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La neochiesa distrugge la fede col ridurla a psicologia

Sono molte, ormai, le affermazioni formalmente eretiche del signore argentino, alcune delle quali affidate a semplici interviste, altre a omelie della santa Messa, altre ancora a documenti ufficiali che dovrebbero essere del Magistero, ma che non lo sono, perché, contraddicendo frontalmente il Magistero stesso, si invalidano da se stessi e tradiscono l’intenzione eretica che li ha partoriti. Tale è, per esempio, la sua affermazione solenne, contenuta nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, § 247, che recita testualmente: Uno sguardo molto speciale si rivolge al popolo ebreo, la cui Alleanza con Dio non è mai stata revocata, perché «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm11,29), e che contraddice sia il Concilio ecumenico di Firenze del 1431, sia l’enciclica Ex quo primum del 1756, nei quali si dice e si ribadisce che l’Antica Alleanza è stata revocata e abrogata, essendo stata sostituita definitivamente e irrevocabilmente dalla Nuova Alleanza, quella suggellata dal Sacrificio di Gesù Cristo sulla croce. Per questo siamo cristiani e non giudei (o islamici, o buddisti, o induisti): perché crediamo che Gesù Cristo, venendo nel mondo e sacrificandosi per amore nostro, ha stretto con tutti gli uomini un nuovo patto, che abolisce l’antico. San Paolo, poi, da teologo, ha mostrato perfettamente cosa questo significhi: che secondo l’Antica Legge, nessuno riesce a salvarsi, e che noi siamo salvi non mediante l’osservanza della Legge, ma mediante la grazia di Cristo, dono gratuito di Dio. Tutto ciò dovrebbe essere assolutamente chiaro ed evidente a qualsiasi cristiano, non diciamo a un sacerdote o un catechista: ha dell’incredibile che non lo sia per un papa. Se poi, come è probabile, lo è, allora non si tratta di un papa caduto in eresia per leggerezza, ma in base a un progetto ben preciso, a una strategia voluta e pianificata da tempo, e quasi certamente non da lui, o non da lui solo…

Ma vorremmo andare oltre questi ragionamenti e porre la questione centrale: non si tratta di singoli atti, di singole affermazioni, di singoli documenti, ma di tutto l’insieme della pastorale e, se così possiamo dire, della teologia di questo pontificato, che sono eretici. E si tratta di un tipo di eresia ben nota alla Chiesa da circa un secolo, visto che san Pio X l’aveva vista e riconosciuta perfettamente, dandole anche un nome: modernismo. L’essenza di tale eresia, che pure si compone di svariati elementi e nella quale confluiscono numerose tendenze ereticali, è questa: sostituire al culto di Dio il culto dell’uomo. Al centro di tutto non c’è più Dio, ma l’uomo. E la Chiesa si è messa su questo piano inclinato, che conduce all’eresia, ben prima dell’elezione, assai dubbia, del signore argentino: ci si è messa fin dal Concilio Vaticano II, ispirato, dal principio alla fine, dalla teologia eretica di Karl Rahner, che ha continuato a sospingere e a traviare la Chiesa anche negli anni successivi, sempre pungolandola con il mantra, ripetuto fino all’ossessione: bisogna completare l’opera del Concilio; il Concilio è stato boicottato, frenato, tradito; bisogna attuare finalmente, e sino in fondo, tutte le novità del Concilio. La teologia aberrante, eretica, o, per meglio dire, l’anti-teologia del gesuita Karl Rahner (gesuita come Teilhard de Chardin, come Bergoglio, come Spadaro, come Sosa Abascal, come James Martin… dobbiamo continuare l’elenco?) si dà a conoscere fin dal nome: svolta antropologica. Ma da quando in qua la teologia è incentrata sull’uomo? Essa è stata presentata come una specie di "rivoluzione copernicana" della teologia, ma era semplicemente la morte della teologia. Se la teologia si abbassa all’orizzonte dell’umano, dell’immanenza, ciò che avremo non sarà più la visione spirituale dell’uomo, che cerca Dio perché in Dio ha la nostalgia della sua patria celeste, ma una visione carnale dell’uomo, una visone biologica, materialistica e storicistica: l’uomo è un essere naturale, dotato di impulsi, di istinti, condizionato dall’inconscio e dal super-io, modellato dalla società e dalle vicende storiche… tutto, tranne che una creatura spirituale, fatta a immagine di Dio e che a Dio aspira a ritornare. Ma non è questo che insegna la dottrina cattolica; essa insegna che l’uomo può e deve innalzarsi al livello del soprannaturale, ossia della vita divina, con l’aiuto della grazia e l’azione dei Sacramenti.

Prendiamo, a titolo di esempio — ma potremmo partire da cento altri esempi, e anche di più, tale è l’inesauribile chiacchierare a ruota libera del signore argentino, anche e soprattutto nelle omelie della santa Messa — quel che Bergoglio ha affermato a proposito della Confessione. La Confessione è, fino a prova contraria, un Sacramento; ed è un Sacramento fondamentale, perché senza di esso l’anima, caduta nel peccato, non ritorna in grazia di Dio, ma ne resta al di fuori; così come resta separata, di fatto, dalla Chiesa, perché la Chiesa è la comunità dei cristiani, ma non dei cristiani che razzolano nel peccato, bensì dei cristiani che, pur cadendo in tentazione e anche in peccato, aspirano tuttavia alla riconciliazione con il Padre celeste, per mezzo di Gesù Cristo. A quarto pare, tuttavia, il signore argentino non la pensa a questo modo: per lui, stando alle sue stese parole, e non per una nostra malevola interpretazione, la confessione – che scriviamo, a questo punto, con la minuscola — è una specie di chiacchierata con un prete, che potrebbe essere benissimo uno psicologo, oppure, meglio ancora, l’amico del cuore, al quale si dice tutto. Pare che il signore argentino abbia ignorato, o perso di vista, la cosa più importante: che il sacerdote, nel suo ufficio di confessore, non è che un alter Christus; e che il penitente, di conseguenza, non si reca nel confessionale per esporre le sue pene a un uomo, ma per confessare i suoi peccati a Gesù Cristo, il quale, solo, ha il potere di rimetterli, beninteso a condizione che egli sia pentito sincerante di essi e che abbia il serio proponimento di non commetterli di nuovo. E a questa concezione materialistica, immanentistica, psicologistica della confessione, cioè a questa concezione, se le parole hanno un senso, eretica, egli non è arrivato per caso, ma in ragione di un errore teologico fondamentale: aver ignorato che il peccato non è semplicemente uno sbaglio, o una colpa, in senso meramente umano, ma è una rottura del legame filiale con Dio, quel Dio che si è incarnato ed è morto e risorto per redimere gli uomini, e quindi rientra nell’ordine del soprannaturale, per cui solo un’azione soprannaturale — la remissione dei peccati da parte di Cristo, per mezzo di quel certo sacerdote – ha il potere di porvi rimedio, e riammettere quell’anima nell’amicizia e nella familiarità con il Padre celeste.

Rivolgendosi ai sacerdoti che confessano, da lui pomposamente denominati Missionari della Misericordia, il 9 febbraio 2016, Bergoglio ha testualmente detto:

Pertanto, qualunque sia il peccato che viene confessato – o che la persona non osa dire, ma lo fa capire, è sufficiente – ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come "canale" della misericordia di Dio. E vi confesso fraternamente che per me è una fonte di gioia il ricordo di quella confessione del 21 settembre del ’53, che ha riorientato la mia vita. Cosa mi ha detto il prete? Non ricordo. Ricordo solo che mi ha fatto un sorriso e poi non so cosa è successo. Ma è accogliere come padre…

Un altro aspetto importante è quello di saper guardare al desiderio di perdono presente nel cuore del penitente. È un desiderio frutto della grazia e della sua azione nella vita delle persone, che permette di sentire la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa. Non dimentichiamo che c’è proprio questo desiderio all’inizio della conversione. Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono. E questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio, e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti. Diamo grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono; facciamolo emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore. E qui mi raccomando di capire non solo il linguaggio della parola, ma anche quello dei gesti. Se qualcuno viene da te e sente che deve togliersi qualcosa, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo dice così, col gesto di venire. Prima condizione. Seconda, è pentito. Se qualcuno viene da te è perché vorrebbe non cadere in queste situazioni, ma non osa dirlo, ha paura di dirlo e poi non poterlo fare. Ma se non lo può fare, ad impossibilia nemo tenetur. E il Signore capisce queste cose, il linguaggio dei gesti. Le braccia aperte, per capire cosa c’è dentro quel cuore che non può venire detto o detto così… un po’ è la vergogna… mi capite. Voi ricevete tutti con il linguaggio con cui possono parlare.

Vorrei, infine, ricordare una componente di cui non si parla molto, ma che è invece determinante: la vergogna. Non è facile porsi dinanzi a un altro uomo, pur sapendo che rappresenta Dio, e confessare il proprio peccato. Si prova vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro. La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento. Tante volte la vergogna ti fa muto e… Il gesto, il linguaggio del gesto. Fin dalle prime pagine la Bibbia parla della vergogna. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, l’autore sacro annota subito: Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero delle cinture» (Gen3,7). La prima reazione di questa vergogna è quella di nascondersi davanti a Dio (cf Gen 3,8-10).

Da questo guazzabuglio senza capo né coda, una cosa sola si capisce con chiarezza: che, per il signore argentino, la confessione è un atto spiacevole, imbarazzante, e allora il sacerdote deve risparmiare al penitente l’imbarazzo, deve capirlo al volo, non c’è bisogno di una vera confessione, essere venuto lì è sufficiente, vuol già dire che il peccatore è pentito e che Dio lo ha perdonato. Ne deriva che la confessione è un fatto puramente umano, e che, come in tutte le cose umane, un po’ di discrezione non guasta, che diamine… Peccato che questo non abbia niente a che fare con la vera dottrina cattolica. Nel Catechismo della Chiesa cattolica si dice, ai §§ 1424 e 1455: È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. (…) La confessione dei peccati (l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire. Ma se il peccatore, per la vergogna, non si accusa dei propri peccati, come può il sacerdote assolverlo? Sarebbe come se Cristo avesse assolto l’adultera senza che lei si fosse riconosciuta colpevole. Del resto, non stupisce che tale sia l’idea che il signore argentino si è fatto della confessione, del peccato e del perdono di Dio; basti dire che, in contrasto con duemila anni di teologia cattolica, ha sostenuto che Giuda si è salvato, perché si era pentito: senza tener conto che non basta pentirsi, bisogna anche aver fede che Gesù ci può perdonare, e questa appunto fu la cosa di cui Giuda disperò, impiccandosi. E non è solo il signore argentino ad avere questa impostazione teologica, figlia diretta della svolta antropologica di Karl Rahner: tutti gli esponenti di questo neoclero parlano a agiscono allo stesso modo. Quando il gesuita James Martin, per esempio, dice che il Catechismo spinge i giovani omosessuali al suicidio, e che essi non devono modificare in nulla la loro via, perché Dio li accetta e li ama così come sono, parte dalla stessa premessa erronea: che Gesù sia venuto a confermare tutti gli impulsi, approvare tutti i desideri, santificare anche i peccati, se da essi dipende la realizzazione dell’uomo, nel qual caso non sono nemmeno più peccati, ma atti perfettamente legittimi. Quale capovolgimento della vera prospettiva! Per un cristiano non esiste alcuna "realizzazione" dell’uomo che confligga con la volontà di Dio, e autorizzi a tenere in non cale la legge divina, a stravolgere e rovesciare il Vangelo. Nel Vangelo non si dice che il peccato non è più peccato: non è questa la misericordia di Gesù Cristo; si dice, al contrario, che al peccatore pentito è aperta la via del Signore, e in questo consiste il Lieto Annuncio. Invero, se il più perfido dei diavoli avesse deciso di insinuarsi nella Chiesa per infettare, col suo fiato malefico, la santa dottrina, e farlo in maniera talmente subdola, che la maggior parte dei fedeli non si rendesse neppure conto dell’adulterazione, non avrebbe potuto agire diversamente da come agiscono i pastori misericordiosi alla James Martin o alla Galantino (il quale ci assicura che Dio non distrusse, ma risparmiò Sodoma), o come Vincenzo Paglia, che fa addirittura affrescare le pareti del suo duomo con un dipinto che esalta i peccatori impenitenti e la loro "gloriosa" ascesa in Cielo, per opera di un Gesù Cristo che si direbbe, semmai, una controfigura del demonio, con tanto di angeli che paiono, effettivamente, dei diavoli, tanto soni brutti e repulsivi. Tale è la situazione della Chiesa oggi, infiltrata e sovvertita dall’interno da una contro-chiesa massonica e apostatica. E giunte le cose a questo punto, dovremmo ancora regolarci con prudenza, centellinare le parole, soppesare le espressioni, evitando di dire, chiaro e tondo, che il signor argentino e i suoi seguaci sono eretici?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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