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28 Luglio 2015La più celebre delle creature dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), protestante convertito al cattolicesimo nel 1922, è, senza ombra di dubbio, padre Brown, ispiratogli, pare, da un amico, il prete irlandese John O’Connor, lo stesso cui si deve il suo avvicinamento e la sua conversione alla Chiesa cattolica, dopo un oscuro e sofferto periodo di scetticismo, depressione e crisi spirituale.
Padre Brown ha ispirato a Chesterton i suoi indimenticabili racconti polizieschi, nei quali, per la prima volta, e contro tutte le regole della tradizione "gialla", l’interesse non è mai focalizzato sul delitto in sé, e neanche sulla ricerca del colpevole, ma sul mistero dell’anima umana di fronte agli abissi insondabili del bene e del male, sospesa fra le due opposte possibilità del peccato e della redenzione, che presuppongono, a loro volta, la libertà — e sia pure condizionata, non assoluta – del volere e dell’agire umano, senza di che premio e castigo sarebbero privi di senso.
In altre parole, a Chesterton non interessa sapere principalmente chi ha commesso un certo delitto, ma perché: è questa, infatti, la domanda che si fa il piccolo prete di campagna, padre Brown; egli parte dal fatto del crimine e cerca di ricostruirne i moventi, cosa che lo porta, lentamente ma irresistibilmente, verso la sorgente di quei moventi, ossia la persona fisica di colui che ha compiuto il crimine. E, quando l’ha trovato, egli non esulta affatto per il successo conseguito, né mostra alcuna fretta di assicurare il colpevole alla giustizia degli uomini, bensì cerca di comprendere il dramma spirituale che lo ha portato a quella tale azione e si sforza, per quanto sta nelle sue possibilità, di offrire a quell’anima il conforto della Parola di Dio, dopo averle fatto comprendere la gravità del male compiuto e la necessità dell’espiazione.
Padre Brown è un saggio e una persona profondamente umana: dietro la sua apparente goffaggine, la sua apparente trasandatezza, la sua apparente distrazione (mentre la sua mente è sempre lucida e il suo spirito d’osservazione lavora incessantemente a pieno ritmo, ventiquattr’ore su ventiquattro), ci sono un cuore grande e una grandissima fede. Attenzione: non è un buonista; non vede gli uomini naturalmente buoni, alla Rousseau: né lo potrebbe; se così fosse, non sarebbe un vero cattolico, e tanto meno un prete. Egli non confonde il comprendere col perdonare: perché ha ben chiaro che a Dio solo spetta la facoltà del perdono in senso assoluto; gli uomini possono perdonare solo in senso relativo (perché tutti peccatori, dunque tutti cattivi giudici).
Dunque, per padre Brown bisogna che il peccatore si penta; a questo egli mira principalmente: trovare il "colpevole" e assicurarlo alla giustizia, è cosa importante, ma non è la più importante; o meglio: è la via necessaria per ristabilire la giustizia violata e per tentare di ricondurre verso Dio un’anima peccatrice, un essere umano che ha sbagliato. Il suo metodo consiste nel mettersi nei panni di colui (o di colei) che può aver commesso un certo delitto, per afferrarne le motivazioni profonde: è questo che lo porta ad escludere una serie di possibili colpevoli e di restringere, via via, la rosa dei sospetti, fino a quando ne rimane uno solo.
Inutile dire che non c’è, nei racconti di Padre Brown, l’aspetto orripilante del delitto; non c’è quasi violenza; non c’è alcun genere di compiacimento verso il male, verso il sangue, verso il sesso, cioè verso tutti quegli "ingredienti" che sono, generalmente, così presenti nel genere poliziesco, e che, sia pure in maniera inconfessata (e inconfessabile) spiegano tanta parte dell’interesse quasi morboso che tanti lettori provano verso di esso, e sul quale tanti scrittori (e registi cinematografici) speculano con tanta disinvoltura, fino ai limiti del cinismo e dell’amoralità.
Scrive molto bene Bruna Borgarello Maccarone (in: G. K. Chesterton, «I racconti di Padre Brown», traduzione dall’inglese di Giuliano Acunzoli, Vimercate, Meravigli Editrice, 1994, pp. 6; 48):
«Padre Brown non è un "detective" di professione, né indaga per lucro o per vanagloria: egli penetra e studia i sentimenti e le passioni degli uomini, mosso da fervore apostolico, che lo spinge a redimere e assistere le anime sulla via della perdizione. Per questo è coinvolto nelle vicende degli altri. Più che ei residui di terriccio sotto le scarpe di un presunto assassino, Padre Brown si occupa del suo modo di guardare il prossimo, dell’espressione dei suoi occhi. A differenza dell’investigatore professionale, inoltre, egli non giudica, non condanna il colpevole, non lo giudica, ma si sforza di capirlo, perché sa che solo così, comprendendo, può condurlo alla redenzione. Il suo è un atteggiamento sempre equilibrato, risoluto ma moderato, come rivelano certe sue espressioni: Quel poveretto..", "Non bisogna essere troppo severi…". E quando arriva alla soluzione del caso, non si sente felice del successo, ma oppresso dall’angoscia e dal dolore: ("…non era una depressione dovuta al fallimento, quanto al peso del successo…"). Mentre lo specialista si basa su fatti concreti e accurate deduzioni, sentendosi appagato dalla scientificità dell’indagine e del suo rigore razionale, Padre Brown si basa oltre che sulla ragione, su prove di carattere morale: è insieme investigatore e confessore e, quindi, la sua missione non è solo condurre in porto l’indagine, ma "salvare" l’anima di un peccatore.
Nella figura di Padre Brown si legge tutta la polemica di Chesterton con i razionalisti e i positivisti del tempo. L’autore, ancora protestante quando scrisse questi racconti, ma già fortemente attratto verso la Chiesa di Roma, diede vita al suo pretino cattolico, insistendo affettuosamente sui particolari più umili, per affermare, per contrasto, una profonda concezione morale dell’esistenza, per esaltare l’ordine, ll’ottimismo, l’amore per la vita quotidiana e le sue regole, per sostenere l’umiltà e la bontà dello spirito contro gli egoismi, la superbia mentale, le ribellioni della sua epoca. Chesterton, in qualche modo, denuncia il presente, il suo materialismo, l’intelligenza disgregatrice e le brutture dell’era industriale. Egli ne combatte con passione tutti gli errori, di cui è vittima la salute spirituale: certi pregiudizi del protestantesimo anglosassone, il materialismo ateo e l’inquietudine degli spiriti che hanno perduto, assieme alla fede, anche il loro equilibrio, il razionalismo presuntuoso e la mania raziocinante di intelligenze fuorviate. Dietro la piacevolezza degli intrecci e la vena umoristica, che permea tutta a narrazione, si colgono le riflessioni dell’autore e la condanna degli snobismi e delle storture del suo tempo: la tracotanza dei professori di criminologia, che pretendono di studiare e misurare con mezzi meccanici i moti della coscienza; gli sterili estetismi "fin de siècle"; la cecità morale degli uomini che si credono grandi… La descrizione dello spaio accompagna e rispecchia le vicende, i sentimenti e gli stati d’animo dei protagonisti: nei momenti di riflessione la narrazione si svolge in un parco tranquillo ("La croce blu"), nel salone immenso di un castello ("L’onore di Israel Gow"), su una dolce collina mediterranea ("Il segreto di Padre Brown"); se è di scena l’azione, invece, viene calata in un incrocio dal traffico vorticoso, in un intersecarsi di strade, in un ininterrotto susseguirsi di quartieri, in un museo affollato… Molto profondo è il senso della natura: singolari paesaggi fanno da sfondo alle vicende, anche quando queste hanno luogo in grandi città, in cui l’autore, comunque, apre uno squarcio sul mondo naturale. Particolarmente suggestive sono poi le descrizioni della campagna inglese e delle sue brume, delle sue stradine misteriose e degli antichi paesini, degli imponenti castelli e delle coste del Mare del Nord. In definitiva, nei racconti di Chesterton le trame non sono mai complesse né vene lasciato troppo spazio al brivido. Piuttosto contengono una lezione morale, tanto più valida perché impartita da un uomo come Padre Brown, dall’animo semplice e candido. […]
Padre Brown incentra la sua indagine sulla psicologia dei personaggi, cioè sui dati interiori che essi stessi gli forniscono: analizza ciò che ognuno ha entro di sé e che manifesta in precisi comportamenti. Si può definire un investigatore di problemi dell’anima, perché trae le sue conclusioni basandosi sulle caratteristiche psicologiche dei personaggi: il mistero è dentro l’animo umano. In questo egli è in aperta polemica co0n i razionalisti e positivisti del tempo. Al contrario dello specialista che si basa su fatti concreti e che, per mezzo di deduzioni impeccabili, arriva alla conclusione, Padre Brown si basa sull’osservazione e prove d carattere morale, condannando con severità la presunzione dei "professori" di criminologia, i quali pretendono di misurare con strumenti esclusivamente razionali, e quindi inadeguati, i moti della coscienza.»
Immensa è la superiorità morale di Padre Brown rispetto al suo tanto decantato collega e connazionale, nonché quasi coetaneo, Sherlock Holmes (creatura dello scrittore Arthur Conan Doyle, 1859-1930), al quale poco o nulla importa l’aspetto umano del crimine, e che meno ancora si preoccupa del destino finale del colpevole, una volta che sia stato smascherato e arrestato, dato che quello che veramente lo interessa, oltre al denaro, con cui si fa generosamente ricompensare per le sue investigazioni, è l’aspetto puramente intellettuale, diremmo scientifico e quasi astratto, del "gioco" consistente nella ricerca del colpevole. Per Sherlock Holmes, che tratta ogni essere umano — e perfino il suo fedelissimo collaboratore, il dottor Watson — con un misto di compassato distacco e di ostentata superiorità intellettuale, cercare il colpevole è l’equivalente di condurre e vincere una partita a scacchi contro un degno avversario, o dello scioglimento di una complessa sciarada: una specie di gioco matematico. Nulla lo interessa veramente, se non far combaciare tutti i pezzi del "puzzle" dell’inchiesta e poi godere, a fondo, la soddisfazione di aver trionfato con l’arma della sua facoltà logica e della sua capacità di ragionamento induttivo, grazie al quale risale dal più piccolo particolare a conclusioni estremamente significative. Un semplice sguardo al risvolto di una giacca gli è sufficiente per sapere chi ne sia il proprietario, se giovane o vecchio, se biondo o bruno, se meticoloso o disordinato, e via dicendo; ed è sua abitudine sbattere le conclusioni del suo infallibile raziocinio in faccia al prossimo, con l’infantile e narcisistica soddisfazione di un bambino viziato e alquanto irritante («Elementare, Watson!»).
Nulla del genere si riscontra nell’umile, ingenuo, candido Padre Brown, profondo conoscitore dei misteri del cuore umano, pieno di tenerezza verso ogni creatura e pieno di stupore davanti allo spettacolo del mondo. Egli si muove come un uomo in mezzo ad altri uomini, da pari a pari, senza alcun complesso di superiorità, né per la sua intelligenza, né — tanto meno — per il fatto d’essere un ministro di Dio. Non solo non gode, ma soffre addirittura, quando giunge a stringere la morsa intorno al colpevole: soffre perché è turbato dal mistero del male, non ne possiede la risposta, e l’unica cosa che può fare è quella di affidare il colpevole, ma anche se stesso, alla misericordia di Dio, il solo che conosce gli abissi più segreti del nostro cuore, e che ha il diritto di perdonare le nostre colpe, anche le più gravi, purché scaturisca in noi un autentico desiderio di espiazione e di riconciliazione. Padre Brown non fa mai festa perché un colpevole è stato arrestato, ma, semmai, perché un’anima, attraverso la valle oscura del dolore e il tortuoso labirinto del rimorso e del pentimento, ha intravisto un po’ di luce e si è rianimata al soffio della speranza. Tale è la sua missione di uomo, di prete, di investigatore per diletto e a tempo perso: ma, si badi, un investigatore quasi infallibile, che non la cede in nulla a uno Sherlock Holmes o ad un Nero Wolfe (quest’ultimo, creato dalla fantasia dello scrittore statunitense Rex Stout, e che ha fatto il suo debutto alcuni anni dopo gli altri due personaggi: nel 1934).
Padre Brown è saggio, perché ha capito che gli uomini, dietro il velo sottile della loro pretesa razionalità, sono simili a dei bambini, ciascuno dominato dalla propria particolare forma di debolezza; ed è profondamente buono, perché non lo interessa giudicare e condannare, ma comprendere, il che può avvenire solo se ci si avvicina al mistero dell’anima con delicatezza, con rispetto, con intima e sincera benevolenza: proprio quello che manca all’algido e superbo Sherlock Holmes, pieno del proprio Ego e incapace di empatia verso i suoi simili, chiuso e corazzato nelle sue gelide, e alquanto scettiche, convinzioni.
Infine, e non certo da ultimo, Padre Brown è un uomo di fede: crede in Dio, nel suo amore, nella sua provvidenza; crede nella preghiera e nell’insegnamento della Chiesa, del quale si considera un umile operaio; crede nell’invisibile, in una società e in una cultura dominate dal positivismo, dallo scientismo, dall’utilitarismo. Crede anche nell’uomo, a ben guardare: ma ci crede non quando esso gonfia il petto d’orgoglio per la propria intelligenza, ma quando è messo a nudo di fronte a Dio…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash