Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
28 febbraio 1947.
570.1Stanno per entrare in Lebona, città che non mi pare molto importante né bella, ma che in compenso è molto affollata, dato che già sono in moto le carovane che scendono per la Pasqua a Gerusalemme venendo dalla Galilea e dall’Iturea, Gaulanite, Traconite, Auranite e Decapoli. Direi che Lebona fosse su una strada carovaniera, anzi fosse nodo di strade carovaniere venienti da queste regioni, dal Mediterraneo ai monti ad est della Palestina e dal nord della stessa, per riunirsi in questo luogo sulla grande strada che conduce a Gerusalemme. Probabilmente questa preferenza della gente viene dal fatto che questa strada è molto presidiata dai romani e perciò la gente si sente di più sicura dal pericolo di cattivi incontri con ladroni. Penso così. Ma forse questa preferenza viene da altre cause, da ricordi storici o sacri, non so.
Le carovane, data l’ora propizia — giudicherei dal sole che sono circa le otto del mattino — stanno mettendosi in moto fra un gran baccano di voci, di strilli, di ragli, di sonagli, di ruote. Donne che chiamano i bambini, uomini che incitano le bestie, venditori che offrono mercanzie, contrattazioni fra i venditori samaritani e quelli… meno ebrei, ossia quelli della Decapoli e di altre regioni, poco intransigenti perché più fuse all’elemento pagano, ripulse sdegnose sino all’improperio quando un disgraziato venditore di Samaria si avvicina ad offrire i suoi generi a qualche campione di giudaismo. Sembra che siano avvicinati dal diavolo in persona tanto gridano all’anatema… suscitando reazioni vivissime dei samaritani offesi. E qualche parapiglia succederebbe se non ci fossero i militi romani a fare buona guardia.
570.2Gesù avanza fra questa confusione. Intorno a Lui gli apostoli, dietro le discepole, dietro queste il codazzo di quelli di Efraim aumentati da molti di quelli di Silo.
Un sussurro precede il Maestro. Si propaga da quelli che lo vedono a quelli che sono più là e ancor non lo vedono. Uno, più forte, lo segue. E molti sospendono la partenza per vedere ciò che accade.
Si chiedono: «Come? Egli si allontana dalla Giudea sempre più? Che? Predica, ora, in Samaria?».
Una voce cantante di Galilea: «Lo hanno respinto i santi, ed Egli si rivolge ai non santi per santificarli, a scorno dei giudei».
Una risposta acre più di un acido velenoso: «Ha ritrovato il suo nido e chi intende la sua parola di demonio».
Un’altra voce: «Tacete, assassini del Giusto! Questa persecuzione vi marcherà nei secoli col nome più brutto. Voi corrotti tre volte più di noi della Decapoli».
Un’altra di vecchio, tagliente: «Tanto giusto che fugge dal Tempio per la Festa delle feste. Eh! Eh! Eh!».
Uno di Efraim, rosso d’ira: «Non è vero. Tu menti, vecchia serpe! Egli va ora alla sua Pasqua».
Un barbuto scriba, con sprezzo: «Per la via del Garizim».
«No. Del Moria. Viene a benedirci perché Egli sa amare, poi sale al vostro odio, maledetti!».
«Taci, samaritano!».
«Taci tu, demonio!».
«Chi fa sommossa avrà le galere. Ponzio Pilato così ordina. Ricordate. E scioglietevi», impone un graduato romano facendo manovrare i suoi dipendenti per separare quelli che stanno già per azzuffarsi in una delle tante dispute regionali e religiose, sempre pronte a sorgere nella Palestina dei tempi di Cristo.
La gente si scioglie. Ma nessuno parte più. Gli asini vengono riportati agli stallaggi, oppure avviati verso il luogo dove si è diretto Gesù. Donne e bambini scendono di sella e seguono i mariti e padri, oppure restano in gruppo cicaleggiante, se l’umor maritale o paterno così ordina, «perché non sentano parlare il demonio». Ma gli uomini amici, nemici, o semplicemente curiosi, corrono verso il luogo dove è andato Gesù. E correndo si guardano male, o si confortano di questa insperata gioia, o fanno domande, a seconda che sono amici con nemici, o amici fra loro, o curiosi.
570.3Gesù si è fermato in una piazza, presso l’inevitabile fonte ombreggiata da qualche albero. È là, contro il muro umido della fonte, che qui è come ricoperta da un piccolo portico, aperto soltanto da un lato. Forse è più un pozzo che una fonte. Assomiglia al pozzo di En Rogel.
Sta parlando con una donna che gli presenta il figliolino che ha fra le braccia. Vedo che Gesù assente e pone sul capo del fanciullo la sua mano. E subito dopo vedo che la madre alza il fanciullo e grida: «Malachia, Malachia, dove sei? Il nostro maschio non è più deforme», e la donna trilla il suo osanna, al quale si unisce quello della folla, mentre un uomo si fa largo e va a curvarsi davanti al Signore.
