MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE XLVII


RM-12 1-21

8 novembre 1950


    Rm 12-13

    Dice il Divinissimo Autore:
    «“Sacrificio vivente - ragionevole culto”.
    I sacrifici erano la base e la forma della religione antica.
    Tutto si impetrava e tutto si espiava mediante sacrifici. Col sacrificio si intendeva onorare Dio e placarlo, ringraziarlo per una vittoria o una guarigione. Era l’epoca del sacrificio materiale. Ed era logico che fosse così, dato che non v’era altro rito, né altro modo palese di onorare l’Eterno ed impetrarne l’aiuto.
    L’uomo, non ancora istruito dalla Parola Incarnata, e mancando di una Vittima santa per un Sacrificio perpetuo e perfetto, e ciononostante sentendo, per legge anche naturale, che al Creatore, al Dio vero o al dio adorato nelle singole religioni, andava fatta offerta dei doni che Egli aveva dati all’uomo, ricorreva agli animali e ai frutti della terra e li consumava col fuoco perché realmente fossero sacrificati.
    Ma erano “sacrificio vivente”? No. Erano sacrificio di animali o prodotti vegetali, già morti i primi, già strappati alla terra nutrice i secondi. Non vi era vittima viva posta a consumare il suo sacrificio per onorare Iddio. E relativo sempre era il sacrificio, anche se esso era di grossi animali dal molto valore materiale.
    Mai, prima del Cristo-Agnello immolato per placare l’ira divina ed espiare le colpe umane, mai un uomo, meno che nelle religioni idolatriche, era stato sacrificato, o si era sacrificato, per dare onore e riparazione perfetta a Dio. E quindi il sacrificio era sempre relativo e imperfetto, ché, per le colpe dell’uomo, specie per quelle, non il colpevole ma animali, meno colpevoli degli uomini, venivano immolati, sostituendo, sull’ara, il vero colpevole. E tutte le colpe, per benignità di Dio che aveva di Se stesso indicato questi sacrifici, in attesa di Quello perfetto, venivano così espiate.
    Tutte, meno una: la Colpa d’origine. Per quella non sarebbero state sufficienti montagne di vittime. Anche se in una volta sola si fossero immolati tutti i tori, vitelli, agnelli e capri che per secoli tramutavano, specie nelle feste rituali, il Tempio in un perpetuo ammazzatoio scolante fiumi di sangue e fumante dei roghi delle vittime, non sarebbe stato sufficiente il sacrificio a lavare la Colpa originale.
    Perché lo spirito dell’uomo fosse ricreato in Grazia e l’uomo fosse reintegrato alla sua dignità di figlio di Dio, coerede del Cielo; perché la Giustizia fosse placata e il Male vinto, occorreva una Vittima perfetta, una Vittima unica, che, essendo Dio come il Dio offeso, pagasse, da Dio a Dio, il riscatto dell’uomo, e da Uomo santissimo espiasse per l’uomo peccatore.
    Solo l’Uomo-Dio, Gesù, poteva placare Dio e redimere l’uomo, essendo vero Dio e vero Uomo.
    E Gesù fu immolato. Ma il suo Sacrificio non fu consumato su carni morte, ma da Corpo vivo, sul quale furono scagliati tutti i tormenti ad espiare tutte le colpe di cui l’Innocente s’era gravato per consumarle tutte.
    Sacrificio totale: dello spirito del Cristo provato dall’abbandono del Padre, per riparare la colpa dello spirito di Adamo colpevole di avere abbandonato Dio e la sua Legge; dell’intelletto perfetto del Figlio dell’Uomo, per riparare la superbia d’Adamo; della carne innocente dell’Agnello di Dio, per riparare la lussuria d’Adamo. E, perché il mondo, sempre peccatore, avesse sempre una vittima perfetta, avanti l’immolazione il Cristo e Pontefice Eterno costituisce il sacrificio perpetuo: quello Eucaristico, in cui è ancora e sempre il Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, che viene offerto e consumato sugli altari.
    Sacrificio perpetuo e sacrificio vivente. Il nuovo sacrificio della Religione perfetta. “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue, che sono consumati per voi. Fate questo in memoria di Me”. Il Verbo dice “è”. Usa il presente. Perché infatti, sino alla fine dei secoli, il Sacrificio sarà sempre nuovo e sempre in tutto uguale come quello consumato dal Cristo, ugualmente valido presso Dio e a pro degli uomini.
    Ma al Sacrificio vivente che si consuma sugli altari l’uomo deve unire il proprio individuale sacrificio, quello di tutte le ore, da esplicarsi in tutte le occupazioni, doveri, volontà di Dio soprattutto, anche se è volontà di dolore. Sacrificio che può essere della parte carnale, o di quella morale, o di quella spirituale. Malattie, povertà, lavoro estenuante, per la parte materiale di voi. Ingiustizie, calunnie, incomprensioni, per la parte morale. Persecuzioni da parte degli uomini o abbandoni di Dio per provare la fedeltà del suo servo, per la parte spirituale. E ancora: fedeltà alla Legge, conservando casti e giusti e amorosi i corpi, i pensieri, i sentimenti e gli spiriti.
    Perché questo, più che i riti esteriori, costituisce il culto ragionevole di cui parla Paolo. Non la forma sola, ma la sostanza del culto a Dio. E la sostanza è data dal rinnovarsi, un continuo rinnovarsi dell’io individuale, come è continuo il rinnovarsi del creato tutto nei suoi animali, vegetali e [nelle sue] stagioni, un continuo rinnovarsi spiritualmente e moralmente per farsi un’umanità nuova e sempre più trasformarsi in Cristo. È data, la sostanza del culto a Dio, da un continuo, faticoso, e anche talora doloroso, ascendere verso la perfezione per fare la Volontà di Dio, la prima e comune Volontà divina per tutti i creati con somiglianza divina e con predestinazione alla gloria: che si facciano santi per salire alla dimora del Padre, in eterno.
    Questo rinnovamento, questa trasformazione, questa ascesa verso la perfezione, questa volontà umana, propria però dell’uomo in cui più viva è la somiglianza col Padre, l’unione col Figlio, la docilità a tutte le ispirazioni dello Spirito Santo - di modo che i suoi doni non restano inerti come seme caduto sulla pietra, ma attivi come seme caduto in terra fertilissima e che dà gran pianta, atta a nutrire di santificanti frutti non solo chi la possiede ma anche molti altri, più infelici che colpevoli, più poveri di Dio perché non sanno, e non c’è chi li istruisce, che perché indifferenti a Dio - si ha facendo in tutto e per tutto ciò che Dio propone di fare, nel modo come Dio lo propone, nella misura che Dio segna.
    Contribuisce al bene di tutto il Corpo mistico tanto chi percorre i continenti e si consuma nel lavoro apostolico per portare nuovi cristiani alla Chiesa militante, come chi, ignoto e nascosto, soffre, e del suo dolore fa preghiera e aiuto ai missionari; né la sua piccola Messa (le vittime sono ostie e il loro letto è il Golgota su cui consumano il sacrificio per il bene di molti) è meno gradita al Signore. Contribuisce al bene dei fratelli chi scrive le rivelazioni di Dio, perché Dio fece di lui un rivelatore, come chi scrive opere del genio per rendere comprensibili punti oscuri della Scrittura, o verità di fede, e più amabili, perché più conosciuti, Gesù e Maria. Basta che ogni azione o ministero siano mossi e retti dalla carità. Carità vera.
    Vera carità che fa odiare il male per se stesso, non perché è causa di punizione ultraterrena ma perché è dolore dato a Dio. Carità vera che, come ci porta a non volere fare il male, così ci spinge a strappare dal male fratelli peccatori, e ci ispira per essi rimproveri che, per dover essere giustamente severi, non sono però privi di misericordia al punto di inasprire o sconfortare in luogo di sollevare i caduti. Carità vera che fa degli uomini dei fratelli che scambievolmente si sopportano, se imperfetti molto, e si aiutano sempre e si amano nel Signore. Carità vera che fa solerti nello zelo per zelo verso Dio, ferventi nello spirito, sereni nelle prove, pazienti nelle tribolazioni, senza stanchezze nella preghiera, anche se sembra che il Cielo non l’esaudisca, misericordiosi e perciò praticanti tutte le opere di misericordia corporale e spirituale, senza rancore, odio o desiderio di vendetta, pieni di comprensione per il prossimo, senza invidiarlo se gioisce, senza indifferenza o malvagio piacere se soffre, non avidi di salire a posti d’onore detronizzando, anche col mezzo della calunnia, altri, sempre contenti del proprio stato, mai vendicativi anche verso chi vi ha nuociuto.
    Questa è la carità. La vera carità che dà gloria a Dio e bene ai fratelli. E Dio, se non i fratelli, la compenserà, ristabilendo la giustizia, mettendo in luce la verità dei fatti, punendo e premiando così come ognuno ha meritato.
    E la carità sia regola anche nei rapporti tra autorità e sudditi, siano autorità ecclesiastiche o autorità laiche. Nessuna di esse, per esser posta in alto, deve essere senza carità e giustizia. Dio - perché è Dio che ha permesso[30] che questo o quello raggiungesse un potere - non ha messo nessuno in alto perché sia tormento ai fratelli, ma per provare la giustizia e carità delle autorità e per punire coloro che non praticano giustizia e carità, credendosi stoltamente esenti da tali doveri perché posti in alto.
    Essere in alto, essere “capi” implica doveri di paternità oltre che di fratellanza, e chi vi manca è giudicato severamente da Dio, il quale li rende responsabili non soltanto della loro propria colpa di non carità e giustizia, ma anche delle reazioni che tali loro colpe provocano nei sudditi. Colui che, perché è in alto, perseguita, cruccia e colpisce ingiustamente un umile, un suddito, sarà chiamato a rispondere a Dio degli scandali e degli sconforti e dei dubbi sulla giustizia e provvidenza divine che, inevitabilmente, sorgono nel cuore degli oppressi.
    Dio non punisce e non punirà chi è punito ingiustamente dagli uomini che hanno una qualsiasi autorità; non lo punisce neppure se l’oppresso ha giustificate reazioni. Ma sarà inesorabile verso chi, col suo modo di agire da prepotente, attenta allo spirito degli umili, vi suscita dubbi, ribellioni o altro.
    E li punirà perché costoro colpiscono ancora Dio. Sì. Dio. Il quale può esser privato di un figlio, o sentirsi mettere in dubbio da un figlio, per la libertà di male azioni dei “potenti”. Infatti il colpito che pensa? “Ma Dio, che è onnipotente, perché non interviene?”. “Allora non è vero che la preghiera fidente ottiene aiuto da Dio?”. Lo comprendono i “potenti” chi colpiscono, colpendo ingiustamente un suddito? Dio colpiscono. Dio che soffre con e in chi patisce ingiustizia. Dio che è colpito ogni volta che si manca alla carità.
    E la carità sia anche regola nei rapporti dei sudditi verso le autorità. Non le giudichino, lasciando a Dio il giudicarle. Non si ribellino loro, purché però i loro ordini non siano contrari alla religione e alla morale, per la collettività, o ad un precedente e immutato ordine divino, nel qual caso, a costo di patire martirio cruento o incruento, occorre prendere esempio dal Cristo che non si piegò ai disordinati voleri del Sinedrio e dei Farisei in genere, né a quelli di Erode; ad esempio del Battista che servì la giustizia anche sapendo che così agendo avrebbe perso la vita; ad esempio di Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio, di Giacomo, poi di tutto il popolo sterminato dei martiri d’ogni tempo, da quelli sbranati, arsi, straziati nei circhi e altrove, a quelli bruciati sui roghi come servi del demonio o eretici per aver fatto ciò che Dio loro ordinava.
    Saper dire: “Bisogna ubbidire a Dio solo” e “Dio va servito per primo”, come seppero dire gli eroi di Dio, da Pietro a Giovanna d’Arco. Saper dire, per altre persecuzioni incruente, ciò che dissero Bernarda di Lourdes, Lucia di Fatima e i suoi piccoli cugini, e molti, molti altri.
    Salvo che i potenti, finché son tali - perché dall’oggi al do­mani una fossa o un movimento di popolo potrebbe umiliare a putridume e a nulla la loro potenza, di cui tanto erano orgo­gliosi, sino a farne strumento di tortura ai piccoli - salvo che i potenti non ordinino cose contrarie al Volere di Dio, che è l’uni­co, vero, eterno, perfetto Potente, anzi Onnipotente - e di ciò chiunque, per in alto che sia, se ne dovrebbe ricordare per non cadere in molteplici peccati - e cose contrarie alla Religione e alla Morale, salvo questi casi, vanno ubbiditi. Perché in tal caso, che ordinino cose lecite, essi servono a notificare gli ordini di bene che Dio per primo ha insegnato agli uomini.
    La legge umana non colpisce forse quelli che già colpisce la legge divina? Dunque, e per sfuggire il castigo di Dio e quello degli uomini, e vivere nella giustizia e carità come devono vivere i figli di Dio per essere veramente tali e mantenersi tali, occorre non fare il male, nessun male, né verso Dio, né verso gli uomini; occorre non mancare alla legge della carità e [non] disubbidire alla voce della coscienza che Dio ha messo in ogni uomo perché abbia una guida al bene.
    In tal modo - non venendo meno alla legge della carità, della giustizia e della coscienza, ma soprattutto non mancando in alcun modo alla carità - darete a Dio culto ragionevole e raggiungerete la perfezione nell’osservanza della Legge, perché l’amore è il compimento della legge e chi vive nell’amore non cade nella concupiscenza della carne, in quella della mente e in quella dello spirito, e rimane nella Luce: in Dio; si identifica col Cristo e con Lui dividerà il suo Regno.»

[30] è Dio che ha permesso…, come si chiarisce alla lezione 24 con una illuminante interpretazione della risposta data a Pilato da Gesù.