
Ma Dio è cattolico o no?
20 Settembre 2018
Ma i neopreti possono dire tutto ciò che vogliono?
21 Settembre 2018Abbiamo già avuto occasione di parlare della vecchia chiesa del Cristo, che aveva sede in largo Ospedale Vecchio, più o meno di fronte alla chiesa di san Francesco, nell’angolo nord-orientale della piazza. Di essa è stato parroco, per quasi mezzo secolo, un friulano illustre, Jacopo Tomadini, insigne benefattore e sacerdote, fondatore dell’orfanotrofio che aveva sede, fino a qualche anno fa, nella via a lui dedicata, posta fra via Pracchiuso e via Treppo. Molti udinesi certamente ricordano che essa, ormai sconsacrata, ma perfettamente integra dal punto di vista strutturale, fu adibita per molto tempo a palestra, mentre attualmente è destinata a eventi culturali organizzati dal comune. Ciò avvenne dopo che l’arcivescovo Anastasio Rossi nel 1927 l’aveva venduta all’amministrazione cittadina, per poter acquistare il terreno e avviare la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, da destinare alla zona periferica di Gervasutta, al di là della linea ferroviaria per Venezia e per Trieste. La vecchia chiesa del Cristo era stata la sede, per secoli, di una Confraternita particolare, quella per l’Adorazione delle Piaghe dei Nostro Signore, fondata addirittura nel 1500, che esiste tuttora e che si è trasferita essa pure nella nuova sede. Quest’ultima è situata lungo il tratto iniziale della lunga via Marsala, all’angolo con una modesta laterale, via Montebello, e proprio di fronte all’imbocco di via Gervasutta, in corrispondenza di una piccola rotonda. Col suo alto e caratteristico campanile a punta, la nuova chiesa del Cristo si riconosce anche da lontano ed è un elemento caratteristico del paesaggio della immediata periferia sud, cui si accede, dal punto di congiunzione fra il viale Europa Unita e il viale delle Ferriere, all’altezza di via de Rubeis, imboccando il sottoposso ferroviario. Di fatto, è come passare in un’altra città: a nord della ferrovia, case e palazzi dei primi anni del Novecento, e anche qualche elegante edificio in stile liberty, con le sue brave statue e decorazioni sulla facciata e i cornicioni elaborati alle finestre, in una cornice di traffico e negozi; a sud, di colpo, vie tranquille e poco trafficate, abitazioni quasi tutte più recenti, quasi tutte villette singole e nessuno dei brutti condomini massicci e anonimi di certe altre periferie urbane. Proseguendo lungo via Marsala oltre la chiesa del Cristo, si ha l’impressione di entrare in un mondo rurale: circa un chilometro più avanti, sulla destra, c’è addirittura un pioppeto. È piuttosto curioso: basta percorrere un breve sottoposso ferroviario per passare da un mondo a un altro, ove si respira un po’ dell’antica atmosfera rurale del Friuli di una volta.
La chiesa è stata realizzata nel 1927 su progetto dell’architetto Pietro Zanini, in stile neoromanico, su di un terreno sopraelevato rispetto alla sede stradale, con la facciata raggiungibile mediante un’ampia scalinata, secondo uno schema che si ripete per la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, in via Cividale, secondo un modello pressoché identico (e che infatti le somiglia molto). La facciata è in mattoni rossi faccia a vista, con la parte centrale molto più alta delle laterali, il portale sormontato da un protiro su semicolonne, al di sopra del quale si allunga un grande triforio, e tutta questa superficie è in pietra bianca, che spicca vivacemente sul resto della facciata, di un vivo colore rosso mattone; su ciascuno dei due lati, si apre un’alta monofora sormontata da un rosone. L’insieme è imponente ma aggraziato nello stesso tempo; la presenza di un giardino, sulla sinistra, mette una nota di verde sul bianco e sul rosso della facciata; il campanile, sulla destra, svetta agile con la sua cuspide appuntita. L’edificio è orientato con la facciata a ovest e l’abside a est, come le chiese tradizionali: al mattino, con il sole che irraggia da dietro, la chiesa e la torre campanaria appaiono come circonfuse di luce, e questo effetto è ancora più suggestivo varcando il portale ed entrando nell’edificio. L’interno, a tre navate, tutto dipinto in finto marmo, è scandito dalla corsa dei pilastri poligonali in marmorino dipinto, che hanno comunque la sveltezza delle colonne, coi loro capitelli compositi, raccordati da arcate a tutto sesto, che conferiscono all’insieme un notevole slancio e un dinamismo esaltante. Il tetto è a capriate a vista; la luce entra generosamente dai finestroni sia delle navate laterali, sia della parte superiore della navata centrale. Il presbiterio, delimitato da balaustre, è molto rialzato rispetto al pavimento delle navate, e ai due lati della gradinata che vi adduce si aprono gli accessi alla cripta. È interamente decorato a dipinti, e così pure l’abside col catino semicircolare: gli affreschi imitano un po’ lo stile dei mosaici, e sono di una certa lievità e bellezza, incentrati sul tema dell’adorazione eucaristica, con una grande Pietà ad occupare tutta la superficie inferiore dell’abside, intorno ad un Crocifisso ligneo di notevole fattura.
Chi entra in questa chiesa, più piccola e raccolta, in effetti, di quanto non appaia dall’esterno, anche per la sua posizione sopraelevata, viene avvolto da un’atmosfera contemplativa e spirituale, si sente agevolato nella disposizione dell’anima necessaria per l’incontro con il divino. Dell’anima, non dell’animo: della parte soprannaturale presente nell’uomo, non della parte umana, la quale, da sola, può dialogare con se stessa e con gli altri uomini, ma non elevarsi fino a Dio. Questo è il grande errore, il grande malinteso della liturgia postconciliare: credendo di favorire l’incontro con Dio, lo allontana, perché la voce divina si ode e il lo splendore divino si rivela solo quando l’anima si distacca dall’uomo carnale, che sempre brama e spera e teme qualcosa, e che quindi è come una pesante zavorra per essa, e si riversa interamente nell’uomo spirituale, che diviene tale sia per un ardente desiderio della volontà, sia, soprattutto, per un dono soprannaturale, che è la Grazia. Senza la Grazia, l’uomo non arriva a Dio; ma per ricevere la Grazia, per esserne fecondati, occorre spogliarsi della veste ingombrante dell’uomo vecchio, e rivestire l’abito luminoso dell’uomo nuovo. Non è una operazione umana, tuttavia l’uomo vi ha una qualche parte; se così non fosse, il libero arbitrio non conterebbe nulla, nulla conterebbero le opere buone e, in definitiva, avrebbe ragione Lutero. Perciò, l’atmosfera che una chiesa deve creare per il fedele che vi entra, deve essere tale da innalzare l’anima verso Dio, non da parlargli solo di cose umane, con un linguaggio figurativo umano, per mezzo di segni e di simboli esclusivamente umani. Considerando la maggior parte delle chiese costruite negli ultimi decenni, francamente ci si domanda se chi le ha ideate, progettate, e forse anche chi le ha commissionate, avevano la fede, oppure no. Ciò traspare dall’edificio sacro: si vede subito se è stato pensato per elevare l’anima degli uomini verso Dio oppure, al contrario, per una autocelebrazione dell’uomo, che vede Dio solo come ospite accessorio, o, al massimo, come garante di qualcosa che l’uomo sta già facendo, da se stesso, prendendo orgogliosamente la vita nelle proprie mani. In altre parole, vi sono chiese nelle quali si sente l’anelito dell’anima verso Dio, e altre nelle quali non si sente nulla, assolutamente nulla: edifici opachi, grevi, per quanto possano essere elaborati e perfino virtuosistici in un senso, appunto, meramente umano. Il primo errore, naturalmente, è quello di commissionare la progettazione di una chiesa a un architetto qualsiasi, come si potrebbe commissionare un qualunque edificio profano. Chi progetta una chiesa, deve avere una forte sensibilità religiosa, e così chi la decora. L’assurdità, o peggio, di affidare la decorazione d’una chiesa ad artisti privi di fede si vede, nella maniera peggiore, nel duomo di Terni, dove a eseguire il grande affresco della controfacciata, che dovrebbe rappresentare il Cristo che chiama a sé le anime redente, è stato un notorio pittore sodomita, militante dei movimenti omosessualisti, l’argentino Ricardo Cinalli, che vi ha trasfuso e celebrato la sua visione omoerotica, in aperto contrasto con la concezione cattolica e la morale cattolica, arrivando a risultati molti vicini alla profanazione e alla blasfemia. La responsabilità, naturalmente, è di chi lo ha chiamato, l’allora vescovo di quella diocesi, Vincenzo Paglia, il quale tutti i giorni si recava in chiesa a vedere come procedessero i lavori e non ha mai trovato nulla da eccepire, anzi, se ne compiaceva al punto da farsi ritrarre, lui stesso, oltretutto con un atto di raro narcisismo, nella folla dei personaggi equivoci e ripugnanti che animano quell’atroce dipinto. Ora, lo stesso criterio, e a maggior ragione, dovrebbe valere per l’architetto che viene chiamato a progettare una nuova chiesa: non solo dovrebbe essere un cattolico fervente, dalla visione dottrinale ineccepibile, perché, altrimenti, qualche elemento eretico potrebbe offuscare il significato simbolico dell’edificio; ma dovrebbe anche ispirarsi a una concezione complessiva della vita che sia pienamente cristiana e cattolica, e non essere un semplice mercenario della progettazione, imprestato, per caso, a uno scopo di tipo religioso. Le cattedrali medievali ci parlano di fede, della pura fede in Gesù Cristo, dal basamento fino all’ultima guglia delle cupole e alla punta del campanile, perché chi le ha progettate, chi le ha costruite erano uomini pieni di fede (checché ne dicano quanti sono pronti a vedere segni massonici ovunque).
