
La realtà è superiore all’idea; ma cos’è?
26 Agosto 2017
Credete di prendervi gioco di Dio?
27 Agosto 2017L’immigrazione in Europa di parecchi milioni di persone di fede islamica (5,8% della popolazione nel 2015, se dobbiamo credere alle statistiche; ma, probabilmente, assai di più, tenuto conto anche delle situazioni irregolari o non censite; e, soprattutto, una percentuale destinata a crescere continuamente, stante il tasso di natalità dei nuovi venuti, molto superiore a quello medio europeo) pone un problema di tipo politico, sociale, culturale, e, naturalmente, religioso: quello della compatibilità fra la religione islamica e i valori, le legislazioni e le acquisizioni intellettuali e morali dell’Europa, nonché della possibilità, o meno, di una integrazione degli immigrati islamici nel tessuto vivo della società ospitante, e non semplicemente di una coesistenza parallela di due comunità destinate a non incontrarsi mai e a sentirsi perennemente e profondamente estranee l’una all’altra.
Anche la Chiesa cattolica s’interroga su tale questione e anzi, assai prima che l’immigrazione islamica si concretizzasse, a partire dal Concilio Vaticano II aveva posto la questione del dialogo con le altre religioni e con i non credenti; in particolare, la dichiarazione Nostra aetate (1965) aveva l’ambizione di riscrivere completamente la pagina dei rapporti fra i cristiani e le altre grandi religioni, specie la giudaica e l’islamica, su una base di fiducia, stima e rispetto. Questo documento conciliare è di estrema importanza, anche perché, ribaltando la prospettiva precedente, specie riguardo al giudaismo, comportava una revisione del cattolicesimo rispetto a se stesso, nel senso che, posta la questione in termini di "dialogo", "stima" e "rispetto", veniva a cadere la questione dell’evangelizzazione e, implicitamente — più tardi, anche esplicitamente — si tornava all’idea che l’Antica Alleanza fosse ancora valida, che i giudei non dovessero convertirsi e che il giudaismo fosse mezzo sufficiente per acquisire la salvezza eterna. Lasciando da parte, in questa sede, le conseguenze dirompenti di tale nuova impostazione, e limitandoci al rapporto con l’islam, è chiaro – ce lo siamo chiesti in parecchi altri lavori — che un dialogo esiste là dove entrambe le parti sono interessate a dialogare, e se entrambe hanno lo stesso concetto di cosa sia il dialogo; mentre, se una delle due ignora il concetto stesso di dialogo, ma si pone come alternativa irreconciliabile rispetto all’altra, talvolta anche violenta, tutto il discorso sul dialogo si svuota di significato e sopravvive, semmai, come pura chiacchiera ed esercizio di oratoria.
Ora, per tentar di capire se sia possibile il dialogo fra cristianesimo e islam, o meglio, fra civiltà europea e islam — dato che l’Europa è, attualmente, un continente post-cristiano e, in larga misura, anticristiano, eccezion fatta per la Russia e pochi altri Stati — bisogna vedere più da vicino cosa vi sia al cuore del messaggi islamico, ossia del Corano; così come per capire cosa vi sia al cuore del messaggio cristiano bisogna interrogare il Vangelo. Non pretendiamo di farlo qui, adesso; esiste una vastissima letteratura su questo argomento, peraltro assai diversificata nelle prospettive e nelle conclusioni. Noi qui ci limiteremo, per brevità, a porre la questione di cosa sia il Corano dal punto di vista storico e teologico, quanto al suo messaggio e quanto alla possibilità di una convivenza pacifica fra l’islam e le società non islamiche. Si potrebbe pensare che intendiamo porre la questione della tolleranza: ma la tolleranza è un concetto ambiguo, che risale all’illuminismo e che non riflette le radici della civiltà europea, che sono cristiane, ma quelle volterriane e anticristiane, o meglio anticattoliche (si veda la Lettera sulla tolleranza del gran padre del pensiero liberale, John Locke, che è, appunto, dichiaratamente anticattolica, e in cui si nega risolutamente la tolleranza nei confronti dei cattolici). D’altra parte, la "tolleranza" è un concetto di matrice cristiana, nel senso che si rifà — ma senza ammetterlo, per partito preso — all’idea cristiana della fratellanza universale di tutti gli uomini. Giungiamo quindi a una prima acquisizione: l’Europa è in contraddizione con se stessa, perché non riconosce le proprie radici, disprezza la propria identità e pretende di impostare la propria vita e il proprio futuro sulla base di "valori" anticristiani che si sono sovrapposti, come "schegge impazzite" (la calzante definizione è di G. K. Chesterton) sui vecchi valori cristiani, rifiutati, abbandonati e vilipesi. Dunque, la prima difficoltà del dialogo fra la società europea e gli islamici nasce dal fatto che gli europei, non essendo più nessuno, cioè avendo costruito la civiltà moderna sul nulla, sono oggettivamente in posizione difficile per dialogare con l’altro, perché il dialogo è possibile quando si è qualcuno e quando si sa di essere qualcuno e si ama ciò che si è. Per esempio, il dialogo con una persona affetta da schizofrenia, o da una grave forma di depressione, è impossibile: non si può dialogare con chi non sa chi è, non crede in se stesso, non ha una retta percezione di sé. A questa difficoltà se ne aggiunge un’altra, nel caso specifico dell’interlocutore islamico: il fatto che l’islam medesimo, a differenza di quel che generalmente si crede, è l’espressione di un corpus di idee religiose non omogeneo, ma attraversato, al contrario, da una profonda differenza tra i contenuti della prima fase della sua elaborazione, ancora assai rispettosi nei confronti del giudaismo e del cristianesimo, religioni alle quali Maometto si era largamente richiamato per combattere il politeismo delle tribù arabe, e quelli della seconda, quando egli diventa un "profeta armato" e assume una posizione molto più dura e intransigente verso gli "infedeli".
Ha scritto il gesuita Franco Martellozzo – che ha vissuto per mezzo secolo nel Ciad, fra popolazioni musulmane – nella sua monografia L’islam a due volti (Villa del Conte, Padova, Tip. Bertato; cit. nel bimensile La Martinella, Parrocchia di Farra di Feltre, n. 2, aprile-maggio 2017, pp. 12-13):
L’islam ha due volti: uno amichevole, legato ai valori spirituali che condividiamo profondamente, l’altro francamente ostile, perché legato all’integralismo fondamentalista della legge islamica.
Come si spiega? La risposta è nel Corano ma, prima ancora, nella vita di Maometto. Le due fasi della sua vita sono la risposta per entrare nel mondo delle idee e comprendere i comportamenti contraddittori dell’islam. […]
A Medina [dopo l’egira, 622 d. C.] se il popolo accolse favorevolmente la predicazione di Mohammed, non così gli intellettuali. Nei rapporti con i Giudei di Medina si mise in luce un equivoco che minò definitivamente il loro rapporto. I Giudei accolsero Mohammed nella speranza di vederlo diventare Giudeo. E Mohammed coltivò questo rapporto con i Giudei nella speranza di essere riconosciuto come l’Ultimo dei Profeti del Libro (la Bibbia). L’armonia dei rapporti si guastò. Dovette lasciare Medina.
Quando Mohammed conobbe la storia di Abramo e dei suoi figli Ismaele e Isacco (Ismaele divenuto padre degli Arabi e Isacco degli Ebrei), non si riconobbe né nell’uno, né nell’altro dei figli di Abramo, bensì in Abramo stesso, il padre dei credenti nel Dio vero e unico. Ebbe una visione nella quale l’Angelo gli disse che Abramo (1900-1800 a. C.) era venuto a trovare Ismaele suo figlio in Arabia ed era stato lui a costruire la Ka’aba alla Mecca. Di colpo egli si sentì superiore ai Giudei e ai Cristiani e diede ordine di pregare, da allora in poi, rivolti verso la Mecca. D’ora in poi saranno i Giudei e i Cristiani che dovranno convertirsi a lui.
Maometto decise di riconquistare la Mecca ma subì una disastrosa sconfitta (625 d. C.). Mohammed e i suoi si ridussero alla miseria. È in questo periodo che si diffonde il nome di Muslim, Musulmani (cioè sottomessi), per designarli. Inizia qui un’altra fase della sua vita: ordina di attaccare le carovane per approvvigionarsi. Fu il primo sangue versato. Da allora in poi ci fu una guerra dopo l’altra, sangue su sangue e Mohammmed conquistò Medina nel 627, si vendicò dei suoi nemici e fece massacrare circa 700 ebrei. Con la guerra, con alleanze, con assassinii politici e con la predicazione, rientrò alla Mecca come vincitore nel 630 d. C. Purificò la Ka’aba dai segni dell’idolatria e vi fece per primo il pellegrinaggio.
Alla sua morte (632) fu scelto come suo successore non Alì (sposo di sua figlia Fatima), ma Abu Bekr, suo suocero e braccio destro. Da qui le due grandi correnti musulmane: Sunniti e Sciiti. L’opposizione spesso violenta, tra Sciiti, discendenti da Alì (capofila odierno: l’Iran) e Sunniti (discendenti di Abu Bekr) risale alla lotta per la successione alla testa dell’Islam. Quanto al Corano, non fu che in seguito che si raccolsero per iscritto, unficandoli con una certa organicità i versetti recitati dal "Profeta", ed è la forma del Corano attuale (la popolazione musulmana di oggi ritiene che il Corano è stato dato direttamente da Dio a Mohammed).
Una cosa appare evidente: durante il primo periodo alla Mecca, Mohammed si comportò come un predicatore ispirato, attaccato a un messaggio puramente religioso e morale. Nel secondo periodo, a Medina, Maometto abbracciò in modo inequivocabile una via diversa, quella del profeta armato, capo politico e religioso nello stesso tempo. Qui sta la chiave dell’Islam, come ideologia religiosa e politica indissolubile. Questo cambiamento è attestato dall’insieme delle Surate del Corano.
All’interno del Corano vi sono Surate (capitoli) che risentono del primo periodo e altre che appartengono senza dubbio al secondo periodo, quello più violento degli ultimi anni di Medina. Le prime sono annunci brevi, di alta emotività religiosa e senza diatribe con i Giudei e i Cristiani. Le seconde si snodano lunghe, con una netta tendenza alla legislazione e alla diatriba anti-giudea e anti-cristiana. Certune vanno a dettagli matrimoniali come: "il credente può sposare quattro donne legittime, senza contare le concubine ma il Profeta… tutte le donne credenti che lo desiderano". E altri enunciato di ordinamento amministrativo più che annunci religiosi.
Con gli Ebrei e i Cristiani: leggendo il Corano si ha l’impressione che Dio si rimangi le prime affermazioni rispettose e concilianti. Queste divergenze all’interno del Corano hanno posto un problema agli intellettuali musulmani che si domandano: "Quando ad una parola del Corano se ne oppone un’altra, a quale credere?". Si è imposta nella tradizione questa conclusione: "sono i versetti più recenti quelli che esprimono la volontà definitiva di Dio". Per cui se nelle Surate del primo periodo il Corano tratta i cristiani da "migliori amici dei musulmani", e nelle Surate del secondo periodo da "nemici da combattere fino a sottometterli" è evidente che è questa seconda che deve essere tenuta per buona perché è successiva.
A questo si aggiunge un’altra discutibile affermazione: che Mohammed, essendo venuto dopo gli altri profeti, e dopo Gesù, è quindi superiore a tutti, è il compimento di ogni verità divina. Non vi è nessuno più grande di Mohammed. Riguardo a Gesù, il Corano raccoglie racconti popolari del tipo degli apocrifi, tardivi, non ha conosciuto i Vangeli! L’ignoranza circa Gesù Cristo e circa lo sviluppo della fede cristiana (al suo temo molto sviluppata nelle formule del Credo e nella teologia dei Padri della Chiesa), fa dire ad alcuni che Maometto e l’Islam appartengono religiosamente all’Antico Testamento.
La cesura tra le due fasi della vita e del pensiero religioso di Maometto si colloca, dunque, nel 622, l’anno dell’Egira: la fuga dalla Mecca a Medina. La tesi di padre Martellozzo rispecchia una valutazione assai diffusa fra gi studiosi del Corano, tanto è vero che la maggior parte di essi parla esplicitamente di sure meccane e di sure medinesi, a seconda del periodo in cui vennero composte. Trova consenso anche il giudizio circa il carattere normativo, attribuito generalmente dai fedeli islamici alle sure più recenti rispetto alle più antiche, in quanto esse abrogherebbero le prime e rispecchierebbero il pensiero definitivo, non di Maometto, che è solo il Profeta, ma di Allah, che ha consegnato il Corano al suo Profeta per mezzo dell’arcangelo Gabriele. Dunque, per il credente musulmano, la maggiore severità e il rifiuto di qualunque dialogo con giudei e cristiani, propri delle sure medinesi, dipende non da una evoluzione del pensiero di Maometto, ma dalla pedagogia di Dio, che, dopo aver preparato il terreno con la predicazione iniziale del suo Profeta, ha poi reso nota agli uomini la sua volontà definitiva. Resta il fatto che il Corano mostra di non conoscere il Gesù dei Vangeli, meno ancora la dottrina cristiana definita dai Padri della Chiesa e dai primi Concili ecumenici, ma solo il Gesù dei racconti orali e quello dei Vangeli gnostici (che i cristiani rifiutano), per cui, anche da questo lato, un dialogo fra islamici ed europei appare difficile: sarebbe come se gli europei conoscessero solo il Maometto (che pure, per l’islam, è solo il Profeta, e non certo Dio, mentre per i cristiani Gesù è Dio, la seconda Persona della Trinità) dei racconti orali che giungevano nelle terre dell’Impero bizantino nel VII secolo dopo Cristo, cioè un Maometto semi-leggendario, e non il Maometto storico; e, inoltre, come se non conoscessero il Corano se non per sentito dire, senza averlo mai letto. Il che è certamente vero per molti europei, ma non per tutti.
Pertanto, in conclusione, anche se una maggiore conoscenza reciproca può certamente dare frutti positivi, restano almeno due fattori che rendono problematico il dialogo: la perdita dell’identità europea e la duplice anima dell’islam, diviso fra la convivenza pacifica e le suggestioni integraliste.
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