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Tempo di prova

C’è un tempo, dice il Libro dell’Ecclesiaste, per ogni cosa: per nascere e per morire; per piangere e per ridere; per cercare e per perdere; per serbare e per buttare via; per la pace e per la guerra. Il tempo in cui viviamo noi, oggi, è il tempo della prova: e, dopo la prova, verrà il tempo della giustizia. Ora noi siamo messi nel crogiolo, siamo battuti e vagliati come il grano: e possiamo contare solo su noi stessi e sull’aiuto di Dio. Chi doveva guidarci, ci ha condotti fuori dalla strada giusta; chi doveva vigilare, s’è addormentato; chi doveva sostenerci, è diventato per noi occasione di scandalo. I pastori si sono rivelati mercenari, o, peggio, alcuni di essi si sono rivelati dei lupi rapaci, e, invece di custodire le pecorelle che erano state loro affidate, si sono gettati su di esse con le unghie e con le zanne per sbranarle. Ciò a cui stiamo assistendo è sconvolgente: una immensa moltitudine di anime è in pericolo, sedotta e ingannata da dottrine aberranti, da una deliberata mistificazione del Vangelo. Costoro hanno fabbricato una falsa religione al posto della vera, e la stanno spacciando per quella: con parole menzognere, con concetti sofistici, con gesti teatrali, e, soprattutto, sfruttando gli umori della folla, che sempre ascolta volentieri la voce di chi non parla di sacrifici, di lotte e della Croce, ma parla solo di letizia, di misericordia, di perdono (senza pentimento) hanno letteralmente stravolto il messaggio di Gesù Cristo, lo hanno deturpato, lo hanno reso irriconoscibile. Del resto, che importa Gesù Cristo? Ora c’è il papa, da adorare: il papa così buono e progressista, così aperto e dialogante verso tutti, così simpatico nel dire ciò che piace e nel tacere ciò che non piace, così abile nel falsificare la dottrina cattolica, così spregiudicato nel portare avanti la sua strategia dell’apostasia generalizzata, al punto che milioni di cattolici non se ne rendono conto. E così stiamo scivolando anche nell’idolatria: si adora un uomo, invece di Dio solo; si guarda a lui, ma non alla Croce; si ascolta lui e non si mettono in pratica i comandamenti di Gesù, che pure sono così chiari e privi di ogni ambiguità. L’uomo non separi ciò che Dio ha unito, dice Gesù; ma il papa, invece, parla di situazioni complesse, di situazioni problematiche, di esami di coscienza soggettivi, di fare non ciò che si deve, ma ciò che si può, e perfino di un Dio che gradisce il peccato, che si aspetta dal peccatore proprio quello, e non altro! E questa dottrina inaudita, che ha suscitato, giustamente, le perplessità e il turbamento di tanti, è stata insegnata dall’alto del Magistero; e quattro eminenti cardinali, che avevano chiesto, legittimamente e rispettosamente, dei chiarimenti su di essa, non hanno ricevuto alcuna risposta, né sono stati ricevuti in udienza, come pure avevamo domandato. Due di loro sono già morti. La risposta del papa dialogante è stata un silenzio assordante, carico di disprezzo e assolutamente non cristiano. Gesù rispondeva sempre alle domande dei suoi interlocutori, perfino quando erano fatte chiaramente in mala fede (e non è questo il caso). Rispondeva, chiariva, scioglieva i dubbi: era mite, paziente, comprensivo, e, nello stesso tempo, intransigente quanto ai contenuti. Perfino alle domande di Ponzio Pilato ha risposto, e gli ha chiarito che il suo Regno non è di questo mondo. In un solo caso non ha voluto rispondere: davanti alle domande oziose e irridenti di Erode Antipa, l’assassinio del Battista. I quattro cardinali meritavano la stessa considerazione che Gesù aveva per Erode Antipa? E, comunque, visto che dietro di essi c’erano le perplessità e i turbamenti di numerosi cattolici, non era giusto e doveroso rispondere, in ogni caso? Non è questo il dovere del sacro Magistero: chiarire, dissipare le incertezze? In realtà, noi sappiamo perché il papa non ha risposto: perché non poteva. Avrebbe dovuto ammettere che Amoris laetitia contiene gravissimi errori di tipo teologico, e non solo per quel che riguarda l’indissolubilità del matrimonio, ribadendo che il supremo giudice di un’azione morale è la coscienza soggettiva dell’uomo, come del resto aveva fatto sin dall’inizio del suo pontificato, e non in un documento ufficiale ma nella famosa intervista a Eugenio Scalari, il papa ha introdotto nel cattolicesimo un elemento non cattolico, suscettibile di scardinare tutta la morale e tutta la dottrina della Chiesa. Sparisce l’oggettività della legge morale, subentra il relativismo. E siccome è proprio questo che egli pensa, è proprio questo ciò a cui mira, non poteva rispondere ai dubia dei quattro cardinali. Avrebbe dovuto confessare la propria eresia; ma glielo impediva, oltre alla superbia, la strategia adottata, di sovvertite la dottrina dall’interno, un passo dopo l’altro, senza farsene accorgere, o, almeno, senza farsene accorgere dalle masse. Tanto peggio per quei cattolici che, da soli, si rendono conto di ciò che sta accadendo. Che se la sbrighino da sé, come meglio sanno e possono.

