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30 Luglio 2015Schillebeeckx e i teologi “progressisti”: non riforma del cattolicesimo, ma distruzione

Edward Schillebeeckx, Karl Rahner, Yves Congar, Hans Küng e tutti gli altri teologi "progressisti" i quali con un fortunato colpo di mano, si impadronirono della direzione spirituale della Chiesa durante il Concilio Vaticano II – sostenuti da cardinali come Giacomo Lercaro e da storici ancora più oltranzisti, come Giuseppe Alberigo, i quali avrebbero voluto che si spingessero perfino più lontano – non ebbero di mira la riforma del cattolicesimo, ma la sua distruzione.
Non è questione di buona fede: nessun dubbio che essi, almeno per la maggior parte e almeno in un primo tempo, non ebbero affatto un simile obiettivo e credettero, anzi, sinceramente, di adoperarsi per un rinnovamento che essi sentivano tanto necessario quanto urgente (altro discorso va fatto per alcuni di essi, come Hans Küng, specialmente negli anni successivi, quando i Pontefici presero chiaramente posizione verso il loro estremismo riformista ed essi non vollero sottomettersi, anzi, sfidarono apertamente il magistero ecclesiastico).
Quello che conta, però, nel divenire della storia, non sono le intenzioni, più o meno buone, bensì i risultati: e chiunque possieda un minimo di onestà intellettuale è in grado di vedere dove portano certe prese di posizioni, certi pretesi "aggiornamenti" in nome di un non meglio definito "spirito conciliare", curiosa espressione tautologica con la quale si vuol sempre sottintendere, da parte dei cattolici "modernisti", che è necessario attuare non già quel che effettivamente i documenti finali del Concilio Vaticano II affermano, ma lo "spirito" con cui furono redatti: vale a dire che bisogna attuare quel che il Concilio stesso, a parer loro, avrebbe potuto e dovuto essere, avrebbe potuto e dovuto affermare, se non fosse stato intralciato e rallentato in ogni modo dall’opera nefasta dei padri conservatori o, addirittura, reazionari.
Ebbene, dove andasse la Chiesa cattolica, una volta che avesse prese per buone simili "guide" e una volta che si fosse rimessa a un cosiffatto "spirito" (che poco o nulla aveva a che fare con l’azione soprannaturale dello Spirito, unica e vera protagonista, in duemila anni di storia della Chiesa, delle sue decisioni più importanti in campo teologico: è Dio, non l’uomo, che guida la navicella della Chiesa), era possibile vederlo già all’epoca del Vaticano II, per non parlare degli anni successivi: verso la distruzione del cattolicesimo e verso l’autodistruzione della Chiesa medesima. Per aver fatto proprie le categorie intellettuali e spirituali del mondo moderno, e particolarmente del marxismo (un Dio che già allora stava fallendo: ma costoro, con tutto il loro "progressismo", furono così miopi da non vederlo, scommettendo sul cavallo sbagliato), i teologi del supposti "rinnovamento" cristiano hanno dato la spallata finale a quel poco che restava di metafisica e di senso del mistero, di fede nel soprannaturale e di coscienza della creaturalità dell’uomo, di coscienza del peccato e della necessità della grazia e della Redenzione. Ne è risultato un cristianesimo disossato, evanescente, relativista, incapace di guidare chiunque, perché incapace di essere se stesso, di prendere su di sé la propria specificità e identità, accettando le sfide del mondo moderno, senza però omologarsi ad esso. Un cristianesimo di seconda o terza classe, costruito su misura per uomini che non sentono più il mistero del soprannaturale, che non credono più nel dramma del peccati e della grazia, che si ritengono autosufficienti e che guardano alla Chiesa come una costruzione puramente umana, più precisamente come una istituzione democratica di tipo assembleare, nel quale è possibile cambiare tutto e anche di più, a colpi di maggioranza, quando lo richieda lo "spirito dei tempi" (con la lettera minuscola).
Edward Schillebeeckx, padre domenicano, ispiratore del famoso Catechismo olandese degli anni Sessanta e punto di riferimento, durante il Concilio Vaticano II, di tutta la fazione più agguerrita dei "novatori", è il perfetto prototipo di questa nuova, strana figura di teologo avversario feroce di duemila anni di teologia cattolica, anzi, a ben guardare, di qualsiasi teologia tradizionale: il classico "progressista" che, nella sua smania di riforme, giunge alla sistematica, iconoclastica distruzione di gran parte di ciò che duemila anni di Tradizione, con la "t" maiuscola (due essendo le fonti della Rivelazione, e non una, come vorrebbero i protestanti: la Tradizione e la Scrittura) hanno gelosamente e amorevolmente tramandato alle generazioni successive, senza mai perdere di vista la differenza fra ciò che è essenziale da ciò che è accessorio, fra ciò che è eterno e intangibile e ciò che è transitorio e, dunque, riformabile. Ma poi sono arrivati loro, i teologi alla Schillebeeckx, e la percezione di tale differenza è venuta meno: tutto è diventato riformabile, perché niente era più saldo e certo nella loro visione della Rivelazione.
Totalmente privi di umiltà intellettuale e spirituale, convinti di incarnare ciò che di meglio costituisce la cristianità "adulta" e "responsabile" (mentre i tradizionalisti, per loro, altro non erano che mummie da gettare nel cestino) e, in fondo, profondamente sprezzanti nei confronti del popolo cristiano, pur se facevano, e fanno, un gran parlare del "popolo di Cristo", in senso apertamente demagogico, perché convinti che la "verità" della Rivelazione si possa cambiare ad opera di pochi individui "consapevoli" (l’eterna presunzione di tutte le minoranze rivoluzionarie), hanno perpetrato un autentico delitto perfetto: uccidere il senso di Dio riducendolo alle proporzioni dell’umano, ma senza che gli interessati se ne accorgano, anzi, lasciando sopravvivere l’illusione che Dio sia più vivo che mai nel cuore di codesti cristiani "adulti" e "responsabili".
Più che mai opportune ci sembrano, al riguardo, alcune riflessioni che svolse, a suo tempo, una scrittrice oggi quasi dimenticata, Orsola Nemi (moglie dello scrittore Henry Furst, un americano innamorato dell’Italia e della sua cultura): considerazioni che, già allora, apparvero come sommamente "inattuali", nel clima di malsana eccitazione cripto-marxista che serpeggiava allora nel mondo cattolico e che sarebbe poi sfociata nella cosiddetta "teologia della liberazione", estrema manifestazione di quella proterva presunzione intellettuale che pretende di stravolgere il significato ultimo della Buona Novella, facendone un messaggio essenzialmente sociale e politico: tentazione contro cui già ebbe a lottare duramente proprio il Fondatore e Maestro, ma che continuamente, nel corso della storia, è tornata a fare capolino, sino a insediarsi pressoché da padrona in certi ambienti, debitamente "progressisti" e "illuminati", della Chiesa odierna.
Scriveva, dunque, con esemplare lucidità e chiarezza, Orsola Nemi nel suo libro «I cristiani dimezzati» (Milano, Rusconi, 1972, pp. 142-155):
«Nell’autunno del 1970 i teologi progressisti si radunarono a congresso a Bruxelles; in quell’occasione, Virgilio Titone scrisse sul "Corriere della Sera", un articolo che sarebbe tutto da citare per l”equilibrio dei giudizi e la chiarezza dell’esposizione. Basterà la conclusione: ‘Si dimentica che la Chiesa non può entrare in gara coi partiti o altre simili associazioni e che per un cristiano l’amore insegnato dal Vangelo sa trovare le sue vie meglio che non sia possibile ai politici e ai sociologi. Ed è detto tutto.’ Sì, per chi ragiona non dico da cristiano ma anche soltanto con intellettuale onestà, da persona desiderosa di chiarezza e di logica. Ma è desiderio lontanissimo da chi smania per il mutamento a ogni costo senza timore dei compromessi che comporta. […]
Padre Schillebeeckx ci ha dato molti dispiaceri. Al Congresso di Bruxelles cui si è accennato dichiarò ai giornalisti la sua convinzione che "la fede non può comprendere se stessa senza passare attraverso la psicologia, la sociologia, la teoria critica della società". Dove troveremo il tempo e la capacità di apprendere tanta scienza? Passerà la vita, arriverà la morte, e non avremo ancora capito la nostra fede! Ma Cristo, speranza nostra, ci rassicura: "In verità, in verità vi dico: chi non avrà accolto il Regno di Dio come un fanciullo, non vi entrerà" (Mc 10, 15). Del resti si potrebbe dire che anche questi signori sono fanciulli, ma lo si direbbe in mala fede; sarebbe più esatto parlare , nel loro caso, di infantilismo: non riescono a liberarsi dal fascino dei giocattoli meccanici. Infatti, a Bruxelles, lo stesso padre Schillebeeckx ha dichiarato: ‘Il Dio dell’era spaziale, dell’era dei calcolatori elettronici, del consumismo, della filosofia esistenziale e della secolarizzazione non potrebbe possedere gli stessi connotati del Dio adorato ai tempi dei servi della gleba.’ Sono discorsi che si fanno anche dal barbiere; un tale qualunque ha letto un numero arretrato di un qualsiasi ‘Digest’, euforico dopo una buona frizione al cuoio capelluto e dopo le carezze degli asciugamani tiepidi sulla faccia sbarbata, si abbandona a esprimere quel che gli sembra un’idea geniale. Non occorre per questo radunare un congresso di teologi. Anzitutto, l’epoca dei servi della gleba era anche l’epoca di san Tommaso d’Aquino, di san Benedetto, di sant’Alberto Magno. Costoro non rifiutavano di essere accomunati ai servi della gleba nella stessa connotazione di Dio. Immagino che dovevano sentirsene rassicurati quando, distolti dalle loro meditazioni, che tanto li avvicinavano all’Essere principio di tutte le cose,m si ritrovavano concordi con tutte le sue creature. Illuminati com’erano dallo Spirito Santo, sapevano che ai piedi dell’altare la loro sapienza e l’ignoranza dei servi della gleba mandavano la stessa luce; la differenza di lunghezza dei loro raggi, nel buio del mistero infinito, era insignificante, scompariva. Si dimentica che quelle menti prepararono e attuarono la vera rinascita; perché il Medioevo fu tempo di primavera. Allora tutto era nuovo davvero, dall’architettura alla filosofia, nuovo era il linguaggio che sprigionandosi dal latino suscitava con le nuove lingue volgari nuove forme di poesia, nuova era la pittura, nuovo il teatro. La fede cristiana, con la sua linfa umana e divina, vivificava l’Europa. I nuovi teologi che rispettosamente udiamo parlare in un linguaggio per noi incomprensibile, dovuto al loro aggirarsi in un giardino invernale fiorito di teoremi, sillogismi, equazioni, distinzioni filiformi, da cui vengono naturalmente turbati, sottomettono di continuo l’Essere perfettissimo alla presenza di oggetti metallici in movimento. In che modo le macchine potrebbero cambiare la natura dell’uomo? Ma cambieranno pure loro, diverranno in brevissimo tempo ferrivecchi, altre macchine verranno. E allora bisognerà in loro onore cambiare di nuovo la connotazione di Dio? Il teologo Antoine Vergote, che insegna a Lovanio e che prendeva egli pure parte al Congresso di Bruxelles,concepisce il Credo come "un