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La bellezza, nel protestantesimo, è sempre nemica di Dio, lo sostituisce o lo combatte

Le trite e banali "verità" assodate della cultura dominante sostengono, e ripetono senza stancarsi mai, che il cattolicesimo è impregnato di dualismo manicheo; che disprezza il mondo, la carne, i piaceri; che, di conseguenza, è nemico della bellezza: e non si capisce se simili stupidaggini siano propalate in perfetta malafede o in peretta ignoranza.

Come confutare delle tesi di questo genere, quando tutta l’arte e tutta la musica europea, per oltre mille anni di storia, sono lì a mostrare, nella maniera più evidente, che il cattolicesimo non è stato il nemico, ma il massimo estimatore e il massimo propulsore della bellezza, il massimo difensore della realtà terrena contro la sua denigrazione e il suo oscuramento?

E quello che è accaduto nel campo dell’arte e della musica, è accaduto nel campo del pensiero e in quello della ricerca. Né la scienza, né la filosofia dell’Europa sono pensabili, senza il cattolicesimo, senza la fede cattolica e la teologia cattolica, che sono state il lievito dell’una e dell’altra: è per merito loro se la ragione umana è stata valorizzata al massimo e, insieme ad essa, l’ansia di ricerca e di verità.

E non ci si venga sempre a parlare del processo a Galilei, come se quella fosse la prova provata dell’inimicizia dichiarata tra cattolicesimo e scienza! Ormai tutte le persone informate e in buna fede sanno quel che era evidente fin dall’inizio, anche se per tre secoli si è voluto nasconderlo e mistificarlo: che l’attacco a Galilei partì dai suoi colleghi scienziati dello Studio fiorentino, invidiosi del suo successo (e del suo stipendio) e che tale attacco si ammantò di pretesti religiosi, cercando il sostegno della Chiesa — che cadde nel tranello, molto ingenuamente -, per non palesarsi nella sua reale natura e nei suoi veri scopi.

Questo, oltre al carattere arrogante di Galilei e alla sua invasione di campo nella teologia, portò al suo processo e alla sua (mitissima) condanna: dopo di che, il partito laicista e anticristiano, avendo bisogno di una bandiera da sventolare contro il presupposto "oscurantismo ecclesiastico" (ma se i migliori astronomi e scienziati del tempo erano gesuiti!), fece sì che Galilei diventasse il simbolo di ciò che non era mai stato, né aveva voluto essere: della libertà di ricerca scientifica, contro una Chiesa cattolica nemica del sapere, del progresso e della verità.

Tornando al discorso sulla bellezza, è quasi incredibile che qualcuno osi ancora parlare della ostilità cattolica nei confronti della realtà terrena, quando tutta la storia dell’arte e della musica europea stanno a mostrare quel che è evidente fin dalle pagine dei Padri e fin dai versi di Francesco d’Assisi nel «Cantico della creature»: che la realtà terrena, pur non essendo che una realtà transitoria, non è affatto svalutata in se stessa, visto che la natura è stata creata da Dio come segno di perfezione, e visto che il Figlio è venuto, e ritornerà, per redimere il mondo intero, a cominciare dai corpi umani destinati a risorgere.

Nell’arte islamica, così come in quella protestante, la figura umana è, invece, sacrificata all’idea che non sia lecito rappresentarla, perché questa sarebbe una forma d’impertinenza nei confronti di Dio, che ha fatto l’uomo a sua immagine. I protestanti, in modo speciale, negano qualsiasi culto alla Madonna e ai santi, considerandola "idolatria": e non vedendo che, in tale culto, si celebra, fra l’altro, la meraviglia della creazione divina, che, servendosi degli uomini stessi, innalza tutto il creato verso la luce della Redenzione. Maria, in particolare, è la creatura che ha detto "sì" al Creatore, un "sì" totale, incondizionato, irrevocabile: perfetto esempio di fiducia, di abbandono, di rinuncia di sé: e le migliaia e migliaia di pitture, sculture, miniature, icone, mosaici, che raffigurano la Vergine sono, nello stesso tempo, la celebrazione di quel sublime "fiat" al Creatore e della incomparabile bellezza della creatura trasfigurata nella luce della fede.