Non si deve credere che sia tutta opera di questo pontefice. Le cose, sotto papa Francesco, hanno preso un’accelerazione impressionante, ma la strategia della manipolazione era in atto da molto tempo: almeno a partire dal Concilio Vaticano II. È allora che si consuma la prima rottura con alcuni punti essenziali della dottrina cattolica, e che s’introducono novità devastanti nell’ambito liturgico. Ora, dal 1962 ad oggi, sono passati 55 anni: più di mezzo secolo. Per mezzo secolo, costoro hanno continuato a introdurre, cautamente al principio, poi sempre più apertamente, novità, "riforme", "rinnovamenti" d’ogni tipo, sempre con il pretesto di aggiornare, di rendere più comprensibile, di adottare un linguaggio più efficace per l’uomo moderno, eccetera; sempre sostenendo, in perfetta mala fede, che il Deposito della fede non si tocca, che il Magistero è sempre quello, che la sostanza delle fede è immutabile e inalterabile. E così, un poco alla volta, siamo arrivati alla situazione odierna. È doveroso, perciò, domandarsi: nessuno si era mai accorto di nulla? A nessuno era sembrato che i conti non tornassero? Il puzzo di bruciato, nessuno l’aveva sentito? Eppure, ci sono stati dei momenti di svolta particolarmente evidenti: la Nostra aetate, per esempio, che apriva una fessura neanche tanto piccola al relativismo e all’indifferentismo religioso; poi la promozione dei giudei da bisognosi conversione, a fratelli e sorelle maggiori, per opera di Giovanni Paolo II, nel 1999 (espressioni trionfalmente riprese, è cosa ovvia, da papa Francesco); e ancora, gli incontri interreligiosi di Assisi. Da ciascuno di questo eventi si poteva e si doveva capire quel che stava bollendo in pentola e dove si voleva andare a parare: alla negazione del Vangelo e della Chiesa cattolica come unica via alla Verità, e, pertanto, alla salvezza; e, di conseguenza, alla prova generale per la smobilitazione generale del cattolicesimo e della Chiesa stessa. Quando passerà del tutto il principio, finora solamente suggerito e sussurrato, ma fra poco, ne siamo certissimi, apertamente proclamato, che tutte le religioni sono buone e portano ugualmente alla verità, e che tutte le coscienze conducono alla salvezza, il cattolicesimo, così come la Chiesa, non avranno più alcuna ragione di sussistere, se non a livello folcloristico e sentimentale. Bisogna avere il coraggio di guardare le cose in faccia e di chiamarle con il loro nome. Una religione esiste perché indica agli uomini il vero Dio e la via della salvezza; se quella stessa religione, a un certo punto, lascia intendere, o dice a chiare note, che anche le altre religioni sono ugualmente valide, anzi, che perfino l’ateismo è una possibile strada verso la Verità e verso la salvezza, che cosa ci sta ancora a fare, essa? A chi o a che cosa serve? Sarebbe come se la Banca d’Italia, per bocca del suo presidente, oppure — meglio ancora – la Banca Centrale europea, proclamassero che chiunque può stampare moneta, anche i privati, in piena libertà; e che tali banconote avranno pieno corso legale, senza alcuna restrizione e senza limite alcuno. A quel punto, che senso avrebbe l’esistenza della Banca d’Italia, o meglio, che senso avrebbe l’esistenza del denaro? Se qualsiasi moneta va bene, vuol dire che si tratta di monete simboliche, prive di valore intrinseco: per cui se ne potrebbe e se ne dovrebbe, logicamente, fare a meno. Si tornerebbe al baratto (il che, forse, non sarebbe poi una cattiva idea). Ad ogni modo, le monete e il sistema dei cambi non avrebbero più senso: sarebbero come le quinte di cartapesta in un kolossal sull’antica Roma. Ora, tornando alla nostra domanda: come è stato possibile che nessuno, o quasi nessuno, si sia accorto di nulla? Che un solo vescovo, monsignor Lefebvre, abbia detto prontamente: No, io non ci sto; io non tradisco la mia missione di pastore? Come è stato possibile che quasi tutti i cattolici abbiamo preso per buona la storiella di un Lefebvre fanatico, oscurantista, perfino razzista, considerandolo come una specie di caso patologico che non metteva minimamente in discussione la svolta conciliare e i nuovi orientamenti della Chiesa? Possibile che nessuno, o così pochi, si siano domandati se la Chiesa, allora, ha percorso una strada sbagliata per così tanto tempo; e che per quasi duemila anni essa non aveva capito ciò che i padri conciliari, improvvisamente illuminati dallo Spirito Santo (loro soli) hanno capito?

La sola conclusione onesta che si può ricavare da tali domande senza risposta, è che la nostra fede si era appannata, che la nostra adesione al Vangelo era diventata un fatto puramente abitudinario, una scelta di conformismo: cioè una non-scelta. Si era assopita la nostra vigilanza perché si era intiepidita la nostra fede. Se la fede è viva e salda, è impossibile che venga qualcuno a proclamare delle vere e proprie eresie, senza che la cosa susciti delle reazioni immediate. Se le reazioni non ci sono state; se, al contrario, è stato orchestrato un consenso sempre più grande, sia dentro la Chiesa, sia — cosa che avrebbe dovuto preoccupare, e non inorgoglire, i veri cattolici, purché dotati di un minimo d’intelligenza — fuori di essa, magari proprio da parte dei suoi nemici di sempre; se la maggioranza dei cattolici ha gradito, ha approvato, ha condiviso una serie di "ritocchi" e aggiustate che, non tanto singolarmente, quanto visti nel loro insieme, hanno letteralmente de-cattolicizzato la Chiesa, vale a dire che l’hanno svuotata della propria essenza e hanno sostituito ad essa della paccottiglia umanitaria e ambientalista, sentimentale e relativista, una religione di plastica, che si allunga e si accorcia secondo le necessità del momento, e della quale, in realtà, si può fare benissimo a meno, perché non nutre affatto la vita dell’anima, non vi immette un soffio divino, non la apre alla dimensione superiore, ma, bene al contrario, la rinserra e la restringe sempre più in un orizzonte immanentistico, finito, sostanzialmente materialista, o vagamente panteista, e la riduce a una morale minimalista, generica, sdolcinata, ben intonata alla galassia del New Age: se tutto questo è accaduto, sotto i nostri occhi, con la nostra partecipazione o con la nostra acquiescenza, con la nostra passività, con la nostra indifferenza, con la nostra ignavia, allora ciò vuol dire che noi già non eravamo più animati dalla fede, già non eravamo più cattolici. Quel che ci sta capitando oggi è solo la certificazione e, per così dire, l’ufficializzazione del fatto che noi, già da tempo, non siamo più cattolici, ma post-cattolici, a-cattolici e, per molti aspetti, anti-cattolici (anche se non lo sappiamo o facciamo finta di non saperlo). E per non parlare in maniera vaga e troppo teorica, poniamo una serie di domande ben precise: un cattolico che approva il divorzio e che vota per esso, è ancora un cattolico? Un cattolico che approva l’aborto volontario e che vota per esso, è ancora un cattolico? Un cattolico che si dice aperto sulla questione dell’eutanasia; che non vede niente di male nella sostituzione del matrimonio cristiano, con tanto di separazione e di divorzio, con le unioni di fatto, anche omosessuali, è ancora un cattolico? Un cattolico che è favorevole alle famiglie "arcobaleno" e alle adozioni di bambini da parte delle copie gay, è ancora un cattolico? Secondo noi no, assolutamente no. Non solo non è cattolico: è un anticattolico travestito da cattolico, dunque un serpente che si finge colomba, un lupo travestito da pecora. Bruttissima razza. Si può avere stima di un avversario dichiarato: non di un traditore che pugnala alle spalle i suoi compagni e sostiene di farlo per amore della verità. No, costoro non meritano alcuna stima, perché hanno sempre agito, sempre, fin dall’inizio, fin dal 1962, con metodi subdoli, obliqui, sleali: non hanno mai dichiarato le loro vere intenzioni, ma il loro obiettivo era quello di trasformare il cattolicesimo e la Chiesa in qualcosa di completamente diverso da ciò che sono sempre stati, da ciò che devono essere, se vogliono restar fedeli al Vangelo. Oh, certo; anche codesti signori proclamano la stessa cosa, la loro "suprema" fedeltà al Vangelo, il che giustificherebbe quel che stanno facendo. Tuttavia, se avessero anche solo una minima parte di ragione, ciò vorrebbe dire che la Chiesa, per duemila anni, ha insegnato il falso. Che si è sbagliata, Che il Vangelo non è quello che credevamo di conoscere, ma un’altra cosa, che adesso costoro gentilmente ci vengono a spiegare, perché, da soli, e con la guida dei vecchi pastori, non l’avevamo capita per niente. Inoltre, codesti signori si ritengono più bravi di chiunque altro, perché hanno capito la "complessità" del mondo moderno: cosa che, evidentemente, era sfuggita ai vari Pio X, Pio XI, Pio XII, a san Pio da Pietrelcina, e, prima di loro, a Pio IX, a Leone XIII, al santo curato d’Ars. Il servita David Maria Turoldo era favorevole al referendum per il mantenimento del divorzio e a quello per l’aborto, e lo disse, ovviamente tenendo conto della "complessità" delle famiglie moderne, della maternità nella società moderna. Straordinario. E nessuno lo ha buttato fuori dalla Chiesa. Questo succedeva quarant’anni fa, non oggi; oggi, si buttano fuori dalla Chiesa i sacerdoti come don Minutella; e si lodano quelli che esultano per l’amore di due omosessuali in chiesa, davanti all’altare, in piena Messa, come don Scordato: stessa diocesi di quello, Palermo, e stesso arcivescovo, Lorefice. Sì: questo è il tempo della grande prova…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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