
Cari vescovi massoni, noi non ci arrenderemo mai
25 Ottobre 2017
Superbia, orgoglio e lussuria: ecco la neochiesa
26 Ottobre 2017Tutti sanno chi è il professor Josef Seifert, austriaco, insigne pensatore, uno dei massimi teologi dei nostri tempi; e tutti sanno, crediamo, come recentemente è stato licenziato dalla sede spagnola dell’Accademia Internazionale di Filosofia, con sede nel Liechtenstein, da lui stesso fondata, per decisione dell’arcivescovo di Granada, monsignor Martinez. È stato lo stesso Martinez a spiegare le ragioni del licenziamento: l’essersi posto fuori della comunione con la Chiesa e aver sminuito il prestigio dei "successori di Pietro", cioè, in effetti, dell’attuale pontefice, Francesco. La ragione di questo inusuale e dispotico provvedimento è altrettanto nota, almeno crediamo: l’avere il professor Seifert, con logica inoppugnabile e con autentico coraggio e passione di credente, criticato il "famoso" paragrafo 303 di Amoris laetitia, nel quale il papa dice testualmente che, in certi casi, non solo il peccatore (il divorziato risposato, nella fattispecie) può decidere di rimanere nella propria condizione di peccatore, perché non potrebbe fare di meglio, ma che Dio stesso, forse, gli chiede proprio questo, cioè di restare nel peccato. Concetto assurdo, intollerabile, sacrilego, dalla portata sconvolgente: esso equivale a sostenere che Dio stesso autorizza il peccato e non chiede al peccatore di convertirsi, ma lo incoraggia a persistere nel suo peccato. Come se, osservava il professor Seifert in un articolo consultabile su Corrispondenza Romana dell’8 giugno scorso, Gesù Cristo, all’adultera che stava per esser lapidata, e che Egli stesso salvò da tale destino, avesse detto, non già (come in effetti disse): Vai, e d’ora in poi non peccare più, chiamando l’adulterio con il suo nome, cioè chiamandolo peccato, bensì: Vai, e continua a tradire tuo marito, se la tua coscienza ti dice che non puoi fare altro; io ti assolvo in anticipo, anzi, non mi aspetto che tu faccia altro, poverina, perché so che ti trovi in circostanze complesse. E tuttavia, bisogna aggiungere, il professor Seifert era stato così delicato, così rispettoso, da non trarre le conseguenze estreme della sua critica, ma da chiedere al pontefice una riflessione approfondita sulle sue obiezioni a quanto affermato in Amoris laetitia. Niente da fare: il papa "francescano" e "misericordioso" non è tipo da mandar giù la minima obiezione; lo ha già dimostrato, ignorando con un silenzio carico di sprezzo, la richiesta di chiarimenti avanzata, altrettanto rispettosamente, da quattro cardinali.
Naturalmente, la folta schiera dei fan di papa Francesco, con il professor Melloni in testa, si era affrettata a lodare la "misericordia" di espressa da questo nuovo, chiamiamolo così, approccio al peccatore di Amoris laetitia, osservando con piena soddisfazione che quei sacerdoti, i quali hanno dato l’assoluzione ai divorziati risposati, permettendo loro di accostarsi alla santa Eucarestia, pur in assenza di un preciso impegno di non persistere nella loro nuova relazione, anche sul piano sessuale (nuova relazione che, ricordiamolo, dal punto di vista cattolico è esattamente la stessa cosa di un adulterio prolungato e sistematico, essendo tuttora valido il vincolo matrimoniale), non hanno sbagliato, come i soliti oscurantisti e pessimisti avevano detto, ma sono in piena sintonia con il Magistero ecclesiastico. Quale Magistero? Quello di Amoris laetitia, appunto. Il quale è in stridente contraddizione con duemila anni di Magistero e, guarda caso, soprattutto con le precise parole di Gesù Cristo, così come i Vangeli le hanno riportate (e con buona pace di padre Sosa Abscal, il quale nega che si possa prestar fede alle parole di Gesù, quali le riferiscono i quattro Vangeli). Si noti che l’enormità della "dottrina" di Francesco non si limita affatto alla questione dei divorziati risposati, o passati ad una nuova unione, anche solo unione di fatto: è il principio stesso da lui sostenuto che è inaccettabile, nel senso più generale possibile. Infatti, qualunque altro peccatore, il ladro, l’omicida, l’usuraio, il fraudolento, l’eretico, potrebbe giustificare il proprio peccato e pretendere di rimanervi, nonché di accostarsi alla santa Eucarestia, semplicemente richiamando le parole del papa: secondo il quale Dio stesso, in certi casi di particolare difficoltà, non solo comprende, ma, in realtà, non "si aspetta" altro che noi restiamo nel nostro peccato, se si tratta del massimo che riteniamo di poter fare, nelle circostanze date.
Che questa fosse l’idea cardinale di Bergoglio, comunque, lo sapevamo già; solo, non volevamo crederci. Preferivamo pensare che, sotto, ci fosse un equivoco, un malinteso; che ci fosse un’altra spiegazione. Però lo sapevamo, perché lo aveva detto nella famigerata intervista a Eugenio Scalfari, la prima, quella del 1° ottobre 2013, quattro ani fa, e pubblicata sul principe dei quotidiani laicisti e anticlericali, La Repubblica. E siccome la cosa aveva fatto un certo scalpore, anche se l’euforia per l’elezione del papa venuto "dalla fine del modo" era al culmine, e aveva accecato tutti, o quasi tutti, e fatto dimenticare terribilmente in fretta il trauma, e le mille domande rimaste senza risposta, delle "dimissioni" del suo predecessore, Benedetto XVI, ci si era dimenticati che quegli stessi concetti Bergoglio li aveva già espressi in una lettera a Scalfari, e adesso, esplicitamente interpellato in proposito, li aveva ribaditi con fermezza, per non dire con protervia.
SCALFARI: Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?
BERGOGLIO: Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene.
SCALFARI: Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa.
BERGOGLIO: E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo.
Parole tremende, agghiaccianti; parole che lasciano letteralmente senza fiato. Nessun sacerdote, di quanti hanno formato la nostra educazione cristiana e cattolica, le avrebbe sottoscritte; né mai le avrebbe potute accettare. E qui sta la dimostrazione del fatto che Bergoglio non solo è venuto con la ferma idea di cambiare la Chiesa, come del resto aveva annunciato proprio in quella trista conversazione col gran papa della chiesa gnostico-massonica italiana, cosa già di per sé inaudita e assolutamente illecita, ma proprio di rovesciarla come un guanto, stravolgendo e capovolgendo, nello stesso tempo, sia la dottrina, sia la morale cattoliche.
Sorvoliamo sul fatto che il concetto espresso, e ribadito, da papa Francesco, è intrinsecamente contraddittorio, proprio sul piano della logica razionale: se il bene e il male sono un fatto di valutazione personale, e quindi soggettiva, non vanno scritti con la maiuscola, e non ha senso parlarne come se fossero assoluti; tanto meno ha senso dedurre che, se ciascuno seguisse la propria idea del bene e del male, il mondo intero andrebbe meglio, perché è evidente il contrario: che il mondo intero precipiterebbe nel caos. Ci sarebbe lo scontro generale di tutti contro tutti, ciascuno volendo affermare la propria idea del bene e del male; non si troverebbero nemmeno due persone disposte a sottoscrivere lo stesso codice morale, neppure due sposi, o due ministri dello stesso governo, o due sacerdoti della stessa chiesa. Ma questo è ancora l’aspetto meno sconvolgente, meno anticristiano delle affermazioni del papa. Il peggio è nella dichiarazione ribadita con ostinazione, con superbia intellettuale, quasi a sfida di duemila anni di Magistero ecclesiastico, che ha insegnato l’esatto contrario, per bocca di duecentosessantacinque pontefici, senza contrare un certo Gesù Cristo, un certo san Paolo, un certo san Pietro, un certo san Giovanni, i Padri e i Dottori della Chiesa, i Santi e le Sante: Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male… E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Come lui li concepisce! Nemmeno Lutero, nella sua ribellione luciferina contro la Chiesa, contro la sua dottrina millenaria, contro il libero arbitrio, nemmeno Lutero, nemmeno Calvino, erano arrivati a tanto: a ridurre la questione etica ad una faccenda di competenza esclusivamente personale. Io stabilisco che cos’è il bene e che cos’è il male; e come me, facciano tutti quanti. Il compito dei cristiani? Aiutarmi a perseguire quello che per me è il bene. E se il bene, per me, fosse divorziare, o abortire, o praticare l’eutanasia? Nessun problema: se è bene per me, allora deve essere bene per tutti. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene. Chiaro, no? Il compito del cristiano, del cattolico, non è più quello d’indicare la via del Bene, così come è stata formulata da Gesù Cristo e insegnata, per duemila anni, dalla Chiesa da Lui fondata, ma è quello di incitare le persone a procedere verso quello che esse pensano sia il bene. Se per me il bene è aiutare le donne ad abortire, il cristiano deve aiutare il medico a praticare l’aborto. Se per me il bene è rompere il Sacramento matrimoniale, il cristiano deve aiutare l’uomo e la donna a separarsi, a divorziare, a prendersi una nuova compagna e un nuovo compagno (o, magari, a cercarsi un nuovo compagno del medesimo sesso). Se il bene è soggettivo, e se va bene tutto, allora il cristiano diventa una specie di factotum a disposizione di chiunque, pedofili, incestuosi e parricidi compresi. E in fondo, perché no? Se io penso che il mio bene sia andare a letto con mia cognata, con mia suocera, con mia sorella, con mia madre, con mia figlia, perché no? Io penso che quello sia il bene — si badi, non "un" bene, ma proprio "il bene", perché Bergoglio si esprime in questo modo — allora mi aspetto che i buoni cristiani mi aiutino a perseguire tali finalità. Chi sono loro, per giudicarmi? Se quello, per me, è il bene, con quale diritto mi giudicheranno e mi condanneranno? Al contrario, hanno il dovere di aiutarmi.
Qualcuno potrebbe pensare che stiamo esagerando, che stiamo forzando il senso del pensiero di Bergoglio, che lo stiamo, in qualche modo, distorcendo. Ebbene, sfidiamo chiunque a rileggersi con calma, sia l’intervista a Eugenio Scalfari, sia, quel che più conta, perché si tratta di un documento ufficiale, l’esortazione apostolica Amoris laetitia, capitolo ottavo, paragrafo 303, nel quale il papa dice testualmente: Ma questa coscienza [cioè la coscienza umana soggettiva, e, nel caso specifico la coscienza di un uomo o una donna che abbiano rotto il Sacramento del matrimonio e vivano, evidentemente in stato di peccato, con un altro compagno o un’altra compagna] può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno. C’è poco a fare: papa Francesco è stato chiaro, chiarissimo. Ecco perché non ha mai risposto ai dubia dei quattro cardinali: non poteva. Non poteva e non voleva, perché quel che aveva da dire, in fatto di coscienza e di peccato, lo aveva già detto, e non aveva, né ha, la benché minima intenzione di smentirsi.
In fondo, tutto questo è più semplice, anche se infinitamente triste, di quel che non possa sembrare. Si tratta di questo: che una parte consistente della Chiesa cattolica, dopo aver tenuto alta la propria identità, cioè il messaggio integrale di Gesù Cristo, ha sentito la fatica, la stanchezza, la crisi della fede, e ha deciso di arrivare a un compromesso con il mondo, smorzando la dottrina e attenuando le sue richieste sul piano morale. All’invito rivolto da Gesù a ciascun uomo di santificare la propria vita, essa risponde che gli uomini fanno quel che possono, meglio che possono, e che nessuno, neanche Dio stesso, potrebbe domandare loro qualcosa di più. È agghiacciante, ma è quel che è accaduto. La Chiesa, o una parte di essa, si è arresa allo spirito del mondo, si è stancata di remare contro la corrente, e ha deciso di alzare bandiera bianca. Rompete le righe, ognuno faccia quel che gli pare, si salvi chi può. Tutti a casa, insomma, perché la guerra è finita (e i cristiani l’hanno perduta): questo è l’8 settembre della Chiesa cattolica. Papa Francesco è il Badoglio della situazione o, se si preferisce, il Vittorio Emanuele III. Anche quest’ultimo sperava di salvare sia il trono, che la dinastia, firmando l’armistizio senza condizioni: ma "bruciò" l’uno e l’altra, e ne pagò il prezzo suo figlio Umberto II, il "re di maggio", ch’era un uomo, e sarebbe stato un sovrano, tanto migliore di lui. Così va il mondo: chi scende a compromessi e ricorre a mezzi inconfessabili su questioni di principio, fa sempre un cattivo affare. Così va il mondo, appunto; ma la Chiesa è, o dovrebbe essere, un’altra cosa; e, per quasi duemila anni, lo è stata. Essa è stata un’alternativa al mondo, nel solco dell’insegnamento autentico di Gesù Cristo: Nessuno può servire due padroni. Per questo è durata così a lungo, assai più di qualsiasi altra istituzione esistente: perché non ha mai pensato come il mondo, ma secondo Dio. Ora che si è arresa, si noti quanti applausi la neochiesa riceve dal mondo…
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