La gente commenta. Le donne, madri per lo più, si felicitano con la donna che ha avuto grazia. I più lontani allungano il collo e chiedono: «Ma che è stato?», dopo aver gridato «osanna», per unirsi a quelli che sanno cosa è avvenuto.
«Un bimbo gobbo, gobbo tanto da non potersi reggere sulle gambe che a fatica. Era lungo così, vi dico, proprio così, tanto era curvo. Pareva di tre anni, e sette ne aveva. Ora guardatelo! È alto come tutti, dritto come una palma, svelto. Vedetelo là come si arrampica sul muretto della fonte per essere visto e per vedere. E come ride felice!».
570.4Un galileo si volge ad uno che, dai larghi fiocchi della cintura, credo di indovinare se lo dico rabbi, e gli chiede: «Eh? Che ne dici? Opera di demonio anche questa? In verità, se così fa il demonio, levando tante sventure per far felici gli uomini e lodato Iddio, occorrerà dire che esso è il miglior servo di Dio!».
«Bestemmiatore, taci!».
«Non bestemmio, rabbi. Commento ciò che vedo. Perché la vostra santità ci porta addosso soltanto pesi e sventure, e improperi sul labbro, e pensieri di sfiducia nell’Altissimo, mentre le opere del Rabbi di Nazareth ci dànno pace e certezza che Dio è buono?».
Il rabbi non risponde, si scosta e va a parlottare con altri suoi amici.
570.5E uno di essi si stacca e si fa largo andando di fronte a Gesù che interpella, senza salutarlo prima, così: «Che conti di fare?».
«Parlare a quelli che chiedono la mia parola», risponde Gesù guardandolo negli occhi senza sprezzo, ma anche senza paura.
«Non ti è lecito. Il Sinedrio non vuole».
«Vuole l’Altissimo, del quale il Sinedrio dovrebbe esser servo».
«Sei condannato, lo sai. Taci, o…».
«Il mio nome è Parola. E la Parola parla».
«Ai samaritani. Se fosse vero che Tu sei Chi dici d’essere, non daresti ai samaritani la tua parola».
«L’ho data e la darò a galilei, come a giudei, come a samaritani, perché non c’è differenza agli occhi di Gesù».
«Pròvati a darla in Giudea, se osi!…».
«In verità Io la darò. Attendetemi. Non sei tu Eleazar ben Parta? Sì? Allora certo tu vedrai, prima di Me, Gamaliele. Digli a mio nome che anche a lui darò, dopo ventuno anni, la risposta che attende. Hai capito? Ricorda bene: anche a lui darò, dopo ventuno anni, la risposta che attende. Addio».
«Dove? Dove vuoi parlare, dove rispondere al grande Gamaliele? Egli certo ha già lasciato Gamala di Giudea per entrare in Gerusalemme. Ma anche fosse ancora in Gamala, Tu non potresti parlargli».
«Dove? E dove si adunano gli scribi e i rabbi d’Israele?».
«Nel Tempio? Tu, nel Tempio? E oseresti? Ma non sai…».
«Che mi odiate? Lo so. Mi basta di non essere odiato dal Padre mio. Fra poco il Tempio fremerà per la mia parola».
E senza più curarsi del suo interlocutore, apre le braccia per imporre silenzio alla gente, che si agita in opposte correnti e tumultua contro i disturbatori.
570.6Si fa subito silenzio, e nel silenzio Gesù parla.
«A Silo ho parlato dei cattivi consiglieri e di quanto può realmente fare, di un consiglio, un bene o un male. A voi, non più di Lebona soltanto, ma di ogni parte della Palestina, propongo ora questa parabola. La chiameremo: “La parabola dei mal consigliati”.
Udite. Un tempo vi era una famiglia numerosissima tanto da essere una tribù. Figli numerosi si erano sposati, formando, intorno alla prima famiglia, molte altre famiglie ricche di figli, i quali alla loro volta, sposandosi, avevano formato altre famiglie. Cosicché il vecchio padre si era come trovato a capo di un piccolo regno del quale egli era re.
Come sempre avviene nelle famiglie, fra i molti figli, e i figli dei figli, erano diversi i caratteri. Chi buono e giusto, e chi prepotente e ingiusto. Chi contento del suo stato e chi invidioso, parendogli minore la sua parte a quella del fratello o del parente. E vi era, presso il più malvagio, il più buono di tutti. E naturale era che questo buono fosse il più teneramente amato dal padre di tutta la grande famiglia. E, come sempre avviene, il malvagio, e quelli più simili a lui, odiavano il buono, perché era il più amato, non riflettendo che essi pure avrebbero potuto essere amati, se fossero stati buoni come lui. E il buono, al quale il padre confidava i suoi pensieri perché li dicesse a tutti, era seguito dagli altri buoni. Cosicché, dopo anni e anni, la grande famiglia si era divisa in tre parti. Quella dei buoni e quella dei malvagi. E fra questa e quella era la terza parte, fatta degli incerti, i quali si sentivano attirati verso il figlio buono, ma temevano il figlio malvagio e quelli del suo partito. Questa terza parte barcamenava fra l’una e l’altra delle due prime, né sapeva decidersi per l’una o per l’altra con fermezza.
Allora il vecchio padre, vedendo questa incertezza, disse al figlio suo diletto: “Sinora tu hai speso la tua parola specialmente per quelli che l’amano e per quelli che non l’amano, perché i primi te la chiedono per amarmi sempre più con giustizia, e gli altri sono degli stolti che devono essere richiamati alla giustizia. Ma tu vedi che questi stolti non solo non l’accolgono, restando ciò che erano, ma alla loro prima ingiustizia verso te, portatore del mio desiderio, uniscono quella di corrompere con mali consigli quelli che ancora non sanno volere fortemente prendere la via migliore. Va’ dunque da essi e parla loro di ciò che io sono, e di ciò che tu sei, e di ciò che devono fare per essere con me e con te”.
570.7Il figlio, sempre ubbidiente, andò come voleva il padre e ogni giorno conquistava qualche cuore. E il padre vide così chiaramente chi erano i veri suoi figli ribelli e li guardava con severità senza però rimproverarli, perché era padre e voleva attirarli a sé con la pazienza, l’amore e l’esempio dei buoni.
Ma i malvagi dissero, vedendosi soli: “Così troppo chiaramente appare che noi siamo i ribelli. Prima ci confondevamo fra quelli che non erano né buoni né cattivi. Ora vedeteli là! Vanno tutti dietro al figlio diletto. Occorre fare. Distruggere la sua opera. Andiamo, fingendoci ravveduti, fra quelli appena convertiti e anche presso i più semplici dei migliori, e spargiamo voce che il figlio diletto finge di servire il padre ma in verità si fa dei seguaci per poi rivoltarsi a lui, o anche diciamo che il padre ha intenzione di eliminare il figlio e i suoi seguaci perché troppo trionfano e offuscano la sua gloria di padre-re, e che perciò, per difendere il figlio diletto e tradito, bisogna trattenerlo fra noi, lontano dalla casa paterna dove lo attende il tradimento”.
E andarono, così astutamente sottili nel suggerire e spargere voci e consigli, che molti caddero nel tranello, specie quelli che erano da poco convertiti, ai quali i cattivi consiglieri davano questo cattivo consiglio: “Vedete quanto egli vi ha amato? Ha preferito venire fra voi che stare presso il padre, o quanto meno presso i buoni fratelli. Tanto ha fatto che al cospetto del mondo vi ha rialzato dalla vostra abbiezione di esseri che non sapevano ciò che volevano ed erano perciò derisi da tutti. Per questa sua predilezione per voi, voi avete il dovere di difenderlo, anche di trattenerlo con la forza, se non bastano le vostre parole di persuasione, a rimanere nei vostri campi. Oppure sollevatevi, proclamandolo vostro duce e re, e marciate contro il padre iniquo e i suoi figli come lui iniqui”.
Dicevano ancora, a chi titubava osservando: “Ma egli vuole, ha voluto che noi si andasse con lui ad onorare il padre, e ci ha ottenuto benedizioni e perdono”, dicevano a questi: “Non credete! Non tutto il vero egli vi ha detto, né tutto il vero il padre vi ha mostrato. Egli ha fatto così perché sente che il padre sta per tradirlo e ha voluto provare i vostri cuori per sapere dove trovare protezione e rifugio. Ma forse… — è tanto buono! — forse poi si pentirà di aver dubitato del padre e vorrà tornare a lui. Non glielo permettete”.
E molti promisero: “Non lo permetteremo”, e si infervorarono in disegni atti a trattenere il figlio diletto, senza accorgersi che mentre i cattivi consiglieri dicevano: “Noi vi aiuteremo a salvare il benedetto”, i loro occhi erano pieni di luci di menzogna e crudeltà, né che essi si ammiccavano fregandosi le mani e bisbigliando: “Cascano nel tranello! Noi trionferemo!” ogni volta che qualcuno aderiva alle loro subdole parole.
570.8Poi se ne andarono, i cattivi consiglieri. Se ne andarono spargendo in altri luoghi la voce che presto si sarebbe visto il tradimento del figlio diletto, uscito dalle terre del padre per creare un regno, avverso al padre, con coloro che erano in odio al padre o per lo meno di incerto amore. E i suggestionati dai cattivi consigli intanto complottavano come fare ad indurre il figlio diletto al peccato di ribellione che avrebbe scandalizzato il mondo.
Solo i più sapienti fra loro, quelli nei quali era penetrata più in fondo la parola del giusto e vi aveva messo radice perché caduta in terreno avido di accoglierla, dissero, dopo aver riflettuto: “No. Ciò non è bene fare. È atto di malvagità verso il padre, il figlio e anche verso di noi. Noi conosciamo la giustizia e sapienza dell’uno e dell’altro. La conosciamo anche se sventuratamente non l’abbiamo sempre seguita. E non dobbiamo pensare che i consigli di quelli che sono sempre stati apertamente contro il padre e la giustizia, e anche contro il figlio diletto del padre, possano essere più giusti di quelli che ci ha dato il figlio benedetto”. E non li seguirono. Anzi, con amore e con dolore, lasciarono andare il figlio là dove doveva, limitandosi ad accompagnarlo con segni di amore sino ai confini dei loro campi ed a promettergli, nel commiato: “Tu vai. Noi restiamo. Ma le tue parole sono in noi, e d’ora innanzi noi faremo ciò che il padre vuole. Va’ tranquillo. Tu ci hai levato per sempre dallo stato in cui ci trovasti. Ora, messi sulla via buona, noi sapremo progredire in essa sino a giungere alla casa paterna in modo da essere benedetti dal padre”.
All’opposto, alcuni aderirono ai cattivi consigli e peccarono, tentando al peccato il figlio diletto e beffeggiandolo come stolto perché ostinato nel fare il suo dovere.
570.9Ora Io vi chiedo: “Perché lo stesso consiglio operò in diverso modo?”. Non rispondete? Io ve lo dirò, come lo dissi a Silo. Perché i consigli acquistano valore o divengono nulli a seconda che sono o non sono accolti. Inutilmente uno è tentato con mali consigli. Se non vuol peccare, non peccherà. E non sarà punito per aver dovuto sentire le insinuazioni dei malvagi. Non sarà punito, perché Dio è giusto e non punisce di colpe non fatte. Sarà solo punito se, dopo aver dovuto ascoltare il Male che tenta, senza usare dell’intelletto per meditare la natura del consiglio né l’origine dello stesso, lo mette in pratica. Né avrà scusa dicendo: “Lo credetti buono”. Buono è ciò che è gradito a Dio. Può forse Dio approvare e gradire una disubbidienza, o cosa che induce a disubbidienza? Può Dio benedire cosa in contrasto con la sua Legge, ossia con la sua Parola? In verità vi dico che no. E ancora in verità vi dico che bisogna saper morire anziché trasgredire alla Legge divina.
A Sichem parlerò ancora per farvi giusti nel saper volere o non volere praticare il consiglio che vi viene dato. Andate».
570.10La gente se ne va commentando.
«Hai sentito? Egli sa ciò che ci hanno detto! E ci ha richiamati alla giustizia del volere», dice un samaritano.
«Sì. E tu hai visto come si sono turbati i giudei e gli scribi che erano presenti?».
«Sì. Neppure hanno atteso la fine per andarsene».
«Male vipere! Però… Egli dice ciò che vuol fare. Fa male. Potrebbe causarsi delle noie. Quelli dell’Ebal e del Garizim si sono ben esaltati!…».
«Io… non mi sono mai illuso. Il Rabbi è il Rabbi. E in questo dire c’è tutto. Può il Rabbi peccare, non salendo al Tempio di Gerusalemme?».
«Troverà la morte. Vedrai!… E sarà finita!…».
«Per chi? Per Lui? Per noi? O… per i giudei?».
«Per Lui. Se muore!».
«Tu sei stolto, o uomo. Io sono di Efraim. Lo conosco bene. Ho vissuto vicino a Lui due lune intere, più ancora. Sempre parlava con noi. Sarà un dolore… Ma non una fine. Né per Lui, né per noi. Non può morire, finire, il Santo dei santi. Né può finire così per noi. Io… un ignorante sono, ma io sento che il Regno verrà quando i giudei lo crederanno finito… E i finiti saranno loro…».
«Tu pensi che i discepoli vendichino il Maestro? Una ribellione? Un eccidio? E i romani?…».
«Oh! non c’è bisogno di discepoli, di vendette d’uomini, di eccidi. Sarà l’Altissimo che li vincerà. Ci ha ben puniti noi, per secoli, e per molto meno! Vuoi che non punisca loro, per il loro peccato di tormentare il suo Cristo?».
«Vederli vinti! Ah!».
«Tu hai cuore che il Maestro non vorrebbe. Egli prega per i suoi nemici…».
«Io… gli vado dietro domani. Voglio sentire ciò che dice a Sichem».
«Io pure».
«Ed io anche…».
Molti di Lebona hanno lo stesso pensiero e, fraternizzando con quelli di Efraim e Silo, si vanno a preparare per la partenza di domani.