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Il mondo sarà peccatore sino alla fine e Cristo sarà sempre sulla croce

C’è una cosa che i cattolici "progressisti" e "modernisti", tutti presi dalla retorica dell’apertura verso il mondo, del dialogo con il mondo, dell’abbraccio al mondo, sembrano aver dimenticato, a dispetto delle loro buone, anzi, certamente ottime, intenzioni: che la Chiesa e il cristianesimo, con il mondo, certamente devono dialogare, devono aprirsi, devono abbracciarlo, ma giammai illudersi di poter ratificare un definitivo trattato di pace e di tranquilla coesistenza.

Il mondo non è la controparte della Chiesa, ma non ne è neppure, e mai lo sarà, il luogo della riconciliazione finale, o, peggio, dell’idillio e dell’armonia prestabilita: per il semplice fatto che il "mondo", nel significato teologico dell’espressione, è tutto quell’insieme di abitudini mentali, di sentimenti, di comportamenti, di azioni, di situazioni, basati sull’amore di sé e non sull’amore di Dio e del prossimo; è sinonimo di ciò che resiste al Vangelo, che vi si oppone, perché non vuole rinunciare alla logica dell’egoismo, della convenienza e della sopraffazione; che odia i portatori di pace e di verità, perché vengono a disturbare i suoi disegni, i suoi calcoli, le sue furberie.

I cristiani non dovrebbero mai dimenticare le parole rivolte da Gesù Cristo ai suoi apostoli, durante l’ultima cena: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, poiché non conoscono colui che mi mandato» (Giovanni, 15, 18-21).

Eppure, molti cristiani, oggi, vorrebbero andare d’amore e d’accordo con il mondo; pensano che la Chiesa, in un passato anche abbastanza recente, abbia commesso un errore gravissimo, ponendosi in una relazione polemica e negativa verso il mondo, verso la modernità, verso il progresso; ritengono, anzi, che essa dovrebbe chiedere scusa per tale suo atteggiamento di conservatorismo e di chiusura; e sono molto fieri di essersi messi al passo con i tempi, aprendosi a tutte le novità e rinunciando a quasi tutta la loro tradizione e alla loro stessa identità, per non "offendere" le tradizioni e le identità altrui, e per non apparire antiquati, bigotti, retrivi.

Pensano di aver scoperto il grande segreto: che basta dire di sì agli altri, per far scomparire ogni causa di attrito; che dire sempre di sì è la missione e il dovere dei "veri" cristiani; che, per evitare di essere negativi e pessimisti, non bisogna impuntarsi su principi e valori, al contrario, bisogna andare incontro ai principi ed alle posizioni altrui; e che, in ultima analisi, l’unico e, si spera, ultimo ostacolo che rimane, sulla via di una proficua collaborazione con tutti gli altri soggetti possibili, è rappresentato da quei fastidiosi loro correligionari che, attardandosi su posizioni ormai vecchie e superate, insistendo in maniera inopportuna sul principio della verità cristiana e sui valori dell’etica cristiana, li fanno quasi vergognare di condividere la stessa fede, tanto è vero, che, a ben guardare, proprio la stessa fede non è: quei cattolici "tradizionalisti", infatti, rappresentano una fede immatura e anti-moderna, incapace di capire il mondo attuale e destinata, per fortuna, a scomparire.

Il fatto è che la mentalità moderna, illuminista e naturalista, è penetrata ormai a fondo nella cristianità e nella Chiesa stessa: così a fondo che i suoi sostenitori non avvertono il benché minimo imbarazzo rispetto alla stridente contraddizione del loro essere "cristiani" rispetto alle chiarissime parole di Gesù. Pensano che la Croce di Cristo sia cosa d’altri tempi, e che loro non dovranno più salire sulla croce: pensano di potersi dire cristiani, ma senza più dover fare i conti con lo scandalo del male, del peccato e della croce. Il mondo, in fondo, è buono, si sa; la natura umana — lo pensava anche Rousseau — è fondamentalmente sana; perciò, basta con i profeti di sventura e con i predicatori di quaresima; che sono tutte queste malinconie? Cristo, essi dicono, è morto sulla croce, ma poi è risorto: come se ciò avesse eliminato, per sempre, il male dal mondo e dalla storia; come se avesse redento, in anticipo, ogni singolo essere umano; come se avesse fatto sì che il cristiano non debba più misurarsi con la tentazione, con l’umana fragilità, con le conseguenze del Peccato originale. Il Peccato originale, appunto! Roba d’altri tempi, anch’esso: possibile che qualche teologo abbia ancora voglia di parlarne, senza provare neanche un po’ di vergogna? Via, la natura umana è buona, lo si sa. E questa è la rivincita di Pelagio, né più, né meno; così come il non parlare più del soprannaturale, dei miracoli, della presenza del Corpo e del Sangue di Cristo nella santa Eucarestia, della Madonna, dei Santi, dell’Angelo custode, del Diavolo, dell’Inferno: tutto questo è la rivincita del modernismo e del protestantesimo, ottenuta senza colpo ferire.

Quando sono stati riabilitati il pelagianismo, il modernismo e il protestantesimo; quando sono stati dichiarati la nuova verità della Chiesa? Mai; nessuno lo ha fatto; però quasi tutti lo sottintendono. Lo si capisce da come parlano tanti cristiani, tanti preti, tanti sedicenti teologi, e perfino tanti vescovi e cardinali; lo si capisce dal loro relativismo, dalla loro scandalosa tolleranza verso comportamenti e stili di vita radicalmente anticristiani; dal loro possibilismo, più o meno ammiccante, nei confronti di cose che offendono la dignità della persona e perfino il diritto alla vita: proprio loro, che si sono schierati a difesa dei diritti di tutti e in qualsiasi circostanza, di solito in compagnia di una parte politica e culturale ben precisa: quella che ha ereditato il programma radicale, massonico e dichiaratamente anticristiano del secolo dei Lumi.

Vi sono preti che non parlano mai dell’aborto, né dell’eutanasia, ma che si scandalizzano perché una scuola ha osato esporre il crocifisso, o perché, a suo tempo, l’università di Roma aveva chiamato a tenere una lezione di teologia l’allora papa Benedetto XVI: quale offesa intollerabile alla laicità dello Stato, al sacrosanto principio del pluralismo e del multiculturalismo! Ecco: questa è la rivincita del "mondo" ai danni della Croce; e nasce da un gravissimo malinteso teologico: che della Croce non vi sia più "bisogno", perché, se i cristiani si fanno rispettosi e si tengono in disparte, nessuno verrà più a perseguitarli. Ed è così che un insegnante di religione, il quale ha osato discutere la questione dell’omosessualità con un alunno che si dichiara omosessuale, e che lo fa su richiesta di questo, suscita più clamore e riprovazione, e occupa più spazio sulla stampa e sui telegiornali, di quanto ne occorra ai nostri mass-media per informarci, se pure lo fanno, che, in qualche villaggio della Nigeria, o del Kenya, o dell’Iraq, sono state rapite decine e centinaia di ragazze cristiane; che sono stati uccisi e decapitati decine o centinaia di uomini e ragazzi cristiani; che sono state distrutte delle chiese, o magari bruciate, e con tutti i fedeli al loro interno.

Meritevoli di riflessione ci sembrano le osservazioni svolte a proposito della Chiesa, ma estensibili al cristianesimo in quanto tale, dal teologo Jean Mouroux (1901-1973), che ebbe notevole notorietà negli anni Cinquanta del ‘900 e che influenzò anche il pensiero di Hans Urs von Balthasar, nel suo libro «Il mistero del tempo» (titolo originale: «Le mystère du temps. Approche théologique», Paris, Aubier-Éditions Montaigne, 1962; traduzione dal francese di Liborio Asciutto, Brescia, Morcelliana Editrice, 1965, pp. 196-198):

«Si comprende come ogni volta la Chiesa debba inventare un nuovo avvicinamento, e DUNQUE INAUGURARE UN TEMPO DI EVANGELIZZAZIONE SCONOSCIUTO. Si comprende ugualmente come delle temporalità così estranee non abbiano che un solo principio di unità: LA LORO PROFONDA INTENZIONALITÀ che mira a portare il Cristo ai popoli. E questa assume delle forme tanto più differenti quanto il lavoro è sempre rimesso in questione dal movimento, interiore o esteriore, dei gruppi umani. Vi sono delle primavere storiche (delle "epoche" diceva Péguy), dei momenti di magnifica crescita umana e la Chiesa deve prevedere, seguire e orientare questo slancio. Vi sono delle ore in cui le civiltà — che sono sempre mortali — declinano e scompaiono; e la Chiesa che è loro legata deve distaccarsi da ciò che muore, per poter salvare ciò che nasce: ci si ricordi di sant’Agostino e della caduta del mondo romano. Vi sono infine dei "punti critici" ove popoli riuniti in seno ad una medesima civiltà si separano, ritrovano la propria cultura, si spezzano in mondi chiusi; in questo caso la Chiesa deve fare una cura di cattolicità, per non apparire come LA RELIGIONE DELL’ALTRO, dunque come la straniera e la nemica.

Pericolo permanente delle temporalità umane per il tempo ecclesiale. Se la Chiesa non coglie queste mutazioni esistenziali, un divenire nuovo si realizza senza di essa o contro di essa. Paradossalmente, il temo dell’INSERZIONE nei popoli rischia sempre di sboccare in un tempo di ESPLOSIONE o di ROTTURA. È noto il ruolo svolto, nei loro intrichi,dai fattori politici, culturali, ecclesiologici, al momento degli "scismi orientali", della separazione tra Roma e Bisanzio., e delle grandi rotture occidentali tra il Medioevo e ,’epoca moderna. Ma l’avvicinamento umano e spirituale deve esser ripreso incessantemente iniziando dall’ovile saccheggiato o dalla famiglia distrutta. E la Chiesa ricomincia il pellegrinaggio, sapendo di non conoscere il tempo della riconciliazione, ma di dover prepararlo nel corso dei secoli, con una speranza ostinata e fraterna. Oggi siamo senza dubbio in uno di questi "punti critici" (inverso dai precedenti), ove l’unione dei fratelli separati comincia a non apparire più come impossibile — quando Dio vorrà — agli uomini di buona volontà. […]

Queste riflessioni ci mostrano come il tempo della Chiesa non può essere soltanto un tempo di pacifico avvicinamento, ma anche e sempre un tempo di assalto e di lotta contro il peccato, il Maligno e il mondo che si sottomette ad essi. Le forze del male e del peccato penetrano anche i grandi progetti degli uomini. È sulle vite umane che furono costruite le antiche civiltà: le piramidi di Egitto come gli enormi templi dell’America centrale ne rendono ancora testimonianza. E, quanto ad oggi, la durezza dei calcoli regge il mondo economico, la violenza del potere corrompe la politica, le grandi reazioni affettive scatenano le masse, la cupidigia e la bramosia fanno deviare lo slancio dell’infelice cuore umano. La Chiesa è obbligata a discriminare, ad opporsi, e, per il fatto stesso, mette in questione un equilibrio umano sempre fragile. Ma il mondo lo sa bene, rifiuta, resiste, e comincia a far uso della procedura di persecuzione e di sovversione. Per il solo fatto di contestare, non il SERVIZIO, ma il CULTO dell’imperatore, i primi cristiani compromettevano il bene più sacro della "Pax Romana", e non restava da fare che una cosa di questi "atei": sopprimerli. Il mondo sarà peccatore fino alla fine e la Chiesa sarà sempre sulla croce: "Come hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Jo. 15, 18-22). Noi tutti sappiamo a quale punto di perfezione i totalitarismi moderni hanno portato il processo di strangolamento e di disgregazione: quando essi saranno scomparsi, altre Bestie li rimpiazzeranno. […]

Ciò che rende ancora più tragico questo scontro, è che la Chiesa, nel suo movimento esistenziale, è toccata dal peccato, ed essa affronta l’impurità del mondo con cuori non purificati. Il nemico è dentro, come pure fuori; e sono per primi i cristiani che offendono la purezza della Chiesa. I "sapienti", i "potenti", i "grandi"quando sono cristiani, tentano di utilizzare la Chiesa invece di servirla, e di farne lo strumento del loro dominio; i piccoli si contentano di "peccare come tutti"; e allora è il tempo del mondo peccatore che trascina il tempo della Chiesa, lo allinea sul ritmo del gruppo, tenta di formare un cattolicesimo chiuso, che è una contraddizione, e di distruggere, nella sua giovinezza e nella sua libertà, il tempo della salvezza. La Chiesa diventa allora SOCIOLOGICAMENTE "le chiese"; e con questa stessa molteplicità, con le sue temporalità storiche e spirituali irriducibili, è lo scandalo del mondo, la ferita più spaventosa dell’unità cattolica. In queste condizioni, il progetto della città temporale, con tutte le sue ambiguità, si attacca come un parassita al progetto spirituale della Chiesa. La storia del Cristo ricomincia: la mira politica dei capi e la speranza terrena delle masse tentano di piegare la Chiesa ai loro scopi. Le strutture ecclesiastiche si appesantiscono, la confusione del temporale e dello spirituale si organizza, il peccato si introduce nel gruppo cristiano.»

Questo è il punto: il mondo si fonda sul peccato; ed esso si introduce anche nella Chiesa. Tale è la realtà: il mondo non si convertirà mai del tutto, perché, se lo facesse, vorrà dire che tutti gli uomini sono diventati angeli e il Paradiso terrestre è stato restaurato. Allora anche i cristiani scenderanno dalla croce, con gran sollievo; per lasciarvi appeso, oggi come allora, Uno solo: l’unico Innocente…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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