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Omaggio alle chiese natie: San Lazzaro

Bòrc san Lazzar, borgo San Lazzaro, è uno degli angoli più caratteristici del centro storico di Udine, a ridosso del limite nord-occidentale, dove correva la quinta cerchia di mura, la più esterna, ultimata nel 1463; fino a quel momento era stato un borgo fuori città, che faceva parte della Villa Ongaresca (le ville erano appunto i borghi esterni). Qui, verso la fine del 1200, sotto il patriarca Raimondo della Torre, venne costruito un ricovero lazzaretto per i lebbrosi, cui si aggiunse una chiesa, dedicata a San Lazzaro, il personaggio della parabola del Nuovo Testamento che è venerato dalla Chiesa cattolica come protettore dei lebbrosi. La chiesa e l’ospedale si trovavano oltre l’attuale Piazzale Paolo Diacono e il Palazzo delle Mostre, circa al punto d’intersezione di via Martignacco con via Tolmezzo, che è la sua seconda laterale di destra. Il borgo si chiamava perciò anche Bòrc dai Lebròs, con quella franchezza che è tipica della società medievale, quando si diceva pene al pane e vino al vino, mentre oggi non si ha più il coraggio neanche di dire "cieco" o "sordo", ma bisogna dire "non vedente" e "non udente", o magari "ipovedente" e "ipoudente", o cose simili. Per la stessa ragione, la stradina che adduceva all’antico convento di San Francesco della Vigna era chiamata via degli Impiccati, dato che lì venivano portate le salme dei giustiziati perché ricevessero sepoltura da parte della Confraternita della Buona Morte. Ancora ai primi del Trecento possediamo un documento nel quale il borgo di San Lazzaro è chiamato Via San Lazzari Leporosorum. Quando, poi, la lebbra venne sconfitta e scomparve dal panorama sanitario friulano, il lebbrosario venne trasformato in un ospizio dipendente dall’Ospedale civile (che aveva sede nell’edificio dell’ex tribunale, in Largo Ospedale vecchio, accanto alla chiesa di San Francesco) e la sua cura fu affidata ai frati cappuccini, che vennero nel 1564 e che poi si sarebbero trasferiti nella attuale via Tiberio Deciani, che collega il borgo San Lazzaro con il borgo Gemona. Nel XV secolo venne poi costruita la porta San Lazzaro, che sopravvisse fino ad oltre la metà del XX secolo, per essere insensatamente demolita nel 1955.

È interessante notare che il terreno per la fondazione del lebbrosario e la somma necessaria per realizzare l’opera vennero sborsati da un nobile udinese che abbiamo già incontrato, quell’Uccelluto de’ Uccellis che si rese benemerito alla città anche per la fondazione del monastero delle suore clarisse e la costruzione della bella chiesa di santa Chiara, tuttora esistente, che è una delle più antiche di Udine. Abbiamo pure avuto occasione di notare che non si tratta di un’eccezione isolata: fra gli altri, abbiamo ricordato come la famiglia Arcoloniani facesse costruire la chiesa di San Leonardo in via Gorghi, nel 1363, tutt’ora esistente; e che tre secoli più tardi, alla fine del 1600, donasse a padre Giovanni Micesio una casa in via Rauscedo (poi trasferita in via Scrosoppi) per accogliervi le cosiddette derelitte. E aggiungiamo che nel 1583 la nobile vedova Elisabetta Sbrojavacca fece costruire in borgo Aquileia, accanto all’odierna Caserma Savorgnan, la chiesa di Sant’Ermacora (abbattuta nel 1864). Insomma, per i nobili del Medioevo e anche più tardi, nei secoli dal 1400 al 1700, la beneficenza in grande stile non era un’eccezione, ma una pratica diffusa, se non proprio la regola: restituivano alla società parte del loro capitale sotto forma di beni di utilità pubblica. L’egoismo feroce, l’avarizia e la cupidigia, tipiche dell’usura, sono venuti più tardi, con il trionfo del capitalismo moderno, ove il lavoro, la produzione e tutta l’economia sono basati sulla finanza, o piuttosto vampirizzati da essa; e contraddistinguono non la vecchia aristocrazia di origine feudale, ma la nuova borghesia degli affari e delle banche, soprattutto quella delle ultime due generazioni. Perché prima, sino a cinquant’anni fa, possiamo testimoniarlo personalmente, non era affatto raro che dei commercianti o degli imprenditori benestanti si mostrassero assai generosi sia con la chiesa, sia con gli istituiti caritativi pubblici, sia, in forma privata, con i parenti poveri, gli orfani e le vedove. Eppure continuano a ripeterci la storia che nell’ancién régime tutto andava male per l’egoismo dei ricchi, e solo dopo il 1789 le cose hanno preso ad andar meglio.