complesso di verità riformulabili a misura dell’uomo contemporaneo". […] Padre Schillebeeckx insegna che "… la rivelazione cristiana nella sua forma tradizionale ha cessato di offrire una risposta valida alla questione relativa a Dio sollevata dalla maggior parte degli uomini del nostro tempo e pare non offrire nessun apporto alla comprensione di sé che l’uomo moderno ha in questo mondo e nella storia umana. È evidente che un numero sempre più grande di persone è inquieto e insoddisfatto delle risposte tradizionali che il cristianesimo dà alle loro domande..": Ma è soddisfatti delle risposte di una macchina. Il teologo Kasper di Münster in Germania ha dichiarato a Bruxelles: "Oggi abbiamo perduto il contatto con la realtà. La fede è caduta in una situazione estremamente precaria. "Non è la Chiesa che ha perduto il contatto con la realtà, ma l’uomo moderno. Lo dicono le scienze di cui i signori di Bruxelles sono tanto devoti. La fede fa parte di quelle realtà di cui l’uomo moderno è stato derubato; in cambio gli si offrono dei surrogati, la droga, per esempio. Rifiutate tutte le certezze, avvelenate tutte le fonti, disgregato il linguaggio, spezzata la forma, disprezzato il ritmo, ovunque l’uomo moderno si volge, vede frantumi, aspetti sconnessi e arbitrari, attentati alla sua ragione, insomma, figure della sua pazzia. […] È certo che non saranno i teologi a salvare le nostre anime e la Chiesa. Saranno gli ignoti (così dicendo non intendo che i nomi dei teologi progressisti saranno scritti un giorno con particolare inchiostro nella storia della Chiesa), intendo ignoti come era ignoto Jean Marie Vianney, che non sapeva nulla di teologia. Mi riferisco a quei preti di cui sanno il nome soltanto i loro vicini, i beneficati, e il loro unico Signore e padrone, che, fedeli all’impegno preso, essi servono praticando la fede, la speranza e la carità. Poi ci siamo noi, non solo ignoti ma anonimi, che diciamo le preghiere di sempre con la fede di sempre. La nostra mente non arriva a concepire quale rapporto vi sia tra un computer elettronico, che nella nostra ignoranza ci appare come ‘la promozione di un registratore di cassa’, e anche un’astronave, e la conoscenza di Dio, la fedeltà a Cristo, la pratica della sua legge. E questa incapacità è una vera benedizione per noi.»
La cosa più bella, e vorremmo dire unica, del cristianesimo, è la perfetta coincidenza tra la fede dei semplici e quella dei dotti: del servo della gleba e di san Tommaso. Certo, un san Tommaso può approfondire intellettualmente il mistero della fede, e questo, in realtà, fanno i teologi. Ma i teologi veri, a differenza di quelli fasulli, hanno ben chiaro il concetto che il mistero di Dio è pur sempre un mistero: e che, di fronte alle sue profondità abissali, le "profondità" umane sono ridicole, e non avvicinano l’uomo a Dio più di quanto lo avvicini al Sole il fatto di portarsi sulla montagna più alta della Terra, rispetto a colui che si trova al livello del mare.
I teologi moderni e "progressisti" hanno scordato questa semplice verità. Gonfi di orgoglio puramente umano, hanno scordato la fede semplice e umile ricevuta come dono prezioso dalle loro madri, dalla generazione che li ha preceduti. Non sono mica membri del popolino, loro: sono fior di intellettuali: dunque, quel che può bastare all’operaio o al contadino, a loro non basta affatto. Essi vogliono riscrivere la Rivelazione, forti della loro scienza e della loro cultura: in un certo senso, rappresentano l’estensione al fatto religioso della mentalità specialistica dominante nelle scienze profane. Così come l’uomo comune deve tacere davanti allo scienziato, che ne sa più di lui, così il comune fedele deve tacere e inchinarsi davanti alla verità di cui è portatore il moderno teologo, che ha tanto studiati e riflettuto, mentre quelli si limitavano a lavorare, a tirar su la famiglia, e… a pregare.
Pregare: figuriamoci. Ci vuol altro, nell’era dei computer, della sociologia comparata, dei viaggi spaziali. Che diamine, non siano mica ai tempi del buio Medioevo, noi. Siamo o non siamo figli del Progresso, debitamente istruiti e illuminati?
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI