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29 Ottobre 2017Il più grande ostacolo al buon funzionamento della società non è, come pensavano — e pensano, se per caso ce ne sono ancora — i marxisti, lo sfruttamento delle classi lavoratrici da parte della borghesia; e nemmeno, come pensano i liberali, un’insufficiente ampliamento di tutte la libertà di cui può disporre l’individuo, compatibilmente con quelle degli altri. Nello stesso tempo, il più grande ostacolo alla maturazione dell’individuo e al raggiungimento del suo equilibrio di persona non risiede in fattori estrinseci, come quelli sopra indicati, benché sia innegabile che lo sfruttamento materiale e la compressione della libertà personale siano fattori che rallentano e limitano fortemente tale obiettivo della singola persona. Eppure, sia l’armonia sociale, sia l’equilibrio individuale, sono legati principalmente a un fattore che nessuna ideologia politica potrà mai eliminare, e neppure combattere seriamente, per il semplice fatto che le ideologie politiche si preoccupano delle masse, di rivolgono alle masse, pensano in funzione delle masse: compreso il liberalismo, che pure ci pensa in senso negativo, cioè preoccupandosi di ritagliare, entro la massa, adeguati spazi di libertà per il singolo individuo, concepito anch’esso, però, in termini generici, non come individuo concreto, ma quasi come un’astrazione ideologica, e cioè, ancora e sempre, come individuo-massa e non come individuo-individuo, come individuo reale. Ed è ben per questo che il marxismo è figlio legittimo del liberalismo, nonostante le apparenze contrarie: grattando appena un poco sotto la superficie, non si tarda ad accorgersi che se il liberalismo proclama la priorità della libertà individuale, il marxismo non fa altro che prendere lo stesso concetto e moltiplicarlo per mille, per diecimila, per un milione, imponendolo con i rigori della giustizia "rivoluzionaria" contro ogni possibile oppositore: ma come il liberalismo ha in mente un individuo astratto, e non l’individuo concreto, così il marxismo ha in mente il "popolo lavoratore" in astratto, e non i lavoratori nella loro concretezza. Il marxismo, quindi, è solo un liberalismo elevato all’ennesima potenza, e reso più forte dal sostegno dello stato di polizia (fra parentesi, la democrazia attuale si sta molto avvicinando a questo "ideale" post-marxista, condito in salsa liberal-radicale, con tanto di codice penale per chi osi anche solo verbalmente dissentire dall’egualitarismo buonista). Il punto è che l’individuo è sempre un individuo concreto, mente tutte le ideologie politiche lo pensano in astratto; e la stessa cosa vale quando si ha come referente ideale il "popolo".
Qualcuno potrebbe obiettare che è inevitabile che il pensiero politico proceda per astrazioni concettuali, dal momento che non è compito suo occuparsi dei singoli individui in quanto tali. È molto probabile che sia così; ed è proprio per questo che le ideologie politiche, tutte, nessuna esclusa, sono una grossolana mistificazione. Difatti, ciascuna di esse si presenta come detentrice della formula magica per raddrizzare tutte le storture sociali e per assicurare alla società pace, giustizia e benessere; tutte, però, alla prova dei fatti, si trasformano in maschere di cui si serve il potere di alcuni per sottomettere gli altri, talvolta in forme abbastanza palesi; altre volte, come nel caso della democrazia moderna, in forme abilmente mascherate: così abilmente, che la maggioranza degli individui stentano alquanto a rendersene conto. Meglio lasciare, perciò, le ideologie politiche agli imbonitori da fiera, ai domatori di leoni e ai farabutti ambiziosi e sanguinari travestiti da persone perbene, sollecite anzi della pubblica felicità. Fateci caso: i fabbricanti di ideologie politiche sono o delle presuntuose nullità, come John Locke o come i giusnaturalisti (Grozio, Altusio, Pufendorf), o degli individui soffocati dal rancore e dominati dall’odio e dall’invidia (Rousseau, Robespierre, Marx, Engels), pericolosissimi se arrivano al potere (Lenin, Stalin, Mao tse tung), o degli schizofrenici degenerati (Hitler), o degli individui avidi e senza scrupoli, impastati di cinismo e ipocrisia (Churchill, F. D. Roosevelt, George Bush senior e junior). Altra cosa sono i pensatori politici, specialmente in ambito pre-moderno, quando ancora non si era diffusa la moda di corteggiare le masse e di vellicare i loro peggiori istinti; raramente, però, anch’essi sono sfuggiti a una sorta di lucido delirio, fabbricando mondi immaginari che, se mai fossero stati realizzati, si sarebbero rivelati degli autentici incubi, pur con tutte le buone intenzioni dei loro ideatori. E questo perché la politica, anche considerandola — come facevamo i filosofi greci – un ramo dell’etica, è pur sempre una forma di pensiero astratto, il quale ha la pretesa di porsi come aiuto e rimedio all’umanità concreta, cosa evidentemente contraddittoria. Le astrazioni danno ancora e sempre astrazioni, mentre l’individuo concreto, colto nella sua effettiva realtà, è pur sempre una singolarità, e tale rimane anche se considerato, come è pur giusto considerarlo — dato che nessuno è un Robinson Crusoe, se non nei romanzi — nel contesto della società, a cominciare dalla società numero uno, alla quale tutti apparteniamo e nella quale tutti ci sviluppiamo: la famiglia (o, nel caso peggiore, in qualche istituzione che tenti di surrogarla, più o meno felicemente).
E adesso proviamo a rispondere alla domanda iniziale, che era implicita nel nostro precedente ragionamento: quale sia il più grande ostacolo alla maturazione dell’individuo e allo sviluppo armonioso della società. Ebbene: a questa domanda ci sentiamo di rispondere, senza ombra di esitazione, che l’ostacolo più grande è la mancata conoscenza di se stessi. Precisiamo subito, a scanso di equivoci, che, con tale espressione, non intendiamo la vera e propria conoscenza, in un senso puramente intellettuale, come era per Socrate, secondo il quale la conoscenza della verità, a partire dalla nostra verità intima (nosce te ipsum) era la condizione necessaria e sufficiente per fare, automaticamente, la cosa giusta, cioè il bene. No: per "conoscenza", qui, intendiamo la capacità di guardarsi dentro, senza menzogne e senza ipocrisie, cosa che richiede non solo l’impiego della nostra facoltà intellettuale e razionale, ma anche, e soprattutto, un quotidiano, paziente, instancabile lavoro di costruzione della nostra struttura morale e della nostra volontà. Senza la dimensione etica della personalità e senza una volontà sufficientemente allenata a vedere e a volere ciò che è giusto, cioè il bene, noi non arriveremo mai a conoscere noi stessi; e, se non arriveremo a conoscere noi stessi, o se non ci proveremo neppure, resteremo sempre degli individui incompleti, disarmonici, mutilati; e una società in cui un simile tipo umano sia numeroso, o addirittura prevalente, sarà sempre una società distopica, disordinata, ingiusta. Ed ecco spiegato perché le ideologie politiche sono velleitarie, inutili o crudeli: perché non tengono conto che la società è fatta pur sempre d’individui, e che se gl’individui sono frustrati, incattiviti, rancorosi, neppure l’ideologia politica più bella a parole, riuscirà a far fare alla società il benché minimo progresso. Per essere ancora più chiari: un imbecille è ancora e sempre un imbecille, che sia vestito da fascista, da comunista o da liberale; un invidioso, un meschino, un prepotente, resta ancora e sempre un invidioso, un meschino e un prepotente, sia che sventoli il Mein Kampf di Hitler, o il Trattato sulla tolleranza di Locke, o il Libretto rosso di Mao. Se si desidera avere degli uomini migliori, non bisogna partire dalla cima dell’albero, potando i rami più alti, ma dalle radici: non è con le ideologie che si cura la pianta, ma concimando il terreno, annaffiandolo, liberandolo dai parassiti, vale a dire, fuori di metafora, agendo sull’educazione del bambino, dell’adolescente e del giovane; e, poi, curando che vi sia un certo qual grado di educazione permanente anche per gli individui maturi (anche un vecchio imbecille può causare gravi danni alla società, non solo uno giovane), o, almeno, facendo sì che prevalgano, a livello sociale generale, gli stimoli negativi e distruttivi, come l’esaltazione, a tutti i livelli, della violenza gratuita, della pornografia, dei comportamenti e degli stili di vita dissoluti, egoistici e aberranti.
Regola numero uno, quindi: imparare a conoscersi, nel senso di imparare a guardarsi dentro. Onestamente, lealmente, virilmente. Pochissimi ne sono capaci; quasi tutti siamo abituati, se pure ci capita di buttare uno sguardo su noi stessi (un tempo si chiamava: fare l’esame di coscienza), a raccontarci un sacco di maledettissime balle. Per fare bella figura davanti a noi stessi e davanti agli altri; ma soprattutto davanti a noi stessi. Il nostro narcisismo non sopporta l’umiliazione del brutto spettacolo che la nostra anima ci riserverebbe, se noi la osservassimo in maniera equanime e spassionata: semplicemente, non riusciremmo a tollerarlo. Ne proveremmo troppa vergogna, troppa ripugnanza. E allora, molto meglio (così ci sembra: ma è la stessa cosa che nascondere la sporcizia sotto il tappeto, o peggio) truccare le carte e far finta che vada tutto bene; vale a dire, assolverci da ogni miseria e trasformare la nostra immagine in senso positivo, auto-convincendoci che tale operazione di vera e propria falsificazione della realtà sia, in effetti, una operazione- verità. Noi soli sappiamo quel che c’è dentro noi stessi, pensiamo; e se pure gli altri ci giudicassero stupidi, gretti, spilorci, egoisti, maligni, noi sappiamo bene, invece, quel che gli altri non riescono a vedere: cioè che siamo delle persone eccellenti, buone, altruiste, generose e intelligenti. Certo, non tutti scegliamo questa scorciatoia: la maggior parte di quanti non lo fanno, però, non seguono la strada della verità, non son capaci di guardarsi dentro onestamente, ma prendono l’altra scorciatoia, solo apparentemente opposta: quella che consiste nella sistematica auto-svalutazione, auto-denigrazione e autoumiliazione. È pur sempre una scorciatoia e un gioco truccato: una maniera di non guardarsi dentro. Forse tutta questa auto-denigrazione ha lo scopo di gettare una cortina fumogena su aspetti più circoscritti, ma non meno imbarazzanti, o vergognosi, del nostro modo di essere; forse, coprendoci di disprezzo da noi stessi, desideriamo prevenire le critiche altrui, che ci farebbero ancora più male.
Ad ogni modo, il tipo più frequente è l’altro, quello che si auto-assolve, si auto-esalta e si auto-celebra; quello che non si mette mai in discussione, perché non ha nulla di reprensibile, e quindi, se qualcosa non va, è sempre e solo colpa degli altri, o delle circostanze sfortunate, eccetera. Fateci caso: di qualunque umano difetto o di qualunque piaga sociale si stia parlando, costoro ne sono sempre immuni, si mettono sempre dalla parte giusta della barricata. Si sta parlando degli invidiosi, dei superbi, dei vendicativi, dei millantatori, dei bugiardi, dei fannulloni, dei raccomandati, dei pigri, dei disonesti, degli infedeli, degli ipocriti? Benissimo: anch’essi si uniranno al coro degli accusatori, punteranno il dito, s’indigneranno e proclameranno solennemente che queste categorie d’individui sono la feccia dell’umanità. Loro, però, avranno provveduto a porsi da se stessi, psicologicamente, spiritualmente, moralmente, dall’altra parte, cioè fra i virtuosi. Invidioso, io? Ma quando mai! Superbo, io? Per niente. E così via. Per costoro, in questi casi, si sta parlando sempre degli altri, si ragiona sempre sulle magagne altrui: quanto a loro, sono irreprensibili, anzi, degni della massima ammirazione. Mentono, certo; sono anche, le loro, delle menzogne deliberate e intenzionali? Difficile dirlo. Fino a un certo punto, se la danno a bere da soli: se la raccontano. Certo, una parte di loro è consapevole, in qualche modo, che si tratta di una commedia che stanno recitando con la propria coscienza; ma una parte soltanto. Del resto, e come sempre accade, il vizio genera una sorta di assuefazione: chi si abitua a dire bugie, anche e soprattutto a proposito di se stesso, dopo un poco finisce per crederci davvero, e sarebbe pronto a giurare sulla propria assoluta buona fede, sulla propria specchiata integrità. E lo stesso atteggiamento assumono se si sta parlando dei mali sociali, dei difetti che appesantiscono e inceppano il buon funzionamento della vita di relazione. Prendiamo, a titolo di esempio, l’incompetenza. È certo che se una società, come la nostra, abolisce le distinzioni basate sul merito, si va verso uno scadimento generale della vita comunitaria, a tutti i livelli: istruzione, sanità, trasporti, professioni: ogni genere di servizio, pubblico e privato, si deteriora e diventa di bassa qualità. Magari anche per una forma di buonismo: per la smania di accogliere tutti, di aiutare tutti, di sostenere tutti, anche quelli che non hanno titoli, né meriti, e nemmeno il diritto di esigere alcunché; sia come sia, il risultato è lo stesso: la società smette di funzionare, diventa un caos, una continua corsa ad ostacoli per le persone oneste e meritevoli, il cui merito, però, non viene riconosciuto affatto. E la maggioranza delle persone, incapaci, come sono, di guardarsi dentro, si collocano senz’altro nella classe dei meritevoli, e, quando deprecano l’inefficienza sempre più diffusa, danno per scontato che gli incapaci, i non meritevoli, siano sempre e solo gli altri, non certo loro.
Resta un’altra domanda da fare: anche le religioni sono delle ideologie "politiche", nel senso che pretendono di organizzare la vita sociale secondo delle categorie astratte e velleitarie? In una certa misura, e facendo le opportune distinzioni, sì. Il cattolicesimo però non è una religione, ma la religione, ovviamente per i suoi fedeli. Esso non si rivolge all’individuo astratto, ma all’individuo concreto, al singolo. Prevediamo l’inevitabile obiezione: i cattolici pretendono questa distinzione per sé, ma la negano agli altri. È vero: proprio così. Ma solo il cattolicesimo parla di Dio che si fa uomo e si rivolge da Persona alle persone. Che i fedeli delle altre religioni mostrino il loro dio che si fa uomo, soffre e muore sulla croce, e poi risorge, e i cattolici rinunceranno a tale distinzione…
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