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Ha vinto Gesù o ha vinto Satana?

È strano, ma a moltissime persone, ivi compresa buona parte dei cosiddetti credenti, sembra sfuggire un fatto d’importanza capitale: che la storia del singolo individuo, così come quella della società, dei popoli e degli imperi, altro non è che il campo di battaglia fra le due forze opposte del Bene e del Male — un campo di battaglia nel quale non è consentito essere neutrali, perché la neutralità, di fatto (e come sempre accade), contribuisce alla vittoria del più forte. Ma, per l’appunto: chi è il più forte?

La società e la cultura moderne, completamente laicizzate e secolarizzate, hanno perso di vista questo fatto essenziale; smarrite nel labirinto dello specialismo e del riduzionismo, hanno (o credono di avere) una risposta per tutto, ma, beninteso, solo e unicamente nel contesto di un quadro di riferimento puramente umano e immanente. Così, davanti a un delitto particolarmente efferato, si tirerà in ballo la psicanalisi, la psichiatria, la sociologia e chissà che altro; di fronte a una guerra crudele, che non risparmia popolazioni inermi e si pasce del sangue dei bambini, ricorrerà a spiegazioni di tipo economico, politico, finanziario; e così via.

Il Male con la "m" maiuscola non può, non deve esistere; parlare del Diavolo è una imperdonabile eresia del mondo laico; in nome del progresso, della ragione e della scienza, si vuole, si pretende, di poter spiegare ogni cosa senza scomodare le cause prime, ma solo e unicamente individuando le cause seconde. L’epidemia di AIDS viene, così, ridotta ad un problema di tipo medico e, magari, a un pretesto per bandire l’ennesima crociata contro i pregiudizi infami dei benpensanti, nei confronti dei poveri "diversi"; terremoti e maremoti sono sempre e soltanto ricondotti alle cause naturali, geologiche, così come tempeste e siccità rinviano a spiegazioni climatiche e ambientali, certamente giuste in se stesse, ma che non arrivano alla radice dei fenomeni: perché la radice dei fenomeni è sempre, alla vicina o alla lontana, di tipo morale, e vede sempre il coinvolgimento della responsabilità umana, attiva o passiva. Una frana, una valanga, un terremoto, sembrerebbero eventi assolutamente fisici: eppure, se colpiscono gli esseri umani, vuol dire che questi ultimi non hanno saputo ascoltare la voce della terra (per esempio, costruendo borghi e città in zone sismiche, accecati dall’avidità di guadagno che si manifesta nella speculazione edilizia); in altre parole, non hanno saputo leggere i segni.

La natura ci parla per mezzo di segni, siamo noi che dobbiamo porci in ascolto. Il nostro corpo ci avverte delle malattie che stanno per colpirlo, siamo noi che non sappiamo o non vogliamo ascoltarlo, perché riteniamo di avere cose più importanti da fare che non perdere tempo occupandoci della nostra salute. Ora, se tutto questo è vero per i fenomeni naturali, che dire per quelli che nascono direttamente dalla volontà umana? Che dire delle maldicenze, delle invidie, delle calunnie, delle menzogne, degli inganni, dei tradimenti, dei furti, degli omicidi, delle guerre e delle rivoluzioni sanguinarie, nei quali si scatena l’egoismo individuale o nazionale e trionfano, puramente e semplicemente, i peggiori istinti dell’uomo, non più imbrigliati dalla coscienza e dalla volontà e anzi, non di rado, evocati da qualche apprendista stregone, sollecitati, stuzzicati, corteggiati, incoraggiati ed esaltati in ogni modo?

Si direbbe che, davanti allo spettacolo del male scatenato nel mondo, il messaggio di amore di Gesù Cristo sia miseramente fallito. Egli è morto sulla croce e il suo sacrificio non è servito a cambiare la vicenda umana, né a toccare nel profondo il cuore degli uomini: l’egoismo e i suoi frutti avvelenati e distruttivi non sono stati imbrigliati, sublimati, trasformati, se non per un ristretto numero di persone; giudicando in generale, il mondo è rimasto, moralmente parlando, quello che era prima della Lieta Novella, quello di sempre: una foresta di belve intente a spiarsi, e pronte a balzarsi addosso l’un l’altra, per sbranarsi, alla prima occasione favorevole.

Su questa linea di pensiero sembra essere il saggista Claudio Lamparelli, il cui libro, «L’altro Gesù», si conclude suggerendo l’esito fallimentare della missione terrena di Cristo e si riallaccia così, e ne costituisce la naturale prosecuzione, alle riflessioni del teologo Sergio Quinzio, con la sua tesi di una sconfitta di Dio dovuta alla mancata risposta, da parte dell’uomo, della sua proposta di amore e di perdono universale.

Ecco come si conclude il libro di Lamparelli (cit., Milano, Armenia Editore, 1988, pp. 210-12):

«La menzogna, ipocrisia, ecco l’opera di Satana; il suo capolavoro consiste nel far passare per propria volontà la volontà di Dio. I suoi più fedeli servitori sono quei farisei, quegli scribi, quei sacerdoti, che coscientemente o incoscientemente predicano come dottrina di Dio quella che è sostanzialmente la dottrina di Satana: la volontà della conservazione egoistica, il prevalere dell’apparenza, la schiavitù degli uomini.

Essi sono tanto più responsabili quanto più dominano le coscienze dei semplici che li seguono come guide. Molti di loro […] decretano la morte di Gesù, convinti di fare il bene del loro popolo. Ecco il trionfo di Satana!

Sono questi i "peccatori contro lo spirito" che, secondo Gesù, non saranno perdonati:
"Tutti i peccati e le bestemmie degli uomini potranno essere perdonati, ma non la bestemmia contro lo Spirito. Chiunque avrà parlato male del Figlio dell’uomo, potrà essere perdonato; ma chi avrà parlato contro lo Spirito non sarà perdonato, né ora né in futuro" (Mt. 12, 31-32).

La colpa di questi "figli di Satana" è la più grave: non solo non entrano loro nel regno dei cieli, ma non vi fanno entrare nemmeno gli altri (cfr. Mt. 23, 13). Nella confusione dei valori diabolicamente creata, il potere di satana arriva fino al cielo e ne mina le fondamenta. E non risparmia nemmeno l’opera di Gesù e i suoi uomini. Chi è la vera incarnazione del Maligno? I farisei accusano il nazareno di scacciare i demoni utilizzando proprio il potere di Beelzebul. Gesù giudica quest’accusa molto pericolosa e si sente in dovere di difendersi:

"Se un regno è in preda alla discordia, cade in rovina e, se una città o una famiglia è discorde, non può reggersi in piedi. Se perciò Satana scaccia Satana, egli è discorde con se stesso; come potrà durare il suo regno? Ora se io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vostri seguaci in nome di chi li scacceranno?" (Mt. 12, 25-27).

Tuttavia, come Gesù non può dimostrare di essere Figlio di Dio, così non può dimostrare di poter sconfiggere Satana.

"Giudicatemi dalle mie opere" egli dice. "Se non compio le opere del Padre mio, non credete in me; ma se le compie, e se non volete credere in me, credete almeno alle mie opere" (Gv. 10, 37-38).

Eppure, queste opere non risultano sufficienti a convincere la gente, nemmeno i suoi discepoli. Giuda lo tradì non certo per qualche moneta d’oro, ma perché non credeva più in lui. E anche gli altri apostoli lo abbandonarono.

Perché tanta sfiducia? Non erano stati tutti testimoni dei suoi miracoli?

Evidentemente, questi prodigi non erano in grado di provare ciò che a Gesù stava più a cuore: che il regno di Dio stava per arrivare.

Come dirà san Paolo, "anche Satana si traveste da angelo di luce" (2 Cor., 11, 14).

Inutilmente Gesù ripeteva di essere il più grande avversario di Satana: "Io vedevo Satana precipitare dal cielo come la folgore" (Lc. 10, 18).

Inutilmente sosteneva di essere venuto a "distruggere l’impero delle tenebre". "Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio, allora è giunto fra voi il regno di Dio" (Mt. 12, 28). In realtà, Satana era ben lungi dall’essere sconfitto.

Chi aveva vinto? Gesù, che era stato abbandonato da tutti e crocifisso; o i farisei, gli scribi, i sacerdoti, insomma gli ipocriti e i detentori del potere, che si erano sbarazzati di lui e avrebbero continuato imperterriti a comandare, a dominare le coscienze del popolo e a costruire Chiese e religioni?

Chi aveva vinto? Gesù o Satana?

La risposta non può essere affidata all’esistenza o meno di qualche Chiesa, e nemmeno al numero di sedicenti "cristiani". Gesù si era proposto il compito di migliorare, sostanzialmente, gli uomini.

Se perciò — per effetto del suo intervento — sono diminuiti la violenza, l’egocentrismo, l’ipocrisia e la menzogna, allora egli è riuscito a introdurre il "seme" del nuovo regno. Ma, se questo non è avvenuto, allora il "Principe di questo mondo" continua a regnare indisturbato.»

Ma è proprio vero quel che afferma Lamparelli, ossia che «Gesù si era proposto il compito di migliorare, sostanzialmente, gli uomini»; è proprio vero che il suo scopo era quello di operare una vera e propria mutazione del loro statuto ontologico? O non è vero piuttosto, il che non è affatto la stessa cosa, che Egli ha voluto introdurre, o meglio reintrodurre, una speranza nuova nel cuore degli uomini, quella di poter ristabilire il legame amorevole con Dio loro Padre?

Se Gesù avesse voluto cambiare il cuore dell’uomo, insomma creare una nuova umanità, allora potemmo annoverarlo fra i numerosi – e tutti sciagurati – capi politici e religiosi che hanno preteso di stabilire un Ordine Nuovo, con ogni mezzo a loro disposizione, instaurando, di fatto, altrettante forme di totalitarismo: perché non c’è posto, nel Mondo Nuovo, per quello vecchio. Gli uomini che rappresentano il mondo di prima devono scomparire, alla lettera: o con la ghigliottina, o con i gulag, o con le crociate, o con le pulizie etniche e di classe.

Il grande equivoco nasce dal fatto che Gesù parlava, sì, di instaurare il regno di Dio sulla terra (lo dice anche nella preghiera del Padre nostro), ma non intendeva affatto che fosse possibile realizzarlo interamente già qui, ora, facendone lo specchio di quello celeste anzi, facendo cadere ogni barriera tra questo e quello, sì che il regno di Dio si stenda simultaneamente e indistintamente sulla terra, così come in Cielo. L’uomo, finché vive sulla terra, è sempre e soltanto uomo: porta in sé il peso della carne, le ferite della carne, la fragilità della carne: non è un angelo, non può diventarlo; può diventare, al massimo, un santo: ma un santo non è un angelo, è ancora e sempre un uomo, un uomo che ha risposto con eroica fedeltà alla chiamata divina.

Pensare che il regno di Dio possa compiersi interamente qui, nella dimensione della vita terrena, è, puramente e semplicemente, una eresia: non è cristianesimo, perché abolisce la distanza fra l’uomo e Dio, che rimane pur sempre incommensurabile, perfino nel caso della santità. E anche la santità, non è mai una conquista definitiva, acquisita una volta per tutte: viene rimessa in discussione ogni giorno, ogni ora, dalle prove della vita e dalle tentazioni diaboliche: in qualunque momento della sua vita, e magari proprio all’ultimo giorno, anche il santo può cadere nell’ira, nella superbia, nella cupidigia; anche lui può peccare, come chiunque altro. Non si può fare il Paradiso in terra: ci saranno sempre i poveri, ci saranno sempre le ingiustizie, ci saranno sempre le guerre: perché il cuore dell’uomo è il perenne campo di battaglia fra il Bene e il Male, e la battaglia non finisce mai — non, almeno, in questa vita terrena.

Lasciamo ai rivoluzionari, di ogni colore, classe o specie, il discutibile e pericoloso piacere d’inseguire l’utopia dell’Uomo Nuovo; lasciamo che sognino di poter abolire, per legge, il Male, e d’instaurare il Bene; di fare in modo che non vi siano più sfruttati, né sfruttatori. Forse, con l’aiuto di una scienza diabolica, capace di manipolare il DNA e decisa a non lasciarsi sfuggire l’occasione di spingersi oltre l’ultima frontiera della morale, potrebbero anche riuscirci, un giorno o l’altro: però, a quel punto, il soggetto di una tale operazione non sarà più l’uomo, così come lo conosciamo e come è stato pensato e voluto dall’amore divino, ma una creatura aliena, che dell’uomo avrà solo le apparenze (o magari neanche più quelle), e del quale sarà solo una orribile contraffazione. Gli mancherà, infatti, la cosa più importante per essere considerato ancora una creatura umana: la luce del libero arbitrio. Sarà un cyborg, un fantoccio, un manichino telecomandato: il microchip inserito nel suo cervello gli dirà, di volta in volta, come agire e reagire in presenza delle diverse situazioni. Soprattutto, non avrà più l’anima: l’avrà perduta, chissà dove.

Se il genere umano dovesse arrivare fino a quel punto, cioè al proprio suicidio morale e materiale, si potrà dire che Satana avrà vinto la partita, e Gesù l’avrà persa, irreparabilmente. Allora, il suo sacrificio sarà stato inutile? E tutte le umane sofferenze, saranno state inutili anch’esse? Eppure, forse quel giorno non arriverà. Forse basterà che resti un solo cristiano, perché risorga la Speranza…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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