Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
Maria Valtorta: da 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'
Cap. XIII. Sposalizio della Vergine con Giuseppe, istruito dalla Sapienza ad essere custode del Mistero
5 settembre 1944
1Come è bella Maria nelle sue vesti di sposa, fra le amiche e maestre festanti! Vi è anche, fra queste, Elisabetta.
Tutta vestita di candidissimo lino, così setoso e fino che pare una seta preziosa. Una cintura in oro e argento lavorato a bulino, fatta tutta a medaglioni tenuti insieme da catenelle — e ogni medaglione è un ricamo di linee d'oro fra il pesante argento che il tempo ha brunito — le cinge la vita sottile e, forse perché troppo larga per Lei, ancor giovinetta gentile, le pende davanti coi tre ultimi medaglioni, scendendo fra le pieghe della veste amplissima e lievemente a strascico tanto è lunga. Ai piedini, sandali di pelle bianchissima con fibbie in argento.
Al collo la veste è tenuta da una catenella a rosette d'oro e di filigrana d'argento, che riprendono in piccolo il motivo della cintura, e che passa fra larghe asole che sono all'ampia scollatura, riunendola perciò in crespe che formano come una piccola gala. Il collo di Maria emerge da quel candore pieghettato con la grazia di uno stelo avvolto in una garza preziosa, e pare ancor più esile e bianco, uno stelo di giglio terminante nel viso liliale, ancor più pallido per l'emozione e più puro. Un viso di ostia purissima.
I capelli non pendono più sulle spalle. Sono vezzosamente disposti a nodo di trecce, e delle preziose forcine di argento brunito, tutte fatte a ricamo di filigrana nell'arco del sommo, le tengono a posto. Il velo materno è posato su queste trecce e ricade con belle pieghe al disotto della lamina preziosa, che stringe la fronte bianchissima. Scende sino ai fianchi, perché Maria non è alta come sua madre, e il velo le sorpassa le anche, mentre ad Anna giungeva alla cintura.
Alle mani nulla, ai polsi braccialetti. Ma sono così sottili questi polsi, che i pesanti braccialetti materni le ricadono fin sul dorso e forse, se scuotesse le mani, cadrebbero al suolo.
2Le compagne la rimirano in tutti i sensi e l'ammirano. Fanno un gaio cinguettio di passerette con le loro domande e le loro frasi di ammirazione.
«Son di tua madre?».
«Antichi, vero?».
«Che bella, Sara, questa cintura!».
«E questo velo, Susanna? Ma guarda che finezza! Ma guarda questi gigli tessuti in esso!».
«Fammi vedere i bracciali, Maria! Erano di tua madre?».
«Li portò. Ma sono della madre di Gioacchino mio padre».
«Oh! guarda! Hanno il sigillo di Salomone intrecciato con esili rametti di palma e d'ulivo, e fra questi son gigli e rose. Oh! chi ha fatto sì perfetto e minuto lavoro?».
«Sono della casa di Davide», spiega Maria. «Li mettono da secoli le donne della stirpe che vanno a spose, e restano in retaggio all'erede».
«Già! Tu sei figlia erede…».
«Ti hanno portato tutto da Nazareth?».
«No. Quando morì mia madre, mia cugina portò il corredo nella sua casa per conservarlo senza guasto. Ora me lo ha portato».
«Dove è? dove è? Mostralo alle amiche».
Maria non sa come fare… Vorrebbe esser cortese, ma vorrebbe anche non smuovere tutta la roba, disposta in tre pesanti cofani.
In suo aiuto intervengono le maestre. «Lo sposo sta per giungere. Non è tempo di metter confusione. Lasciatela stare, ché la stancate, e andate a prepararvi».
Lo sciame garrulo si allontana un po' imbronciato. Maria può godersi in pace le sue maestre, che le dicono parole di lode e benedizione.
3Anche Elisabetta si è fatta vicina. E poiché Maria, commossa, piange perché Anna di Fanuel la chiama: «Figlia!», e la bacia con un affetto veramente materno, Elisabetta le dice: «Maria, tua madre non c'è, ma c'è. Il suo spirito esulta presso il tuo. E, guarda, le cose che tu porti ti ridanno la sua carezza. Vi trovi ancora il sapore dei suoi baci. Un giorno lontano, il giorno in cui tu venisti al Tempio, ella mi disse: "Le ho preparato le vesti e il corredo di sposa, perché voglio esser sempre io quella che le fila i lini e le fa le vesti di sposa, per non esser assente nel giorno della sua gioia". E, sai? Negli ultimi tempi, quando io l'assistevo, ella voleva ogni sera carezzare le tue prime vesti e queste che ora porti, e diceva: "Qui sento l'odore di gelsomino della mia piccina, e qui voglio Ella senta il bacio di sua mamma". Quanti baci a questo velo che ti ombreggia la fronte! Più baci che fili!… E, quando metterai le tele da lei tessute, pensa che, più che lo stame, le ha formate l'amor di tua madre. E questi monili… Anche in ore penose furono salvati dal padre per te, per farti bella, come a principessa di Davide spetta, in quest'ora. Sii lieta, Maria. Non sei orfana, ché i tuoi sono teco e hai uno sposo che ti è padre e madre, tanto è perfetto…».
«Oh! sì! Questo è vero. Di lui non mi posso certo rammaricare. In men di due mesi è venuto due volte, ed oggi viene per la terza, sfidando piogge e tempo ventoso, per prendere ordini da me… Pensa: ordini! Io che sono una povera donna e di lui tanto più giovane! E non mi ha negato nulla. Anzi neppure attende che io chieda. Pare che un angelo gli dica ciò che io desidero, e me lo dice lui prima che io parli. L'ultima volta ha detto: "Maria, io penso che tu preferisca stare nella tua casa paterna. Dato che sei figlia erede, lo puoi fare, se credi. Io verrò in casa tua. Solo, per osservare il rito, tu andrai per una settimana in casa di Alfeo, mio fratello. Maria ti ama tanto già. E da là partirà la sera delle nozze il corteo che ti porterà a casa". Non è gentile? Non gli è importato neppure di far dire alla gente che egli non ha una casa che mi piaccia… A me sarebbe sempre piaciuta, perché vi è lui, tanto buono. Ma certo… preferisco la mia casa,… per i ricordi… Oh! è buono Giuseppe!».
«Che ha detto del voto? Ancora non mi dicesti nulla».
«Nulla ha opposto. Anzi, saputene le ragioni, ha detto: "Io unirò il mio sacrificio al tuo"».
«È un giovane santo!», dice Anna di Fanuel.
4Il «giovane santo» entra in questo punto accompagnato da Zaccaria.
È letteralmente splendido. Tutto in giallo oro, pare un sovrano orientale. Una splendida cintura sorregge borsa e pugnale, l'una di marocchino a ricami in oro, l'altro in guaina pure di marocchino a fregi d'oro. In capo un turbante, ossia il solito telo messo a cappuccio come ancora lo hanno certi popoli dell'Africa, i beduini per esempio, tenuto a posto da un cerchio prezioso, un filo d'oro sottile al quale sono legati mazzetti di mirto. Ha un manto nuovissimo, pieno di frange, nel quale si drappeggia con maestà, ed è sfolgorante di gioia. Fra le mani ha mazzetti di mirto in fiore.
«Pace a te, sposa mia!», saluta. «Pace a tutti». E, avuto il saluto di risposta, dice: «Ho visto la tua gioia quel giorno che ti ho dato il ramo del tuo orto. Ho pensato portarti il mirto, colto presso la grotta a te tanto cara. Volevo portarti le rose, che già mettono i primi fiori contro la tua casa. Ma le rose non durano in più giorni di viaggio… Sarei arrivato con sole spine. Ed io a te, diletta, voglio offrire solo rose, e di fiori morbidi e profumati spargere il cammino, perché su essi tu posi il piede senza incontrare sozzura o asprezza».
«Oh! grazie a te, buono! Come hai potuto farlo giungere fresco così?».
«Ho legato un vaso alla sella e dentro vi ho messo i rami dei fiori in boccio. Lungo il cammino sono fioriti. Eccoteli, Maria. La tua fronte si inghirlandi di purezza, simbolo della sposa, ma sempre, sempre tanto minore a quella che t'è in cuore».
Elisabetta e le maestre ornano Maria della fiorita ghirlandetta, che si forma fissando al cerchio prezioso i ciuffetti candidi del mirto, e intersecano piccole, candide rose, prese da un vaso posto su un cofano.
Maria fa per prendere il suo ampio manto candido per metterlo puntato sulle spalle. Ma lo sposo la precede nel gesto e l'aiuta a fissare con due fibbie d'argento l'ampio mantello al sommo delle spalle. Le maestre dispongono le pieghe con amore e grazia.
5Tutto è pronto. Mentre attendono non so che, Giuseppe dice (lo dice appartandosi un poco con Maria): «Ho pensato in questo tempo al tuo voto. Io ti ho detto che lo condivido. Ma più vi penso e più comprendo che non basta il nazareato temporaneo, sebbene rinnovato più volte. Ti ho compresa, Maria. Non ancora merito la parola della Luce. Ma un murmure me ne viene. E questo mi fa leggere il tuo segreto, almeno nelle linee più forti. Sono un povero ignorante, Maria. Sono un povero operaio. Non so di lettere e non ho tesori. Ma ai piedi tuoi metto il mio tesoro. In perpetuo. La mia castità assoluta, per esser degno di starti accanto, Vergine di Dio, "sorella mia sposa, chiuso giardino, fonte sigillata", come dice l'Avo nostro(Ct 4,12.), che forse scrisse il Cantico vedendo te… Io sarò il guardiano di questo giardino d'aromi, in cui sono le più preziose frutta e da cui sgorga una polla d'acqua viva con impeto soave: la tua dolcezza, o sposa che col tuo candore mi hai conquiso lo spirito, o tutta bella. Bella più di un'aurora, sole che splendi poiché ti splende il cuore, o tutta amore per il tuo Dio e per il mondo, a cui vuoi dare il Salvatore col tuo sacrificio di donna. Vieni, mia amata», e la prende delicatamente per mano, guidandola verso la porta.
Li seguono tutti gli altri, e fuori si uniscono le compagne festanti e tutte in bianco e con veli.
6Vanno per cortili e portici, fra la folla che osserva, sino ad un punto che non è il Tempio, ma pare quasi una sala data al culto, perché vi sono lampade e rotoli di pergamena come nelle sinagoghe. Gli sposi vanno fin contro ad un alto leggio, quasi una cattedra, e attendono. Gli altri si mettono dietro a loro in bell'ordine. Altri sacerdoti e curiosi si assiepano in fondo.
Entra solenne il Sommo Sacerdote. Brusio fra i curiosi: «È lui che sposa?».
«Sì, perché è di casta regale e sacerdotale. Fiore di Davide e Aronne la sposa, e vergine del Tempio. Lo sposo è della tribù di Davide».
Il Pontefice mette la destra della sposa in quella dello sposo e li benedice solennemente: «Il Dio d'Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi. Egli vi unisca e si adempia in voi la sua benedizione, dandovi la sua pace e numerosa posterità con lunga vita e morte beata nel seno di Abramo». E poi si ritira, solenne come è entrato.
La promessa è scambiata. Maria è sposa a Giuseppe.
Tutti escono e, sempre in bell'ordine, vanno in una sala, dove viene steso il contratto di nozze, in cui si dice che Maria, figlia-erede di Gioacchino di Davide e Anna di Aronne, porta in dote allo sposo la sua casa e annessi beni e il suo personale corredo e ogni altro bene, che ha dal padre ereditato.
Tutto è compiuto.
7Gli sposi escono nel cortile e da questo passano oltre, verso l'uscita che è presso il quartiere delle donne adibite al Tempio. Un comodo, pesante carro attende. Su esso è stesa una tenda a riparo e sono già i pesanti cofani di Maria.
Commiati, baci e lacrime, benedizioni, consigli, raccomandazioni, e poi Maria sale con Elisabetta e si pone nell'interno del carro, e sul davanti si mettono Giuseppe e Zaccaria. Hanno levato i manti di festa e sono tutti avvolti in un mantellone scuro.
Il carro parte al trotto pesante di un cavallone scuro. Le mura del Tempio si allontanano, e poi quelle della città, ed ecco la campagna, nuova, fresca, fiorita nei primi soli di primavera, coi grani alti un buon palmo dal suolo e che paiono smeraldi ridotti a foglioline ondeggianti ad una brezza leggera, che sa di fiori di pesco e melo, che sa di trifogli in fiore e di mentucce selvagge.
Maria piange piano, sotto al suo velo, e ogni tanto scosta la tenda e guarda ancora il Tempio lontano, la città lasciata…
La visione cessa così.
8Dice Gesù:
«Che dice(Sp 7,22-27) il libro della Sapienza cantando le lodi di essa? "Nella sapienza è infatti lo spirito d'intelligenza, santo, unico, molteplice, sottile". E continua enumerandone le doti, terminando il periodo con le parole:"...che tutto può, tutto prevede, che comprende tutti gli spiriti, intelligente, puro, sottile. La sapienza penetra con la sua purezza, è vapore della virtù di Dio... per questo nulla in lei vi è d'impuro... immagine della bontà di Dio. Pur essendo unica può tutto, immutabile come è rinnovella ogni cosa, si comunica alle anime sante e forma gli amici di Dio e i profeti"
9Tu hai visto come Giuseppe, non per cultura umana ma per istruzione soprannaturale, sappia leggere nel libro sigillato della Vergine intemerata, e come rasenti le profetiche verità col suo "vedere" un mistero soprumano là dove gli altri vedevano unicamente una grande virtù. Impregnato di questa sapienza, che è vapore della virtù di Dio e certa emanazione dell'Onnipotente, si dirige con spirito sicuro nel mare di questo mistero di grazia che è Maria, si intona con Lei con spirituali contatti in cui, più che le labbra, sono i due spiriti che si parlano nel sacro silenzio delle anime, dove ode voci unicamente Dio e le percepiscono coloro che a Dio sono grati, perché servi a Lui fedeli e di Lui pieni.
La sapienza del Giusto, che aumenta per l'unione e vicinanza con la Tutta Grazia, lo prepara a penetrare nei segreti più alti di Dio e a poterli tutelare e difendere da insidie d'uomo e di demone. E intanto lo rinnovella. Del giusto fa un santo, del santo il custode della Sposa e del Figlio di Dio.
Senza sollevare il sigillo di Dio, egli, il casto, che ora porta la sua castità ad eroismo angelico, può leggere la parola di fuoco scritta sul diamante virginale dal dito di Dio, e vi legge quello che la sua prudenza non dice, ma che è ben più grande di quel che lesse Mosè sulle tavole di pietra. E, perché occhio profano non sfiori il Mistero, egli si pone, sigillo sul sigillo, arcangelo di fuoco sulla soglia del Paradiso, entro il quale l'Eterno prende le sue delizie "passeggiando al rezzo della sera" e parlando con Quella che è il suo amore, bosco di gigli in fiore, aura profumata di aromi, venticello di freschezza mattutina, vaga stella, delizia di Dio. La nuova Eva è lì, davanti a lui, non osso delle sue ossa né carne della sua carne, ma compagna della sua vita, Arca viva di Dio, che egli riceve in tutela e che a Dio egli deve rendere pura come l'ha ricevuta.
"Sposa a Dio" era scritto in quel libro mistico dalle pagine immacolate… E quando il sospetto, nell'ora della prova, gli fischiò il suo tormento, egli,come uomo e come servo di Dio, soffrì, come nessuno, per il sospettato sacrilegio. Ma questa fu la prova futura. Ora, in questo tempo di grazia, eglivede e mette sé al servizio più vero di Dio. Dopo verrà la bufera della prova, come per tutti i santi, per esser provati e resi coadiutori di Dio.
10Cosa si legge(Lv 16,2-4) nel Levitico? "Dì ad Aronne tuo fratello di non entrare in ogni tempo nel santuario che è dietro al Velo dinanzi al propiziatorio che copre l'Arca, per non morire - ché Io apparirò nella nuvola sopra l'oracolo - se prima non avrà fatto queste cose: offrirà un vitello per il peccato e un montone in olocausto, indosserà la tunica di lino e con brache di lino coprirà la sua nudità".
E veramente Giuseppe entra, quando Dio vuole e quanto Dio vuole, nel santuario di Dio, oltre il velo che cela l'Arca sulla quale si libra lo Spirito di Dio, e offre sé e offrirà l'Agnello, olocausto per il peccato del mondo e l'espiazione di esso peccato. E questo fa, vestito di lino e con mortificate le membra virili per abolirne il senso, che una volta, al principio dei tempi, ha trionfato ledendo il diritto di Dio sull'uomo, e che ora sarà conculcato nel Figlio, nella Madre e nel padre putativo, per tornare gli uomini alla Grazia e rendere a Dio il suo diritto sull'uomo. Fa questo con la sua castità perpetua.
Non vi era Giuseppe sul Golgota? Vi pare non sia fra i corredentori? In verità vi dico che egli ne fu il primo e che grande è perciò agli occhi di Dio. Grande per il sacrificio, la pazienza, la costanza e la fede. Quale fede più grande di questa, che credette senza aver visto i miracoli del Messia?
11Sia lode al mio padre putativo, esempio a voi di ciò che in voi più manca: purezza, fedeltà e perfetto amore. Al magnifico lettore del Libro sigillato, istruito dalla Sapienza a saper comprendere i misteri della Grazia ed eletto a tutelare la Salvezza del mondo contro le insidie di ogni nemico».
25 marzo 1944
(...)
7Dice Maria:
«Figlia cara, quando, cessata l’estasi che mi aveva fatta piena di inesprimibile gioia, io tornai ai sensi della Terra, il primo pensiero che, pungente come spina di rose, mi punse il cuore fasciato nelle rose del Divino Amore, a me Sposo da qualche istante, fu il pensiero di Giuseppe.
Io l’amavo, ormai, questo mio santo e previdente custode. Da quando il volere di Dio, attraverso la parola del suo Sacerdote, mi aveva voluta sposata a Giuseppe, io avevo potuto conoscere ed apprezzare la santità di questo Giusto. Congiunta a lui, avevo sentito cessare il mio smarrimento d’orfana, né avevo più rimpianto il perduto asilo del Tempio. Egli era dolce come il padre perduto. Presso a lui mi sentivo sicura come presso il Sacerdote. Ogni titubanza era caduta, non solo caduta. Ma anche dimenticata, tanto si era allontanata dal mio cuore di vergine, perché avevo capito che non avevo da titubare, da temere di nulla rispetto a Giuseppe. Più sicura di un bambino nelle braccia della mamma, era la mia verginità affidata a Giuseppe.
8Ora come dirgli che ero Madre? Cercavo le parole per dargli l’annuncio. Difficile ricerca. Ché non volevo lodarmi del dono di Dio, e non potevo in nessuna maniera giustificare la mia maternità senza dire: “Il Signore mi ha amata fra tutte le donne e di me, sua serva, ha fatto la sua Sposa”. Ingannarlo, celandogli il mio stato, non volevo neppure.
Ma, mentre pregavo, lo Spirito di cui ero piena mi aveva detto: “Taci. Affida a Me il compito di giustificarti presso lo sposo”. Quando? Come? Non l’avevo chiesto. Mi ero sempre affidata a Dio come un fiore si affida all’onda che lo porta. Mai l’Eterno mi aveva fatto rimanere senza il suo aiuto. La sua mano mi aveva sorretta, protetta, guidata fin qui. Lo avrebbe fatto anche ora.
9Figlia mia, come è bella e confortevole la fede nel nostro eterno, buono Iddio! Ci raccoglie nelle sue braccia come una cuna, ci porta come una barca nel luminoso porto del Bene, ci scalda il cuore, ci consola, ci nutre, ci dà riposo e letizia, ci dà luce e guida. Tutto è la fiducia in Dio, e Dio tutto dà a chi ha fiducia in Lui. Dà Se stesso.
Quella sera portai la mia fiducia di creatura alla perfezione. Ora lo potevo fare, poiché Dio era in me. Prima avevo avuto la fiducia di povera creatura quale ero. Sempre un nulla, anche se la Tanto Amata da esser la Senza Macchia. Ma ora avevo la fiducia divina, perché Dio era mio: mio Sposo, mio Figlio! Oh! gioia! Esser Una con Dio. Non per mia gloria, ma per amarlo in un’unione totale, ma per potergli dire: “Tu, Tu solo che sei in me, opera con la tua divina perfezione in tutte le cose che io faccio”.
Se Egli non mi avesse detto: “Taci!”, avrei forse osato, col volto contro il suolo, dire a Giuseppe: “Lo Spirito mi ha penetrata ed in me è il Germe di Dio”; ed egli mi avrebbe creduto, perché mi stimava e perché, come tutti coloro che non mentono mai, non poteva credere che altri mentisse. Sì, pur di non addolorarlo in futuro, avrei vinto la ritrosia di darmi tal lode. Ma ubbidii al divino comando.
E per dei mesi, da quel momento, ho sentito la prima ferita insanguinarmi il cuore. Il primo dolore della mia sorte di Corredentrice. L’ho offerto e sofferto per riparare e per dare a voi una norma di vita in momenti analoghi di sofferenza per una necessità di silenzio, per un evento che vi pone in luce cattiva presso chi vi ama.
10Date a Dio la tutela del vostro buon nome e dei vostri interessi affettivi. Meritate con una vita santa la tutela di Dio, e poi andate sicuri. Anche tutto il mondo vi fosse contro, Egli vi difenderà presso chi vi ama e farà emergere la verità.
Riposa ora, figlia. E sii sempre più figlia mia».
Cap. XXVI. Giuseppe chiede perdono a Maria. Fede, carità e umiltà per ricevere Dio.
31 maggio 1944
1Dopo 53 giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice da segnare in questo libro. La gioia si riversa in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
2Vedo dunque l’orticello di Nazaret. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto.
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, le è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come in chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore.
È tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. È a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino.
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto.
3Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto e ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino.
Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: «A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni».
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora.
«Parla, Giuseppe. Che vuoi da me?».
«Il tuo perdono». Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce.
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. «Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti».
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. «Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato…».
«Oh! no! Non hai mancato!».
«Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu… Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito,… tre giorni di supplizio, perdonami, Maria».
«Non ho nulla da perdonarti. Ma, anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato».
«Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe.
Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni!
4Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?».
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: «Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito… Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto… per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue».
Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e — è la prima volta che gli vedo fare questo gesto — stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili, che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe.
5«Ora bisognerà provvedere perché…». Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. «Bisognerà fare presto. Io verrò qui… Compiremo il matrimonio… Nell’entrante settimana. Va bene?».
«Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva».
«No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo… quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere… Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!… Io non potrò mai osare di toccarlo!…».
«Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio».
«Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!…».
«Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane… Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci “padre e Madre!”. Oh!…».
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui.
6Dice Maria:
«Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo.
7Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo.
8Ti ho mostrato questa scena, che nessun vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore.
Fede. Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste(Mt 1,20-21). Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge, e la Legge dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto?
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole.
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non avere l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: “Ho errato”. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: “Io non sbaglio mai”? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi “vide” quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui.
9Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti dalla Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di “vita”, per poter meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende.
Oh! Luce beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno».
Maria Valtorta: da i 'Quaderni'
27 novembre 1943
Dice Gesù:
«Se tutte le donne che non sono delle depravate conoscono l’estasi della gioia femminile pensando alla gioia della prossima maternità, quale estasi avrà raggiunto la santa Madre mia ormai prossima alla sua sublime maternità?
Maternità bene intesa è vertice d’amore. Più caldo dell’amore che unisce i figli di una sola cuna, più casto dell’amore che unisce due carni, l’amore materno, quando è giusto, è l’amore completo, perfetto e più alto degli amori della Terra.
Ma Maria non era soltanto la creatura che ama la creatura che si forma in lei e che è il frutto di un duplice amore di creature. Maria amava nel suo figlio Dio, a Lei venuto con la sua Volontà, col suo Amore, con la sua Ubbidienza, a farsi carne della sua carne.
Guardava l’inviolato ventre suo e lo vedeva ciborio del Dio vivo. Sentiva pulsare un altro cuore e lo sapeva Cuore di un Dio fatto carne. Anticipava col desiderio il momento di fare delle sue braccia l’altare mio per la prima offerta dell’Ostia di perdono. Ed a Se stessa giurava di amarmi come solo Essa, senza peso di colpa, poteva amarmi per riparare in anticipo ciò che già faceva lacrimare il suo occhio e sanguinare il suo cuore: le torture della mia missione di Redentore.
Se è costume dei pii di compiere uno spirituale ritiro alla vigilia di un evento per loro importante, per poter conoscere la Volontà del Signore ed esser degni della sua benedizione sull’opera che sta per iniziarsi, potete ben comprendere come questa Creatura, già perfetta nella orazione, si sia cinta di mistici veli per isolarsi in uno spirituale ritiro che sempre più crebbe quanto più l’evento era prossimo a compiersi.
Il viaggio da Nazareth a Betlemme fu compiuto da Maria come se la stessa fosse circondata da una mistica clausura aperta solo verso il Cielo, che sempre più si avvicinava a Lei per esserle sopra con tutti i suoi splendori, le sue teorie angeliche, le sue armonie celesti, come velo di baldacchino regale trapunto di gioielli.
Era già nell’estasi. E la folla che vedeva passare un uomo silenzioso conducente alla briglia un asinello cavalcato da una poco più che fanciulla tutta assorta in un suo pensiero interiore, si scostava perché pareva che una luce emanasse da quel gruppo e dietro ad esso rimanesse un profumo celeste. E non sapeva la folla spiegare il perché i più poveri fra essa paressero dei re davanti ai quali le folle si dividono in ossequio come onde di mare solcate da maestosa nave.
Era la Stella del Mare che passava, era la nave portante la Pace che passava fra la guerra del mondo, era la Vincitrice che passava dove Satana aveva strisciato, per mondare la via al Verbo che veniva per ricongiungere Cielo a Terra.
Pallida e mite andava incontro all’Amore, non più unicamente abbraccio di fuoco spirituale, ma tepore di carni vere che eran di donna ma che erano Dio, e quando Giuseppe rompeva quell’estasi penetrandovi rispettoso come varcasse le soglie di Dio, per dare alla sua Donna conforto di cibo e riposo, non erano parole lunghe, ma solo uno sguardo, una parola: "Giuseppe!", una stretta di mano, e in Giuseppe si rovesciava l’onda dell’estasi come da coppa colma fino al bordo.
Le parole turbano l’atmosfera dove vive Dio. Né per i giusti occorrono parole per esser fatti persuasi della presenza di Dio e dei mirabili effetti di essa presenza in un cuore.
O si crede o non si crede. Se avete Dio in voi credete poiché sentite Dio, oltre i veli della carne, vivente in una creatura. Se non avete Dio, nessuna parola può farvi persuasi della fusione di Dio ad un cuore umano. È la fede che dà capacità di credere, ed è il possesso di Dio che dà possibilità di vedere Dio vivente in un vostro simile. Non si può spiegare con metodo umano il mistero di Dio, i perché di Dio. Sono al disopra dei vostri metodi. Solo vivendo umilmente nel soprannaturale potete vedere, per lo spiraglio aperto dalla Bontà, per voi, gli spirituali rapporti e gli estasianti contatti fra un’anima e Dio.
Come faville danzanti in un incendio, le creature prescelte da Dio per l’estasi vivono in una festa di fulgori, in un ruggire di fiamme divine, in un fondersi di favilla a fiamma per sempre più vivere, accendersi e accendere. Alimento che si alimenta al Centro dell’Amore, esse portano all’Amore il loro amore e ne aumentano la gloria, e da esso Amore traggono vita e gloria propria.
Maria aveva in Sé il Fuoco santissimo ed era fuoco. E le leggi della vita erano quasi annullate da questo vivere d’ardore. E sempre più si annullavano quanto più l’incendio si avvicinava per mutarsi in Carne testé nata, onde nel momento beato del mio apparire al mondo Ella sprofondò nell’estasi, nel fulgore del Centro di Fuoco da cui emerse portando sulle braccia il Fiore dell’Amore, passando dalle voci della divina Fiamma alle melodie angeliche, dal rutilare della Trinità contemplata fino alla fusione, alla visione dei cori angelici scesi a dare l’annuncio alla Terra e la promessa di Pace ed a fare corona alla Madre Regina, alla Madre del Re dei re, e dopo aver abbracciato Dio col suo spirito rapito abbracciò il Figlio di Dio, suo Figlio, con le sue braccia che non conoscevano abbraccio d’uomo.»
28 movemnbre 1943
Dice Gesù:
«Segno caratteristico della mia nascita al mondo fu la luce. Molte volte i fatti sono caratterizzati da fenomeni che voi chiamate e spiegate come fortuite coincidenze ed invece sono i presagi, i richiami di Dio per attirare la vostra attenzione, sviata dietro a mille più o meno necessarie cose, su un fatto che segnerà un’epoca nella storia del mondo o nella vita di un individuo.
Io ero la "Luce" e la luce mi precedette, mi circondò, mi annunziò, mi condusse, e a Me condusse i puri di cuore.
Ti ho detto che pareva che una luce emanasse da Maria mentre, sul povero mezzo dei poveri, passava raccolta sulle vie della Palestina. Ti ho detto altre volte che chi ha in sé Dio non solo spiritualmente emana vibrazioni di luce e profumo, poiché l’interno Tesoro si effonde dalla teca viva che lo porta ed è percepibile agli altri esseri. Voi dite allora: "Costui ha in sé qualcosa che è speciale. Che volto! Che modi! Di santo".
Maria era la Tutta Santa e portava il Santo dei santi. Possedeva perciò la perfezione della santità umana già talmente indiata da essere quasi uguale a quella del suo Dio. Possedeva la Perfezione divina che si era vestita di carni chiedendole di nutrirla del suo sangue vergine, di formarla, di esserle rifugio per i nove mesi della sua formazione d’uomo.
Dio si nutriva di Maria. Dio-Uomo è fatto di Maria, e della mia soavissima Madre io ho preso le caratteristiche fisiche e morali di dolcezza, di mitezza, di pazienza. il Padre mi ha lasciato la Perfezione, ma io ho voluto assumere, della Benedetta che è stata il mio casto nido, la veste fisica e la più preziosa veste morale del carattere.
Essendo Maria la più santa di quante creature abbia avuto la Terra emanava la santità non più come vaso chiuso da cui filtrano molecole di profumo, ma come astro acceso sprigionante eteri e raggi di soprannaturale potenza.
Se il Battista trabalzò nel seno della madre sua ricevendo l’onda della Grazia emanante da Maria e ne rimase santificato, tanto potente era stata l’emanazione da superare le barriere della carne oltre la quale il frutto di Zaccaria e di Elisabetta si formava per essermi evangelizzatore (Vangelo vuol dire "buona novella" e Giovanni dette agli uomini la "buona novella" del mio essere fra gli uomini, dunque non erro a chiamarlo mio evangelizzatore. Ciò per i cavillatori della parola) coloro che avvicinavano Maria direttamente non potevano rimanerne senza ripercussione.
Lasciò dietro a Sé una scia di santità operante e, solo che i cuori non respingessero la Grazia, gli avvicinati divennero dei predestinati alla santità. Quando tutto sarà cognito dell’uomo, vedrete che nei primi seguaci del Figlio di Maria sono molti di quelli che ebbero con Lei anche casuale rapporto e rimasero lavati e penetrati dalla Grazia che da Lei s’effondeva. Molti prodigi conoscerete, allora, operati dalla mia Tutta bella e Tutta grazia.
Maria converte ora i cuori più duri e salva i peccatori più ostinati, ma non si è iniziato il ciclo del suo potere dal giorno in cui - Stella che risale ai Cieli - Ella assurse a riposarsi nuovamente sul mio Cuore ed a fare più bello per Me il Paradiso, a farlo completo perché ora vi era Lei, la Mamma che ho amato infinitamente ed alla quale tutto devo, come uomo, in compenso di tutto quanto da Lei ho avuto. La santificazione delle genti attraverso Maria si iniziò dal momento in cui lo Spirito la fece Madre e il Figlio di Dio prese carne nel suo beatissimo seno.
Saturo di questa emanazione sino ad esserne fatto quasi simile alla Piena di grazia, era Giuseppe. Lacrime beate scendevano al Giusto per la gioia che lo inondava, mistica gioia di contemplatore che sta curvo sopra un miracolo di manifestazione di Dio. Adorazione e silenzio furono le caratteristiche di Giuseppe santo. Rispetto venerante per la Beata di cui egli era il naturale protettore. E amore.
Il primo amore casto di coniuge, l’amore quale doveva essere quello degli uomini secondo il pensiero del Creatore: amore senza aculeo di senso e senza fango di malizia. Un amore naturale e angelico insieme poiché nell’anima di Adamo e dei figli di lui, secondo il pensiero creativo, doveva essere la purezza angelica dello spirito commista alla tenerezza umana, e come fiore che sboccia senza peccato dallo stelo che lo porta così doveva, senza verme di libidine, sorgere l’amore nei coniugi e dare dei figli ai talami casti.
Esser casti non vuol dire interdirsi il coniugio. Vuol dire compierlo pensando a Dio che fa di due animali ragionanti due creatori minori e, come Dio creò senza mettervi pensiero di malizia il maschio e la femmina e non pose nella loro pupilla luce di carne per svelare agli innocenti la carne, così i coniugi dovrebbero fare del matrimonio una santa creazione allietata di culle, ma non sporcata da libidine.
Il coniuge onesto e santamente amoroso cerca divenire simile all’altro coniuge, poiché chi ama tende a prendere somiglianza della creatura amata, onde il matrimonio bene inteso è elevazione reciproca, perché non vi è alcuno completamente perfido e basta migliorare ognuno un punto prendendo ad esempio il buono dell’altro per salire in mutua gara la scala della santità. Come pianta che getta un ramo più alto del precedente e sale, sale verso l’azzurro, così è la santità coniugale e individuale. Oggi è una virtù. Domani da questa virtù ne rampolla un’altra sempre più alta, e dalle umane virtù di sopportazione reciproca si sale alle vette della eroicità soprannaturale.
Giuseppe, coniuge santo e casto della Santa e Casta, come bambino presso la maestra imparava giorno per giorno la scienza d’essere simili a Dio e, poiché nel suo cuore di giusto nulla era ostacolo alla Grazia, giorno per giorno della sua Maestra amata egli prendeva somiglianza, somigliando così a Dio di cui Maria era la più perfetta copia.
Nella notte santa, ciò che riscosse Giuseppe, orante con una tale forza da giungere sino a circondarsi di una mistica barriera isolante l’anima dall’esterno fu la luce.
Nella grotta, prima appena rischiarata da un focherello di sterpi che già languiva per mancanza di alimento, s’era diffusa una luce pacata che aumentava gradatamente quasi chiarore di luna che, prima coperta da veli di nuvole, poi se ne libera e scende schietto a fare d’argento la Terra.
Nella luminosità era Maria, ancora inginocchiata - poiché io nacqui mentre Ella orava - ma ribassata sulle sue calcagna. Era Maria che con lacrime e sorrisi baciava la mia Carne d’infante.
Non molte parole anche ora: la solita: "Giuseppe!", e la presentazione a lui del Frutto delle sue viscere sante.
La Famiglia era la prima redenta da Dio. Ricostruita quale l’Eterno l’aveva pensata. Due che si amano santamente e che santamente si ritrovano curvi su un neonato e nel bacio che si scambiano su quella cuna non v’è sapore di lussuria ma mutua gratitudine e mutua promessa di amarsi di amore scambievole che aiuta e conforta.
Quando i primi pastori entrarono, trovarono ancora i due Santi uniti così dall’amore e dall’adorazione e pareva Giuseppe, uomo maturo, il padre della Vergine e del Pargolo, tanto nel suo aspetto era visibile quella tenerezza scevra di carnalità che, disgraziatamente, non si vede che nell’occhio di un padre.
La Luce era ormai sulla Terra e dai Cieli aperti la luce scendeva a ondate di angeli annullando col suo paradisiaco splendore la luminosità degli astri della notte serena. Non fu percepita dai dotti, dai ricchi, dai sazi di piaceri, ma fu diana agli umili lavoratori che compievano il loro dovere.
Sempre sacro il dovere, quale che sia. Il dovere del re che firma i decreti non è più alto di quello del contadino che ara la terra o del mandriano che veglia sul gregge. È il Dovere. È la Volontà di Dio. Perciò è sempre nobile. Perciò consegue lo stesso premio o lo stesso castigo soprannaturale. E non sarà portare corona o tenere vincastro che vi salverà dal castigo o vi negherà il premio. A chi fa il proprio dovere, facendo così la Volontà Santissima, Dio si manifesta e lo prende a testimonio dei suoi prodigi.
E ai pastori fu manifestato Dio e i pastori furono chiamati a testimonio del prodigio di Dio. Nella luce divenuta ormai sfolgorante perché tutto il Cielo era sulla e nella grotta, l’Emmanuele fu visibile ai secondi redenti della Terra: ai lavoratori. Poiché Dio è venuto a santificare il lavoro dopo la Famiglia. Il lavoro dato come maledizione all’uomo dopo la colpa d’Adamo, diveniva benedizione dal momento che il Figlio di Dio volle divenire lavoratore fra gli uomini.
La Luce era venuta nel mondo. E non bastava la grotta meschina, non la limitata campagna di Betlemme, a contenerla. La Luce si sparse ad oriente e occidente, ad austro e a meridione.
Non ai gozzovigliatori parlò col suo apparire non disse parole ai gaudenti col suo vibrare. Parlò a coloro che, puri di cuore e anelanti alla Verità, umiliavano la mente coltissima ai piedi di Dio e si sentivano atomi davanti alla sua Santità.
Ai potenti che della potenza si facevano strumento di spirituali conquiste si mostrò la Luce, e li chiamò ad adorarla con uno sfavillio che riempì i quattro punti del firmamento. Ai potenti, perché Dio è venuto per santificare i Potenti dopo i Lavoratori e la Famiglia, e coi potenti la Scienza. Ma non ai potenti malvagi e agli scienziati atei si manifesta Iddio e li copre di benedizioni, ma a coloro che del dono della potenza e della scienza si fanno un mezzo di elevazione soprannaturale, non di sopraffazione o di negazione.
Dio è Re anche dei re e Dio è Maestro anche dei maestri. La Luce trovò molti maestri sulla Terra, ma solo ai maestri desiderosi di Dio la Luce divenne richiamo.È sempre cosi. La Grazia opera là dove è desiderio di possederla e tanto più opera, sino a divenire Parola e Presenza, quanto più è vivo il desiderio del possesso e d’esser posseduti.
Davanti al Re dei re, guidati dall’unica cosa che è degna di esser traccia a Dio:
la luce, vennero dalle remote contrade i potenti, primo scaglione degli infiniti che nei secoli dei secoli avrebbero intrapreso la mistica marcia per andare verso Dio. Non ai potenti di Palestina, non a coloro che si credevano depositari dei segreti e dei decreti di Dio - e tali decreti e segreti erano per loro resi incomprensibili perché non era santità in loro, e i segni del Cielo e le parole del Libro erano semplici meteore e semplici parole senza più significato soprannaturale - ma ai lontani.
Ero venuto Luce nel mondo. Luce per il mondo. Luce al mondo. Chiamavo il mondo alla Luce. Tutto il mondo.
E lo chiamo. Lo chiamo da venti secoli, senza soste. Sulle vostre tenebre non cesso di fare risplendere la mia Luce. Se sapeste innalzarvi oltre la barriera di caligine che avete sparsa sul mondo, vedreste il Sole divino sempre sfolgorante e benigno sugli uomini, su tutti gli uomini.
Né è da stupirsi se vi precedono ormai quelli che sono i più lontani da Roma cattolica. Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, da tre punti della Terra sul paziente dorso dei cammelli vennero alla Luce del mondo non vista dai compatrioti del Figlio di Maria. Africani, asiatici, australi, vengono alla Croce che voi avete respinta. E vi sorpasseranno. Nell’ultimo giorno, quando il tempo e gli uomini saranno illuminati in ogni punto e lato, si vedrà la ingrata lacuna lasciata da voi cattolici da secoli, mentre gli altri: idolatri e eretici, affascinati dal Cristo, Signore Santo, saranno affluiti con le loro anime fatte vergini dalla Grazia.
Quanti moti tenebrosi nel mondo civile! È la vostra vergogna e il vostro castigo. Mai avreste dovuto e mai dovreste permettere che la Luce data a voi per i primi fosse da voi respinta e rinnegata. Le tenebre vi uccidono e non le volete abbandonare. Da esse vengono, come gli odiosi animali della notte, tutti i mali che vi tormentano e si pascono del vostro sangue, del vostro tormento.
Non mi volete più. Non mi comprendete più. Non mi conoscete più. Neppure quelli della "mia casa" mi conoscono più. Ed Io stento a conoscere loro, tanto li hanno imbruttiti le molte malattie della carne e della mente.
Ma, in questa prima domenica d’Avvento che annuncia la venuta della Luce al mondo, io ve ne prego, o figli, se non osate più guardare a Me Redentore e Giudice perché alla vostra anima avvilita il Dolore fa paura e la Giustizia terrore, guardate a Me, piccolo infante sul seno di Maria. Non può un pargolo avere altro che carezze e sorrisi. E questi ho per voi.
Pietà della mia nudità e della mia povertà. Non di vesti e di denaro, ma di amore. Dell’amore vostro. Non voglio oro, non incenso. Voglio solo l’amore vostro. Lo voglio perché amarmi e conoscermi è Vita e Verità. Come Maria mi ha generato per opera dell’Amore, così Io vi voglio generare per mezzo dell’amore. Il mio è vivo e operante, ma occorre anche il vostro.
Venite a Me e accoglietemi in voi. Aprirò in voi torrenti di Luce e di Grazia e vi farò divenire figli di Dio come Io sono. Benedetti quelli che la mia Luce accolgono. Io sarò in loro. Io abiterò in loro, nel loro spirito. Poiché il Verbo non ha bisogno di dimore di creta, ma di dimore vive: gli spiriti degli uomini vuole Egli per sua abitazione.
La gloria di Dio è svelata a coloro che mi accolgono, poiché ove Io sono è Meco il Padre e lo Spirito, e la gloria del Signore si disvela piena e letificante ad essi, e la Grazia è la loro vita e, come il sole dall’alto del cielo, la Paternità, la Fratellanza, la Carità divina sono su di loro e danno anticipi di beatitudine.
Maria nella sua luminosità estatica mi offre al vostro amore. Curvate la fronte all’Amore fatto carne. Egli ha lasciato i Cieli per portarvi ai Cieli. È venuto nella guerra per portarvi la Pace.»
San Giuseppe, Sposo castissimo della Madre Celeste, veglia,
prega e intercedi per noi, che ci affidiamo per sempre a Te!