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Ormai è chiaro dove ci vuol portare

Ormai è chiaro che il prossimo Sinodo straordinario sull’Amazzonia sarà il luogo in cui la contro-chiesa massonica del falso papa Bergoglio getterà la maschera e apertamente, alla luce del sole, pur senza mai dirlo in maniera esplicita (questo no, non sarebbe nel suo stile: il suo stile è la menzogna), proporrà ai fedeli un "cattolicesimo" che non avrà più nulla di cattolico, nemmeno le apparenze; che darà corpo a una nuova religione panteista, naturalista, animista, gradita a stregoni e sciamani, senza più l’ombra della vera dottrina e del Magistero perenne. Sarà la ripresa dei temi e dell’impostazione che abbiamo visto nell’enciclica Laudato sì, cui era stato chiamato a collaborare il famigerato ex frate francescano Leonardo Boff, figura di spicco della Teologia della liberazione, già condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (erano altri tempi): perché il documento preparatorio del sinodo, Instrumentum laboris, è stato redatto in gran parte da un personaggio che la pensa allo stesso modo, il vescovo emerito brasiliano di origine austriaca Erwin Kräutler, altro personaggio ultraprogressista e modernista che ha dato ampio saggio di sé nei trentacinque anni di attività episcopale in Sud America, dal 1980 al 2015, segnalandosi come uno dei prelati più radicali di tutta la Chiesa cattolica. In altre parole, Bergoglio, secondo la sua tattica abituale, chiama a redigere i documenti più importanti del suo pontificato personalità discusse e discutibili, che nella Chiesa cattolica, o anche ai margini di essa, rappresentano il pensiero di una infima minoranza di teologi ultraprogressisti, e pretende di imporre le loro idee a tutti i credenti, abusando del suo potere e pretendendo poi che tutto il clero e tutti i fedeli si adeguino e obbediscano alle direttive imposte dalla lobby massonica.

L’attenzione di molti si è concentrata sulla quasi certa abolizione del celibato ecclesiastico, che verrà presentata, secondo il testo preparatorio, come la necessaria eccezione alla regola, là dove c’è scarsità di sacerdoti, come accade nell’immensa regione amazzonica. Come nella miglior tradizione radicale, l’eccezione verrà usata come testa d’ariete per demolire la regola: una volta aperta la breccia, anche il resto cadrà come un frutto maturo. Bisogna fare attenzione al linguaggio, alla gesuitica doppiezza e alla sottile malizia con cui le parole vengono manipolate e taroccate: il celibato verrà esaltato, a parole s’intende, come un dono prezioso; ma un dono non è un obbligo, evidentemente; per cui, una volta fatta passare l’idea che esso è un dono, sarà facile per la contro-chiesa massonica utilizzarlo come spesso si fa con i doni: per raggiungere uno scopo non dichiarato e aggirare l’ostacolo della regola stabilita dalla Chiesa. Tuttavia, non è solo l’attacco al celibato ecclesiastico che deve suscitare le preoccupazioni dei credenti, bensì tutto l’impianto dottrinale, si fa per dire, del documento preparatorio del sinodo per l’Amazzonia. Come già i cattolici avrebbero dovuto capire fin dalla pubblicazione di Laudato si’, il 24 maggio 2015 (sono ormai passati quattro anni; e che hanno fatto i cattolici in tutto questo tempo, dormivano forse?), Bergoglio e la cricca di cardinali massoni che lo ha eletto intendono sostituire una nuova religione a sfondo ecologista, panteista e sciamanico, a quella fondata da Gesù Cristo e insediata per mezzo dei suoi Apostoli. Bisogna collocare questa operazione nel contesto sudamericano, dove l’ecologia profonda, veicolata dall’Europa e dagli Stati Uniti, sta colmando il vuoto ideologico lasciato dal marxismo, dopo il crollo dei regimi comunisti a livello mondiale. I teologi della liberazione e tutti i membri del clero e i fedeli che l’hanno abbracciata, hanno accolto, insieme ad essa, anche la sostanza della visione storico-politica del marxismo, basata su una critica unilaterale al capitalismo e su uno zoccolo di materialismo irreligioso, nonché di pragmatismo esasperato, una vera e propria religione del fare. Rimasti orfani, almeno ufficialmente, del marxismo, ma non disposti né a ricredersi, né, tanto meno, a fare ammenda davanti al fallimento mondiale del comunismo, e a tutte le macerie che esso si è lasciato dietro nella sua caduta (e di cui i cattolici, perseguitati spietatamente da tutti i regimi comunisti, dovrebbero ben sapere qualcosa), i vescovi, i preti e i laici sudamericani imbevuti di materialismo, umanitarismo e filantropismo progressista, hanno abbracciato entusiasticamente la visione dell’ecologia profonda come surrogato del loro perduto amore: essa svolge, nel loro sentire (ci sembra che sarebbe troppo parlare del loro pensiero), il ruolo che prima svolgeva la lotta di classe. Nessuna meraviglia in questa sovrapposizione di idee e valori non cattolici alla dottrina cattolica: nemmeno ai tempi d’oro della teologia della liberazione essi dichiaravano apertamente il loro marxismo; fedeli allo stile dell’ipocrisia gesuita, erano marxisti non dichiarati, semmai dicevano volentieri di condividere l’analisi marxista della società e dei suoi conflitti, non la prospettiva di fondo. Allo stesso modo, quando avrà luogo il Sinodo straordinario sull’Amazzonia, essi negheranno indignati di essere dei materialisti, dei panteisti e degli animisti, e invece è proprio ciò che sono. Il loro desiderio è quello di rendere la Chiesa cattolica una chiesa "amazzonica", dominata da un fortissimo senso della natura, un vero e proprio naturalismo privo della Grazia, che dovrà sostituirsi all’adorazione dell’unico Dio, rivelato agli uomini e incarnato nella Persona di Gesù Cristo, secondo l’ insegnamento della Chiesa.

