
Non c’è fine all’orrore, quando in chiesa si affaccia il ghigno del diavolo
8 Marzo 2017
No, cari filosofi e teologi progressisti: non si cancella il diavolo con un tratto di penna
9 Marzo 2017C’è un episodio assai significativo nella vita di San Cirillo (Tessalonica, 826 o 827-Roma, 14 febbraio 869), il cui vero nome era Costantino, fratello di Metodio, insieme al quale è venerato come grande evangelizzatore dei popoli slavi e compatrono d’Europa.
Quando era ancora un bambino di sette anni, il futuro apostolo disarmato del Vangelo di Cristo fra i popoli slavi, oltre che presso gli arabi e i khazari, il futuro inventore del più antico alfabeto slavo conosciuto, il glagolitico, grazie al quale poté tradurre le Sacre Scritture nelle lingue di quei popoli ancora pagani, egli fece un vivido e bellissimo sogno che lasciò in lui una impressione indelebile, tanto da orientare tutta l’evoluzione della sua vita da adulto. Sognò che era stato invitato a scegliersi una sposa fra le ragazze più belle della sua città, Tessalonica, l’odierna Salonicco (non si era ancora trasferito nella capitale Costantinopoli, per studiarvi la filosofia e la teologia), e che la sua scelta era caduta senz’altro su quella che gli apparve la più bella e splendente di tutte. Il suo nome era Sofia, vale a dire "sapienza", e pare che fin da subito avesse compreso, o intuito, che la sua sposa non sarebbe stata una donna di carne e sangue, ma la Sapienza santa, ossia la Sapienza delle cose divine, la sola che avrebbe potuto appagare interamente la sua sete ardente di conoscenza.
Così viene narrato quell’episodio dal sapore profetico, nel terzo capitolo della Vita paleoslava di san Cirillo (cit. in: Cirillo e Metodio. Invito alla lettura, di Giovanna Parravicini, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2004, pp. 40-41):
Quando il fanciullo ebbe sette anni fece un sogno, e, raccontandolo al padre e alla madre, disse: "Lo "strategos" dopo aver radunato tutte le a della nostra città mi ha detto: Scegli tra queste quale vuoi, come sposa e come aiuto che a te conviene (Gn, 2, 18). Io allora, guadatele ben bene tutte quante, vidi che una era più bella di tutte, con il volto luminoso e tutta adorna di monili d’oro e di gemmee rivestita di ogni bella; si chiamava Sofia, cioè Sapienza. Ho scelto questa". […] Un bel giorno, secondo l’abitudine dei figli dei ricchi di divertirsi con la caccia, andò con loro in campagna, avendo con sé un falcone; gli aveva fatto prendere il volo quando un vento sollevato dalla provvidenza divina glielo portò via, lasciandolo senza falcone. Il ragazzo ne ebbe un dispiacere e una tristezza tali che per due giorni non toccò cibo. Dio misericordioso nel suo amore per l’umanità, non volendo che si assuefacesse alle cose di questa vita, lo conquistò facilmente. Come una volta aveva conquistato Placida con un cervo, così legò a sé Costantino con il falcone. Avendo infatti considerata tra sé la vanità di questa vita, se ne pentiva dicendo: "Questa vita non è forse tale che alla gioia subentra la tristezza. Da oggi in poi imboccherò una via migliore di questa; non sprecherò davvero i miei giorni nell’altalena disordinata di questa vita".Si applicò allo studio della lettere, chiudendosi in casa e imparando a memoria gli scritti di san Gregorio il Teologo. Tracciò sulla parete un segno di croce e vi scrisse il seguente encomio poetico di san Gregorio:
"O Gregorio, uomo per il corpo ma per l’anima santo!
Tu, uomo nel corpo, ti sei mostrato angelo perché la tua bocca glorifica Dio come uno dei Serafini e illumina il mondo intero nello spiegare la vera fede.
Accogli quindi anche me, che a te mi appresso con amore e fede e siimi maestro e sorgente di luce".
Queste erano le promesse che faceva. Entrato a contatto con numerosi ragionamenti ed avendo raggiunto un avanzato livello di comprensione, non riuscendo a scrutarli fino in fondo, cadde in preda a un profondo sconforto. […] Si affidò alla preghiera per poter realizzare il desiderio del suo cuore. Improvvisamente Dio "realizzò in pieno la volontà di coloro che lo temono" (Sal 145,19). Il reggente imperiale, che si chiama logoteta, essendo venuto a conoscenza della sua bellezza, della sua sapienza e dell’intenso studio, che in lui facevano tutt’uno, lo mandò a chiamare perché continuasse i suoi studi insieme all’imperatore. Il giovane, sentite queste proposte, partì pieno di gioia e durante il viaggio pregò con devozione, dicendo: "Dio dei nostri Padri e Signore della misericordia, che hai fatto tutte le cose con la tua Parola e Sapienza, ponendo l’uomo a dominare le creature fatte da Te, dammi la Sapienza che è prossima ai tuoi Toni, perché io comprenda ciò che a Te è gradito e così mi salvi. Sono infatti il tuo servo e figlio della tua ancella". E dopo aver recitato qui il seguito della preghiera di Salomone, si levò in piedi e disse. "Amen!".
Ora, per comprendere bene l’episodio del sogno, e anche la successiva ricerca filosofica e teologica del santo, che gli valsero, sin da giovane, l’appellativo di Costantino il Filosofo, bisogna tener presente che cos’era la "sofia" nel linguaggio e nella concezione teologica del tempo, così come lo fu per tutti i secoli del Medioevo, e non solo nell’Oriente bizantino, ma anche nell’Occidente latino. Era, sì, ma solo in parte, l’equivalente del concetto di "filosofia" come lo intendiamo noi moderni; però non si trattava di una conoscenza filosofica puramente ed esclusivamente razionale, bensì tale da abbracciare in sé – su di un piano ben superiore, e non già inferiore, a quello della stretta razionalità logico-matematica -, anche l’ispirazione divina promanante direttamente dal Verbo: una armoniosa fusione del sapere umano e del sapere divino, ottenuta con la preghiera e con la grazia e non solo con lo sforzo della mente umana, che, per quanto acuta ed esperta nei sottili ragionamenti, è pur sempre limitata e, perciò, insufficiente a misurarsi a tu per tu con il Mistero di Dio. In un certo senso, la concezione della "sofia" era più vicina al concetto indiano della speculazione filosofica, che a quello occidentale moderno; e in questo, senza dubbio, un ruolo importante era stato svolto dall’eredità della tradizione del pensiero greco ed ellenistico, e specialmente da quei filosofi neoplatonici, che, come Ammonio Sacca, avevano avuto relazioni dirette con le filosofie dell’India, e fecero quindi da "ponte" fra le due civiltà (cfr. la nostra traduzione originale, dal latino, dei frammento di Ammonio Sacca tramandati da alcuni autori greci, e mai finora tradotti in italiano: I Frammenti di Ammonio Sacca da Prisciano, Nemesio, Ierocle, pubblicata parzialmente sul sito di Arianna Editrice il 15/11/2007, e poi ripubblicata integralmente su Il Corriere delle Regioni il 17/08/2015).
Ma non solo. La Sofia è anche la personificazione di Cristo stesso: perché in Lui vi è la verità ultima selle cose; anzi, in Lui vi è la perfezione ultima di ciascuna cosa, di ciascuna virtù, di ciascun pregio, che qui, sulla terra, sono sempre limitati e imperfetti, per quanto possano presentarsi sotto vesti affascinanti. E Costantino non era uomo dalle mezze misure: una volta messosi sulla strada del sapere, egli non voleva accontentarsi di un mezzo sapere, ma voleva raggiungere un sapere intergale; assetato di verità e di bellezza (la bellezza, che è così importante nel misticismo bizantino, e, poi, ortodosso, ad esempio nella venerazione delle icone; e dire che c’è ancora qualche ignorante che seguita a ripetere il vecchio, trito ritornello di un cristianesimo, specialmente medievale, negatore della bellezza e spregiatore del corpo!), non era disposto ad accontentarsi di nulla di meno che la Bellezza e la Verità assolute, le quali in Dio si riuniscono e coincidono, poiché in Dio si raccoglie e si fonde tutto ciò che è eccellente. E dunque perché mai fermarsi a metà strada, perché indulgere e attardarsi con cose che, per quanto pregevoli, e, in apparenza, desiderabili, non possono, né mai potranno, spegnere l’ultima sete e il supremo desiderio di un’anima appassionata e protesa con tutta se stessa vero l’Assoluto?
Scrive in proposito Giovanna Parravicini, studiosa di letteratura e arte cristiana nell’Oriente russo e bizantino, nonché collaboratrice della rivista cattolica Il Timone (op. cit., 16):
Il tema dio Cristo-Sofia, incarnazione e manifestazione agli uomini di Dio come Bellezza, Bontà e Verità assoluta era vivo nella cultura del tempo:proprio alla Sofia era stata consacrata da Giustiniano nel VI secolo la chiesa-madre della cristianità, a Costantinopoli, e poco più di un secolo dopo, convinto dalla bellezza vista dai suoi messaggeri all’interno di quel tempio ("là Dio dimora con gli uomini", gli avevano riferito) il principe Vladimir si sarebbe convertito al cristianesimo insieme al popolo della Rus’. Quando leggiamo nella "Vita" l’espressione "Costantino il Filosofo" o vediamo sottolineare suo amore per il sapere, dobbiamo dare alla parola Sapienza il suo giusto spessore, che supera la concezione puramente intellettuale tipica della cultura moderna: la Sofia è infatti la possibilità di cogliere la presenza misteriosa ma tangibile di Dio nella realtà, di percepire in ogni bellezza la Bellezza ultima, in ogni bene il Bene ultimo, in ogni verità la Verità ultima; per questo, in ultima analisi, Sofia è uno degli epiteti di Cristo.
Confrontando la concezione bizantina e, in genere, medievale, della Sofia, con quella moderna di un sapere tutto inteso in senso laico e intellettualistico, non si può non cogliere il vuoto, l’impoverimento, la miseria della seconda rispetto alla prima, e deprecare tutto ciò che la cultura moderna si è lasciata dietro, anche in questo campo, e con suo danno gravissimo, in termini di retta e integrale comprensione della realtà. Già solo nel passaggio da "sapienza" a "sapere", per non parlare, poi, dei "saperi", al plurale, coi quali si riempiono ormai tutti la bocca, specie parlando di scuola e di università, si può misurare di quanto ci siamo allontanati da una giusta impostazione della questione; e di quanto – credendo, oltretutto, di fare un affarone! -, ci siamo spogliati e depauperati di una maniera di porci, di fronte all’atto del conoscere, che coinvolgeva, accanto alle facoltà intellettive, anche quel tesoro più profondo, e preziosissimo, che rimanda alla saggezza, frutto non solo di un percorso individuale, ma deposito accumulato nei secoli, generazione dopo generazione, e continuamente alimentato dalla sorgente viva della grazia di Dio, concessa a quanti la cercano con amore e con umiltà assoluta. Forse che non era questa la sapienza-verità cercata da san Tommaso d’Aquino, allorché il grande filosofo e teologo, non riuscendo a trovare una risposta puramente intellettuale alle sue domande sulla natura di Dio, andava in chiesa e abbracciava, piangendo, il tabernacolo con il Santissimo, implorando, anche per tutta la notte, di ricevere da Dio la risposta ai suoi interrogativi?
Anche Dante Alighieri aveva presente il mistero della Sapienza santa come fonte suprema del conoscere (cfr. il nostro saggio L’esoterismo di Dante, pubblicato sul sito del Centro Studi La Runa, il 31/03/2010). Il rapimento del poeta, in sogno, da parte dell’aquila – descritto nel nono canto della seconda cantica -, al cui risveglio si trova davanti alla porta del Purgatorio, non rappresenta forse il divino rapimento dell’anima, quando è afferrata dall’ardente desiderio di avvicinarsi, per quanto possibile, al suo Creatore? E sempre Dante, nel Convivio, non aveva forse paragonato il viaggio dell’anima verso Dio a quello di un viandante che scambia le tappe intermedie del suo viaggio per la meta, poiché ancora non conosce tutto lo splendore di questa, ma che sempre si rimette in viaggio, non appena si rende conto che le città, finora incontrate, sono poca cosa in confronto alla pienezza del Sommo Bene, verso la quale sono diretti tutti i suoi desideri? (cfr. il nostro articolo Come ogni cosa vuol torna al suo principio, così anche l’uomo vuol tornare a Dio, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 06/03/2017).
Allo stesso modo, anche san Cirillo volle mettersi alla ricerca del Sommo Bene, lasciandosi dietro le spalle, come insoddisfacenti e mediocri, tutti i beni secondari, nei quali vi è solo un pallido riflesso di quello; e volle farlo da filosofo, cioè per via razionale, ma anche da autentico cristiano, cioè con l’umiltà della fede ed il pieno abbandono in Dio. Ecco: questa è la fusione di cui ha bisogno l’anima, per accordarsi con le mente, e di cui ha bisogno la mente, per accordarsi con l’anima. Fede e ragione, fides et ratio (e si pensi all’enciclica di Giovanni Paolo II, del 1998; ma si pensi anche alla "lectio magistralis" di Benedetto XVI, a Ratisbona, su Fede, ragione e università, del 2006): hanno bisogno l’una dell’altra, ed entrambe hanno bisogno di Dio, perché solo così l’uomo può trovare la pace, ossia l’appagamento in quel mare di cui porta la sete fin dall’inizio della sua vita. Per san Cirillo, l’illuminazione venne assai presto, per mezzo di un sogno simbolico e premonitore, quello di una bellissima fanciulla di nome Sofia. Il dramma dell’uomo moderno è la perdita di quel sogno, di quella consapevolezza, di quella pienezza, che scaturiscono solo dalla integrazione di fede ragione. Il suo squilibrio, la sua disarmonia, la sua lacerazione hanno origine da qui. E da qui, pertanto, e solo da qui, può avere inizio un cammino di ritorno a Dio, senza il quale l’uomo non troverà mai la pace: neppure coi suoi simili, e meno ancora con se stesso…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash