Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
[7]Dice il Ss. Autore:
«Abramo fu il padre di tutti i credenti, ossia di coloro che per la loro giustizia non solo meritano di sentire risuonare nel loro spirito la Voce spirituale e Ss. di Dio, ma sanno comprendere le parole di questa Voce ineffabile e credere e ubbidire ad essa e ai suoi comandi.
Questa Voce, non ci fu, non c’è e non ci sarà creatura che, in un attimo fuggente ed unico, o per più volte e a lungo, non la senta risuonare in se stesso. È il misterioso appello del Signore unico e santo, del Creatore universale. Come un dardo di luce, come un’onda di suono, viene e penetra, talora dolce, talaltra severo, talaltra terribile.
Non importa che l’uomo sia nella Religione eletta per avere questo richiamo. Dio è il Creatore dei figli del popolo suo come del selvaggio che non conosce il suo Nome Ss., e il suo richiamo, come risuona nelle chiese cattoliche, nelle nazioni cattoliche e civili, in quelle civili e non cattoliche, fra i popoli di altre religioni rivelate, così riempie di sé le solitudini selvagge e gelide, le zone ancora inesplorate, le isole sperdute, gli arcipelaghi dove l’uomo è ad un livello quasi simile a quello delle fiere - fatto di istinti, e sovente di istinti sfrenati - le calde, intricate foreste ancor vergini, dove la civiltà non ha portato il suo progresso e la sua corruzione sottile. Dovunque parla Iddio. Perché Dio è il Creatore di ogni uomo.
Ma molte volte l’uomo, e non soltanto l’uomo incivile, scambia il misterioso richiamo di Dio, specie se è richiamo che rimprovera, con la voce della propria coscienza, col rimorso che grida in fondo all’io. Qualche volta, e specie all’inizio dei tempi, il colpevole sapeva distinguere la voce di Dio da quella dell’io turbato dal rimorso. Caino è esempio di questi colpevoli che sanno distinguere. Ma sempre più, col volgere dei secoli, la capacità dell’uomo di comprendere e distinguere - parlo dell’uomo di cuore perfido - si è offuscata, perché come parete massiccia che preclude voce e luce si è innalzata la negazione di un Dio, si è radicato nell’uomo il disprezzo per Dio.
Il “superuomo”, autocreatosi tale, è un mostro, una deformazione dell’uomo, è il bastardo venuto dal connubio della ragione umana, creata da Dio e ribelle a Dio, col Nemico di Dio. Avulso da Dio per propria volontà, l’uomo del secolo, ossia quello che si è creato secondo le dottrine umano-sataniche, non può e non vuole comprendere il richiamo di Dio. Manca in lui ogni requisito per poterlo. Anche se ha nome di cattolico, più ancora: anche se è praticante, più ancora: anche se veste abito sacro, difficilmente distingue la voce di Dio per tale.
Troppe cose sono anche in coloro che, per l’abito e la missione e la grazia di stato, dovrebbero essere sensibilissimi al richiamo di Dio e alla comprensione delle parole di Dio, perché essi le possano comprendere. La loro superbia uccide o turba la loro ragione e fa sordo il loro spirito. Ragione superba è ragione impazzita. Perciò non è più ragione. Spirito superbo è occupato altare. Perciò è altare dove l’Eterno non può scendere a dire le sue volontà. Altri vi parla. Con l’aspra voce della concupiscenza. E se anche dal suo eccelso trono Dio getta un richiamo ed esso penetra, resta soverchiato, lo si vuole tale, perché udirlo e sprezzarlo sarebbe troppo, e si preferisce non udirlo.
Ma Abramo era uomo che amava il Dio vero. La sua ragione non era superba. Riconosceva Dio in ogni cosa. Si sentiva sua creatura. Piegava il suo pensiero in riverenziale soggezione davanti all’Altissimo, la cui manifestazione è in tutto il creato. Il suo spirito era giusto, serbandosi puro da idolatrie di ogni sorta.
E giusto era il suo corpo, ubbidiente ai comandi dati da Dio al padre degli uomini: Adamo. Aveva sposato Sarai per essere con lei una carne sola e crescere e moltiplicare il numero degli uomini sulla Terra, lavorava la terra per trarne nutrimento e gli era cara la fatica e trovava giusto che fosse penosa, e che il suo pane avesse a condimento il sale del suo sudore, e giusta gli era la morte che della sua carne avrebbe rifatto polvere. Umile davanti all’Altissimo, si sentiva “polvere”, granello di polvere davanti all’Immenso, all’Infinito, al Potentissimo. E come granello di polvere si lasciava trasportare dalla volontà del Signore, senza attaccamento a cosa alcuna che transitoria fosse.
Credente in Dio, fiducioso della bontà di Dio, ubbidiente a Dio, aveva i requisiti per sentire risuonare nel suo spirito la Voce Ss. di Dio e comprendere le parole di essa, ed eseguire ciò che esse parole comandavano.
Paolo scrive, riportando le parole della Scrittura: “Abramo credette a Dio e gli fu imputato a giustizia”. Ma sebbene la Scrittura dica questo dopo che Abramo credette alla promessa divina di una discendenza, veramente Io vi dico che Abramo credette molto prima, quando già aveva la certezza che da Sarai non avrebbe avuto discendenza, quando, profugo fuor dalla sua terra e dal suo parentado, era nelle condizioni meno favorevoli a credere che il Signore avrebbe fatto di lui “una grande Nazione” e che alla “sua progenie Dio avrebbe dato quella terra” che poscia fu la Palestina, quella terra estesa “a settentrione, mezzogiorno, oriente e occidente”, data a lui e ai suoi posteri, a quella “progenie che Dio avrebbe moltiplicata come polvere della Terra”.
Da un seme può venire spiga granita e da questa, sparsa coi suoi granelli, cento nuove spighe e da queste, riseminate, mille e poi dieci e cento mila. Ma se manca il seme primo, come può aversi posterità e moltiplicazione?
Abramo non aveva il seme: l’erede. Dal grembo sterile di Sarai non fioriva seme di posterità. Eppure, nonostante tutto, Abramo credette che Dio gli avrebbe concesso l’erede, né la sua fede si affievolì per passar di tempo senza compimento di promessa. E ciò gli fu imputato a giustizia. Senza tener conto delle altre opere sue, Dio lo giudicò degno di grazia per la sua fede.
La fede è dunque circoncisione mistica, valida come e più del rito materiale. Dio riconosce suoi servi coloro che credono in Lui e ubbidiscono alle sue volontà. Vano è aver il segno sulla carne, il nome nei registri, se non vi è segno di sudditanza al Dio vero nel cuore e se il nome è contraddetto dalle opere. L’erede fu promesso ad Abramo per la sua fede. L’eredità vi sarà data per la vostra fede. Avere la Legge ma non compirla, perché non c’è fede, è cagione di perdita del Regno celeste anziché di conquista.
E come compiere la Legge se non si credono le verità rivelate da Dio? Quando premio e castigo, eternità, inferno, paradiso, risurrezione della carne, giudizio divino, sono sprezzati come fole, quando il dubbio sull’esistenza di Dio fa trascurare la Legge, a che vi giova avere e conoscere il codice della Vita? Quale scudo contro i fomiti e le tentazioni vi resta se, non avendo la fede, non curate di vivere la Legge?
Il Verbo di Dio disse un giorno: “Se avrete tanta fede quanto un granello di senape, potrete dire a quel monte, o a questa pianta: ‘Stràppati di là e piàntati in mare’ e l’otterreste”.
Ma è questo granello di fede che vi occorre per strappare da voi i fomiti e le tentazioni, per comandare a questi tentacoli che vi abbrancano e torturano, e talora vi conducono a morte spirituale, di “gettarsi in mare” lasciandovi liberi. Ma è questo granello di fede che vi farà forti come eroi e vi sarà giustificazione e perdono anche delle opere imperfette o delle cadute.
Uno che ha fede non può perire. Colui che ha fede ha in sé il mezzo che gli impedisce di offendere irreparabilmente il Padre. Colui che ha fede crede in Gesù Figlio del Padre, in Gesù Salvatore e Redentore, e di lui è detto che chi crede in Lui e in Chi lo ha mandato avrà la vita eterna. Colui che ha fede crede nella Terza Persona, nell’Amore dell’Amore di Dio, nel perfettissimo Amore che è Dio Uno e Trino, e chi crede nell’Amore ama, e chi crede e ama ha Dio in sé, e chi ha Dio non può conoscere la morte eterna.
Per questo, chi ha fede ha il Regno di Dio. In sé, nella giornata terrena, il regno di Dio nel suo interno. Dio Re, Dio Amico, Dio Maestro, Luce, Via, Verità, Vita. Nell’altra vita, possesso e conoscenza beatifica senza più fine.»
[7] Sull’originale autografo della presente lezione il rinvio è a tutto il capitolo 4 della lettera paolina. Sulla copia dattiloscritta, eseguita dal Padre Migliorini e che Maria Valtorta rileggeva, si precisa che il rinvio è “in special modo” ai versetti che noi abbiamo aggiunto al numero del capitolo.