ARGOMENTO
1 - Nell'ordine seguito da queste strofe si traccia il cammino di un anima dal momento in cui comincia a servire Dio fino a quello in cui giunge all'ultimo stato di perfezione, cioè al matrimonio spirituale, attraverso le quali l'anima giunge allo stato di cui sopra, che sono quello purificativo, quello illuminativo e quello unitivo, e vengono spiegate alcune loro proprietà ed effetti.
2 - Le prime strofe trattano dei principianti, che si trovano nella via purgativa. Quelle più avanti parlano dei proficienti, cioè della via illuminativa, dove si realizza il fidanzamento spirituale. Seguono poi quelle che trattano della via unitiva, cioè quella dei perfetti, dove avviene il matrimonio spirituale, via la quale. viene dopo quella illuminativa, o dei proficienti. Le ultime strofe parlano dello stato di beatitudine; a cui l' anima, già nello stato di perfezione, soltanto aspira.
COMINCIA LA SPIEGAZIONE DELLE STROFE DI AMORE FRA LA SPOSA E CRISTO SUO SPOSO
Annotazione
I - Allorché l'anima riflette su quanto è obbligata a fare, si accorge che la vita è breve (Giob., 14, 5), il sentiero della vita stretto (Mt. 7, 14), il giusto a stento si salva (I Piet. 4 [18]); conosce che le cose del mondo sono vane ed ingannevoli, che tutto finisce e viene a mancare come l'acqua che scorre (2 Samo 14, 14), che il tempo è incerto, rigoroso il giudizio, la perdita molto facile e la salvezza molto difficoltosa· D'altra parte pensa al grande debito di gratitudine che ha verso Dio, per averla creata solamente per sé, onde gli deve il servizio di tutta la vita, e per averla redenta solo per sé, in forza di cui gli deve tutto l'affetto del cuore; riflette ai mille altri benefici per cui si sente obbligata a Dio prima ancora di nascere, mentre gran parte della sua vita è trascorsa invano, cosa di cui dovrà rendere strettissimo conto fino all'ultimo quadrante (Mt. 5, 26), nel giorno in cui il Signore scruterà Gerusalemme con lucerne accese (Sol. I, [12], perché è tardi, torse l'ultima ora del giorno (Mt., 20, 6). Per rimediare a tale male e danno, tanto più che sente che Dio è molto irato e nascosto perché ella si è voluta dimenticare di Lui U. mezzo alle creature, presa da paura e da vivo dolore intimo per un pericolo così grave di perdizione, rinunciando a tutte le cose, anteponendolo ad ogni altra cura, senza difterirl0 né di un giorno né di un'ora, con ansie e gemiti sgorgati dal cuore ferito ormai di amore di Dio, comincia ad invocare 1'Amato dicendo:
STROFA I
Dove ti nascondesti
in gemiti lasciandomi, o Diletto?
Come Il cervo fuggisti,
dopo avermi ferito;
ti uscii dietro gridando: ti eri involato.
SPIEGAZIONE
2 -In questa prima strofa, l'anima innamorata del Verbo Figlio di Dio, suo Sposo, desiderando unirsi con Lui mediante la visione chiara ed essenziale espone le sue ansie di amore, lamentandosi con Lui della sua assenza. E ciò specialmente perché essendo stata ferita dall'amore suo, per mezzo del quale è uscita da tutte le cose create e da se stessa, deve ancora soffrire l'assenza dell'Amato, a momento che Egli non la discioglie dalla carne mortale per renderle possibile di goderlo nella gloria della eternità. perciò dice:
Dove ti nascondesti?
3 – Come se dicesse: Verbo, Sposo mio, mostrami il luogo dove stai nascosto. Con queste parole gli chiede la manifestazione della sua divina essenza, perché il luogo dove Il Figlio di Dio sta nascosto è, come dice S. Giovanni I, 18), il seno del Padre, cioè l'essenza divina, la quale è lontana ad ogni occhio mortale e nascosta a ogni intelletto. Ciò volle dire Isaia quando affermò: Veramente tu sei un Dio nascosto (45, 15). Quindi è bene notare come, per quanto grandi siano le comunicazioni e gli atti delle divine presenze, alte e sublimi le notizie di Dio che un'anima ha in questa vita, tutto ciò non e essenzialmente Dio né ha niente a che vedere con Lui, poiché invero Egli è ancora nascosto all'anima. È necessario perciò che essa lo stimi superiore a tutte queste grandezze, lo creda nascosto e lo cerchi come tale dicendo: Dove ti nascondesti?
Poiché né l'alta comunicazione, né la presenza sensibile sono indizio maggiore della sua presenza per grazia, né la mancanza di tutto ciò nell'anima ne indica l'assenza; perciò il Profeta Giobbe dice: Se verrà a me non lo vedrò, se mi fuggirà non me ne accorgerò (9, I I).
4 - Queste parole ci fanno intendere come, se percepisce qualche grande comunicazione, notizia divina o qualche altro sentimento, l'anima non deve credere che ciò sia vedere chiaramente o possedere essenzialmente Dio, né pensare di essere di più in Lui, per quanto grande esso sia. Se tutte queste comunicazioni sensibili ed intelligibili le venissero a mancare ed essa rimanesse arida, tra le tenebre e priva di aiuto, non deve credere perciò che le manchi Dio, poiché realmente nel primo caso non può sapere con certezza di essere in grazia di Dio e nel secondo di esserne priva, secondo quanto afferma il Savio : Nessuno può sapere se sia degno di amore o di odio davanti a Dio (Eccle. 9, I). Pertanto scopo principale dell'anima nel verso presente, non è soltanto quello di chiedere la devozione affettiva , sensibile, in cui non v'è la certezza né la chiarezza del Possesso dello Sposo in questa vita, ma specialmente quello j, domandare la presenza e la chiara visione della sua essenza, con cui desidera di essere assicurata e soddisfatta nella gloria.
5 - Proprio questo vuole affermare la sposa nel Cantico (I, 6) allorché, desiderando di unirsi con la divinità del Verbo suo Sposo, la chiede al Padre, dicendo: Mostrami dove ti pasci e ti riposi sul mezzogiorno. Chiedendogli dove si pasca, gli domanda di mostrarle l'essenza del Verbo divino, poiché il Padre non si pasce in altra cosa che nell'unico suo Figlio, che è la sua gloria. Pregando che le mostri dove riposa gli chiede la stessa cosa giacché il Padre non riposa ne sta in altro luogo che nel suo Figlio, unica sua delizia, nel quale riposa comunicandogli tutta la sua essenza, sul mezzogiorno, cioè nell'eternità dove lo ha generato e sempre lo genera. Dunque il Verbo divino dove il Padre si pasce con gloria infinita e questo petto fiorito dove Egli prende riposo con immenso diletto amoroso, nascosto ad ogni creatura mortale, chiede ora l'anima sposa quando dice: Dove ti nascondesti?
6 - Affinché quest'anima sitibonda nella vita presente riesca a trovare il suo Sposo e unirsi con Lui per unione di amore, secondo quanto è possibile, e mitighi la sua sete almeno con una goccia che di Lui si può gustare in terra, sarà bene che io risponda a quello che ella chiede allo Sposo. Sostituendomi a Lui, le mostrerò il luogo più sicuro dove Egli si nasconde, perché sicuramente ve lo trovi con la maggiore perfezione e con il maggior sapore possibile in questa vita, e così non incomincerà ad andare vagando inutilmente dietro le orme delle sue compagne.
A tale scopo c'è da notare che il Verbo Figlio di Dio, insieme con il Padre e con lo Spirito Santo essenzialmente e presenzialmente se ne sta nascosto nell'interno dell'anima. Quindi l'anima che vuoi trovarlo, deve allontanarsi secondo l'affetto e la volontà da tutte le cose e ritirarsi in sommo raccoglimento dentro di sé, come se tutto il resto non esistesse. Per questo S. Agostino, parlando con Dio, dice nei soliloqui: Non ti trovavo, Signore, di fuori, perché cercavo malamente fuori te, che stavi dentro.
Dio dunque è nascosto nell'anima dove il bravo contemplativo deve cercarlo amorosamente, dicendo: Dove ti nascondesti?
7 - O anima bellissima fra tutte le creature, che desideri tanto conoscere il luogo dove si trova il tuo Diletto, per trovarlo ed unirti con Lui! Ormai ti è stato detto che tu stessa sei il luogo in cui Egli dimora e il nascondiglio dove si cela. Tu puoi grandemente rallegrarti sapendo che tutto il tuo bene e l'intera tua speranza è così vicina a te da abitare dentro di te o, per dire meglio, che tu non puoi stare senza' di Lui: Sappiate - dice lo Sposo che il regno di Dio è dentro di voi (L<:. 17, 21) e il suo servo, l'apostolo S. Paolo, soggiunge: Voi siete il tempio di Dio (2 Coro 6, 16).
8 - È grande conforto per l'anima sapere che Dio non le viene mai meno, anche se essa è in peccato mortale; quanto meno Egli abbandonerà quella che è in grazia!
Che vuoi di più, o anima, e perché cerchi ancora fuori di te, dal momento che hai dentro di te le tue ricchezze, i, tuoi diletti, la tua soddisfazione, la tua abbondanza e il tuo regno, cioè l'Amato, che tu desideri e brami? Gioisci e rallegrati pure con Lui nel tuo raccoglimento interiore, poiché lo hai così vicino! Qui desideralo, adoralo, senza andare a cercarlo altrove, poiché ti distrarresti, ti stancheresti senza poterlo né trovare né godere con maggiore certezza e celerità, né averlo più vicino che dentro di te. Vi è un'unica difficoltà e cioè che, pure essendo dentro di te, $C' ne sta nascosto; però è già molto se si conosce il luogo dove sta nascosto per cercarlo con la certezza di trovarlo. È quanto tu, o anima, chiedi allorché con affetto di amore dici:Dove ti nascondesti?
9 - Tuttavia mi puoi dire: se l'Amato dell'anima mia è dentro di me, perché non lo trovo e non lo sento?
Ciò accade perché Egli se ne sta nascosto e tu non ti nascondi per trovarlo e per sentirlo. Infatti chi vuol trovare una cosa nascosta deve entrare fino al nascondiglio dove quella si trova e, quando la trova, anch'egli è nascosto come lei. Dunque poiché il tuo Sposo amato è il tesoro nascosto nel campodell'anima tua, per il qual tesoro l'astuto mercante vendette tutti i suoi beni (Mt 13, 44), sarà necessario che tu, per trovarlo, dimenticando tutte le cose e allontanandoti da tutte le creature ti rifugi nel nascondiglio interiore del tuo spirito (Mt. 6, 6) e serrata la porta dietro di te, vale a dire chiusa la tua volontà a tutte le: cose, preghi occultamente il Padre tuo (Ibid.). Allora, rimanendo nascosta con Lui, lo sentirai e lo amerai di nascosto, lo godrai e ti diletterai con Lui di nascosto ossia in maniera superiore ad ogni espressione e sentimento umano.
10 - Orsù, anima bella, poiché ora sai che il Diletto tanto desiderato dimora nascosto nel tuo seno, procura di essere ben nascosta con Lui e cosi lo abbraccerai e lo sentirai con affetto di amore nel tuo seno. Ricordati che Egli ti. invita a questo nascondiglio per mezzo di Isaia il quale dice: Vai, entra nel tuo nascondiglio, chiudi dietro di te le tue porte, cioè tutte le tue potenze a tutte le creature nasconditi per un momento (26, 20), vale a dire per questo momento della vita temporale. Poiché se nella brevità della 'Vita presente, come dice il Savio, tu, anima fortunata, custodirai con ogni cura il tuo cuore (Prov. 4, 23), indubbiamente il Signore ti concederà quanto promette per mezzo di Isaia: T i darò gli occulti tesori e ti svelerò la sostanza dei segreti e dei misteri (45, 3), sostanza la quale è Dio stesso, poiché Egli è la sostanza e il concetto della fede, e questa è il segreto e il mistero. Quando verrà rivelato e manifestato quanto la fede ci tiene nascosto, cioè la perfezione di Dio, come dice S. Paolo (I Cor. 13, IO) allora all'anima sarà manifestata la sostanza dei misteri segreti.
Anche se in questa vita, per quanto si nasconda, l'anima non può giungere mai a conoscerne le profondità come nell'altra, tuttavia, se come Mosè si rifugerà nella caverna della pietra (Es. 33, 22-23), cioè nell'imitazione vera della vita del Figlio di Dio, suo Sposo, con l'aiuto della destra di Dio, meriterà di vedere le spalle di Lui vale a dire di raggiungere in terra tanta perfezione da unirsi e trasformarsi per amore nel Figlio di Dio, suo Sposo. In tal modo ella si sente unita con Lui e così sapientemente istruita nei suoi misteri che per quanto riguarda la conoscenza di Lui in questa vita, non ha bisogno di dire: Dove ti nascondesti ?
11 - È già stato detto, o anima, il metodo che ti conviene seguire per trovare lo Sposo nel tuo nascondiglio. Ma se vuoi che io te lo ripeta, ascolta una parola ricca di sostanza e di verità inaccessibile: cercalo con fede e con amore, senza cercare soddisfazione in cosa alcuna, e senza desiderare di gustarla e intenderla fuori di quanto è necessario; queste due cose, come la guida del cieco, ti condurranno per vie a te ignote, al nascondiglio di Dio. Infatti la fede, cioè il segreto di cui si è parlato, è simile alle gambe delle quali l'anima si serve per andare verso Dio, e l'amore è la guida che ve la conduce, di modo che, trattando i misteri e i segreti della fede, meriterà che l'amore le manifesti quello che tale virtù racchiude in sé, vale a dire lo Sposo che ella desidera in terra per mezzo della grazia speciale dell'unione divina e in cielo per mezzo della gloria essenziale, godendo non più nascostamente, ma faccia a faccia.
Intanto, quantunque l'anima arrivi a tale unione, che è lo stato più alto a cui si può giungere in questa vita, poiché lo Sposo è nascosto nel seno del Padre, dove desidera goderlo nell'altra, ella continua a dire: Dove ti nascondesti ?
12 - Fai molto bene, o anima, a cercarlo sempre nascosto, poiché facendo cosi glorifichi Dio e ti avvicini molto a Lui stimandolo per l'essere più alto e profondo di tutti quelli che tu puoi raggiungere. Non ti fermare quindi né molto né poco in ciò che le tue potenze possono comprendere, vale a dire, non ti volere mai appagare di ciò che puoi intendere di Dio, ma piuttosto di ciò che di Lui non puoi capire. Non ti fermare mai nell'amore e nel diletto d ciò che intendi e senti di Dio, ama e dilettati solo in ciò che di Lui non puoi né intendere né sentire: questo vuoi dire cercarlo in fede. Essendo Dio inaccessibile e nascosto, come è stato detto, anche se ti sembra di trovarlo, di sentirlo e di capirlo, lo devi ritenere sempre per nascosto e come tale lo devi servire in occulto. Non voler essere come molti insipienti i quali, avendo un concetto volgare di Dio, allorché non lo intendono, non lo gustano e non lo sentono, credono che Egli sia lontano e nascosto, mentre è piuttosto vero il contrario e cioè che quanto meno distintamente l'intendono, più si accostano a Lui, poiché come dice il Profeta David: Pose il suo nascondiglio nelle tenebre (Sal. 17, 12). Così avvicinandoti a Lui, il tuo occhio fiacco deve necessariamente essere colpito dalle tenebre.
Dunque fai molto bene in ogni tempo, sia nelle avversità che nelle prosperità spirituali o temporali, a considerare Dio come nascosto e ad invocarlo dicendo: Dove ti nascondesti,
in gemiti lasciandomi, o Diletto ?
13 - Lo chiama Diletto per commuoverlo e spingerlo ad esaudire la sua preghiera poiché, se è amato, il Signore con grande facilità ascolta la preghiera di chi lo ama. Lo dice Egli stesso in S. Giovanni: Se rimarrete in me, chiedete tutto ciò che volete e vi sarà dato (15, 7). L'anima quindi lo può chiamare veramente amato, allorché dimora interamente con Lui, non avendo il cuore attaccato ad altra cosa fuori di Lui e volgendo ordinariamente a Lui il pensiero. Perciò Dalila dice a Sansone, il cui affetto era privo di ciò: Come puoi dire di amarmi, mentre il tuo animo è lontano da me? (Giud. 16, 15), animo che include il pensiero e l'affetto.
Dunque alcuni chiamano Amato il loro Sposo, ma non lo amano veramente, perché il loro cuore non è tutto per Lui e quindi la loro richiesta non ha molto valore al cospetto di Dio e non viene esaudita finché, perseverando in orazione, non riescono ad intrattenere a lungo in Lui il loro animo e a stabilirvi il cuore con affetto totale, perché dal Signore niente si ottiene se non per mezzo dell'amore.
14 - Riguardo a quanto l'anima dice subito: in gemiti lasciandomi, bisogna notare come l'assenza dell'Amato causa un gemito continuo nell'amante poiché, dato che ama solo Lui, all'infuori di Lui non trova alcun riposo e sollievo. Indizio certo per sapere se uno ama veramente Dio è quindi quello di vedere se si contenta in cosa inferiore a Lui.
Ma cosa dico: - si contenta? poiché, anche se possedesse tutte le cose insieme, non sarebbe soddisfatto; anzi, la sua soddisfazione sarebbe minore, quanto maggiori fossero le cose possedute, poiché il cuore non si contenta di possedere le cose, ma di essere privo di tutto e povero di spirito. Giacché in questa povertà consiste la perfezione dell'amore in cui' si ha il possesso di Dio con vincolo molto stretto e con grazia speciale, l'anima, una volta che l'abbia raggiunta, vive in terra con una certa soddisfazione, che però non è sazietà piena, simile a David il quale, pur essendo tanto perfetto, aspettava di essere soddisfatto in cielo, dicendo: Mi sazierò quando apparirà la tua gloria (Sal. 16, 15).
Perciò la pace, la tranquillità e la soddisfazione del cuore, a cui può giungere in terra, non sono sufficienti perché l'anima' cessi di emettere nell'intimo qualche gemito, anche se pacifico e non penoso, prodotto dalla speranza di ciii che le manca. Il gemito infatti è congiunto alla speranza, ,come quello che, al dire di S. Paolo, emettevano lui e gli altri, quantunque perfetti: Noi stessi, che godiamo le primizie dello spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando la adozione dei figli di Dio (Rom. 8, 23).
Tale gemito quindi emette l'anima nel suo cuore innamorato, poiché il gemito scaturisce colà dove si ha la ferita dell'amore. Ella grida sempre addolorata per la mancanza dello Sposo, specialmente se, dopo avere gustato qualche dolce e saporosa sua comunicazione, improvvisamente si trova arida e sola.
Perciò soggiunge:
Come il cervo fuggisti.
15 - C'è da osservare che nel Cantico (2, 9) la sposa paragona lo Sposo al cervo e alla capra selvatica dicendo:
Il mio Amato è simile alla capra e al figlio dei cervi. Afferma ciò non solo perché, come il cervo, egli se ne sta remoto, solitario ed evita la compagnia, ma anche a causa della velocità con cui l'Amato si nasconde e si mostra durante le visite che fa alle anime devote per ricrearle e animarle e negli smarrimenti e nelle assenze che fa percepire! ad esse dopo tali visite per provarle e ammaestrarle. E così fa in modo che esse ne sentano più dolorosamente l'assenza, secondo quanto fa intravvedere l'anima quando dice:
dopo avermi ferito.
16 - Come se dicesse: Non mi basta la pena e il dolore che ordinariamente soffro per la tua assenza poiché, dopo avermi ferito di più d'amore con la tua freccia ed avermi accresciuto la passione e il desiderio della tua vita, fuggi con la leggerezza di un cervo e non ti lasci prendere neppure per un istante.
17 - Per spiegare di più questo verso è bene notare come, oltre a molti altri generi di visite che Dio fa all'anima mediante le quali la piaga ed eleva in amore, Egli suole accordarle anche alcuni tocchi di amore i quali, come saette di fuoco, la feriscono e la trapassano, lasciandola cauterizzata con fuoco amoroso. Queste vengono dette con proprietà ferite di amore e di esse parla ora l'anima. Esse accendono tanto in affetto la volontà, da fare in modo che l'anima bruci nel fuoco ardente di amore talché le sembra di consumarsi in quella fiamma, la quale la fa uscire fuori di sé, rinnovare tutta e passare ad un nuovo modo di essere, simile alla fenice che brucia e rinasce di nuovo. Parlando della cosa David dice: Il mio cuore si infiammò; i mie reni si cambiarono, io fui annichilito e non seppi (Sal. 72, 21-22).
18 - Gli appetiti e gli affetti, che il Profeta comprende sotto il termine reni, si commuovono tutti, mutandosi in divini durante quell'incendio amoroso del cuore, e l'anima per amore si riduce in niente, non sapendo null'altro che amare. Avviene ora il cambiamento dei reni, accompagnato da un grande tormento ansioso di vedere Dio, in modo che all'anima sembra intollerabile il rigore usato dall'amore con lei. Le accade ciò non perché è stata ferita dal Signore (infatti ella ritiene salutari queste ferite d'amore), ma perché è stata lasciata in preda alla sofferenza, mentre avrebbe dovuto ferirla a morte, onde potersi unire con Lui nella chiara visione dell'amore perfetto.
19 - Pertanto, per mettere in risalto il suo dolore, ella dice: Dopo avermi ferita, cioè, dopo avermi lasciata così ferita da morire per amor tuo, ti sei nascosto con la velocità del cervo. Questo dolore è così forte, perché in quella ferita d'amore ricevuta da Dio, l'anima con velocità sublime dirige l'affetto della volontà verso il possesso dell'Amato di cui ha sentito il tocco. Con la stessa velocità però ella ne percepisce l'assenza e si accorge che in terra non lo può possedere come desidera. Al tempo stesso questa assenza le fa emettere un gemito, poiché le visite di cui si parla non sono come le altre in cui Dio solleva l'anima e la rende contenta; esse vengono fatte per ferire più che per sanare, per affliggere più che per recare sollievo, poiché servono per avvivare la notizia, per accrescere il desiderio e quindi l'ansia dolorosa di vedere Dio.
Queste, che vengono dette ferite spirituali di amore, sono molto gustose e desiderabili per l'anima, la quale quindi vorrebbe morire mille volte sotto i colpi di questa lancia, perché la fanno uscire da sé e penetrare in Dio. Parla della cosa nel verso che segue:
ti uscii dietro gridando: ti eri involato.
20 - Nessuno, se non chi le ha inflitte, può trovare una medicina per le ferite di amore. Perciò l'anima trafitta spinta dalla forza del fuoco della ferita, è uscita dietro al Diletto da cui era stata colpita, gridando perché la risanasse.
È necessario notare che ella può uscire per andare a Dio in due maniere: prima, uscendo da tutte le cose dì· sprezzandole e aborrendole; seconda, uscendo da se stessa per mezzo. dell'oblio di sé, cosa che si attua per amore di Dio. Infatti allorché tale amore tocca l'anima con il rigore di cui si è detto, la innalza in maniera tale non solo da farla uscire di sé mediante l'oblio, ma da scardinarla anche dai suoi desideri e dalle sue inclinazioni naturali, facendola gridare per amore di Dio.
E così è come se dicesse: Sposo mio, con quel tocco e con quella ferita di amore, hai allontanato l'anima mia non solo da tutte le cose, ma anche da ·se stessa (in verità sembra che la tragga fuori anche dal corpo) e mi hai elevato a te, mentre io, già distaccata da tutto, gridavo dietro a te per unirmi con te. Ti eri involato!
21 - Come se dicesse: Quando ho voluto impadronirmi della tua presenza, non ti ho trovato e sono rimasta vuota e distaccata da tutto, penando nell'aura amorosa, priva del tuo e mio appoggio.
Ciò che l'anima dice uscire per andare in cerca di Dio la sposa dei Cantici chiama « alzarsi»: Mi alzerò e andrò per la città; per le vie e per le piazze cercherò colui che l'anima mia ama; l'ho cercato e non l'ho trovato e mi ferirono(3, 2; 5, 7). Il termine « alzarsi », in senso spirituale, significa andare dal basso verso l'alto ed equivale a quello di « uscire» usato dall'anima, uscire cioè dal proprio amore imperfetto a quello perfetto di Dio.
Ma nel testo la sposa afferma di essere rimasta piagata perché non ha trovato lo Sposo; anche nella strofa l'anima . dice di essere stata abbandonata dopo essere stata ferita di amore. Quindi chi ama vive sempre in pena per la lontananza dell'Amato, poiché, essendosi donato a colui che ama, ne spera il contraccambio, spera cioè che Egli faccia lo stesso, mentre invece non le si dona. E perciò, se da una parte è già perduto a se stesso e a tutte le cose per l'Amato, dall'altra non ha trovato nessun guadagno da tale perdita, perché è ancora privo di Lui.
22 - Tale sentimento doloroso dell'assenza dell'Amato, al tempo di questa divina ferita, in coloro che si avvicinano allo stato di perfezione è così grande che, se il Signore non provvedesse altrimenti, essi cesserebbero di vivere. Infatti, avendo la volontà sana e lo spirito puro e ben disposto verso Dio e gustando nello stato attuale qualche dolcezza dell'amore di Dio, verso il quale tendono sopra ,.(imo, tali anime soffrono in maniera indicibile e sentono un'ineffabile pena e tormento perché, come da uno spiraglio, intravvedono un bene immenso che viene loro negato.
STROFA 2
Pastori, voi che andate
di stazzo in stazzo fino all'alto monte,
se per caso incontrate
chi più d'ogni altro bramo,
ditegli che languisco, soffro e muoio.
SPIEGAZIONE
In questa strofa l'anima afferma di volersi servire di intermediari presso l'Amato e chiede loro che gli facciano nota la sua dolorosa pena. Infatti è proprio dell'amante, impossibilitato a farlo da sè per la lontananza dell'Amato, di ricorrere ai mezzi migliori possibili per comunicare con Lui. Perciò l'anima ora si serve come messaggeri dei suoi affetti, dei suoi desideri e dei suoi gemiti, che sanno esprimere molto bene all'Amato i segreti del cuore.
Pertanto li prega che vadano, dicendo:
Pastori, voi che andate.
2 - Chiama pastori i suoi desideri, i suoi affetti e i suoi gemiti perché pascono l'anima di beni spirituali (infatti «pastore» è colui che conduce al pascolo) e perché per loro mezzo Dio si comunica a lei e le porge un pascolo divino, mentre lo fa ben poco senza di loro. E soggiunge: voi che andate, voi che provenite dall'amor puro, giacché tra gli affetti e desideri vanno a Dio soltanto quelli che provengono da vero amore.
Di stazzo in stazzo fino all'alto monte.
3 - Dà il nome di stazzi ai cori degli Angeli, attraverso i quali le nostre orazioni e i nostri gemiti salgono al Signore, il quale è chiamato monte perché è la somma altezza e perché da Lui, come da una cima, si esplorano tutte le cose e tutti gli stazzi superiori e inferiori. A Lui vanno le nostre preghiere offerte dagli Angeli, secondo quanto uno di essi dice a Tobia: Quando pregavi spargendo lacrime e seppellivi i morti, io offrivo le tue preghiere al Signore (Tob. 12, 12).
Per pastori dell'anima possiamo intendere anche gli Angeli, i quali non solo recano le nostre suppliche al Signore, ma portano anche i suoi messaggi alle anime e quindi, come pastori buoni, le pascono con soavi ispirazioni e comunicazioni divine, perché Iddio si serve anche di loro. Inoltre essi ci proteggono dai lupi, che sono i demoni.
Dunque, sia che si intendano ·per pastori gli appetiti o gli Angeli, l'anima desidera che le facciano da intermediari presso l'Amato. Perciò dice loro:
se per caso incontrate.
4 - È quanto dire: se per mia buona sorte giungete alla sua presenza in modo che Egli vi veda e vi ascolti.
Se è vero che Dio sa tutto e, come afferma Mosè, (Deut. 31, 21), scruta e nota anche i pensieri dell'anima, tuttavia diciamo che Egli vede le nostre necessità, quando vi pone rimedio soddisfacendole. Infatti le necessità e le petizioni non sono esaudite e ascoltate da Dio finché non giunga il tempo opportuno o esse non raggiungano il numero sufficiente. Allora si dice che Egli le nota e le ascolta, come possiamo dedurre dall'Esodo dove si legge che dopo quattrocento anni che gli Ebrei erano schiavi in Egitto, il Signore dice a Mosè: Ho veduto l'afflizione del mio popolo, ho ascoltato le sue suppliche e sono disceso per liberarlo (3, 7-8): eppure gli era stata sempre nota! Anche Gabriele disse a Zaccaria (Lc. I, 13) di non temere perché il Signore aveva ascoltato le sue orazioni, concedendogli il figlio che implorava da tanti anni: eppure anche in questo caso Dio lo aveva sempre udito!
Dunque ogni anima deve ricordare che, se Dio non viene subito incontro alle sue preghiere e alle sue necessità, lo farà al momento opportuno, purché ella non si scoraggi, poiché" Egli, come afferma David, è il soccorritore nelle necessità e nelle tribolazioni (Sal. 9, IO).
L'anima quindi quando dice: se per caso vedete, vuoi significare: se è giunto il tempo in cui Egli crede conveniente esaudire le mie preghiere,
chi più d'ogni altro bramo.
5 - Vale a dire: chi amo più di tutti. Ciò si verifica allorché nell'anima non vi è alcun impedimento capace di trattenerla dal fare e dal patire qualsiasi cosa che torni al servizio di Dio.
Quando poi ella può dire con verità ciò che afferma nel verso seguente, è segno che lo ama su tutte le cose. Ecco il verso:
ditegli che languisco, soffro e muoio.
6 - L'anima enumera tre casi di necessità, languore, sofferenza e morte, poiché chi ama veramente con amore alquanto perfetto constatando la lontananza di Dio, soffre nei tre modi suddetti secondo le potenze dell'intelletto, della memoria e della volontà· Riguardo all'intelletto, l'anima afferma di languire perché non vede il Signore, che è la salute di quella facoltà, secondo il detto di David: lo sono la tua salute (Sal 34, 3); riguardo alla volontà, dice di soffrire, perché è priva del possesso di Dio, che è refrigerio e diletto della volontà, secondo quanto soggiunge n, Salmista: Mi sazierò con il torrente della tua gioia (Sal 35, 9); riguardo alla memoria, l'anima afferma di morire perché, ricordandosi che è priva di tutti i beni dell'intelletto, cioè della visione di Dio, di tutti i diletti della volontà, cioè del suo possesso e che è molto possibile che ne rimanga priva per sempre in mezzo alle occasioni pericolose del mondo, a questo ricordo ella soffre dolori di morte, credendo, che le manchi il possesso certo e perfetto di Dio, il quale come dice Mosè, è vita dell'anima: Egli certamente è la tua vita (Deut. 30, 20).
7 - Anche Geremia fece presenti a Dio queste tre necessità dicendo: Ricordati della mia povertà, dell'assenzio e del fiele (Lam. 3, 19). La povertà si riferisce all'intelletto, in quanto che ad esso appartengono le ricchezze della sapienza del Figlio di Dio, in cui, come scrive S· Paolo,' sono nascosti tutti i tesori divini (Col 2, 3). L'assenzio, che è un'erba amarissima, riguarda la volontà, giacché ad essa appartiene la dolcezza del possesso di Dio, mancando il quale, l'anima rimane piena di amarezza. Che poi q\le· sta, spiritualmente parlando, si riferisca alla volontà, 'si può capire dalle parole che l'Angelo dice a S. Giovanni nell'Apocalisse e cioè che mangiando quel libro, gli si sarebbe amareggiato il ventre (IO, 9), dove per ventre si intende la volontà. Il fiele si riferisce non solo alla memoria, ma a tutte le facoltà e forze dell'anima, della cui morte il fiele è simbolo, secondo quanto fa capire Mosè nel Deuteronomio parlando dei condannati: Fiele di draghi sarà il loro vino e veleno insanabile dl. Aspidi (32, 33), espressione in cui viene adombrata la privazione di Dio, che è morte dell'anima.
8 - C'è da notare come l'anima, nel verso citato, si limita ad esporre all'Amato le proprie necessità e pene, poiché chi ama con criterio non si preoccupa di chiedere ciò che gli manca o desidera, ma espone semplicemente i propri bisogni, affinché l'Amato faccia poi quanto gli piace. Così fece la Vergine alle nozze di Cana in Galilea quando, senza fare nessuna richiesta diretta, disse: Non hanno vino (Gv. 2, 3) e le sorelle di Lazzaro allorché, senza chiedergli la guarigione del fratello, fecero ricordare al Cristo che colui che Egli amava era ammalato (Ibid. 11, 3)·
Ciò accade per tre ragioni: prima, perché Nostro Signore sa meglio di noi quello di cui abbiamo bisogno; seconda, perché l'Amato è spinto a maggior compassione dalle necessità e dalla remissività dell'amante; terza, perché l'anima diventa più sicura dall'amor proprio e dallo spirito di proprietà se espone ciò di cui difetta, che se chiede ciò di cui è priva.
Così fa l'anima nel presente verso esponendo le sue tre necessità. È come se dicesse: dite al mio Diletto che, poiché languisco, Egli solo che è la mia salute, me la conceda; poiché soffro, Egli solo che è la mia gioia, me la dia; poiché muoio, Egli solo che è la mia vita, mi doni la vita.
STROFA 3
In cerca del mio amore
andrò per questi monti e queste rive,
non coglierò mai fiore,
non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.
SPIEGAZIONE
I - L'anima vedendo che per trovare l'Amato non le bastano i gemiti e le preghiere e l'aiuto di buoni mediatori come, secondo la prima e seconda strofa, ha fatto in passato, spinta da grande amore e da un desiderio molto verace di cercarlo, non vuoi omettere alcuna diligenza a lei possibile. Infatti quella che ama Dio davvero non si lascia vincere dalla pigrizia nel fare quanto può per trovare il Figlio di Dio, suo Sposo; anzi, anche dopo aver fatto tutto il possibile, non è soddisfatta e pensa di non aver fatto niente. Perciò in questa terza strofa, afferma di volerlo cercare da se stessa con le sue opere ed espone il modo che deve seguire per trovarlo, che è quello di esercitarsi nelle virtù e nelle pratiche spirituali della vita attiva e contemplativa, non ammettendo· perciò alcun piacere e delizia. Inoltre non si perde di coraggio, perché le forze e le insidie dei tre suoi nemici, mondo, carne e demonio, non saranno capaci di impedirle il cammino.
Dice quindi:
In cerca del mio amore
cioè del mio Amato.
2 - L'anima fa capire che per trovare davvero Dio non basta soltanto pregare con il cuore e con le labbra, neppure con l'aiuto altrui, ma è necessario che anch'essa da parte sua faccia tutto ciò che può, perché Dio suole stimare più un'opera sola propria di una persona che molte fatte da altri per lei. Perciò, ricordando qui le parole dell'Amato: Cercate e troverete (Le. II, 9), l'anima stessa risolve di andarne in cerca, per mezzo della sua opera, per non restare delusa nella ricerca, come accade a molti, i quali vorrebbero che Dio non costasse loro più che pronunziare una parola, e anche ciò fatto malvolentieri e non vogliono fare niente che costi loro un po', tanto che ad alcuni dispiace perfino di alzarsi da un luogo dove stanno comodamente. In tal modo vorrebbero che il sapore scendesse sulle loro labbra e nel loro cuore senza muovere un dito e senza mortificarsi rinunziando a qualche loro gusto, consolazione e voglia inutile.
Ma finché non usciranno in cerca dell'Amato, per quanto gridino a Dio, non lo troveranno. Anche la sposa dei Cantici lo cercava così, ma non lo trovò finché non uscì per cercarlo. Lo dice con queste parole: Nel mio letto, di notte, cercai l'amore dell'anima mia, ma non lo trovai. Mi leverò e andrò in giro per la città; per le vie e per le piazze cercherò colui che l'anima mia ama (Cant. 3, 1-2). E soggiunge di averlo trovato dopo aver sofferto alcuni travagli (Ibid. 3, 4)·
3 - Chi dunque cerca Dio volendo rimanere nei propri gusti e nelle proprie comodità, lo cerca di notte e quindi non lo trova. Colui invece che lo cerca mediante le buone opere e l'esercizio delle virtù, lasciando il letto dei suoi gusti e dei suoi piaceri, lo cerca di giorno e quindi lo trova, perché ciò che è introvabile di notte, si scopre di giorno. Di ciò parla lo Sposo nel libro della Sapienza:
Luminosa e immarcescibile è la Sapienza e facilmente è veduta da quei che l'amano e trovata da quei che la cercano. Previene coloro che la bramano, mostrandosi ad essi per prima. Chi per lei si leverà di buon mattino, non si stancherà, perché la troverà seduta alla porta di casa (Sap. 6, 13-15). Da questa frase si comprende come; uscendo dalla porta della propria volontà e dal letto dei propri gusti, l'anima appena fuori, troverà la Sapienza divina, cioè il Figlio di Dio, suo Sposo.
Perciò ella dice:
in cerca del mio amore,
andrò per questi monti e queste rive.
4 - Per monti, che sono alti, l'anima intende le virtù; per la loro altezza e per la difficoltà e il travaglio che si incontra nel salire ad esse. Afferma che per mezzo di esse si eserciterà nella vita contemplativa.
Per rive, che sono basse, intende le mortificazioni le penitenze e le altre pratiche spirituali mediante le quali, eserciterà la vita attiva insieme con quella contemplativa, di cui si è parlato, poiché per trovare certamente Dio e acquistare le virtù, sono necessarie l'una e l'altra.
È quindi come se dicesse: andrò in cerca del mio Amato, praticando le alte virtù e umiliandomi nelle mortificazioni e negli esercizi umili. Dice questo perché la via per cui si cerca Dio consiste nell'operare il bene in Lui e nel mortificare il male in sé, nel modo che l'anima spiega nel versi seguenti:
non coglierò mai fiore.
5 - Poiché per cercare Dio si richiede un cuore nudo, forte e libero da tutti i mali e i beni che puramente non sono Dio, l'anima in questo verso e nei seguenti dice quanta libertà e quanta forza le siano necessarie per cercarlo.
Nel presente afferma che non coglierà i fiori incontrati sul suo cammino, per i quali intende tutti i gusti, i contenti e i piaceri che le si possono offrire in questa vita e che le possono impedire il cammino qualora essa li voglia cogliere e accettare.
Questi sono di tre specie: temporali, sensuali e spirituali. Poiché sia gli uni che gli altri, se vi si trattiene o vi si ferma, occupano il cuore e sono all'anima di impedimento per la nudità di spirito quale si richiede per seguire la via diretta del Cristo, per andare dietro a Lui ella non coglierà nessuno dei fiori suddetti. E così è come se dicesse: non riporrò il mio cuore nelle ricchezze e nei beni che offre il mondo, né accetterò i piaceri della carne, né mi fermerò nei gusti e nelle consolazioni dello spirito per non trattenermi dal cercare il mio Amore per i monti delle virtù e per le rive dei travagli.
Dice questo per seguire un consiglio dato da David
a coloro i quali vanno per questo cammino: Divitiae si affliuant, nolite cor apponere (Sal. 61, II), cioè se le ricchezze sovrabbondano non vogliate attaccarvi il cuore, parole da applicarsi sia ai gusti sensibili come agli altri beni temporali e alle consolazioni dello Spirito.
Perciò c'è da notare che non solo i beni temporali e i piaceri materiali impediscono e contrastano il cammino verso Dio ma anche le consolazioni e i piaceri spirituali, se posseduti o cercati con. spirito di proprietà, impediscono il cammino della croce di Cristo Sposo. Per tale ragione chi vuole progredire non deve andare a cogliere questi fiori; ma non solo ciò, deve anche avere animo e forza per dire:
non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.
6 - In questi versi l'anima enumera i tre suoi nemici, mondo demonio e carne, i qu"ali le fanno guerra e cercano di renderle difficile il cammino. Per fiere intende il mondo, per forti il demonio, per frontiere la carne.
7 - Chiama fiere il mondo, poiché all'anima che incomincia ad incamminarsi verso Dio, pare che il mondo le si presenti all'immaginazione sotto l'aspetto di alcune fiere, che la minacciano e la spaventano.
Ciò accade principalmente in tre maniere: la prima le suggerisce che le verrà a mancare il favore del mondo, che perderà gli amici, la stima, il merito e perfino il patrimonio. La seconda fiera, che non è meno terribile della prima, le mette in risalto la difficoltà di rassegnarsi a non avere più gioie e consolazioni del mondo e a restare priva di tutti i suoi piaceri. La terza fiera, ancora peggiore, le fa notare che le male lingue si leveranno contro di lei, la prenderanno in giro e la disprezzeranno.
Tali cose sogliono essere messe dinanzi agli occhi di alcune anime in modo tale da rendere loro difficilissima non solo la perseveranza contro queste fiere, ma anche la possibilità di intraprendere il cammino.
8 - Ad alcune anime generose sogliono opporsi fiere più interiori e più spirituali che sono difficoltà, tentazioni, turbamenti e travagli di ogni specie attraverso cui è necessario che passino, i quali Dio invia a coloro che vuole elevare ad alta perfezione provandole e raffinandole come l'oro nel fuoco, secondo quanto afferma David: Molte sono le tribolazioni dei giusti, ma da tutte quelle li libererà il Signore (Sal. 33, 20).
Ma l'anima innamorata, che stima il suo Amato più di ogni altra cosa, confidando nell'amore e nell'aiuto di Lui, non ha paura di promettere:
non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.
9 - Dà il nome di forti ai demoni, che è il secondo nemico, poiché essi con grande forza procurano di contrastare il passo su questo cammino, perché le loro tentazioni ed astuzie sono più forti e dure a vincersi e più difficili ad intendersi di quelle del mondo e della carne ed anche perché si rafforzano con l'aiuto degli altri due nemici, mondo e carne, per lottare aspramente contro l'anima.
Pertanto David parlandone li dice forti: Fortes quaesierunt animam meam (Sal. 53, 5), cioè: I forti desiderarono l'anima mia. Della quale forza anche il profeta Giobbe dice che non vi è potere sulla terra da paragonarsi a quello del demonio, il quale fu creato in modo tale da non avere paura di nessuno (41, 24), cioè nessun potere umano può reggere in confronto con quello di lui. Perciò solo il potere divino riesce a superarlo e solo la luce divina può capire le sue astuzie.
Per questo l'anima che deve vincerne la forza, non lo potrà fare senza ricorrere alla preghiera, come del resto non potrà intenderne gli inganni senza umiltà e mortificazione. S. Paolo avvisa i fedeli con le parole seguenti:
Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli, quoniam non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem (Ef. 6, 11-12), vale a dire: Rivestitevi della armatura di Dio per poter resistere contro le astuzie del nemico poiché questa lotta non è come quella contro la carne e il sangue, intendendo per sangue il mondo e per armi di Dio l'orazione e la croce di Cristo, in cui si trova l'umiltà e la mortificazione di cui è stato parlato.
10 - Inoltre l'anima afferma che oltrepasserà le frontiere per le quali, come è stato detto, intende le ribellioni e le ripugnanze naturali della carne contro lo spirito, poiché, secondo quanto dice S. Paolo: Caro enim concupiscit adversus spiritum (Gal. 5, 17). La carne appetisce le cose contrarie allo spirito e si mette come sulle frontiere opponendosi al cammino spirituale. L'anima deve attraversare queste frontiere superando le difficoltà e atterrando con forza e decisione di spirito tutti gli appetiti sensitivi e tutte le affezioni naturali poiché, finché non li avrà cacciati, lo spirito ne rimarrà talmente impedito da non poter passare a vera vita e a diletto spirituale. S. Paolo ci fa intendere bene la cosa quando dice: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis (Rom. 8, 13). Se mortificherete le inclinazioni e gli appetiti carnali per mezzo dello spirito, vivrete.
Questo dunque è il metodo che l'anima, come dice in questa strofa, usa per andare in cerca dell'Amato, metodo che, in poche parole, consiste nell'avere costanza risoluta di non piegarsi a cogliere i fiori, coraggio di non temere le fiere, forza di oltrepassare i forti e le frontiere preoccupandosi solo di camminare per i monti e le rive delle virtù nella maniera già detta.
STROFA 4
O boschi e selve ombrose.
piantate dalla mano dell'Amato!
O prato verdeggiante
di bei fiori smaltato!
Ditemi se attraverso voi è passato.
SPIEGAZIONE
I - Dopo avere fatto comprendere il modo con cui si e disposta per intraprendere questo cammino che consiste nell'aver coraggio di non andare dietro a gusto e diletto, e forza di superare tentazioni e pericoli, in cui si riduce l'esercizio del proprio conoscimento (che è la prima cosa che ella deve fare per conoscere Dio), l'anima in questa strofa per mezzo della meditazione sulle creature e della loro conoscenza incomincia ad incamminarsi verso la conoscenza de! . suo Amato, loro Creatore. Infatti, in questo cammino spirituale, dopo la conoscenza di se stessi, la riflessione sulle creature è la prima nell'ordine per arrivare a quella di Dio, in quanto che per loro mezzo si giunge alla .conoscenza della grandezza ed eccellenza di Lui. Ce lo dice l'Apostolo: Invisibilia enim ipsius a creatura mundi per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur (Rom. I: 20), come se dicesse: Le cose invisibili di Dio sono conosciute dall'anima per mezzo delle cose create visibili e invisibili.
Pertanto in questa strofa l'anima parla con le creature, chiedendo loro. del suo Amato. È da notare che, come afferma S. Agostino, la domanda rivolta dall'anima alle creature è la riflessione che intorno ad esse ella fa del suo Creatore. In questa strofa quindi è contenuta la riflessione sugli elementi e sulle altre creature inferiori, sui cieli e sulle altre creature materiali create in essi da Dio, ed anche quella sugli spiriti celesti. Perciò dice:
O boschi e selve ombrose.
2 - Chiama boschi gli elementi che sono la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco, poiché come boschi amenissimi sono popolati da numerosissime creature, alle quali dà il nome di selve ombrose per il grande numero e le molteplici loro varietà in ciascun elemento. Nella terra vi sono innumerevoli specie di animali e di piante, nell'acqua infinite varietà di pesci, nell'aria molte varietà di uccelli. L'elemento :del fuoco è quello che concorre con tutti gli altri alla animazione e alla conservazione di tutto. E così ogni specie di, animali vive nel suo elemento dove è collocata e piantata come nel suo bosco e nel terreno in cui nasce e si sviluppa. In verità Dio stesso dispose così allorché creò
(Gen. I), comandando alla terra che producesse le piante e i gli animali, al mare e alle acque i pesci, e fece l'aria dimora degli uccelli.
Per questo, vedendo che Dio ha comandato e fatto co0sì, l'anima dice il verso seguente:
piantate dalla mano dell'Amato!
3 - In questo verso viene espressa la considerazione che solo la mano dell'amato Dio ha potuto fare e creare queste varietà e queste meraviglie.
Perciò si deve osservare che l'anima dice di proposito: dalla mano dell'Amato poiché, quantunque Dio faccia molte altre cose per mano di altri, cioè per mezzo degli Angeli e degli uomini, non ha mai fatto né fa servendosi di altri, ma solo da sé, l'opera della creazione. Perciò l'anima si sente fortemente spinta verso l'amore del suo amato Dio dalla riflessione sulle creature, vedendo che sono state create dalla mano di Lui.
E dice ancora:
o prato verdeggiante.
4 - Si tratta della riflessione sul cielo, al quale l'anima dà il nome di prato verdeggiante, poiché le cose create che sono in esso durano sempre con un verdeggiare perenne; non finiscono nè marciscono con il tempo; in esse, come in frescure verdeggianti, si rallegrano e si dilettano le. anime dei giusti. In questa riflessione viene inclusa ogni considerazione sulle fulgide stelle e sugli altri pianeti del cielo.
5 - Anche la Chiesa dà il nome di «verzura» alle cose celesti allorché, pregando il Signore per le anime dei defunti, parlando con loro dice: Constituat vos Dominus inter amoena virentia, che vuol dire: Vi collochi Dio nelle dilettevoli verzure.
Inoltre l'anima afferma che questo è anche
di bei fiori smaltato!
6 - Per fiori ella intende gli Angeli e le anime sante di cui quel luogo è abbellito e adorno come un vaso d'oro puro ornato di un grazioso e fine smalto.
Ditemi se attraverso voi è passato.
7 - Questa domanda è come la riflessione precedente: e significa: ditemi quale bellezza ha creato in voi:
STROFA 5
Mille grazie spargendo.
passò per questi boschi con snellezza,
e mentre li guardava,
solo con il suo sguardo
adorni li lasciò d'ogni bellezza.
SPIEGAZIONE
I - In questa strofa le creature danno la risposta che, come S. Agostino afferma ancora nel luogo citato, l è la testimonianza che esse danno della grandezza ed eccellenza di Dio all'anima la quale nella meditazione la chiede loro. Perciò in sostanza in questa strofa si dice che Dio ha creato tutte le cose con grande facilità e rapidità e ha lasciato in esse qualche orma del suo essere, non solo traendole dal nulla all'esistenza, ma anche dotandole di innumerevoli grazie e virtù, abbellendole di ordine mirabile e di stretta dipendenza le une dalle altre, operando tutto per mezzo della sua Sapienza per cui le ha create, cioè del Verbo, suo Unigenito Figlio.
L'anima quindi dice così:
Mille grazie spargendo.
2 - Per queste mille grazie che Dio ha sparse si intende la moltitudine sconfinata delle creature; perciò usa qui il numero mille per indicarne la moltitudine. Dà loro il nome di grazie per le molte grazie di cui ha dotato ogni creatura; spargendo quelle, cioè popolandone tutto il mondo,
passò per questi boschi con snellezza.
3 - Passare per i boschi vuol dire creare gli elementi, ai quali qui dà il nome di boschi. Dice che passava per essi spargendo mille grazie, poiché li adornava di tutte le creature, che sono graziose. Oltre a ciò, spargeva in esse mille grazie dando loro virtù per poter concorrere alla generazione e alla conservazione di tutto il creato. Afferma che passò giacché le creature sono come un'orma del passaggio di Dio, per mezzo della quale si scorgono la sua grandezza, la sua potenza, la sua sapienza e le altre virtù divine. Aggiunge che questo passaggio fu con snellezza per_ ché le creature sono le opere minori di Dio, fatte da Lui come di passaggio. Le maggiori invece, in cui più si è manifestato e a cui teneva maggiormente, furono l'Incarnazione del Verbo e i misteri della fede cristiana, al cui confronto tutte le altre cose furono fatte come di passaggio e in fretta.
E, mentre li guardava,
solo con il suo sguardo
adorni li lasciò d'ogni bellezza.
4 - Secondo quanto afferma S. Paolo, il Piglio di Dio è lo splendore della gloria del Padre e l'immagine della sua sostanza (Ebr. I, 3). È dunque da osservare che Dio con la sola immagine di suo Piglio guardò tutte le cose; dando loro l'essere naturale, comunicando molte grazie e doni naturali, facendole infinite e perfette secondo le parole del Genesi (I, 3 I) : Dio guardò tutte le cose che aveva fatto ed erano molto buone. Vederle molto buone equivale a farle molto buone nel Verbo, suo Figlio.
Guardandole, non soltanto comunicò loro l'essere e le. grazie, ma con questa immagine di suo Figlio le lasciò rivestite di bellezza, comunicando loro l'essere soprannaturale. Ciò accadde quando Egli si fece uomo, innalzando questo alla bellezza di Dio e per conseguenza in lui tutte le creature, poiché, facendosi uomo, si uni con la natura di tutte quelle. Perciò il medesimo Piglio di Dio dice:
Si ego exaltatus a terra fuero, omnia traham ad me ipsum (Gv. 12, 32), cioè: Quando sarò alzato da terra, trarrò a me tutte le cose.
E così, in questa glorificazione dell'Incarnazione del Figlio suo e della sua resurrezione secondo la carne, Dio abbellì le creature non solo in parte, ma le lasciò rivestite completamente di bellezza e di dignità.
ANNOTAZIONE SULLA STROFA SEGUENTE
I - Ma, oltre a ciò, parlando ora secondo il senso e l'affetto della contemplazione, nella viva contemplazione e nella conoscenza delle creature, l'anima vede con grande chiarezza tanta copia di grazie, di bellezza e di virtù di cui sono state dotate da Dio, talché esse le paiono tutte rivestite di ammirabile bellezza e virtù naturale derivate e comunicate dalla infinita bellezza soprannaturale della immagine di Dio. Lo sguardo di Dio riveste di bellezza e di gioia il mondo e tutti i cieli, come aprendo la sua mano, secondo David, ricolma ogni essere vivente di benedizione (Sal. 144, 16).
Pertanto l'anima piagata di amore da quest'orma della bellezza del suo Amato conosciuta nelle creature, ansiosa di vederne la bellezza invisibile, causa di questa visibile, dice la strofa seguente:
STROFA 6
Ah! chi potrà sanarmi?
Finisci di donarti a me davvero;
non mi inviar da oggi
in poi alcun messaggero
il qual dirmi non sa quel che io chiedo.
SPIEGAZIONE
2 - Le creature poiché hanno dato all'anima i segni del suo Amato, mostrando in sé le orme della sua bellezza ed eccellenza, le hanno fatto aumentare l'amore e in conseguenza il dolore per la sua lontananza, giacché quanto più l'anima conosce Dio tanto più sente crescere in sé il desiderio penoso di vederlo. Vedendo quindi che non vi è altra cosa che possa curare il suo dolore all'infuori della presenza e della vista dell'Amato, sfiduciata di qualsiasi altro rimedio, in questa strofa gli chiede il dono della su;!. presenza, pregandolo di non trattenerla più con qualche altra notizia, comunicazione sua o vestigio della sua eccellenza, poiché queste cose le aumentano piuttosto il dolore anziché soddisfare il suo desiderio e la sua volontà, la quale non si contenta di cose inferiori alla vista e alla presenza di Lui. Si degni dunque di donarsi a lei davvero con amore pieno e perfetto.
Perciò dice:
Ah! chi potrà sanarmi?
3 - Come se dicesse: Certamente non potrà sanarmi né potrà soddisfarmi nessun diletto del mondo, nessuna soddisfazione dei sensi e nessun gusto e soavità dello spirito. Perciò
finisci di donarti a me davvero.
4 - A questo punto c'è da notare come un'anima, che ama davvero, non possa trovare soddisfazione e contento finché non possieda veramente Dio. Tutte le altre cose non solo non l'appagano ma, come è stato detto, servono piuttosto ad accrescerle la fame e il desiderio di vederlo come è in sé. Perciò ogni volta che riceve una visita dell'Amato per mezzo della conoscenza, del sentimento o di qualche altra comunicazione (che sono quasi messaggeri che portano all'anima qualche conoscenza di quello che Egli è) aumentandole ed eccitandole l'appetito (come fanno le briciole a chi ha grande fame), ella, sentendosi afflitta per doversi contentare di così poco, dice: finisci di donarti a me davvero.
5 - Infatti tutto ciò che in vita si può conoscere intorno a Dio, per molto che sia, non è cognizione vera, ma parziale e molto remota. La conoscenza vera si ha quando si' conosce essenzialmente: questo chiede ora l'anima, non contentandosi delle altre comunicazioni. Pertanto subito soggiunge:
non mi inviar da oggi
in poi alcun messaggero
6 - e cioè: da ora in poi non ti far conoscere da me così imperfettamente, mediante questi messaggeri delle notizie e dei sentimenti che io ho di te, tanto remoti e lontani da ciò che di te desidera l'anima mia poiché sai bene, o Sposo mio, come a chi soffre per non aver presente l'Amato, i messaggeri accrescano il dolore, in primo luogo perché rinnovano la piaga con la notizia che recano e poi perché sembra che ritardino la tua venuta. Perciò da oggi in poi cessa di inviarmi queste notizie remote giacché, se fin qui mi potevano bastare, perché non ti conoscevo e non ti amavo molto, ora la veemenza dell'amore che ti porto non può contentarsi di questi messaggi. Perciò finisci di donarti.
E più chiaramente: Signore, Sposo mio, finisci di concedere tutto ciò che parzialmente doni all'anima, termina di mostrare svelatamente quanto mostri quasi da spiragli, e finisci di donare davvero, comunicandoti da te stesso, quello che mi comunichi per mezzo di altri, che è quasi un darti per scherzo. Sembra a volte che nelle tue visite tu stia per darmi il dono prezioso del tuo possesso, ma quando l'anima se ne vuole render conto, se ne trova priva, poiché tu glielo nascondi, il che equivale a un donarti per scherzo. Finisci di donarti a me davvero dandoti tutto al tutto dell'anima mia, affinché ella tutta possegga te tutto e
non mi inviar da oggi
in poi alcun messaggero
il qual dirmi non sa quel che io chiedo.
7 - Come se dicesse: lo ti voglio tutto, mentre essi non sanno e non possono dirmi tutto di te, poiché nessuna cosa della terra né del cielo può dare all'anima la notizia che ella desidera avere di te e quindi dirmi non sa quel che io chiedo.
Invece di questi messaggi, sii tu stesso per me il messaggio e il messaggero.
STROFA 7
Tutti color che vagano
mille grazie di te mi van narrando,
e tutti più mi piagano,
mi fa quasi morire
un non so che che dicon balbettando.
SPIEGAZIONE
I - Nella strofa precedente l'anima ha dimostrato di essere ammalata e ferita d'amore per il suo Sposo, a causa della notizia di Lui ricevuta per mezzo delle creature irrazionali. Nella presente fa capire di essere piagata di amore a causa di una notizia più sublime dell'Amato che riceve per mezzo delle creature razionali, gli Angeli e gli uomini, più nobili delle altre. Non dice solo questo, afferma anche di essere sul punto di «morire» di amore a cagione di una ammirabile immensità che le si discopre, non però interamente, per mezzo di queste creature, immensità a cui l'anima perché non riesce ad esprimersi dà il nome di un non so che, ma è tale da farla morire d'amore.
2 - Da ciò possiamo dedurre come a proposito di questo amore vi siano tre specie di sofferenze per l'Amato, in .rapporto a tre generi di notizie che si possono avere di Lui.
La prima specie è una ferita la quale è più leggera e, proprio perché tale, passa più presto in quanto viene prodotta nell'anima dalle notizie che ella riceve dalle creature, ~ quali sono l'opera più imperfetta di Dio. Di tale ferita, a cui diamo qui anche il nome di infermità, parla la sposa dei Cantici (5, 8) quando dice: Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, che, se incontrate il mio Diletto, Gli diciate che io languisco di amore, intendendo le creature per figlie di Gerusalemme.
3 - li secondo genere di pena è una piaga, la quale .si imprime maggiormente nell'anima e quindi dura di più, poiché è come una ferita cambiatasi in piaga, mediante la quale l'anima si sente veramente piagata d'amore. Tale piaga viene prodotta in lei dalla notizia delle opere della Incarnazione del Verbo e dei misteri della fede, i quali, poiché sono le maggiori opere di Dio e contengono in sé un amore superiore a quello delle creature, producono nell'anima un effetto più profondo di amore, ta1ché se il primo è come una ferita, questo secondo è ormai come una piaga ~ dura. Lo Sposo dei Cantici parlandone con l'anima dice Piagasti il mio cuore, sorella mia, piagasti il mio cuore con uno dei tuoi occhi e con un capello del tuo collo (4, 9). L'occhio significa la fede nell'Incarnazione dello Sposo, il capello l'amore verso di essa.
4 - La terza specie di pena nell'amore è simile alla morte, il che equivale ora ad avere come una piaga infistolita; anzi l'anima stessa è divenuta tutta una piaga purulenta, e vive morendo finché l'amore, uccidendola, non le faccia vivere vita d'amore, trasformandola in amore. Questa morte di amore è causata nell'anima da un sublime tocco di notizia sulla divinità, la quale è quel non so che di cui si parla in questa strofa di cui dicon balbettando. Il tocco non è continuo né grande, poiché altrimenti l'anima si separerebbe dal corpo, ma dura poco; e l'anima sta sul punto di morire d'amore e tanto più muore quanto più si accorge che non finisce di morire per amore. Questo si chiama amore impaziente; se ne parla nel Genesi dove si legge che in Rachele il desiderio di aver figli fu tanto da spingerla a dire al suo sposo Giacobbe: Da mihi liberos, alioquin moriar (30, I) cioè: Dammi dei figli, altrimenti morirò· E il Profeta Giobbe dice: Quis mihi det, ut qui coepit ipse me conterat? (6, 9) vale a dire: Chi mi darà che colui il quale ha cominciato l'opera, la conduca a termine?
5 - L'anima nella presente strofa afferma che queste due specie di pene, cioè la piaga e la morte, le sono prodotte dalle creature razionali. Ella afferma che le producono la piaga quando dice: mille grazie di te mi van narrando sui misteri e sulla sapienza di Dio insegnati dalla fede; la morte, con quel non so che cioè con il sentimento e la notizia della divinità che alcune volte si manifestal1e all'anima in ciò che ella sente dire di Dio.
Pertanto dice cosi:
Tutti color che vagano.
6 - Per quelli che vagano intende le creature razionali cioè gli Angeli e gli uomini, poiché essi soli fra tutti ',' esseri creati si dedicano a Dio, attendendo a Lui, poiché il termine vagano ha lo stesso significato del latino «vacant». Perciò è come dire: «Tutti coloro che si dedicano» a Dio, cosa che alcuni, gli Angeli, fanno in cielo contemplandolo e godendolo, e gli altri, cioè gli uomini, in terra amandolo e desiderandolo.
Per mezzo di queste creature razionali l'anima conosce il Signore più al vivo, sia per la considerazione. della eccellenza che esse hanno su tutte le cose create, sia per .quello che ci insegnano intorno a Dio, le une, come fanno gli Angeli, interiormente per mezzo di ispirazioni segrete, le altre esternamente mediante le verità della Sacra Scrittura. Perciò ella dice:
mille grazie di te mi van narrando,
7 - cioè, mi fanno conoscere cose mirabili intorno alla tua grazia e alla tua misericordia nelle opere della tua Incarnazione e delle verità della fede che di te mi parlano. E sempre più mi narrano poiché, quanto più esse vorrebbero dire, tanto maggiori sono le grazie che potrebbero scoprire di te.
E tutti più mi piagano,
8 - quanto più gli Angeli mi ispirano e gli uomini mi ammaestrano intorno a re, più mi innamorano e cosi tutti mi piagano maggiormente di amore.
Mi fa quasi morire
un non so che che dicon balbettando.
9 - Come se dicesse: oltre al fatto che queste creature mi piagano descrivendomi le infinite tue grazie, sento che resta da dire un non so che che non si sa esprimere e qualcosa che non si conosce. Si manifesta all'anima, un orma sublime di Dio che rimane da investigare e un altissima conoscenza di Lui che è impossibile esprimere (per questo, l'anima lo dice un non so che). E cosi se tutto il resto che io intendo mi piaga e mi ferisce d'amore, questo che non riesco ad intendere, ma di cui soffro profondamente, mi uccide.
Ciò accade qualche volta alle anime già progredite, alle quali Dio fa la grazia di concedere in ciò che vedono e intendono, e talvolta senza nessuno di questi mezzi, una sublime notizia in cui fa loro intendere e sentire la sua altezza e la sua grandezza. In tale cognizione queste anime sentono Dio in maniera così sublime da vedere chiaramente che rimane loro tutto da intendere. Capire che la divinità è così immensa da non poter essere compresa perfettamente è una scienza molto sublime.
Perciò una delle grazie grandi date di sfuggita da Dio a un'anima in questa vita è quella di farle capire chiaramente e sentire altamente di Lui in maniera tale da comprendere con chiarezza che Egli non si può conoscere e sentire del tutto.
Ciò infatti è simile in qualche modo a quanto accade a coloro che lo vedono in cielo, dove chi conosce di più Dio, intende più distintamente l'infinito che ancora Don può capire, mentre quelli che meno lo vedono sono coloro ai quali non appare tanto distintamente come agli altri quanto rimane loro ancora da vedere.
10 - Credo che chi non ne ha affatto l'esperienza, non arriverà a conoscere perfettamente la cosa; ma l'anima che lo prova, vedendo che le rimane da intendere quello di cui ha un concetto profondo, lo chiama un non so che; infatti come non si capisce, così nemmeno si sa dire, anche se si gusta. Per questo l'anima afferma che le creature dicono balbettando, perché non riescono a farlo capire. Questo è il significato di balbettare, che è il modo di parlare dei bambini, il che equivale a non riuscire a dire e fare intendere ciò che si deve dire.')
ANNOTAZIONE SULLA STROFA SEGUENTE
I - Anche circa le altre creature, accadono all'anima delle illustrazioni simili a quelle di cui si è parlato, quantunque non sempre così elevate, allorché Dio le fa la grazia di rendergliene accessibili la notizia e il senso. Pare che queste facciano capire la grandezza di Dio, cosa che invece non riescono a fare; somigliano a chi si accinge a far capire una cosa e non ci riesce; perciò si tratta di un non so che che dicon balbettando. In tal modo l'anima prosegue ne suo lamento e parla con la propria vita nella strofa seguente dicendo:
STROFA 8
Ma come tu resisti,
o vita, non vivendo dove vivi,
bastando perché muoia
le frecce che ricevi
da ciò che dell'Amato tu capisci ?
SPIEGAZIONE
2 - Poiché si accorge di morire di amore, senza finire però di morire,' onde poter godere con libertà dell'amore, l'anima si lamenta della durata della vita corporea, a causa della quale le viene differita quella spirituale.
Perciò in questa strofa ella parla con la sua vita, mettendo in risalto il dolore che le causa. Ecco il senso della strofa: Vita dell'anima mia, come puoi perseverare nel corpo, essendo morte e privazione della vita vera e spirituale di Dio, in cui tu vivi con maggiore verità che nel corpo, per essenza, amore e desiderio? E dato pure che ciò non sia causa che tu te ne esca dal corpo di questa morte (Rom. 7, 24) per godere e vivere la vita del tuo Dio, come puoi ancora perdurare in un corpo tanto fragile giacché, oltre a ciò per troncarti la vita sono di per sé sufficienti le ferite di amore che ricevi dalle grandezze che ti vengono comunicate da parte dell'Amato, poiché tutte queste ti feriscono di amore ardente causato in te da quanto tu senti e capisci di Lui, tocchi e ferite le quali uccidono d'amore?
Seguono i versi:
Ma come tu resisti,
o vita, non vivendo dove vivi?
3 - Per capire questi versi è necessario sapere che l'anima, più che nel corpo da lei animato, vive in ciò che ama:ella non ha la sua vita nel corpo, al quale anzi la comunica, ma vive per amore in ciò che ama. Però oltre a questa vita di amore in forza della quale ella vive in Dio che ama, l'anima naturalmente e radicalmente come tutti gli esseri creati, ha la sua vita in Dio. Lo afferma S. Paolo:
In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo (Atti, 17, 28), vale a dire: In Dio abbiamo la nostra vita, il nostro moto e il nostro essere, e S. Giovanni (I, 4): Tutto ciò che fu fatto, era vita in Dio. Vedendo dunque l'anima di avere la sua vita naturale in Dio per l'essere ricevuto da Lui e anche quella spirituale per l'amore con cui lo ama si lamenta che una vita tanto fragile come quella mortale, le impedisca di godere. una vita forte, vera e gioiosa come è quella che vive in Dio per natura e per amore.
A tale proposito con forti espressioni l'anima fa capire che soffre per la contraddizione esistente tra la vita naturale del corpo e quella spirituale in Dio, le quali sono contrarie in sé, perché ripugnano l'una all'altra. Vivendo l'una e l'altra, necessariamente ne riceve grande tormento, in quanto che la vita penosa le è di impedimento a quella felice, poiché la vita naturale è per lei come morte, privandola di quella spirituale in cui ella ha tutto il proprio essere, la propria vita per natura e tutte le sue operazioni e i suoi affetti per amore.
A fine di far capire maggiormente l'asprezza di fragile vita, soggiunge subito:
bastando perché muoia
le frecce che ricevi.
4 - È come dire: oltre a quanto è stato detto, come puoi perseverare nel corpo giacché per toglierti la vita sono in sé sufficienti i tocchi di amore (ciò si intende per frecce) con cui l'Amato ti colpisce in cuore? questi tocchi rendono feconda l'anima e il cuore di 10tellIgenza e di amore di Dio in maniera tale che si può dire con verità che ella concepisce da Dio, secondo quanto afferma nel verso seguente:
da ciò che dell'Amato tu capisci,
5 - vale a dire, quello che tu intendi della grandezza, bellezza, sapienza, grazia e virtù di Lui.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
I - Come un cervo ferito il quale, se intossicato da un'erba, non trova riposo ma corre da ogni parte in. cerca di qualche rimedio, ora tuffandosi in un ruscello ora in un altro e nonostante gli sforzi che fa e i farmachi che prende, sente crescere sempre più la forza del veleno finché questo non si impossessa del suo cuore e lo uccide, così accade all'anima di cui stiamo parlando, toccata dall'erba dell'amore. Ella incessantemente va in cerca di qualche rimedio al suo dolore e non solo non lo trova, ma tutto ciò che pensa, dice e opera serve ad aumentarlo. Si accorge quindi. che per lei non vi può essere altra medicina all'infuori. di quella di mettersi nelle mani di Dio affinché Egli, togliendola dalle sofferenze, finisca davvero di ucciderla con la forza del suo amore. Rivolgendosi dunque allo Sposo, che è la causa di tutto questo dolore, dice la strofa seguente:
STROFA 9
Dopo aver piagato
questo mio cuor, perché non lo sanasti?
Giacché me l'hai rubato,
perché così il lasciasti,
senza prender con te quel che rubasti?
SPIEGAZIONE
2 - In questa strofa l'anima torna a parlare con l'Amato lamentandosi ancora del suo dolore poiché l'amore impaziente, quale ella dimostra di avere, non concede alcun riposo alla sua pena; espone quindi in ogni modo le sue ansie finché non trova rimedio. L'anima dunque vedendosi piagata e sola senza altro rimedio e medicina ad eccezione del suo Amato, cioè colui che l'ha ferita, si rivolge a Lui chiedendogli per quale motivo, dopo averle pia gato il cuore con l'amore della sua notizia, non glielo abbia poi risanato con la sua presenza. Dal momento poi che glielo ha anche rubato per mezzo dell'amore con cui l'ha innamorata, strappandolo al suo potere, gli chiede anche perché glielo ha lasciato così, ossia sottratto al suo potere (infatti chi ama non è più padrone del suo cuore, poiché l'ha dato alla persona amata) e non l'ha collocato veramente nel suo, prendendolo per sé nell'intera e perfetta trasformazione di amore nella gloria. Perciò dice:
Dopo aver piagato
questo mio cuor, perché non lo sanasti?
3 - L'anima non si lamenta di essere stata piagata, poiché la persona innamorata è tanto più contenta quanto più è ferita, ma del fatto che lo Sposo, avendole piagato
il cuore, non l'ha risanato, finendo di ucciderla. Le ferite di amore sono così dolci e gustose che non possono soddisfare l'anima, se non la conducono a morte; le sono però tanto gustose che ella desidera che esse la piaghino in maniera tale da toglierle la vita. Per questo ella dice: Dopo aver piagato - questo mio cuor, perché non lo sanasti? quasi dicesse: Se tu l'hai ferito fino a piagarlo, perché dunque non lo risani, facendolo morire di amore? Poiché tu hai causato la piaga nella pena di amore, sii anche la causa della salute nella morte di amore, così il cuore piagato dal dolore della tua lontananza, risanerà con il diletto glorioso della tua dolce presenza.
E soggiunge:
Giacché me l'hai rubato,
perché così il lasciasti?
4 - Rubare è l'atto mediante cui il ladro toglie la roba al padrone e se ne impossessa. L'anima quindi ora si lamenta con l'Amato chiedendogli per qual ragione, dopo averle rubato il cuore sottraendolo al suo potere, l'ha lasciato sospeso, senza farlo passare davvero in suo possesso, come fa il ladro il quale di fatto porta via con sé gli oggetti rubati.
5 - Si afferma che all'innamorato è stato rubato il cuore dalla persona amata, perché ormai lo tiene fuori di sé nella cosa che ama, per cui non lo ha più per sé, ma per l'amato. Da ciò l'anima potrà conoscere molto bene se ama puramente Dio; se infatti lo ama, non avrà più il cuore per sé stessa, né avrà di mira il proprio gusto e la propria capacità, ma solo l'onore e la gloria di Dio, cercando di piacere a Lui, poiché quanto più riserba il cuore per sé, tanto meno lo possiede per il Signore.
6 - Che il cuore sia stato ben rubato da Dio, si può vedere osservando se l'anima prova ansie per l'Amato, senza godere di altra cosa all'infuori di Lui, come fa capire qui. La ragione va ricercata nel fatto che il cuore non può stare in pace e in riposo se non possiede qualche cosa per cui, quando è assai affezionato, non ha più il possesso né di sé, né di alcun'altra cosa; se poi non possiede perfettamente neppure ciò che ama, non può essere esente da un dolore conforme alla mancanza finché non lo possiede. Infatti fino a questo punto, l'anima è come un vaso vuoto in attesa di essere riempito, come un affamato che desidera il cibo, come un infermo che sospira per la salute e come chi sta sospeso in aria e privo di un sostegno a cui appoggiarsi. Tale è la condizione del cuore veramente innamorato. L'anima dunque, sentendo ciò per esperienza, esclama: perché così il lasciasti? vale a dire, perché lo lasciasti vuoto, affamato, solo, piagato e infermo di amore, sospeso in aria,
senza prender con te quel che rubasti?
7 - vale a dire: perché non prendi il cuore che rubasti per amore, per riempirlo, sfamarlo, accompagnarlo e sanarlo dandogli sede e riposo pieno in te?
L'anima innamorata, per quanta sia la sua somiglianza con l'Amato, desidera necessariamente la ricompensa del suo amore, ricompensa per la quale ella serve l'Amato, poiché altrimenti il suo non sarebbe vero amore. Tale ricompensa, senza che l'anima possa desiderare altro, consiste solo in un amore sempre maggiore fino a raggiungerne la perfezione. L'amore infatti ricompensa di sé con se stesso, secondo quanto fa capire Giobbe con queste parole parlando con le stesse ansie e lo stesso desiderio con cui. si esprime l'anima: Come il servo desidera l'ombra e come il mercenario aspetta la fine della sua opera, così anch'io ho avuto i mesi vuoti e ho contato le notti dolorose e lunghe. Se mi metto a dormire, dico: - Quando spunterà l'alba per alzarmi? - E poi tornerò nuovamente ad attendere la sera e sarò pieno di dolore fino alle tenebre notturne (7, 2-4). In tal modo l'anima che cammina ardendo di amore di Dio, ne desidera il compimento perfetto per raggiungere il pieno refrigerio. Come il servo, fiaccato dal calore estivo, desidera il sollievo dell'ombra e come il mercenario aspetta il termine della sua opera, cosi l'anima attende la fine della sua.
C'è da notare come il profeta Giobbe non dice che il mercenario aspetta la fine «del suo lavoro », ma della « sua opera» per farci comprendere quanto andiamo dicendo e cioè che l'anima amante non aspetta la fine del suo lavoro, ma quella della sua opera. Infatti la sua opera è quella di amare, opera della quale attende il termine, che è la perfezione completa dell'amore di Dio. Finché non ha raggiunta questa meta, l'anima si trova nelle condizioni descritte nel testo di Giobbe, stimando vuoti i giorni e i mesi, dolorose e lunghe le notti.
Da quanto è stato detto si capisce come l'anima che ama Dio, per il suo servizio, non deve volere né sperare da Lui altra ricompensa all'infuori di quella della perfezione dell'amore divino.
ANNOTAZIONE SULLA STROFA SEGUENTE
I - L'anima dunque giunta a questo grado di amore è simile ad un infermo molto stanco, il quale, perduto il gusto e l'appetito, ha fastidio di ogni genere di cibo e in tutto prova molestia e stizza; l'unico che ha sempre presente e desidera è la salute; tutto ciò che ad essa non si riferisce è per lui grandemente molesto.
Perciò l'anima giunta a queste sofferenze di amore di Dio, ha tre proprietà e cioè in ogni cosa che tratta ha sempre presente la preoccupazione della sua salute, che è il suo Amato, non prova gusto in nessuna cosa, da cui segue che tutto le è molesto e qualsiasi conversazione pesante e noiosa.
2 - La ragione di tutto ciò, deducendola da quanto è stato detto, è che, essendo la volontà dell'anima già tocca e saporosa del cibo dell'amore di Dio, in ogni cosa o persona che le si presenta, immediatamente si volge a cercare e a godere il suo Amato, senza badare ad altro piacere o riguardo. Così fece Maria Maddalena allorché con aro dente amore andava cercando il Signore nell'orto; pensando che fosse l'ortolano, senza consiglio e riflessione alcuna gli disse: Se l'hai preso tu, dimmelo ed io lo riprenderò (Gv. 20, 15)· L'anima ha una simile ansia di trovarlo in tutte le cose, ma non trovandolo come desidera, anzi accadendo il contrario, non solo non prova gusto in esse, ma ne riporta piuttosto tormento, talvolta assai grande. Infatti tali anime soffrono molto nel trattare con gli uomini e nel disbrigare gli affari perché tutto ciò, più che essere loro di aiuto, è di ostacolo al raggiungimento del loro fine.
3 - La sposa dei Cantici fa ben capire di possedere queste tre proprietà quando va in cerca del suo Sposo: Lo cercai e non lo trovai. Però mi incontrarono quei che panno in giro per la città e mi percossero e mi ferirono e le guardie delle mura mi tolsero il manto (5, 6-7). Coloro che vanno in giro per la città sono le conversazioni del mondo le quali, allorché incontrano l'anima che cerca Dio, la colpiscono con molte piaghe, pene, dolori e disgusti, poiché essa non solo non trova in loro ciò che cerca, ma viene anzi impedita nella sua ricerca. Coloro poi che difendono il muro della contemplazione perché l'anima non vi entri, cioè i demoni e gli affari del mondo, le tolgono il mantello d~ pace e della quiete dell'amorosa contemplazione.
Da tutto ciò l'anima innamorata di Dio riceve mille noie e disgusti e conoscendo che, finché rimane in questa vita senza vedere il suo Dio, non se ne può liberare del tutto, continua a pregare il suo Amato dicendo la strofa seguente:
STROFA 10
Estingui le mie pene,
che nessuno ha il poter di eliminare,
ti veggan gli occhi miei,
poiché sei loro luce,
che per te solo voglio conservare.
SPIEGAZIONE
4 - Nella strofa presente l'anima continua a parlare chiedendo all'Amato di porre fine alle sue ansie e alle sue pene, poiché nessun'altra persona all'infuori di Lui può farlo. Lo prega anche di concedere al suoi occhi la grazia di poterlo vedere, giacché Egli solo è la luce in cui essi mirano, ed ella non li vuole usare per vedere altro se non Lui solo.
Estingui le mie pene.
5 - La concupiscenza dell'amore, come è stato detto, ha questa proprietà: tutto ciò che non si confà, che non si addice o non conviene con quanto è amato dalla volontà la stanca, l'affatica, la conturba e la rende disgustata, poiché vede che non si compie il suo desiderio. A tutto ciò e alla fatica che fa per vedere Dio, dà il nome di pene, pene che nessuna cosa è sufficiente a distruggere, solo il possesso dell'Amato. Per questo lo invita ad eliminarle con la sua presenza, refrigerandole tutte, come l'acqua fresca fa con chi è affaticato dal caldo. Usa quindi in questo luogo il termine estingui onde far capire come ella patisce a causa del fuoco di amore.
Che nessuno ha il poter di eliminare.
6 - L'anima a fine di muovere e di persuadere di più l'Amato a compiere la sua richiesta, lo invita ad estinguere le sue pene, dal momento che nessun altro è capace di venire incontro a quanto essa chiede. C'è da notare come Dio sia molto pronto a consolare l'anima e a soddisfarla nelle sue pene e nelle sue necessità, allorché ella non ha né pretende soddisfazione e conforto alcuno fuori di Lui. Perciò l'anima che non si attarda in nessuna cosa fuori di Dio, non può stare a lungo senza esser visitata dall'Amato.
Ti veggan gli occhi miei,
7 - vale a dire: ti possa vedere io a faccia a faccia, con gli occhi miei,
poiché sei loro luce.
8 - Dio, oltre ad essere luce soprannaturale degli occhi dell'anima, senza la quale costei si troverebbe fra le tenebre, viene da lei chiamato per affetto luce dei suoi occhi nello stesso senso con cui chi ama è solito chiamare la persona amata, per significare l'amore che le porta lume dei suoi occhi.
Perciò è come se nei due versi citati l'anima dicesse:
Poiché i miei occhi non hanno altra luce all'infuori di te né per natura né per amore, ti veggano poiché sei loro luce in ogni modo. Di questa luce sente la mancanza David quando dice con dolore: Non ho. in me neppure la luce del miei occhi (Sal. 37, II) e Tobia: Qual gioia vi può essere per me che mi trovo tra le tenebre e non vedo la luce del cielo? (5, 12), parole con cui egli esprime il desiderio della chiara visione di Dio, poiché luce del cielo è il Figlio di Dio, secondo quanto afferma S. Giovanni: La città celeste non ha bisogno di sole e di luce che la illuminino, perché è illuminata dallo splendore di Dio la cui luce è l'Agnello (Apoc. 21, 23). '
Che per te solo voglio conservare.
9 - Con tale espressione l'anima vuole obbligare lo Sposo a manifestarle la luce dei suoi occhi, non solo perché essendo priva di ogni altra luce, essa rimarrebbe all'oscuro, ma anche perché la vuole conservare solo per Lui. Infatti come giustamente viene privata di questa luce l'anima che vuole posare gli occhi della sua volontà in altra luce di qualche cosa fuori di Dio, in quanto occupa la vista per vedere questa cosa, cosi giustamente merita di vederla l'anima che chiude gli occhi a tutte le cose per fissarli unicamente in Dio.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
l - È necessario sapere che l'amoroso Sposo delle anime non può vederle soffrire molto tempo da sole, come fa con questa di cui stiamo parlando, poiché, secondo quanto Egli afferma per mezzo di Zaccaria, le loro pene e i loro lamenti gli toccano le pupille degli occhi (2, 8), specialmente quando le pene di quelle anime, come nel caso presente, sono cagionate dal suo amore. Perciò dice in Isaia: Prima che essi alzino la voce, io li esaudirò, mentre stanno ancora con le parole sulle labbra, io li ascolterò (65,24), e il Savio afferma: Se l'anima lo cercherà come si circa il denaro, lo troverà (Prov. 2, 4-5).
E cosi a quest'anima innamorata, che lo cerca con brama. maggiore di quella con cui si cerca il denaro, giacché per Lui ha abbandonato tutte le cose e se stessa, sembra che dopo preghiere cosi ardenti il Signore abbia fatto gustare qualche raggio della sua presenza spirituale, in cui le ha mostrato alcuni riflessi profondi della sua divinità e bellezza, mediante i quali le ha accresciuto molto il desiderio e l'ardore di vederlo. Infatti come si suole gettare l'accqll8 nella fornace perché il fuoco si accenda e bruci di più, così fa il Signore con alcune di queste anime infiammate di amore, dando loro segni della sua eccellenza per infervorarle maggiormente e per disporle di più alle grazie che vuol fare loro in seguito.
Pertanto l'anima, avendo veduto e sentito in quella oscura presenza il sommo bene e la bellezza divina nascosti, morendo dal desiderio di vederli, dice la strofa seguente: