Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
Dice il Divinissimo Autore:
«Questo è punto molto profondo, e per la norma che dà nella pratica della carità, e nella lezione che dà a quelli che per i beni terreni rinunciano ai beni celesti.
Invocando lo Spirito Santo, abitatore dei cuori e dei corpi dei giusti, Voce parlante alla coscienza che ne fa la sua voce di ammaestramento, di guida, di legge, Paolo dice: “Ho una grande tristezza, un continuo dolore nel cuore, vorrei essere io stesso separato da Cristo per i miei fratelli (per il bene dei miei fratelli), che sono del sangue mio secondo la carne: gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione in figli (di Dio), la gloria, l’alleanza, la legge, il culto, le promesse, i patriarchi, e dai quali è (venuto), secondo la carne, il Cristo...”
Paolo era ebreo e israelita, discendente d’Abramo, e lo attesta come colui che testimonia e si gloria della nobiltà del sangue avuto dagli avi, anche dopo che la folgorazione sulla via di Damasco lo strappò alla Sinagoga arida per immergerlo nel settemplice fiume di grazie che sgorga dal seno della Chiesa, dalla Pietra stabilita dal Pontefice eterno: il Cristo, contro la quale invano Saulo si era avventato, non sfracellandosi nell’urto solo per un volere divino che aveva stabilito per Saulo grandi cose.
Per quanto ormai staccato dalla Sinagoga, era ancor unito da vincoli d’affetto ai fratelli nel sangue d’Abramo. Né è riprovevole tale affetto, perché se è prossimo che si deve amare ogni uomo che abiti la Terra, più che mai è prossimo colui col quale si è uniti per una comune discendenza, una patria, una legge.
Paolo era di Tarso nella Cilicia. Cittadino romano, quindi, perché la Cilicia dipendeva da Roma. Ma giudeo della tribù di Beniamino per nascita e per la Legge, ché pochi come lui, tra i proseliti, o gli abitanti della Diaspora, o gli stessi farisei di Palestina, erano ardenti nelle pratiche mosaiche e farisaiche come Saulo, che era ardente sino al fanatismo e all’ingiustizia.
L’attaccamento ai fratelli nel sangue e nella passata fede permaneva dunque anche dopo aver abbracciato la nuova fede ed essersi fatto Apostolo di Cristo, il più ardente degli apostoli, anzi, avendo trasportato se stesso, con tutta la sua intransigenza, con tutto il suo fanatismo del tempo passato, congeniti alla sua natura umana, nel tempo nuovo.
Ma poiché il passaggio era avvenuto per opera straordinaria di Dio - il Verbo incarnatosi - così il suo amore ai fratelli d’un tempo s’era trasformato, come ogni cosa in lui, da affetto terreno a carità soprannaturale. Anche la sua intransigenza e il suo fanatismo si erano trasformati, pur permanendo. Ché Saulo, l’ardente, intransigente, fanatico fariseo, lapidatore di Stefano, se non con le pietre con le parole, persecutore dei cristiani, divenuto Paolo, divenne ardente non nell’odio ma nell’amore, intransigente per l’onore di Dio e il bene delle anime, prima con se stesso e poi con tutti, da Pietro pontefice all’ultimo fedele.
Ed ecco perciò che l’affetto terreno ai fratelli d’un tempo si eleva e sublima, e diviene in lui martirio di carità soprannaturale, perché li vorrebbe essi pure nel Regno, convertiti, pentiti, rinnovati da, per, e in Cristo, che essi avevano respinto mentre era fra di loro e perseguitato sino alla morte, chiedendo il suo Sangue su loro, non per fine santo di redenzione, ma per odio e dileggio.
Quel peccato di deicidio è il dolore che stringe ed empie il cuore di Paolo. La loro ostinata permanenza in questo peccato, che durava con il durare della persecuzione a Cristo col perseguitare i cristiani, era la grande tristezza di Paolo. Al punto che Paolo desidera, e quasi chiede, d’esser separato da Cristo, suo Amore degli amori, purché essi pervengano a pentirsi e ad amarlo, meritando così di divenire vivi figli adottivi di Dio e fratelli del Cristo, non solo per la carne - assunta da Lui per discendenza da Adamo per linea di madre, e da Abramo, Isacco, Giacobbe e, per successive generazioni, Jesse, poi, infine, ultima Maria della stirpe di Davide, per cui Gesù di Nazaret è israelita del ceppo più puro del Popolo eletto - ma anche per coeredità nel Regno del Padre celeste.
Coloro che vogliono essere veri cristiani devono avere gli stessi sentimenti di Paolo per i fratelli separati, figli prodighi di diverse specie, da quella di coloro che sono cristiani perché in Cristo credono, ma non sono membra del Corpo mistico perché non uniti al ceppo della Mistica Vite, ossia della Chiesa Romana, sia di coloro che sono membra morte di questa Chiesa Romana, avendo avuto il battesimo e altri sacramenti dalla vera Chiesa, ma che poi, o per mala voglia che li fece cadere in colpe mortali e in forme di vita peccaminose, o per essere caduti in eresie di diverse specie, sono incorsi nelle sanzioni ecclesiastiche (per superstizioni, idolatrie anche per l’uomo, commercio col demonio, appartenenza a sette anticristiane, spiritismo, magia e altre cose del genere).
Sacrificarsi per costoro, perché tornino alla Vita e abbiano Salute eterna, è perfetta carità di prossimo. E la norma è questa: amare non soltanto coloro che sono simili a voi in religione e giustizia, e quelli che vi amano, ma anche e soprattutto quelli che vi sono dissimili e nemici, sia perché ne hanno maggior bisogno, sia perché amare chi ci perseguita od odia noi e la nostra fede e maniera di agire, è testimonianza di perfetta formazione in Cristo, il quale perdonò anche ai suoi crocifissori e schernitori, ed è moneta d’infinito prezzo per il vostro tesoro nel Cielo.
La seconda lezione, quella sui diversi valori dei beni terrestri o celesti, è nel v. 6, 7 e 8, e la conclusione è nel v. 13.
“Non tutti quelli che vengono da Israele sono israeliti, né i nati dalla stirpe di Abramo son tutti figliuoli, ma ‘in Isacco sarà la tua discendenza’. Quindi non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono contati come discendenti”.
Ecco. È ancora la volontà libera dell’uomo quella che decide la sorte futura ed eterna. Come per Adamo fu il suo volere a farlo decaduto, come per Caino fu il suo volere a farlo fratricida e fuggiasco dando origine ai figli della carne, ossia a coloro usciti da ogni legge anche morale, così anche fu il mal volere di Ismaele a farlo espulso dalla tribù d’Abramo e generatore di figli della carne anziché di Dio, perché congiuntosi a donna d’Egitto, ossia idolatra.
Passeranno i secoli, ed Israele ripeterà quell’errore, contraendo il suo Re nozze con donne straniere ed idolatre, ed instaurando il culto degli idoli presso il Tempio del Signore, creando così il terreno per lo scisma politico e religioso che divise per secoli Israele in Regno di Giuda e d’Israele e mise gli abitanti di Palestina: Giudei e Galilei, contro i Samaritani sino a dopo la morte di Cristo.
Ma prima ancora un altro, per disprezzo delle cose veramente preziose e imperiture, e per attaccamento alle cose terrene, perderà la primogenitura nella stirpe eletta, e poscia la benedizione paterna, simile a benedizione trasmessa dal Padre Creatore al padre naturale per investire il primogenito di poteri straordinari, e infine perderà l’appartenenza al Popolo della Promessa, creando la stirpe degli edoniti o idumei, popolo contro il quale il Signore è sdegnato (Malachia 1, 4), ché non era più Israele ma razza di schiavi e non di liberi, come quella d’Ismaele, segno della differenza futura tra i figli della Legge della Sinagoga e quelli della Legge della Chiesa di Cristo, che fa degli uomini che la seguono i figli di Dio, fratelli al Cristo, coeredi del Cielo.
Dunque non mutamento dell’eterno e perfetto Volere conduce alla perfetta libertà e alla vita nel Regno questi piuttosto che quelli, come vorrebbero dire le chiese riformate ed eretiche. Ma il libero volere dell’uomo, che può eleggere ciò che più a lui piace: la carne o lo spirito, il mondo o il Cielo, satana o Dio.
Però, soltanto coloro che restano fedeli a Dio e credono fermamente nel Cristo suo Figlio e praticano la sua Legge e la sua Dottrina - che è il completamento della Legge del Sinai, spogliata dalle catene della Sinagoga e rifatta libera come libero è Dio, buona come buono è Dio, semplice come semplice è Dio - questi solo divengono o restano figli di Dio.
E coloro che, credendosi i “primogeniti” tra il popolo di Dio per esser venuti prima, perseguitarono coloro reputati minori perché venuti dopo, a seguito del “Figliuol del Falegname di Nazaret” da loro schernito, sol per averlo sprezzato - e aver sprezzato insieme a Lui la predilezione che Dio ebbe per Israele, facendo nascere in Israele l’Incarnato suo Verbo - come fu per Ismaele ed Esaù, da primogeniti di discendenza eletta divennero gli schiavi del loro peccato, coloro che restarono indietro, appesantiti dalle loro colpe e soprattutto dalla gran colpa del deicidio, i recisi dal Popolo dei figli, gli odiati dall’Amore Eterno perché non seppero accogliere ed amare l’Amore fattosi Carne per amore.
Quelli invece che non erano Popolo di Dio (i Gentili d’ogni paese e tempo), lo divennero, appartennero al Regno di Cristo, in Terra con l’appartenere alla Sposa regale di Lui, la Chiesa, e in Cielo col salirvi al possesso, così come l’immutabile Parola di Dio ha promesso sin dall’Eden e poi, attraverso i Patriarchi e Profeti, sino al Cristo e per bocca di Lui, e poi ancora attraverso al Magistero della Chiesa, sin che la Chiesa sarà.
L’antica promessa del Redentore, essendosi ormai compiuta con il suo avvento e col compimento della sua missione nel mondo, viene sostituita dalla promessa nuova: “Chiunque creda nel Cristo e lo accolga, Egli e la sua dottrina, diviene figlio di Dio ed ha la vita eterna”. Così come l’antica Sinagoga viene sostituita, e per sempre, sino alla fine dei secoli, dalla Chiesa di Cristo, e all’Antico succede il Nuovo Testamento.
Solo i figli della promessa, ossia i credenti nel Cristo e viventi nel Corpo Mistico di cui Egli è il Capo Ss. e l’assemblea dei fedeli le membra, “sono contati come discendenti” e quindi coeredi nel Regno della Gerusalemme eterna.»