Scrive Gino di Caporiacco nel suo volume Udine. Appunti per la storia (Udine, Arti Grafiche Friulane, 1972, 1976, p. 55):

Chiese, conventi, un ospedale concorrevano a dare importanza al territorio. Il patriarca Raimondo aveva anche favorito, nel 1294, il sorgere del monastero delle Clarisse, presso la porta Gemona, per il quale Uccelluto degli Uccellis, cittadino udinese, spese una forte somma e lasciò cospicua dotazione. A questo Uccelluto si deve anche la fondazione della chiesa di San Lazzaro, nel 1285, presso la casa dei lebbrosi.

Risulta anche (cfr. op. cit., p. 943) che l’arengo, il supremo organo amministrativo cittadino, che si riuniva una volta all’anno, nel giorno di San Michele, nominava, nel 1420, 17 deputati, passati a ben 38 nel 1462: ebbene, uno di questi era il priore dell’ospedale di San Lazzaro, che evidentemente era divenuto una realtà cittadina di un notevole importanza, se si considera che il Duomo aveva solo due procuratori, e altri due rappresentavano tutte le altre chiese cittadine (con il nome di "calcolatori"). E adesso, due parole per spiegare la ragione di questo scritto dedicato alla chiesa di San Lazzaro, una delle più antiche della città — risalente al 1285, prima ancora di quella di Santa Chiara, che fu iniziata nel 1294 e ultimata nel 1303 — che però non esiste più del tutto, e della quale la maggioranza degli abitanti ha perso anche il ricordo. Se domandate a un udinese dove si trovi la chiesa di San Lazzaro, quasi certamente risponderà di non conoscere nessuna chiesa di San Lazzaro, ma che esiste, sì, una strada cittadina, chiamata borgo San Lazzaro: e perfino di quel nome, probabilmente, non sarà spiegarvi l’origine. Infatti, attualmente il borgo san Lazzaro è denominato via Anton Lazzaro Moro, un naturalista friulano del 1700 (al quale abbiamo dedicato, a suo tempo, un ampio studio: cfr. Anton Lazzaro Moro e il mistero dei fossili marini, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 24/06/2007 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/11/17; e un articolo più breve, Anton Lazzaro Moro, il mistero d’una carriera non realizzata, sempre sul sito della Accademia Nuova Italia, il 18/11/17). Peccato, però, che questa intitolazione non c’entri nulla con l’origine del toponimo. Insomma, il nome "Lazzaro" può generare facilmente una certa confusione: questa storica via di Udine ricorda oggi lo scienziato di San Vito al Tagliamento, ma per secoli è stata così chiamata per la presenza della chiesa di San Lazzaro, eretta in funzione del lebbrosario; sicché solo per caso la parola "Lazzaro" segna una continuità fra il vecchio e il nuovo. Da parte nostra, fin da bambini, abbiamo sempre trovato il borgo San Lazzaro (perché gli udinesi, almeno quelli di qualche anno fa, seguitavano a usare questo nome e non quello moderno di "via Moro") incredibilmente affascinante. Era veramente un angolo caratteristico, una sopravvivenza dei tempi andati ancora nel pieno degli anni ’60, gli anni del boom (che in Friuli è cominciato con almeno un quindicennio di ritardo rispetto al triangolo industriale): le vecchie case si addossavano l’una all’altra, i vecchi portomi si susseguivano con i loro archi di pietra e al loro interno si aprivano i vecchi cortili, come quelli di campagna, con tanto di orti, pollai e conigliere; c’era perfino — e c’è tuttora, per fortuna — una pregevole pittura murale del primo ‘500, rappresentante il Cristo in croce, sulla facciata di una vecchia casa: solo in borgo Ronchi si respirava un’atmosfera altrettanto rustica e popolare. Una meraviglia! Certo, c’erano anche alcuni insulsi, incongrui condomini moderni, frutto delle scelte urbanistiche delle giunte comunali succedutesi negli anni della ricostruzione, dopo la Seconda guerra mondiale; le stesse che fecero abbattere la storica Porta Ronchi. I loro progetti, in realtà, erano ancor più nefandi: avevano pensato di abbattere interamente le vecchie case del borgo e ricostruire tutto di sana pianta. Per fortuna questa soluzione draconiana non fu realizzata e la via, a partire dai primi anni ’60, si presenta come il frutto d’un compromesso: all’inizio del lato destro vi è un’insopportabile contrapposizione di stili mentre sul lato sinistro, per fortuna, le vecchie case sono state quasi tutte ristrutturate e conservate, compreso il Crocifisso rinascimentale di G. B. Grassi, discepolo del Pordenone, dipinto per la Confraternita di Santa Lucia (che aveva sede nella chiesa di S. Lucia, nell’attuale via Mantica), e che venne riportato in luce solo nella seconda metà dell’800. E tuttavia, pur godendo a percorrere quella cara strada popolare, coi suoi portoni e le sue botteghe, c’era un qualcosa di vagamente fuori posto, che non sapevamo però precisare; sentivamo che qualcosa non era come avrebbe dovuto essere: mancava qualcosa. Era come quando ci si avvicina a qualcosa e quel qualcosa non appare mai: se ne intuisce la presenza, ma questa rimane invisibile. A ben pensarci, era chiaro che cosa mancasse: mancava la chiesa. I borghi hanno, tutti, la loro chiesa; impensabile un borgo che non abbia il suo centro di vita religiosa. Borgo Grazzano ha la chiesa di san Giorgio; borgo Ronchi ha la chiesa dei Cappuccini; borgo Pracchiuso ha la chiesa di San Valentino (poi B. V. delle Gtazie; borgo Aquileia, la chiesa del Carmine (e, prima, quella di San Pietro). Come mai borgo San Lazzaro non l’aveva? Sì, c’era, all’inizio, al numero 27 di via Mantica (l’antico borgo di Santa Lucia) e quasi di fronte al bel palazzo Montegnacco, una chiesa; ma, a parte il fatto che è stata costruita nel 1733, e quindi è recente, si fa per dire, rispetto alle case del borgo, essa non ne fa parte, propriamente parlando, anche se il suo campanile, che svetta sopra i tetti, è un elemento caratteristico per chi guarda verso mezzogiorno. Eppure, un borgo deve avere la sua chiesa: ogni borgo aveva la sua confraternita, quindi ogni borgo aveva anche il suo edificio sacro; senza contare il nome, San Lazzaro, perché il nome di un Santo rimanda alla presenza di una chiesa. E infatti la chiesa c’era stata, solo che non esisteva più da secoli: era rimasto solo il nome. Questo l’abbiamo "scoperto" molti anni dopo, facendo qualche ricerca. Ci siamo recati allora in via Martignacco, all’angolo di via Tolmezzo, dove sorgeva la chiesa con l’ospedale: niente, nessuna traccia di essa. Solamente alcune brutte case moderne; neppure una lapide, né un’iscrizione.

Citiamo dalla Guida di Udine di Maurizio Buora (Triste, LINT, 1986, pp. 330-331):

Segue quindi la caratteristica via Anton Lazzaro Moro, un tempo parte della villa Ongaresca. Nel nome attuale, che è quello di un grande scienziato di S. Vito al Tagliamento, confluiscono il ricordo di un lazzaretto per lebbrosi e dell’annessa chiesa di S. Lazzaro (costruita nel 1285 da Uccelluto degli Uccellis), cui da questa strada si accedeva. Un progetto di risanamento integrale, che presupponeva l’abbattimento delle case esistenti, si è arenato intorno al 1964 con la costruzione del primo condominio, ai nn. 3-11. Oggi esso continua in forma diversa, mediante il recupero dell’esistente. Così al n. 26 spicca ora il Crocifisso al centro della casa appena sistemata. Fra e casette basse che fiancheggiano la via si notano gli interventi ispirati dall’amore ottocentesco per la simmetria (al n. 23 fata 1803 sulla chiave del portone) che di rado hanno risparmiato le preesistenze più antiche (come la casa ai nn. 50-52 con finestre centinate e bardelloni cinquecenteschi). Alcuni edifici possono risalire anche all’epoca medievale, come ai nn. 61 e 64. Carattere tipico di questa via è la presenza di numerosi portoni da cui si accade a piccole corti ove prospettano case unifamiliari di tipo rustico, con orti e verde. Al posto del moderno condominio d’angolo con via Micesio le foto del primo dopoguerra mostrano porta S. Lazzaro nel suo aspetto neogotico, degradata a sede di un negozio di alimentari. L’osteria al n. 63 si appoggia probabilmente a un tratto delle vecchie mura cittadine.

Borgo San Lazzaro rimane così, nella memoria di quanti l’hanno visto negli anni ’60, come un caro ricordo di un angolo cittadino sempre animato, che sapeva già di campagna, con le case basse dipinte a colori vivaci, gli scuri di legno alle finestre, i tetti di coppi irti di camini, e i simpaticissimi cortili interni, coi balconi rustici e i piccoli orti ad uso familiare. C’era una minuscola trattoria, dove qualche volta abbiamo mangiato; una rivendita di libri usati, per la quale saranno passati chissà quanti amanti delle letture fuori moda; e, all’inizio, un panificio pasticceria, da cui si sprigionava un profumo delizioso di pane. Chissà se anche altri, venendo da fuori, hanno provato, però, la nostra stessa sensazione: che vi fosse come un’aria di sospensione; che mancasse qualcosa, come una promessa non mantenuta. Mancava la chiesa, infatti. Il borgo è rimasto, anzi, da "villa" esterna è stato inglobato, da secoli e secoli, nel tessuto della città, e racchiuso entro le mura; la chiesa che gli dava il nome, però, è scomparsa. L’ospedale era stato spianato nel 1571, per ragioni militari, in previsione di nuove incursioni turche; la chiesa e l’annesso cimitero erano rimasti di proprietà del comune, ma infine vennero anch’essi demoliti. La vita della città è proseguita, e dell’antica chiesa non è rimasto che il nome. Sarebbe cosa utile porre almeno un’iscrizione per spiegare la sua storia…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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