Al tempo stesso, l’Amazzonia è la terra degli indios, quindi essi cercheranno di sostituire l’ideologia indigenista, ultima edizione riveduta e corretta del mito, stravecchio e farneticante, del Buon Selvaggio, al cattolicesimo "romano". E in primo luogo opporranno una "saggezza" primitiva, un "senso della natura" indigeno, una "comunione fra l’uomo e l’ambiente", e una venerazione del divino presente nella natura stessa, alla rigida, vecchia, obsoleta dottrina cattolica uscita dal Concilio di Trento, così terribilmente antropocentrica, etnocentrica, eurocentrica e romano-centrica. Insomma cercheranno di completare l’opera del Concilio, cioè demolire l’impalcatura della dottrina cattolica, servendosi del bagaglio ideologico indigenista ed ecologista, contrabbandato per spirito francescano di fratellanza con tutti i viventi e per sapienza ancestrale degli uomini primitivi che sanno vivere in armonia con la natura. Anche qui, si tratta di una sorta di ripiego ideologico, tanto più esiziale in quanto non ammesso e non riconosciuto a livello esplicito (quindi fonte di cattiva coscienza): il buon selvaggio dell’Amazzonia, coi suoi buoni stregoni e i buoni sciamani, è il surrogato del buon rivoluzionario marxista, del guerrigliero dei Tupamaros o di Sendero Luminoso i quali, sconfitti sul campo, rientrano dalla finestra, truccati da indigeni, dopo essere stati cacciato dalla porta. Il paradosso, pertanto, è questo: che una ideologia politica sconfitta e rifiutata anche nei suoi luoghi d’origine, da un capo all’altro dell’America Latina, viene ora trasformata in cavallo di Troia per irrompere nella cittadella della Chiesa romana e per consentire ai vescovi ultraprogressisti europei, specialmente tedeschi, tutti discepoli di Karl Rahner, Walter Kasper e Hans Küng, di raggiungere l’obiettivo che si sono prefissati sin dagli anni del Concilio: sovvertire la Chiesa dall’interno; o, come diceva lo scaltro modernista Ernesto Buonaiuti, cambiare Roma con Roma. Ora, cambiare la Chiesa ad opera della Chiesa stessa, e senza che la maggioranza del clero e dei fedeli se ne accorgano e se ne rendano conto (perché di questo in realtà si tratta: cioè di un colpo di Stato strisciante, più che di una rivoluzione), non è cosa che si possa fare alla luce del sole; o meglio, la si può fare alla luce del sole, ma dopo aver bombardato i credenti, per anni, per decenni, con parole d’ordine solo apparentemente cattoliche, ma in realtà sottilmente impregnate d’eresia. Per anni, per decenni, si è operata questa mistificazione mediante il linguaggio, e alla fine i cattolici, che non sono più tali, ma credono ancora di esserlo, prendono quelle parole nel senso dell’eresia strisciante, non nel senso cattolico ortodosso. Per esempio, da che mondo è mondo, dialogo significa parlare con l’altro; e dialogare è una bella cosa, fin quando possibile e finché non equivale a una rinuncia ad essere se stessi; ma dal Concilio in poi vi è stata una vera e propria traslazione di significato, e "dialogo" è diventato il mantra destinato a far passare un’idea non cattolica, cioè che bisogni rinunciare a convertire i non cattolici, iniziando dai protestanti, perché non sarebbe rispettoso nei confronti dell’interlocutore, dotato di pari dignità. Ecco l’inganno: far credere che il principio laico, e laicista, della libertà religiosa, valga anche per il cattolicesimo; che ogni fede sia equivalente a ciascun’altra, e che non vi siano false religioni, perché ciò sarebbe irriguardoso nei confronti dei loro seguaci. Gesù, il grande, il solo modello, parlava con tutti, ma non dialogava, se con ciò s’intende che mettesse la Verità sullo stesso piano di ogni altra "verità" umana. Gesù insegnava e lo faceva con autorità, non dialogava.

Qualcuno potrebbe pensare che questa analisi sia tropo severa, o che sia una sorta di processo alle intenzioni. Ma Instrumentum laboris non è un’intenzione, è un documento che servirà di base al Sinodo sull’Amazzonia; e quanto alla critica che abbiamo fatto, ecco qualche parere. Aldo Maria Valli, dal suo blog, nell’articolo Signori cardinali e vescovi, davvero volte questa chiesa, dice:

Il soffio panteista che anima la natura amazzonica è un "leit-motiv" del documento«Lo Spirito creatore che riempie l’universo (cf. Sap 1,7) è lo Spirito che per secoli ha nutrito la spiritualità di questi popoli anche prima dell’annuncio del Vangelo e li spinge ad accettarlo a partire dalle loro culture e tradizioni» (n. 120). Perciò, «è necessario cogliere ciò che lo Spirito del Signore ha insegnato a questi popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre Creatore, il senso di comunione e di armonia con la terra, il senso di solidarietà con i propri compagni, il progetto del "buon vivere", la saggezza di civiltà millenarie che gli anziani possiedono e che ha effetti sulla salute, sulla convivenza, sull’educazione e sulla coltivazione della terra, il rapporto vivo con la natura e la ‘Madre Terra’, la capacità di resistenza e resilienza delle donne in particolare, i riti e le espressioni religiose, i rapporti con gli antenati, l’atteggiamento contemplativo e il senso di gratuità, di celebrazione e di festa e il senso sacro del territorio» (n. 121).

Secondo il professor Stefano Fontana, nell’articolo Sinodo Amazzonia: vescovi, rigettate quel documento (su La Nuova Bussola Quotidiana):

Nel documento confluiscono due gnosticismi. Il primo è l’idea che la salvezza derivi da una prassi, da un cristianesimo rivisto dall’interno di una situazione storica (di sfruttamento): era la via della teologia della liberazione. Il secondo è rappresentato dal primitivismo ecologistico della vita nel "tutto" della Madre Terra di cui sarebbero depositari i popoli amazzonici oggi sfruttati. Due gnosticismi in uno. Due gnosticismi poco amazzonici, molto di esportazione occidentale, pensati sulle cattedre delle nuova teologia cattolica europea.

E Riccardo Cascioli, in Sinodo Amazzonia, il problema sa nella "Laudato si’" (sempre su La Nuova Bussola Quotidiana:

Pur se nella "Laudato Si’"  viene esplicitamente criticato il "biocentrismo" tipico della cosiddetta "ecologia profonda", di fatto la forte e giustificata critica all’antropocentrismo moderno non è l’occasione di riaffermare la tradizionale visione cattolica. Tanto è vero che è liquidata in una battuta l’esperienza del monachesimo benedettino che invece è l’esempio più grande nella storia di cosa significhi un corretto rapporto con la natura che discende dal "Quaerere Deum": in una vita vissuta come ricerca di Dio, l’uomo collabora all’opera della Creazione facendo fiorire la natura intorno. Invece vengono proposte come modello di armonia tra uomo e natura le comunità primitive e aborigene (no. 146), secondo una visione tanto idilliaca quanto irreale. Proprio questa esaltazione delle culture indigene è portata alle estreme conseguenze nell‘"Instrumentum Laboris".*

Se si vuole, si può trovare un altro precedente ideologico di Instrumentum laboris, risalendo – ce ne ricordiamo? — a quel tristissimo 8 dicembre del 2015 (festa dell’Immacolata Concezione!), quando la Basilica di San Pietro fu trasformata, di notte (e coi soldi del World Bank Group), in un gigantesco schermo per proiettare figure di piante, animali, tigri, leoni, squali, gorilla, cannibali con l’osso fra i capelli, insomma tutto l’armamentario dell’ecologismo e dell’indigenismo usato per colpire in viso, come uno schiaffo, centinaia di milioni di cattolici, per ferirli nei loro sentimenti più profondi e per "abituarli" alla svolta che questa lobby massonica aveva in programma di effettuare: il passaggio morbido dal cattolicesimo al panteismo gnostico e naturalista. Un po’ come il Met Gala del 2018 ci ha abituati a non considerare più sacro ciò che è sacro, ad esempio la liturgia. Eppure, nonostante Andrea Tornielli invitasse i bravi cattolici a non scandalizzarsi per quelle fantasiose scenografie a base di foreste tropicali e belve feroci, chi voleva capire lo avrebbe potuto già allora…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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