Non c’è nulla, in tutta l’arte dei Paesi protestanti, che si possa anche soltanto vagamente paragonare alla dolcezza misteriosa e ineffabile della Madonna col Bambino di un Perugino, di un Raffaello, di Gentile Bellini, di Cima da Conegliano, di Botticelli; oppure di Francisco de Zurbaràn, di Murillo, di Velasquez; o, ancora, di Albrecht Dürer (profondamene cattolico in giovinezza), di Jan Van Eyck, di William Bougereau. Non c’è e non ci potrebbe essere: perché la Madonna è la smentita vivente dell’idea luterana (e calvinista) che l’uomo non possa nulla, non conti nulla, che sia nulla di nulla davanti a Dio, zero virgola zero quanto alla possibilità di salvarsi: mentre ella, con quel semplicissimo "sì", ha gettato un ponte salvifico fra l’uomo e Dio e ha reso la natura intera attivamente partecipe del progetto divino di Redenzione.

Così annotava Divo Barsotti nelle pagine de «La fuga immobile. Diario spirituale» (Milano, Edizioni di Comunità, 1957, pp. 92-93):

«Il mistero della Maternità divina è il più profondo mistero forse della fede cristiana: la fecondità dell’Unione divina "può in qualche modo compararsi come modello prototipo alla fecondità verginale della Santissima Madre di Dio". Il Verbo in quanto vive nella natura umana è la santità della Creazione intera. Lo Spirito donandosi all’anima si distingue da essa. Il Figlio generandosi dall’anima non si distingue da lei. Nel Figlio la nostra unione con Dio è quasi unione ipostatica.

Il Gäether la chiama unione ipostatica accidentale.

La Vergine è la poesia del mondo. In lei, come anticipazione e promessa, il Paradiso è già ritornato sopra la terra.

La bellezza nei paesi protestanti è sempre nemica di Dio, lo sostituisce o lo combatte. Il Protestantesimo non conoscerà la bellezza fintanto che non riconoscerà la Madonna. Nel cattolicesimo invece la bellezza diviene il segno della Redenzione avvenuta: non è nostalgia di un Paradiso perduto e tentativo vano di evasione dal mondo, ma visione di un Paradiso che, atteso, tuttavia è già misticamente presente. La Vergine è l’Eden che Dio ha già preparato per l’Adamo futuro.»

La creazione intera, dunque, è santa, perché voluta da Dio, pensata da Dio, attuata da Dio; e le creature sono tutte chiamate alla santità, che non è affatto la negazione della bellezza terrena, ma, semmai, la sua purificazione e la sua trasfigurazione.

Che cos’è, infatti, la bellezza? È il fascino segreto delle cose, colto nella sua purezza originaria: ed è ben questa la ragione per la quale la bellezza, in se stessa, non è mai oscena; ed il vero artista sa trattare il nudo umano con totale innocenza, mentre il cattivo artista scivola inevitabilmente verso la pornografia, appunto perché vuole aggiungere qualcosa di suo, che non appartiene alle cose, ma a lui solo: la malizia.

Le cose della natura sono sempre belle, a chi le sa guardare con lo sguardo limpido e ammirato della creatura che riconosce la perfezione del Creatore; diventano brutte quando sono stravolte, quando sono portate al di fuori di se stesse, quando vogliono sembrare ciò che non sono. Non vi è nulla di più bello della creatura che si riconosce tale e che glorifica in se stessa la sapienza e la bontà del suo Creatore; e non vi è arte più vera di quella che sa riprodurre quella bellezza originaria, sottraendosi alla tentazione della superbia, della malizia, della contraffazione. Il vero artista è sempre un cooperatore di Dio; il cattivo artista, un falsario, rivale e antagonista di Lui, della cui perfezione è sommamente invidioso.

È un fatto, però, che le cose possono essere anche crudeli: la natura non è morale, è ferita dalle conseguenze del Peccato originale; perfino la bellezza può diventare crudele, qualora si abbandoni all’ebbrezza del potere che sa di esercitare. Perché la bellezza, sia chiaro, non è mai neutra: o è buona, o è cattiva; ed è buona quando si offre gratuitamente come lode al Creatore, cattiva quando vuole tiranneggiare, manipolare e dominare in virtù del suo potere. La bellezza, infatti, è anche una forma di potere: nessuno può restare indifferente davanti ad essa; ed è un fatto che proprio le presone più delicate, dall’animo più squisito, sono esposte a subire il suo fascino, e, con ciò stesso, anche il suo potere, che può rivelarsi estremamente ingiusto e malvagio.

Non bisogna magnifica troppo la bellezza, dunque, prima di averla definita e riconosciuta: perché "bello" non può essere se non ciò che riflette l’infinita bellezza del Creatore; non esiste una bellezza indipendente della creatura, che non sia, per ciò stesso, l’anticamera della malizia, della volontà di dominare e manipolare gli altri, che non contenga almeno il nucleo di una superbia sconfinata, di una assurda pretesa della creatura di sostituirsi al Creatore. Proprio come non esiste una ragione che sia indipendente dalla ragione del Creatore, o una verità e una giustizia che siano indipendenti dalla Verità e dalla Giustizia divine.

Tutto è vero, buono e bello, ciò che rispecchia la perfezione e la pienezza dell’Essere; tutto è falso, malvagio e brutto, ciò che nega quella perfezione e quella pienezza, ciò che ad esse si contrappone e pretende di sostituirsi loro. Le cose non sono vere, né belle, né sante, in se medesime; ma lo diventano, allorché rimangono strettamente unite a Dio, allorché si manifestano come una forma di preghiera nei suoi confronti.

Le cose, infatti, pregano: pregano le chiome dei pioppi quando stormiscono al vento e pregano le gocce di rugiada che brillano come perle del mattino sull’erba; pregano le stelle che spendono nella vastità del firmamento e pregano le galassie con i loro immensi mantelli di polvere cosmica. Se le cose non ringraziano, se smettono di pregare, è perché si ribellano a Dio e vogliono competere con Lui, sostituirsi a Lui, rubare la gloria e la lode che a Lui solo spettano. Allora anche l’arte diviene una forma di ribellione, di lotta sacrilega contro il Creatore: diventa fucina di disordine e caricatura della Sua sovrana bellezza.

Tale è la responsabilità che pesa sull’artista: o egli pone la sua ricerca di bellezza al servizio di Dio e degli uomini, oppure la scaglia contro Dio e contro gli uomini; ma un’arte neutrale non esiste, non si è mai vista e mai si vedrà. Il senso religioso dell’arte consiste appunto nel gettare un ponte fra Dio e la persona umana; e l’arte religiosa per eccellenza è l’arte sacra, che tenta di raffigurare il "sì" del Creatore verso le creature e il corrispondente "sì" della creatura verso il suo Creatore — come avviene, appunto, nelle meravigliose Madonne che cullano il divino Figlio, e che per generazioni e per secoli hanno ispirato ai nostri progenitori sentimenti di bontà, di devozione, di pace e di confidenza in Dio.

Gran parte della cosiddetta "arte moderna" non è più celebrazione della bellezza, perché non è più la ricerca del fascino segreto delle cose, colto nella sua purezza originaria; è l’esaltazione del disordine, della ribellione, dello spirito faustiano: spirito di rivolta contro Dio e di dedizione al Suo perenne avversario, il Diavolo. L’arte moderna è, nel senso letterale dell’espressione, arte non solo "degenerata", come si usava dire (e l’espressione è stata consegnata all’eterno marchio d’infamia di essere stata adoperata dai dirigenti nazisti, senza domandarsi se fosse giusta o sbagliata), ma, alla lettera, arte diabolica, il cui patrono e committente è il Diavolo.

E se a qualcuno queste parole sembrassero troppo forti, ebbene, provi a porsi con mente sgombra da pregiudizi, e con coscienza vigile e attenta, davanti ad una architettura che concepisce le cose nella loro pura e brutale funzionalità; ad una pittura che distrugge la forma, senza suggerire il benché minimo alito di spiritualità; ad una musica che segna il trionfo delle emozioni negative, che incita alla violenza bestiale, che suggerisce di abbattere ogni limite e di trasgredire ogni legge; a un modo di danzare che non celebra l’armonia e l’eleganza, ma che ammicca e stuzzica oscenamente i più bassi istinti sensuali dell’uomo.

L’arte moderna è in preda al Diavolo, così come lo è la scienza moderna, che si è allontanata da Dio e dal quale Dio si è allontanato: una scienza che manipola il patrimonio genetico degli esseri viventi, che pratica la fecondazione artificiale e la clonazione, che crea ibridi mostruosi, che si esercita a controllare i pensieri e i sentimenti delle persone; il tutto dietro l’ipocrita pretesto di aumentare il benessere e di migliorare le condizioni di vita dell’umanità.

Quando l’uomo non rende il dovuto culto al Creatore, e quando umilia se stesso fino ad annullarsi, attua, per due vie in apparenza opposte, un unico disegno di rivolta contro Dio; e, poiché Dio è tutto in tutti, di rivolta contro se stesso. Ecco perché l’uomo moderno è sempre più solo e disperato…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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