Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
Dice l’Autore Ss.:
«Veramente che l’osservanza dei precetti della Legge è circoncisione anche per l’incirconciso, e al tempo di ora è assoluzione anche per quelli che non sono della Legge. Paolo dice: “Vero giudeo non è chi tale apparisce, né è circoncisione quella che si manifesta nella carne, ma è giudeo colui che tale è interiormente; la circoncisione è quella del cuore, secondo lo spirito e non secondo la lettera, e questa avrà premio da Dio”.
“Circoncidete il vostro cuore” è molto antica parola. È il comando divino. Perché vano è avere la conoscenza della Legge secondo la parola se poi non la si conosce e pratica, perciò, con lo spirito. E l’unica vera circoncisione è questa.
Che importa indossare una veste talare - dico talare per dire: di figli della Legge - se poi l’uomo che l’indossa non è figlio della Legge, ma servo del senso, del mondo, del demonio? Anche i mimi e i commedianti mettono vesti di re, o di sacerdoti, o di guerrieri, o di operai, o di contadini, senza per questo divenire re, sacerdoti, guerrieri, operai, contadini. Finita la scena, calato il sipario, essi si spogliano delle vesti messe per la rappresentazione e indossano le loro. Né il loro cuore muta da ciò che è, per avere rappresentato la magnanimità di un re, la santità di un sacerdote, il valore di un guerriero, i sentimenti di un operaio o di un contadino. Essi restano ciò che sono: giusti se giusti, anche se hanno rappresentato alla perfezione un mostro di nequizia, e mostri di nequizia anche se hanno rappresentato alla perfezione un santo.
Molti, troppi, che per la Legge che mostrano di servire agli occhi del mondo sembrano circoncisi - anzi: decapitati dalla triplice concupiscenza - agli occhi di Dio e degli abitanti dei Cieli appaiono con i loro sette serpenti vivi nel cuore. Costoro, no, non possono dirsi circoncisi nel cuore. Anzi alla loro natura non mutilata della triplice concupiscenza, retaggio del peccato che ogni uomo ha ereditato per Adamo, aggiungono un serpente di più: quello dell’ipocrisia, del tradimento che fanno ai loro simili, mostrandosi ad essi come in verità non sono, e che pensano poter fare a Dio. Come se Dio potesse essere ingannato dalla polvere dorata che essi gettano per aria perché il mondo li ammiri.
Polvere. Dio non accetta polvere d’oro. Dio accetta oro puro, compatto, perfetto. La vera carità. La vera carità che è ubbidienza alla Legge, e perciò circoncisione del cuore che si amputa della triplice concupiscenza per essere realmente figlio della Legge, e perciò: figlio di Dio.
E Io vi dico che se il Padre Ss. sa ancora essere tutto misericordia per i volenterosi, soverchiati proditoriamente da Satana, dalla carne, dal mondo, ma non consenzienti, ma non ricercanti volontariamente la tentazione, è tutto rigore per gli ipocriti, e tanto più lo è quanto più uno, o perché sacerdote, o perché religioso, o perché profeta di Dio, voce di Dio, allievo di Dio, è in condizione, per grazia di stato o per dono sapienziale straordinario, di essere perfetto più della massa, è in dovere di essere perfetto, non solo per riconoscenza a Dio che lo elesse sacerdote, religioso o suo profeta (voce), ma anche per non essere scandalo ai piccoli del gregge.
Scandalo, dico. Molti scandali avvengono nel mondo, e la massa non se ne commuove che un attimo, finché il rumore dello scandalo dura. Delle volte, specie in momenti di generale rilassamento dei valori morali - non dico neppure di quelli spirituali, ma semplicemente di quelli morali - non se ne commuove neppure...
Ma vi sono scandali che colpiscono l’emozione sincera dei giusti, e anche quella degli indifferenti, e dei giusti fanno talora dei disgustati, e degli indifferenti fanno dei derisori. Non dico poi ciò che sono certi scandali in mano ai nemici di Dio e della sua Chiesa. Simili a leva sotto un masso, a mina sotto un edificio, a foro in una barca, questi scandali pongono in serio pericolo e Fede e Chiesa. La Fede muore, per essi, in molti cuori, e la Chiesa ne subisce rudi scosse di un valore incalcolabile.
Quando poi gli scandali si susseguono, è come un allargarsi di cerchi ondosi in un lago turbato da un precipitare di massi. Un solo masso provoca una serie di cerchi che poi si placano morendo sul greto. Ma se i massi si susseguono, e sempre più grandi, sino ad essere caduta di un’intera parete di monte, allora i cerchi si mutano in onde contrastanti, le onde in traboccare d’acque sulle rive, sino a provocare sventure.
Così per gli scandali di coloro che “portano il nome di Giudei e si riposano nella Legge e si gloriano di Dio”... e soprattutto di essere “i ministri di Dio”, e non sono lucerna a chi cerca luce, non guida a chi è cieco, non maestro vero ai piccoli del gregge, ma sono confusione, crepuscolo, disordine, negazione. Sì. Negazione perché “insegnano agli altri ma non a se stessi”, perché la loro vita è colma delle colpe o debolezze che rimproverano ai loro agnelli.
Essi, con la loro vita di pastori-idoli, di pastori mercenari, disonorano Dio calpestando la Legge che conoscono e predicano. “E per cagione loro, il Nome di Dio è bestemmiato fra le genti”.
Sì. Bestemmiato. Perché i nemici di Dio additano allo sprezzo dei popoli i servi di Dio troppo peccatori o anche troppo imperfetti, pigri, tiepidi, senza vera fede. In verità è più fede negli agnelli che nella maggioranza dei pastori che del loro ministero hanno fatto un mestiere, non più una missione regale. Sì. Bestemmiato perché, capovolgendo l’osservazione che i Gentili dei primi secoli facevano sui sacerdoti cattolici e che valse a convertirli al Cristo: “Vedete come si amano fra loro e come i loro sacerdoti sono perfetti!”, ora i più, anche fra i cattolici ferventi, dicono, o si dicono nell’interno del cuore: “Vedi come sono i sacerdoti! Peggio di noi. Se fossero veramente ministri di un Dio, Dio non permetterebbe questi scandali”. E concludono: “Per ciò credo (o comincio a credere) che il Dio che predicano non esiste, non esiste una seconda vita, non esistono i sacramenti...”. Ed ecco la morte della fede, della Grazia, della Vita.
Ma Dio è. E prende i Gentili. Quelli che i boriosi ministri di Dio - boriosi e peccatori, male esempio ai piccoli agnelli - sprezzano, combattono, perseguitano, perché non pare giusto, a loro, ai boriosi e imperfetti pastori-idoli, che debba un agnello sapere ciò che essi non sanno, saperlo direttamente da Dio, dei quali essi, pastori-idoli, non meritano di udire la Voce Ss., perché non pare giusto a loro che un agnello possa essere “voce di Dio” e continuare perciò la rivelazione[5].
Prende i Gentili. Chiamiamo così quelli che non sono i ministri di Dio, che non sono i “depositari della Rivelazione, della Sapienza”, che non sono quelli che “chiudono la porta del Regno in faccia ai piccoli, e non c’entrano essi e non ci lasciano entrare”. Li prende, questi che i dotti sprezzano, perseguitano e condannano, e li mette in mezzo alle turbe che non vedono, non sanno, non credono più chiaramente, e li fa sue “nunzie”. Così come è detto nel profetico salmo sul quale s’affaticano inutilmente i dottori: “Tien la parola il Signor mio. Fausti annunziatori (i profeti e gli angeli) gridano: ‘milizia molta’”. S. 67.
Questa “milizia molta”, da Dio promessa attraverso i profeti e gli spiriti agli assediati dai nemici di Dio e dei suoi figli, simile “a pioggia benefica all’eredità del Signore” - pioggia che ristora, voce che dà forza, parola di buona novella che consola - è quella delle “voci”. Delle “voci” che sempre parleranno in nome di Dio, di quel Dio che - lo ha promesso e non vien meno alla sua parola - darà la sua Parola, la sua sempre Buona Novella, ai continuatori del Cristo, Verbo e Maestro eterno.
Le voci: quelli che stan sul monte, sul monte di Dio, monte pingue, dalle molte cime, su cui si compiace stare il Signore in mezzo ai suoi servi nascosti, da Lui solo conosciuti per ciò che sono, e amato da essi come solo essi, pieni di Lui, sanno amare. Le voci: coloro che formano il cocchio trionfale di Dio, fulgido di carità.
E vi stupite che le “voci” siano? E siano numerose? Non è forse detto nel salmo, oscuro ai dotti ma non a Me? E non è detto che “son migliaia di esultanti e il Signore è in mezzo ad essi”? Sono le voci dei profeti d’ogni tempo; son quelle anime che son voci di Dio col loro esempio, se non con la parola; sono i santi, gli eletti della Terra: anime già paradisiache sparse sulla Terra a testimoniare Dio; sono i “piccoli Beniamini[6] nell’estasi dell’anima”. Invano li conculcano le fiere del canneto e branchi di tori vorrebbero escluderli, questi che son provati come l’argento.
Al Signore che si mostra dalla parte d’oriente, e dà ad essi la voce della sua potenza, essi, i profeti nuovi, gli araldi del Verbo, i suoi continuatori nello spargere la Buona Novella, gli evangelisti nuovi - non perché facciano un nuovo Vangelo, ma perché vi aiutano a veder luminosamente il mistero del Vangelo di Cristo, e Paolo di Tarso è uno dei primi di questi nuovi evangelisti - al Signore che si manifesta, lucente divino Sole che sorge da oriente e scorre ad occidente sull’Universo suo, essi, ora e poi, fanno corteggio, ed esultando coi serafini faranno coro nell’ora finale cantando nella verità della loro natura soprannaturale - non Gentili come sono considerati da troppi, ma eletti fra il popolo eletto - il loro: “L’anima mia magnifica il suo Signore... che ha rivolto lo sguardo su noi piccoli... e grandi cose ha fatto in noi Colui che è potente”.»
[5] continuare la rivelazione deve intendersi (come si chiarisce nell’ultimo capoverso) nel senso di perpetuare, riannunciandolo e illustrandolo, ciò che è rivelato compiutamente e definitivamente.
[6] piccoli Beniamini… L’espressione potrebbe riferirsi a Beniamino di Cafarnao, un bambino che s’incontra nell’opera L’Evangelo come mi è stato rivelato e che Gesù dà come modello agli apostoli quando disputano su chi di loro è il più grande (352.9).