e trasformate in docili strumenti di perdizione, tutta la società ne viene influenzata in senso deleterio, fino a rotolare verso il baratro dell’auto-distruzione. L’incredulità, il relativismo e il materialismo grossolano sono i frutti avvelenati della Ragione illuminista e della perversione culturale e morale della civiltà moderna.
Ma le persone buone, grazie a Dio, non hanno bisogno di libri o di cultura, per manifestarsi fra noi…
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