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Crede davvero di cavarsela così?

Finalmente, dopo un settimana di silenzio, il papa ha detto qualcosa in relazione all’enorme scalpore suscitato dalla pubblicazione del memoriale Viganò. Finora, la sola cosa che aveva detto, a botta calda, cioè sull’aero che lo riportava in Vaticano dal viaggio in Irlanda, era stata: Fatevi voi il vostro giudizio personale; e siccome si rivolgeva ai giornalisti, aveva precisato: Voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. Il papa del relativismo aveva con ciò ribadito il caposaldo del suo pontificato: la verità è relativa, ciascuno deve "farsela da sé"; non solo; esiste una verità giornalistica che viene prima di tutto. Non è pensabile che non si rendesse conto che parlare ai giornalisti significa parlare al mondo; pertanto, dire: "avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni" è la stessa cosa che dire: la verità è quella che dicono i giornali. Perfettamente in linea con tutto il pensiero relativista contemporaneo e quasi un remake dell’imperdibile esclamazione in diretta, quasi un grido di dolore: Dove andremo a finire se i giornalisti non riescono più a influenzare il voto degli elettori?, di una costernata Giovanna Botteri, la sera in cui fu costretta, con il cuore pezzato, ad annunciare la vittoria di Trump negli Stati Uniti e la sconfitta della signora Clinton, per la quale aveva tifato tutto l’universo dei progressisti, Bergoglio ovviamente compreso.

Il memoriale Viganò è stato pubblicato sul giornale di Maurizio Belpietro, La Verità, domenica 26 agosto 2018; lunedì 3 settembre, durante la santa Messa celebrata nella Casa di Santa Marta, ha smentito la sua precedente affermazione: Io non dirò una parola su questo, per tornare sullo scandalo del memoriale Viganò, peraltro senza nominarlo mai direttamente: perfetto esempio di gesuitismo, che consente di contraddirsi senza esporsi all’accusa di contraddizione. La verità è mite, la verità è silenziosa, ha scandito, con la sua abituale aria meditabonda e lo sguardo penetrante, facendo eco all’elogio della carità di San Paolo: strane parole da uno che finora si è mostrato tutto, fuor che mite, e silenzioso, anzi, che ha fatto della vendicatività verso quanti lo contraddicono, e del baccano mediatico per gonfiare la propria immagine, la sua cifra più caratteristica. Poi, con parole (ben poco) sibilline, sempre come suo solito, ha lanciato i suoi strali contro chi cerca soltanto lo scandalo e le persone che cercano soltanto la divisione: come se lo scandalo fosse quello di dire le cose e non quello di coprirle, e come se il problema fosse la divisione che la verità necessariamente crea fra quanti la amano e quanti la odiano, come disse Colui che ammonì: Non sono venuto a portare la pace, ma una spada; sono venuto a mettere tre contro due e due contro tre, il padre contro il foglio e il figlio contro il padre, la madre contro la figlia e la figlia contro la madre. Ma lui, come è ben noto, si ritiene ben più di Gesù Cristo: lui è Francesco; e infatti ormai non si parla più di Dio, ma si parla del papa Francesco, e se ne parla come se si parlasse non di un uomo, e neppure di un santo, ma di un dio. Infine, prendendo spunto dalla vicenda evangelica del ritorno a Nazaret di Gesù, il quale viene accolto nel suo paese natale con molto sospetto, ha concluso che la sola strada da percorrere è quella del silenzio e della preghiera. È una delle non molte volte in cui lo abbiamo sentito invitare al silenzio e soprattutto alla preghiera: benissimo; ma pregare per cosa, e tacere riguardo a cosa? Non sempre il silenzio è cosa buona. Il silenzio che vige attorno alla mafia, per esempio, è un silenzio malvagio: è il silenzio grazie al quale il male trionfa e il bene è costretto a nascondersi. La preghiera, poi, che altro è, se non la confidenza totale in Dio? Ma qui non si tratta do confidare in Dio, bensì di rispondere a una semplice domanda: è vero o non è vero, quel che dice il memoriale di monsignor Viganò? Bergoglio sapeva o non sapeva, fin dal giugno del 2013, cioè da più di cinque anni, delle orribili malefatte sodomitiche del cardinale McCarrick, da lui onorato e tenuto alla stregua di speciale consigliere per gli affari della Chiesa statunitense? In altre parole: pare che lui pensi di dover rendere conto solo a Dio; ma le cose stanno altrimenti: lui non è un privato cittadino, è il papa: deve rendere conto anche ai fedeli.

Le sue parole conclusive sono state quasi minacciose: ha detto che il padre della menzogna, l’accusatore, il diavolo, agisce per distruggere l’unità di una famiglia, di un popolo. Quindi, dopo aver paragonato implicitamente Viganò al diavolo, e aver paragonato implicitamente se stesso a Gesù Cristo, incompreso dai suoi concittadini, si è bellamente scordato di aver sempre accusato i suoi "nemici", insolentendoli con gli epiteti più offesivi e ingegnosi, tanto che qualcuno (il giornalista Marco Tosatti) già da un paio d’anni ne ha fatto un vero e proprio vocabolario; e che coi Francescani dell’Immacolata, con i quattro cardinali dei Dubia, con i settanta teologi e sacerdoti della Correctio filialis, lui non è che abbia risparmiati gli attacchi, anche se, da buon gesuita, ha sempre avuto la misera astuzia di nascondersi dietro silenzi o parole oblique, lasciando il "lavoro sporco", quello di accusare, inquisire, criminalizzare, ai suoi accoliti e turiferari. Le sue ultime parole, il Signore ci dia la grazia di discernere quando dobbiamo parlare e quando dobbiamo tacere (quante volte lo abbiamo udito adoperare in maniera truffaldina il concetto del discernimento!), sono involontariamente ironiche, visto che lui non tace mai, tranne quando deve rispondere a delle precise domande, anche su questioni di fede (come fu nel caso dei dubia relativi all’esortazione Amoris laetitia) e che non si perita di strumentalizzare anche l’omelia della santa Messa per giustificare se stesso, mescolando la liturgia della Parola con le sue beghe private. La qual cosa è di per se stessa peggio che volgare, è una nuova profanazione, che si aggiunge alle altre: perché la Messa è la Messa, il cuore della fede cattolica: giù le mani da essa, non deve esserci nient’altro, nella sua liturgia, che la preparazione al Sacrificio eucaristico. Tirare in ballo, sia pure con oblique, ma trasparenti allusioni, lo scandalo suscitato non tanto dal memoriale Viganò, ma dal suo silenzio e dall’ipotesi della sua piena colpevolezza, questo è veramente intollerabile, è blasfemo. E se risulterà, un domani, che Viganò diceva il vero, e quindi che Berglio ha mentito, e ha mentito per cinque anni, e per cinque anni ha coperto il male e ha permesso che seguitasse a fare delle vittime, allora apparirà che egli ha anche profanato la santa Messa, perché ha chiamato Gesù Cristo a testimonio della sua purezza ed innocenza, ha assunto le pose della vittima di calunnie e ingiusti sospetti, e tutto questo pochi istanti prima di celebrare il più grande, il più prezioso, il più sacro di tutti i misteri della nostra religione: l’Eucarestia, ossia il rinnovarsi del Sacrificio di Cristo per amore degli uomini e in remissione dei loro peccati. Per cui il peccato della menzogna verrebbe a sovrapporsi alla celebrazione dell’Eucarestia e getterebbe un’ombra vergognosa, d’ipocrisia e di sozzura, sul rito più santo che esista per la Chiesa.

Ora, la domanda che un miliardo e trecento milioni di fedeli si fanno, o dovrebbero farsi, è la seguente:? crede davvero di potersela asciugare così, il signore argentino? Pensa veramente che sia sufficiente dire, a botta calda, Io non dirò niente; e poi, una settimana dopo, La verità è mite e silenziosa, chi parla cerca la divisione, chi parla è figlio del diavolo, io taccio e quindi sono amico della verità? Se lo pensa davvero, ciò significa che ha ben poco rispetto per il prossimo, e ben poca considerazione per l’altrui intelligenza, oltre che per i sentimenti squisitamente religiosi di milioni di persone. Finge di non sapere, di non aver capito, che in questo momento, in questa circostanza, il problema è lui, e non altro; che è lui la pietra d’inciampo sulla via della fede, per milioni e milioni di persone. Perché tra un papa che sbaglia, magari in buona fede, ma dicendo sempre la verità e non coprendo mai le colpe altrui, e un papa che sbaglia, mentendo e coprendo le colpe di chi avrebbe lui il dovere e il potere di fermare, c’è una grossa, decisiva differenza. Con un narcisismo esasperato e una smania demagogica senza precedenti, il signore argentino si è costruito una popolarità quale nessun altro papa aveva mai avuta, ma se l’è costruita sulle macerie fumanti della dottrina, da lui fatta a pezzi, e della pastorale, da lui trasformata in papolatria. Senza pudore e senza vergogna, ha lasciato e permesso che le folle lo adorino come un dio, che si stampino giornaletti a lui dedicati, che si vendano gadget con la sua persona, che si parli di lui come di un santo, il più grande dei papi della storia. E ora vorrebbe cavarsela con la strategia del silenzio, invocando la preghiera e assumendo la parte, che mal gli si addice, del calunniato e del perseguitato: lui che ha demolito tutti i suoi avversari (o quelli che lui, per il fatto di parlargli con sincerità, considera tali) a colpi di calunnie e di accuse, e che ha smantellato il più fiorente e il più ammirevole degli ordini monastici, quello dei Francescani dell’Immacolata, fin dai primi mesi del suo pontificato, trattandoli quei religiosi e quelle religiose quasi come dei delinquenti, mentre per gli atei, gli abortisti, i luterani, gli ebrei e gli islamici è tutto miele, sorrisi e complimenti. Lo scandalo è lui; l’attacco alla verità, è la sua azione pastorale; ciò che allontana tante anime dalla Verità e dalla fede, è la sua sfrenata ambizione, il suo voler essere il protagonista di una rivoluzione religiosa. A questo ha sempre mirato, fin dall’inizio: non solo riformare la Chiesa, non solo "cambiarla", cosa di per sé eretica e inaccettabile, ma proprio creare una nuova religione, un sincretismo post-cristiano nel quale c’è posto per tutte le fedi, anche le più contraddittorie, e per tutti i codici morali, compreso, anzi, soprattutto quello della cultura atea, materialista e massonica.

Eppure, per quanto incredibile possa sembrare, almeno a persone dotate di una moralità normale e di una sufficiente onestà intellettuale, la risposta alla domanda se costui crede veramente di farla franca con quelle poche, pietose parole che non chiariscono nulla, che non dissipano i dubbi, che non disperdono le ombre, ma le addensano ancora di più, e questo in un momento in cui la Chiesa sta attraversando una crisi dei credibilità mai vista prima, appunto sulla questione della sodomia e della pederastia, la risposta, senza alcun dubbio, deve essere affermativa. Sì: il signore argentino crede davvero che quanto ha detto, o meglio, che quanto non ha detto, sia sufficiente a chiudere il caso. E perché lo crede? Perché, fin dal primo istante della sua elezione, sin dalla prima ora del suo pontificato, si è adoperato in ogni modo, con tutte le sue forze, per spostare l’oggetto della fede da Gesù Cristo a se stesso, dal Vangelo a se stesso, dalla Chiesa a se stesso. La Chiesa sono io, pare aver pensato; e se la Chiesa sono io, allora ho anche il potere di cambiare la dottrina e di trasformare il cristianesimo in un sincretismo gnostico, al vertice del quale ci sono, ancora e sempre, io. A ciò hanno teso tutti i suoi sforzi, sin dal primi giorno; e i mass-media laicisti e anticristiani sono stati ben lieti di venirgli incontro, di offrirgli tutto lo spazio possibile, di amplificare al massimo ogni sua parola e ogni suoi gesto (perfino quello di andare al gabinetto in mezzo a una folla osannante, come è accaduto durante la vista apostolica a Milano). Non è una strategia mal pensata, dal suo punto di vista; è una strategia che non ha nulla a che fare con la fede e con la vera missione del papa, ma chi se ne infischia? È una strategia che funziona, soprattutto se si hanno dalla propria parte tutti i mass-media laici. L’esatto contrario della situazione in cui venne a trovarsi il suo predecessore, che li aveva tutti contro, sin dal primo istante, e che qualunque cosa dicesse o facesse, immancabilmente veniva sottoposta a un fuoco di fila di accuse, di sospetti, d’interpretazioni malevole, di stravolgimenti deliberati del suo pensiero. Il tutto con la complicità dei vari preti di sinistra e dei vescovi di strada che ora mietono applausi profani, sulla scia di Francesco: quelli che dicono di sì a tutto, alle unioni omofile, all’aborto, all’eutanasia, a tutto ciò che piace al mondo, anche se dispiace a Dio. Un esempio per tutti, la lezione di Ratisbona: non furono solo i mass-media laici ad attaccare Ratzinger, accusandolo d’islamofobia, e in perfetta malafede; furono anche molti sacerdoti e vescovi, e lo fecero con altrettanta, se non maggiore, malafede. essi sapevamo benissimo che il discorso di Ratzinger non aveva nulla di anti-islamico; e che anche l’islam veniva citato solo di passaggio, mentre l’oggetto della conferenza era il rapporto tra fede e ragione; ma ciò non voleva dir nulla, l’importante era avere un pretesto al quale attaccarsi per crocifiggere il papa conservatore, per fargli capire che la Chiesa lo tollerava a fatica, e il mondo laico non lo tollerava affatto. Era un preavviso di sfratto, come i fatti avrebbero poi dimostrato. Stesso discorso per lo scandalo Williamson, che poi non era affatto uno scandalo, ma una bolla d’aria appositamente preparata e fatta scoppiare per minare la sua credibilità di pontefice: ma tutti abboccarono, o meglio, tutti fecero finta di credere che la questione riguardasse la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, mentre si trattava, ancora e sempre, di cercare pretesti per attaccare Ratzinger, sferrando colpi bassi ogni volta che se ne presentasse l’occasione. Tutti quei preti e quei vescovi che agirono in tal modo portano la responsabilità morale delle dimissioni di Benedetto XVI e della elezione di Bergoglio, chiamato apposta per fare ciò che il suo predecessore non voleva fare: per alzare bandiera bianca davanti alla lobby gay del Vaticano. Perché questa era la vera posta in gioco, anche se allora c’erano pochi elementi per capirlo, o per capirlo sino in fondo. Ora ce ne sono di più; ora è possibile delineare meglio lo scenario: con la lobby gay vaticana che vuol continuare a spadroneggiare, e imporre il giogo al successore di san Pietro, chiunque egli sia…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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