Se si confronta la tipologia generale delle chiese del Novecento, si nota una grande differenza fra quelle costruite nella prima metà e quelle della seconda metà del secolo. Nella prima metà gli architetti e gli artisti si sono ispirati alle basiliche paleocristiane e alle chiese medievali, romaniche e gotiche: hanno cercato di far rivivere, ovviamente in veste aggiornata, le antiche forme stilistiche, per trasmettere ai fedeli la sensazione della continuità e della perennità della Chiesa cattolica. Senza dubbio i vescovi e i parroci che le avevano commissionate partecipavano, in qualche misura, alla progettazione, e seguivano i lavori da vicino, dalla posa della prima pietra fino alla messa in opera dell’ultima decorazione dell’interno, perché avevano sempre ben chiaro quale deve essere il fine per cui si costruisce una chiesa: la gloria di Dio e la santificazione delle anime. Le chiese, o almeno le chiese cattoliche, si costruiscono per quello: non per celebrare l’uomo; tanto meno per celebrare i peccati, come hanno fatto Paglia & Cinalli. La chiesa è un luogo santo e chi vi entra deve sentirsi accompagnato verso pensieri santi, non già verso pensieri impuri. L’orribile affresco del duomo di Terni induce tutt’altro che a sante meditazioni e alla vera preghiera cattolica: farebbe bella figura in un postribolo per invertiti, non in una chiesa cattolica. Immensa è la responsabilità morale di chi provoca scandalo nei fedeli attraverso un’arte sacra che non è sacra, che non è cattolica, che non è neppure in linea con il comune sentimento della decenza: ne renderanno conto a tempo debito. Non si scherza con queste cose. Chi dà scandalo in chiesa, dà lo scandalo più grave che sia umanamente concepibile; pertanto vi è qualcosa di diabolico in esso: è la volontà demoniaca di distorcere le anime dal desiderio di Dio alla brama delle passioni disordinate. Questo vale, naturalmente, anche per quei fedeli che si recano alla santa Messa non per cercare Dio, ma per esibire un abbigliamento seducente o per irretire gli altri con il proprio fascino sensuale. Tuttavia, la responsabilità del sacerdote, e a maggior ragione del vescovo o del papa, è immensamente più grande: ad una persona consacrata si chiede qualcosa di più che ad un semplice fedele laico; si chiede di custodire le anime alla presenza del Signore e non di indurle in tentazione. Vi sono molte maniere di indurre le anime in tentazione, oltre alla sensualità. Quei preti che trasformano l’ambone in un pulpito politico e che creano dolorose spaccature nel corpo dei fedeli, bollando come non cristiane legittime opinioni politiche o sociali, e, viceversa, spronando e pretendendo dai fedeli comportamenti di segno ideologico malamente camuffati dietro la foglia di fico della carità cristiana, danno scandalo in una delle maniera più gravi: perché mentre lo scandalo sensuale opera, per così dire apertamente, e quindi chi vuol capire di cosa si tratta, lo capisce, lo scandalo di tipo liturgico, pastorale o dottrinale si attua per mezzo di un travestimento e di un inganno, sovente anche di un ricatto morale: se vuoi essere un buon cattolico, devi fare così e così, e non devi fare colà. Ma questo è legittimo finché si resta sul terreno morale e finché si resta nell’ambito del Vangelo di Gesù Cristo; mentre questi preti scandalosi, che sono cresciuti in arroganza sotto il pontificato attuale, ma che fin dal Concilio hanno alzato la cresta e cominciato a dare scandalo alle anime, stanno puramente e semplicemente falsificando il Vangelo. Sono pertanto dei falsari, come falsario è colui che si adopera per contraffare una moneta: il falsario, falsificando il denaro, deruba le persone dei loro beni e dei loro risparmi; il falsario cristiano travestito da prete deruba le anime della vera dottrina cattolica e mistifica la vera fede in Gesù, sostituendole con i cascami di ideologie che la storia ha già condannato, il marxismo, il comunismo, il radicalismo, il liberalismo sfrenato, tenuti insieme dal collante della teologia della liberazione e, qualche volta, perfino dalla teologia cosiddetta femminista. Chi o che cosa autorizza la spagnola suor Lucia Caram a dare scandalo alle anime, affermando che la Beata Vergine Maria e San Giuseppe facevano sesso, come tutte le coppie "normali"? Oltre a essere in contrasto con una credenza fondamentale della fede cattolica, questa è anche un’affermazione ipocrita, perché, in questo caso, la suora progressista non si perita di definire cosa sia sessualmente normale, cioè l’amore fra uomo e donna; mentre, quando si tratta di difendere l’ideologia gender, lei e quelli come lei non esitano a negare che la normalità esista e rivendicano, per gli invertiti sessuali, lo stesso diritto a esser considerati persone normali, come chiunque altro. L’ideologia progressista ha la lingua lunga, ma le sue bugie hanno le gambe corte. Tutti questi falsi cattolici e questi preti abusivi sono accomunati da una cosa: che se ne infischiano di allontanare le anime da Dio, per mezzo degli scandali che provocano. Guai, però, a chi scandalizza le anime…