Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
Dice lo Spirito Santo:
«“La creazione è stata assoggettata alla vanità”, dice Paolo.
Ho spiegato[23] come sia stata la smisurata vanità di essere come Dio, quella che causò la Colpa e le sue conseguenze. Tutta la creazione, per colpa della vanità folle dell’uomo, che era il capolavoro della creazione, conobbe la bruttura del Peccato e dei peccati contro Dio e contro il prossimo. E più di ogni altra creatura inferiore della creazione lo conobbe l’uomo, la creatura superiore, essendo l’unica creatura di natura razionale, libera, intellettuale, capace di sviluppo non soltanto fisico e anche intellettivo, nel senso umano della parola, ma di sviluppo spirituale, essendo egli, l’uomo, secondo le giuste sentenze del grande teologo[24]: un infinito in potenza, una capacità che solo Dio può colmare.
Veramente che così è. Così è da quando l’uomo è, né la Colpa, pur infirmando fortemente tale potenza, poté privare l’uomo di queste due qualità che Dio aveva posto in lui nel crearlo.
Nella stessa coppia primigenia, dopo che il dolore per la morte d’Abele dissipò i folli fumi dell’orgoglio, che sino a quel momento avevano tenuto asservito l’uomo alla suggestione del Ribelle eterno, si ridestò questa potenza tramortita sotto l’urto del peccato e del castigo. E l’uomo, rialzando lo sguardo al Cielo perduto, cercando Colui che lo aveva giustamente scacciato, sentì nuovamente che solo Dio poteva consolare il suo dolore, colmare il suo desiderio d’amore, sorreggere le sue forze morali con le speranze eterne e con la promessa, scesa in Adamo insieme con la condanna, che il suo seduttore sarebbe stato vinto e che la liberazione dalla sua stretta infame, ossia la restituzione dello stato di Grazia e quindi dell’eredità del Regno dei Cieli, sarebbe avvenuta per mezzo della Donna che, essendo Vergine, avrebbe partorito l’Emmanuele, il Salvatore e Redentore.
Ecco allora che la creazione, assoggettata alla vanità e, potrebbesi dire, impedita a progredire verso la sua perfezione finale: quella dello spirito sempre più trionfatore sulla materia, riprese il suo cammino verso la luce, verso l’alto, verso Dio, suo Fine, ai quali aveva volto le spalle, scendendo la china che porta non solo dal Paradiso terrestre alla Terra, ma da essa verso i regni delle tenebre e del peccato.
Mancava, è vero, la Grazia, sole dell’anima che per essa vede distintamente, che per essa germina le virtù e cresce in perfezione, ma rimaneva la coscienza e la sua voce: il paterno richiamo di Dio a Se stesso e al fine ultimo; ossia permaneva nell’uomo, in un con l’anima spirituale e unita alla stessa, quel minimo sufficiente atto a renderlo capace di tendere al suo fine, quel terreno atto ad accogliere, sino alla reintegrazione alla Grazia, quelle luci di cui Dio non fu mai avaro a nessun uomo, per colpevole che sia, e a tener vivi quella cognizione e quell’amore di Dio che l’uomo aveva ricevuto dallo Stesso in un con l’esistenza e che, in latenza, erano rimasti in lui.
Paolo scrive - ed è frase mal capita o per insufficienza di intendere o per volontà di intendere male allo scopo di sconfortare gli uomini dal perseguire il Bene per avere il Cielo, ché tanto non c’è salvezza per l’uomo di tendenza peccatore; teoria eretica nata da rami che si separarono dal tronco della mistica Vite, da membra ribelli che si staccarono dal mistico Corpo; professione contro l’Amore Divino che ha creato predestinando alla Grazia e alla Gloria, e non già per la dannazione, che la Chiesa Docente giustamente condanna - Paolo scrive: “Assoggettata alla vanità non per sua volontà, ma di Colui che l’assoggettò con la speranza che essa pure sia liberata dalla servitù della corruzione per aver parte alla libertà gloriosa dei figli di Dio”.
Or molti, sacrileghi, eretici, negatori dell’Attributo principale di Dio, satana perché odiatori dell’amore e della verità, prendono questa frase per base della loro pseudo-religione, e dicono: “Vedete chi volle la vostra caduta, la vostra debolezza, la vostra rovina? Lui, quello che chiamate Padre”.
No. A questa bestemmia orrenda, a questa insinuazione della più sottile astuzia diabolica, Io rispondo. E rispondo così.
Dio sottopose l’uomo alla prova per confermarlo nella Grazia. E questo per coloro che seppero essere giusti anche dopo una o più momentanee cadute, mondate da un pentimento sincero e da una carità ardente. Mentre per gli Angeli ribelli, la cui natura angelica era superiore a quella umana - tanto che è detto del Cristo: “Tu lo hai fatto di poco inferiore agli angeli” - non vi fu né promessa di perdono, né permanenza di quanto atto in essi a ricondurli, attraverso alla contrizione perfetta e al perfetto amore, alla loro prima condizione beata, per l’uomo vi fu tutto questo e più ancora: le voci dei Patriarchi e Profeti riconfermanti la promessa del Redentore contenuta nel Protevangelo, le rivelazioni di Dio attraverso le sue manifestazioni e ispirazioni ai Patriarchi, a Mosé - il liberatore e legislatore del popolo ebreo - a Giosuè, ai Profeti, e culminate nel prodigio della donazione, ammaestramento e immolazione del Figlio di Dio.
Mai levò Dio la predestinazione alla Grazia per tutti gli uomini. Mai. Perché Dio non è volubile nelle sue volontà, e ciò che volle una volta, per sempre lo vuole, per quanto sta alla Volontà sua. Mai. Per quanto Dio non abbia agito come agì “sperando”, come impropriamente è scritto, ma “sapendo”. Dio nulla ignora. Quindi a Lui è negato lo sperare. Spera chi ignora il futuro, del tutto o dei singoli. Non chi, come Dio, nulla ignora e tutto conosce, dalla sua Eternità, della sorte d’ognuno.
Quindi si dica e si creda che Dio assoggettò alla prova la creazione, nella creatura più perfetta di essa, ben sapendo che essa avrebbe peccato di superbia e di ribellione per la vanità di divenire come Dio, ma volendo dare ad essa la misura senza misura del suo amore per gli uomini.
Prima della creazione dell’uomo, e quindi della prova, Dio aveva già stabilito il Mezzo con cui l’uomo sarebbe stato liberato in un primo tempo dalla servitù della corruzione e letificato poi della libertà gloriosa dei figli di Dio, avendo conseguito la sua parte d’eredità nel Regno celeste. Dunque Dio non volle la vostra caduta, né la vostra debolezza, né la vostra rovina. Ma, volendosi dare un popolo di figli, vi creò e, sapendo che non avreste persistito nella Grazia, ancor prima di crearvi predispose il Mezzo Ss., quale più santo e potente non può esservi, per salvarvi e darvi la vostra parte nel suo Regno.
Onde anche qui può dirsi che splende in tutta la sua verità la Carità infinita e insaziabile di Dio per gli uomini, suoi figli d’adozione.»