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28 Luglio 2015La riforma liturgica post-conciliare — si badi, non conciliare; post-conciliare, il che non è la stessa cosa — deve essere interpretata come il tentativo di realizzare una sorta di, ci si passi l’espressione alquanto rozza e profana – "socialismo soprannaturale"?
La domanda potrebbe sembrare assurda, oltre che mal posta; eppure non è campata per aria, ma scaturisce dalle testuali affermazioni di un alto prelato della Chiesa cattolica, il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero (1913-1998), il quale, fra le altre cose, è stato arcivescovo di Torino e, dal 1979 al 1985, presidente della Conferenza episcopale italiana.
Di tutte le affermazioni strambe e bislacche cui fior fiore di teologi sedicenti cattolici si sono abbandonati nell’euforia di quello che ritenevano il "loro" momento, vale a dire il momento di prendere le redini della Chiesa e imprimerle quella svolta "democratica" e "progressista" che si dovrebbe piuttosto chiamare col nome che le diede, nel 1907, san Pio X, cioè eresia modernista, questa ci è sembrata, invero, una delle più curiose e inaspettate, vista anche la fonte autorevolissima da cui essa proviene. Eppure è proprio così.
Nell’autobiografia del cardinale Ballestrero, si trova esattamente quella espressione: "socialismo soprannaturale", con riferimento alla liturgia cattolica del dopo Concilio Vaticano II; riportiamo, per scrupolo di completezza, l’intero capitoletto in cui compare, il settantaseiesimo, intitolato appunto «La riforma liturgica» (da: A. Ballestrero, «Autoritratto di una vita», Roma, Edizioni OCD, 2002, pp. 158-161):
«A prescindere da quello che può essere un’applicazione esteriore della Costituzione conciliare [conversazione con le monache di Firenze, 30 agosto 1964] che sarà evidentemente graduale, ciò che è importante è che noi cominciamo subito ad entrare in quel clima e in quello spirito, tenendo conto che non è senza disegno della Provvidenza questo ritorno intensivo alla liturgia come mezzo di perfezione, come strumento di santificazione. È ovvio che la nostra vita di preghiera, di contemplazione, di unione con Dio dovrà trovare sempre più esplicitamente, nei testi e nelle azioni liturgiche, il suo nutrimento.
L’azione liturgica non deve sostituire quelle che sono le particolari vocazioni, ma deve vivificare.
Bisogna riconoscere che c’è stato un tempo nel quale i sacramenti si erano un po’ — vorrei dire — persi di vista, non perché non si ricevessero e non si praticassero, nei Conventi specialmente, ma erano meno fonte di ispirazione e di nutrimento interiore.
Ci si confessava più perché ci sentivamo peccatori che non per entrare in vera comunione, in vera sintonia con il Sangue del Signore, per penetrare il mistero della sua misericordia. Si faceva certamente la Comunione per esprimere il nostro amore al Signore, e nutrirci del Signore, però non con quel senso così pieno di ciò che è l’Eucaristia come Sacramento della Comunione di ogni anima con Dio, e nello stesso tempo come sacramento della comunione fraterna, come sacramento della comunione con la Chiesa.
Ora tutto questo viene rivalutato dalla liturgia. Ed è molto moderno, molto congeniale agli spiriti di oggi. È una specie di socialismo soprannaturale che entra a componente della nostra vita contemplativa. Ed è certo che di tutto questo dobbiamo tener conto: non si tratta di una deformazione oppure di una novità rischiosa per la nostra vita contemplativa…
Io credo che la Costituzione sulla Sacra Liturgia finirà con essere un grande beneficio, specialmente per le anime più attivamente impegnate nella preghiera nella vita contemplativa, e quindi nella ricerca del Signore… oggi dopo un intervento così solenne e così rassicurante come è il supremo magistero (teniamo conto che il Concilio è veramente il supremo Magistero della Chiesa), noi dobbiamo dilatare il nostro spirito, il nostro cuore e ringraziare il Signore del nuovo campo di pascolo che ci offre per la nostra santità. Dobbiamo ricordarci che questo essere più sensibili al mistero della gloria di Dio, alle esigenze del culto del Signore, non è per niente in contrasto con l’ideale contemplativo, anzi è nel grido del nostro profeta antico, come è nella vocazione della Nostra Madre : "Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum" ["sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti": è il motto dell’ordine carmelitano; e Ballestrero era entrato nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi].»
Certo, gli anni del post-Concilio erano anche gli anni della contestazione, culminata nelle "radiose" giornate del maggio 1968, al Quartiere Latino di Parigi e poi, a cascata, in gran parte delle città universitarie d’Europa: anni di ubriacatura ideologica collettiva, nei quali non pochi teologi e scrittori "cattolici" sognavano un improbabile matrimonio mistico con il comunismo, la dottrina politica che allora sembrava vincente, anzi, che allora sembrava l’unica moralmente degna di vincere, perché fondata su una idea intransigente di ciò che deve essere la giustizia sociale, in apparente sintonia con il messaggio del Vangelo.
Fu un enorme equivoco, reso più facile dal clima di ebbrezza collettiva che, allora, pervase anche gli animi più miti e le persone più pacifiche, trasformandoli in ammiratori di personaggi come Fidel Castro, Mao Tse Tung, Ho Chi Minh e perfino come Stalin e i suoi eredi sovietici, a dispetto del fatto che quei signori, o i sistemi politici da loro creati e da loro propagandati, fossero stati eretti letteralmente su montagne di cadaveri: come nel caso della cosiddetta Rivoluzione culturale cinese, che di culturale ebbe poco, visto che cosà a quel disgraziato Paese parecchi milioni di morti, senza che gli eccellenti intellettuali e giovani studenti europei di sinistra ne avessero sentore (anche perché non vollero averlo), tanto più che le vittime erano degli infami "borghesi" e far fuori l’odiato nemico di classe non appariva una casa poi tanto brutta — nemmeno ai figli della borghesia, che andavano al liceo e all’università con i soldi di papà, magari con la macchina di lusso e, qualche volta, perfino con l’autista personale.
In quegli anni, per esempio, un giovane prete come Camilo Torres prendeva la via dei monti colombiani con il mitra sottobraccio, e, cadendo sotto il piombo dell’esercito, diventava un mito della lotta di liberazione latinoamericana; mentre in Italia un prete (peraltro, sospeso "a divinis") e teologo come Giulio Girardi inondava il mercato librario con i suoi saggi, nei quali sosteneva, senza battere ciglio, che Marx e Lenin potevano andare benissimo a braccetto con Gesù Cristo e lo Spirito Santo, candidandosi nel partito della Democrazia proletaria e poi entrando nel movimento dei cattolici di sinistra che si autodefinisce, assai modestamente, "Noi siamo Chiesa", per concludere la sua esemplare carriera di cattolico progressista dandosi un gran daffare perché Karol Wojtyla, da lui considerato un papa estremamente "reazionario", non venisse beatificato.
Questo, per inquadrare il momento storico: ma gli esempi che potremmo citare dell’autentico smarrimento e dell’autentica confusione, intellettuale e spirituale, che spazzò, come un vento di tempesta, il mondo cattolico negli anni Sessanta e Settanta del ‘900, nonché una parte dello stesso clero, sarebbero veramente moltissimi. Che, però, l’auspicio affinché si realizzi la riforma liturgica nel senso di un "socialismo soprannaturale", compiacendosi di vedere in ciò un qualche cosa di "molto moderno" e di "molto congeniale" al mondo d’oggi, sia venuto non da un laico o a un prete qualsiasi, ma, addirittura, da un cardinale; e che egli abbia tirato in ballo la Provvidenza divina per avvalorare un auspicio siffatto, tutto questo è più che sconcertante: è un fatto senza precedenti, che mostra fino a qual punto fosse giunta la confusione e fino a che punto i pastori avessero perso il senso della loro responsabilità nella trasmissione e nella custodia della fede dei padri, per correre incontro alle tendenze e alle mode dell’attualità — oltretutto, dell’attualità politica.
Suscita un’impressione tristissima, addirittura penosa, sentire un porporato che esprime simili concetti; impressione che non si attenua in colui che legge espressioni cosiffatte a distanza di non pochi anni dal momento in cui le novità post-conciliari venivano portate avanti, a forza di colpi di mano, da una pattuglia di teologi, preti e laici "novatori", ma che il Ballestrero ha voluto affidare alla pagina stampata in anni a noi relativamente vicini, quand’era alla fine della sua vita, come una sorta di testamento spirituale; quando pure certi furori e certi abbagli ideologici avrebbero dovuto essersi decantati ed un minimo di consapevolezza e, perché no, di "mea culpa", avrebbe potuto e dovuto farsi strada, anche nella coscienza più incallita, anche nel temperamento più presuntuoso.
Di fatto, questa rocciosa, tetragona ostinazione nel mantenere la propria posizione, anche dopo eventi storici di portata epocale, che avrebbero dovuto aprire la mente e il cuore anche al testimone più distratto o alla coscienza più indurita per orgoglio, per testardaggine, forse per vanità, somiglia in tutto e per tutto a quella degli intellettuali ex marxisti, i quali, svergognati dalla storia, marginalizzati dalla realtà delle cose, nondimeno restano aggrappati alle loro certezze, pur se non osano proclamarle con l’antica arroganza, e, lungi dal fare una benché minima autocritica, continuano a occupare le loro poltrone, le loro redazioni nei giornali, le loro cattedre universitarie, stretti in una rete di solidarietà reciproca simile a quella dei reduci che non vogliono ammettere la sconfitta, ma che neanche rinunciano alle posizioni di vantaggio e ai privilegi acquisti, sfruttando la comoda posizione di chi lancia schizzi di fango contro il "sistema", anche se di quel sistema vive, o, per dir meglio, in quel sistema se la passa benissimo. Esattamente come facevano da giovani e da giovanissimi, quando, bravi figli di papà, intonavano i cori della rivoluzione marxista. Parassiti ed ipocriti erano, e tali sono rimasti: in questo, sì, ammirevolmente fedeli a se stessi.
L’Italia è forse l’unico Paese al mondo — a parte la Corea del Nord — in cui sia possibile una simile, deliberata falsificazione della storia, e in cui chi ha avuto torto per decenni, pretende di seguitare a far da guida, morale e civile, alla società intera, in nome di non si sa cosa, o piuttosto in nome di quella che considera una sorta di superiorità etica e politica rispetto a chiunque non faccia parte della sua cerchia. E i cattolici di sinistra, i preti e i vescovi "progressisti" rientrano in pieno in questa tipologia: non mollano le posizioni raggiunte, dalle quali traggono di che vivere e di che seguitare a pontificare su ogni cosa, ma nemmeno si pentono di quanto detto e fatto in passato, anzi, proclamano di essere sempre stati nel giusto, addirittura di avere precorso i tempi e, come direbbe il buon cardinale Ballestrero, di aver dato una mano alla divina Provvidenza nell’opera di rinnovamento della Chiesa.
Socialismo soprannaturale? Via, non scherziamo: certe cose non possono essere dette nemmeno in senso figurato, specialmente se ci si trova in un contesto storico e culturale che richiede chiarezza, e specialmente da parte di un prelato di altissimo grado all’interno della gerarchia cattolica. Ciò significa giocare col fuoco e, nello stesso tempo, tradire la lettera e lo spirito del Vangelo: fare di Gesù un rivoluzionario, un Che Guevara dell’antica Palestina, un Camilo Torres dei tempi antichi. Il socialismo è una cosa, il cristianesimo un’altra; il socialismo è una ideologia politica (peraltro, dichiaratamente atea), il soprannaturale è la dimensione eterna e invisibile del reale. Non è possibile istituire un collegamento fra le due cose, nemmeno in senso lato, nemmeno in senso figurato: è qualcosa di peggio che un’affermazione di pessimo gusto, è l’espressione di un concetto che si pone al limite dell’eresia e della blasfemia.
Quanto al fatto che i sacramenti si fossero «un po’ persi di vista», come dice Ballestrero; e che solo dopo le innovazioni liturgiche post-conciliari si sia verificato un ritorno al senso pieno e vero dell’Eucarestia, queste sono affermazioni ancora più sconcertanti, ancora più intollerabili. Dunque, la Chiesa stava amministrando i sacramenti in maniera distratta, superficiale, inadeguata, prima che uomini come lui, Ballestrero, riportassero nei sacramenti, e particolarmente nell’Eucarestia, tutto il loro significato originario, carico di soprannaturale? Di fatto, la Chiesa odierna somiglia sempre più a una assemblea democratica, nella quale vigono la legge della maggioranza e l’ideologia del progresso: i più hanno sempre ragione, specialmente se marciano al passo della modernità. Ecco perché i Dossetti, i Lazzati, i don Milani, i Karl Rahner, sono levati alle stelle e additati come i "veri" modelli dell’ideale cristiano: dando a intendere che non c’ è Vangelo al di fuori del loro…
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