
L’ultima cittadella marxista-leninista si trova all’interno della Chiesa cattolica?
31 Dicembre 2008
Le società umane, come i singoli individui, sono assetate di parole di vita
1 Gennaio 2009Terribile questa fine d’anno del 2008, con le forze armate israeliane che, in cinque giorni, massacrano oltre 400 persone e ne feriscono 2.000 nella striscia di Gaza, mediante una serie di incessanti bombardamenti aerei; e che ora, per completare l’opera, si preparano a lanciare un’offensiva di terra con i carri armati e la fanteria, rifiutando anche una misera tregua di quarantott’ore, che è stata tutto quanto la comunità internazionale ha osato chiedere al governo di Gerusalemme (mi era scivolato dalla penna "al governo di Tel Aviv", perché ancora non riesco a capacitarmi che la città santa di tre religioni, abitata in larga misura da Arabi palestinesi, sia diventata niente meno che la capitale dello Stato ebraico).
Le cifre fornite dall’O.N.U. parlano di almeno un 25% di vittime "civili" e di molti bambini coinvolti, come quelle due sorelline che una bomba israeliana ha ucciso mentre si recavano a depositare la spazzatura fuori della porta di casa: facile previsione, dal momento che il 50% della popolazione di Gaza è costituito da minorenni. Ma la verità è che è impossibile separare il bilancio dei morti "civili" da quello dei combattenti di Hamas; perché, come è facile immaginare, una distinzione netta e precisa non esiste, così come non poteva esistere, nell’insurrezione del ghetto di Varsavia del 1943, fra i "combattenti" ebrei e i "residenti". Erano gente che lottava per la propria sopravvivenza contro un nemico spietato che abbatteva le case, sparava su qualunque cosa si muovesse e pensava che ogni Ebreo ucciso fosse un nemico in meno da affrontare; e così accade ora con i Palestinesi di Gaza.
Questo paragone farà inorridire i nostri esponenti della partitocrazia politicamente corretti, come l’onorevole Capezzone che, con tono quanto mai serioso e autoreferenziale, osserva che è incontestabile il diritto di Israele alla difesa, tanto più che si tratta dell’unica democrazia esistente nell’area del Vicino Oriente. Ragionamento ineccepibile: 400 morti arabi contro 4 cittadini israeliani attestano una legittima difesa perfettamente proporzionata; e, quanto alla democrazia, si vede che in nome di essa divengono leciti comportamenti che, attuati da un governo dittatoriale, verrebbero immediatamente qualificati come "nazisti".
Ma, si sa, allo Stato israeliano tutto è permesso, pena il vedersi accusare di inguaribile e recidivo antisemitismo. Sempre in nome del genocidio del popolo ebreo durante la seconda guerra mondiale che, da allora in poi, è divenuto una cambiale in bianco per il governo di Israele nei confronti del mondo intero: una cambiale esigibile in qualunque momento e per qualsiasi somma, complice un vero e proprio esercito di giornalisti, scrittori e intellettuali che si sono autonominati custodi del buon diritto dello Stato sionista a commettere qualunque violenza sui Palestinesi, ossia sui legittimi abitanti di quella regione, ora ridotti a condurre una miserabile esistenza in esilio o, peggio, in alcuni lembi della propria terra, trasformati in giganteschi campi di concentramento.
Certo, tutto questo avviene anche a causa dell’indifferenza dei governi degli Stati arabi e della irresponsabilità criminosa delle stesse fazioni palestinesi; ma forse che ciò diminuisce anche solo di una virgola le precise, gravissime responsabilità del governo israeliano e della pletora di intellettuali partigiani che giustificano e approvano la sua politica terroristica, nascondendosi dietro la foglia di fico del diritto alla legittima difesa?
Fino a quando abuseranno del concetto di legittima difesa?
Fino a quando il senso di colpa del mondo intero per quanto avvenne conto gli Ebrei nella seconda guerra mondiale, si tradurrà in una totale, colpevole acquiescenza verso i peggiori eccessi della politica sionista?
Questa fine d’anno senza pace, con la crisi finanziaria che avanza dappertutto falcidiando centinaia di migliaia di posti di lavoro e con le spiagge del Mediterraneo che, pur con le cattive condizioni meteorologiche, continuano a essere teatro dello sbarco di centinaia e centinaia di immigrati illegali, ci permette di misurare tutta l’abissale distanza che separa i riti e i miti dolciastri del consumismo dalla realtà concreta della quotidiana fatica di vivere.
E mentre qualche sedicente esperto di astrologia ci informa, dallo schermo televisivo – e cioè a nostre spese – che il prossimo anno sarà vario, ricco e indimenticabile per gli appartenenti a ciascuno dei dodici segni zodiacali (e, se ci fossero, anche a quelli del tredicesimo), vien fatto di domandarsi che cosa realmente ci porterà il nuovo anno, da tutti i punti di vista, sia materiali che spirituali.
Forse, tuttavia, sarebbe il caso di porre un freno alle attese irrazionali di miracolose palingenesi sociali, ambientali e morali e concentrarsi, piuttosto, sull’individuazione di alcuni elementi chiave che dovremmo porci come obiettivi minimi per il nostro immediato futuro, sia in senso individuale che collettivo.
Ecco, il primo punto dovrebbe, a nostro avviso, essere questo: la riscoperta e la piena valorizzazione del significato della persona e la capacità di anteporla ad ogni forma di generalizzazione, ad ogni semplificazione ideologica e manichea.
Non è possibile immaginare un mondo migliore di quello presente se non sulla base di una priorità del valore della persona rispetto a tutta quella zavorra di etichette che noi tendiamo ad applicare ai nostri simili, per farli entrare o per escluderli dal campo della nostra simpatia, della nostra disponibilità, della nostra attitudine alla collaborazione.
E dunque, dovremmo abituarci a prescindere da categorie quali "fascista", "comunista", "credente", "ateo" e così via, a causa delle quali abbiamo la tendenza a formarci delle mappe mentali fondate sulla distinzione implicita di "amico" e "nemico" (e sia pure solo in senso metaforico), il che è un ottimo sistema per inquinare i rapporti col prossimo sulla base di diffidenze e pregiudizi e per sciupare l’occasione di conoscerlo nella sua vera essenza.
Dovremmo, cioè, privilegiare le categorie della serietà, dell’onestà, della rettitudine; perché, se un essere umano possiede tali qualità, non si vede per quale mai ragione non dovremmo riuscire a intenderci con lui, quand’anche fossimo lontani anni luce in fatto di idee politiche, filosofiche o religiose.
Il secondo punto, poi, dovrebbe essere questo: recuperare il giusto rapporto tra mezzi e fini e aver sempre presenti questi ultimi, in ogni circostanza e davanti a ogni nuova intrapresa, in modo da non cadere schiavi della nostra stessa strumentalità.
Ma, per comprendere che i mezzi sono soltanto mezzi e non devono essere sopravvalutati, siano essi il denaro, la tecnologia, la medicina o qualunque altra cosa, occorre aver chiari davanti a sé quali siano i fini essenziali che si intende perseguire, a costo di sacrifici e difficoltà; e, per aver chiari quali siano i fini, è necessario elaborare una propria idea di che cosa noi siamo, di che cosa sia la nostra vita e di quale sia lo scopo verso cui siamo diretti.
Non è certo poco, specie in quest’epoca di confusione, smarrimento, crisi di ogni certezza, che ci ha portati a bollare come presuntuosa e arrogante ogni forma di "pensiero forte", quasi dovessimo espiare in una volta sola tutte le iniquità che, storicamente, in nome delle varie forme di pensiero forte, sono state perpetrate.
Riassumendo e riducendo il discorso all’essenziale, possiamo dire che:
1) non siamo venuti al mondo per un caso, ma perché siamo stati chiamati;
2) dobbiamo portare a buon fine la nostra missione, che è quella di sviluppare e potenziare la nostra parte spirituale, la nostra comprensione delle cose, la nostra benevolenza verso tutti i viventi, onde contribuire, ciascuno nel suo piccolo, a rendere migliore questo mondo;
3) a tale scopo ci è stata assegnata una dimensione fisica, che è il modo più sicuro per misurare i nostri progressi spirituali e il nostro grado di benevolenza verso gli altri enti, ma della quale non avremo più necessità quando ci saremo emancipati dalle varie forme di attaccamento dell’ego, primi fra tutti la paura e il desiderio.
Il terzo punto, infine, è quello che comprende e rende possibili tutti gli altri, dei quali non possiamo né vogliamo fare qui un elenco completo, avendo già trattato l’argomento in una lunga serie di precedenti articoli: si tratta di riscoprire il profondo legame che ci unisce, da un lato, a tutti gli altri enti dell’universo, dall’altro a quell’Essere dal quale siamo usciti ed al quale la nostra anima desidera ritornare, forse inconsapevolmente, ma con tutte le proprie forze.
Ora, questo legame si fortifica e, al tempo stesso, si rivela a noi allorché, abbandonato come un abito inutile il nostro vecchio io, sorgente inesauribile di passioni egocentriche, impariamo l’essenza della preghiera, che risiede nell’ascolto e nella capacità di pronunciare con purezza di intenti il pronome personale: Tu.
Ogni qualvolta ci fermiamo ad ammirare gli stupendi spettacoli della natura, anche quelli apparentemente più umili e ordinari; ogni qualvolta ci prendiamo cura di un altro essere vivente; ogni qualvolta sappiamo posporre il nostro egocentrismo, per metterci in ascolto di un nostro simile che si dibatte nel buio del dolore e della solitudine e cerca affannosamente di aprirsi un varco verso la luce, noi realizziamo la forma più alta di consapevolezza che è, al tempo stesso, la forma più elevata di preghiera.
Ogni qualvolta noi interrompiamo la corsa insensata verso i beni effimeri, quali il denaro e il potere, per accogliere una scintilla del dono della bellezza, della bontà e della verità; ogni qualvolta noi inviamo un pensiero di benevolenza e amore verso qualcosa o verso qualcuno, disinteressatamente e limpidamente: noi realizziamo la preghiera per eccellenza, ossia la lode e il ringraziamento nei confronti dell’Essere.
Certo, tutte queste possono sembrare solo parole; e intanto a Gaza si muore; e intanto, in cento e cento luoghi, regnano l’ingiustizia, l’odio e la violenza.
In realtà, la grande e, il più delle volte, pericolosa utopia è stata proprio quella – tipica della modernità – che si possa migliorare il mondo senza prima migliorare se stessi; che si possano sradicare l’ingiustizia, l’odio e la violenza dalla società, senza prima averli vinti in se stessi; che si possa offrire ai propri simili un nuovo Paradiso in terra, ma senza sobbarcarsi la fatica di lavorare a fondo per far morire in sé l’uomo vecchio, avido e prepotente, perché al suo posto possa nascere l’uomo nuovo, benevolo e spirituale.
Se noi non riusciamo a realizzare questa radicale trasformazione interiore, tutti i rimedi che applicheremo ai mali della società saranno soltanto effimeri ed apparenti: perché la grande legge universale è che non si può donare quello che non si possiede; e, se non si possiede l’amore, non lo si può recare ad alcuno; se non si possiede la pace, non la si può far trionfare sulle lotte tra i popoli o tra le classi.
Ne abbiamo già visti anche troppi, nella storia, di codesti tentativi di instaurare il Paradiso in terra da parte di uomini agitati da passioni furiose e disordinate; e abbiamo visto come è bastato poco perché quei Paradisi si mutassero in altrettanti Inferni.
Ora basta.
È tempo di ripartire dall’individuo; è tempo di ripartire dalla parte più profonda e più vera di noi stessi: quella che non consente di barare, di sembrare più evoluti , più generosi, più miti e disposti al perdono di quanto lo si è in realtà.
Con umiltà, con semplicità, con la franca confessione delle proprie debolezze e della propria inadeguatezza.
Allora, e solo allora, avverrà il prodigio: la discesa di quella forza potente, amorevole, che i credenti chiamano Grazia, ma che ha tanti nomi nelle diverse culture umane.
La sua funzione, però, è sempre la stessa: confortare, sostenere, aiutare tutti gli esseri di buona volontà, che desiderano migliorare il mondo in cui vivono, attraverso un affinamento spirituale della propria intima natura.
Ed è per mezzo suo che ci è possibile formulare l’auspicio: sia pace in terra agli uomini di buona volontà.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash