MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IX CAPITOLO 561



DLXI. Il saforim Samuele, da sicario a discepolo.

   5 febbraio 1947.

   561.1Gesù è solo, ancora nella caverna. Un fuoco splende a dar luce e calore, e un forte odor di resine e di frasche si sparge, fra scoppiettii e scintille, per l’antro. Gesù si è ritirato nel fondo, in un’insenatura dove sono gettate frasche secche, e sta meditabondo. La fiamma ondeggia ogni tanto e si abbassa e si ravviva alternativamente[20] per folate di vento, che scorrono per le selve e si insinuano mugolando nella caverna che ne risuona come una buccina. Non è un vento continuo. Cade, poi si rialza come i flutti di un mare in tempo d’onda lunga. Quando fischia forte, cenere e foglie secche sono sospinte verso lo stretto corridoio roccioso dal quale Gesù è venuto nella grotta più grande, e la fiamma si piega tutta a lambire il suolo da quella parte, poi, caduta l’onda del vento, si rialza, ancora guizzante, e riprende poi a splendere diritta. Gesù non se ne occupa. Medita.
   Poi al suono del vento si unisce quello della pioggia, che picchietta, prima rada e poi più fitta, sul frascame delle boscaglie. Un vero nubifragio muta presto i sentieri delle pendici in torrentelli scroscianti. Ed ora è la voce dell’acqua quella che predomina, poiché il vento lentamente tace. La luce molto relativa del crepuscolo burrascoso e quella del fuoco che, cessata la frasca, rosseggia ma non fiammeggia più, appena rischiarano la caverna, e negli angoli è già l’ombra assoluta. Gesù, vestito di scuro come è, non si distingue più; a malapena, se alza il volto che tiene chinato sui ginocchi rialzati, si vede un biancore contro la parete scura.

   561.2Un suono di passi e delle parole affannose, come di chi è stanco e affaticato, fuor della grotta, sul sentiero. E poi un’ombra scura, gocciante acqua da ogni parte, si profila nel vuoto dell’entrata.
   L’uomo, perché è un uomo dalla barba folta e nera, manda un «oh!» di sollievo e getta a terra il copricapo molle d’acqua, scuote il mantello e monologa: «Uhm! Hai un bello scuoterlo, Samuele! Sembra caduto nella fossa di un gualchieraio! E i sandali? Barche! Barche sul fondo del fiume! Bagnato sino alla pelle sono! Guarda qui che rivoli dai capelli! Sembro una grondaia rotta che lasci uscir l’acqua da mille buchi. Si comincia bene! Che abbia Belzebù dalla sua che lo difende? Uhm! La posta è bella… ma…».
   Si getta seduto su una pietra presso il fuoco che, cessata la fiamma, rosseggia nei tizzi con quei disegni strani che sono l’ultima vita delle legna arse, e cerca di ravvivarlo soffiandoci sopra. Si leva i sandali e cerca asciugarsi i piedi motosi con qualche lembo di mantello meno bagnato del resto. Ma si asciuga con l’acqua. La sua fatica non serve che a levare il fango dai piedi per metterlo sul mantello.
   Continua a monologare: «Maledetti loro, e lui, e tutti! E ho perduto anche la borsa. Certo! Molto è se non ho perduto la vita… “È la strada più sicura”, hanno detto. Già! Però loro non la fanno! Se non vedevo questa fiamma! Chi l’avrà accesa? Qualche disgraziato mio pari. Ma ora dove sarà? Là c’è un buco… Forse un’altra grotta… Non saranno ladroni, eh? Ma… che stolto! Che mi devono prendere se non ho un solo picciolo? Ma non importa. Questo fuoco è più di un tesoro. Potessi avere un po’ di frasche per ravvivarlo! Mi spoglierei, mi asciugherei le vesti. Ohè, dico! Non ho che queste sinché non torno!…».

   561.3«Se vuoi frasche, amico, qui ve ne sono», dice Gesù senza muoversi dal suo posto.
   L’uomo, che aveva le spalle voltate verso Gesù, sobbalza alla voce improvvisa e scatta in piedi volgendosi. Pare spaurito. «Chi sei?», chiede sbarrando gli occhi per cercare di vedere.
   «Un viandante come te. Sono Io che ho acceso il fuoco e sono contento che ti sia stato di guida». Gesù si avvicina con un fascio di legna fra le braccia e le getta vicine al fuoco ordinando: «Ravviva la fiamma prima che la cenere copra tutto. Non ho esca né acciarino, perché chi me li prestò se ne è andato dopo il tramonto». Gesù parla amichevolmente, ma non si fa avanti in modo che il fuoco lo illumini. Anzi torna nel suo angolo, stando più che mai avvolto nel mantello.

   561.4L’uomo, intanto, si curva a soffiare forte su delle foglie che ha gettato sul fuoco e sta così, occupato, sinché la fiamma risorge. Ride gettando frasche sempre più grosse che rifanno fiamma. Gesù si è tornato a sedere al suo posto e l’osserva.
   «Ora mi dovrei spogliare per fare asciugare la veste. Preferisco stare nudo che così bagnato. Ma neppur ci riesco. Ha franato una costa e mi sono trovato sotto una cascata di terriccio e acqua. Ah! ora sono a posto! Guarda! Ho lacerato la veste. Viaggio maledetto! Avessi almeno trasgredito il sabato! Ma no. Sino al tramonto sono stato fermo. Dopo… E ora come faccio? Per salvarmi ho lasciato andare la borsa, e ora essa sarà a valle, o impigliata in qualche cespuglio chissà dove…».
   «Ecco la mia veste. È asciutta e calda. A Me basta il mantello. Prendila. Sono sano. Non temere».
   «E buono. Un buon amico. Come ringraziarti?».
   «Volendomi bene come a un fratello».
   «Volendoti bene come a un fratello! Ma Tu non sai chi sono. E se fossi un malvagio, vorresti il mio amore?».
   «Lo vorrei per farti buono».
   L’uomo, che è giovane, su per giù dell’età di Gesù, china il capo meditando. Ha la veste di Gesù fra le mani, ma non la vede. Pensa. E macchinalmente se la infila sulla pelle nuda perché si è tutto spogliato, anche della sottoveste.

   561.5Gesù, che era tornato nel suo angolo, chiede: «Quando hai mangiato?».
   «A sesta. Avrei dovuto mangiare all’arrivo nel paese, a valle. Ma ho perduto la strada, la borsa e i denari».
   «Ecco. Ho qui ancora degli avanzi di cibo. Dovevano servirmi domani. Ma prendili. A Me non pesa il digiuno».
   «Ma… se devi camminare avrai bisogno di forze…».
   «Oh! non vado lontano. A Efraim soltanto…».
   «A Efraim?! Sei samaritano?».
   «Ti sdegni? Non sono samaritano».
   «Infatti… il tuo accento è galileo. Chi sei? Perché non scopri il tuo volto? Hai da celarti perché colpevole? Non ti denuncerò».
   «Sono un viandante, l’ho detto prima. Il mio Nome non ti direbbe nulla, o ti direbbe troppo. E del resto? Che è il nome? Quando Io ti porgo una veste per le tue membra gelide, un pane per la tua fame, e soprattutto la mia pietà per il tuo cuore, hai forse bisogno, per sentire ristoro di vesti asciutte, e di cibo e di affetto, di sapere il mio Nome? Ma se vuoi darmi un nome, chiamami “Pietà”. Non ho nulla di vergognoso che mi obblighi a celarmi. Ma non per questo tu lasceresti di denunciarmi. Perché il tuo cuore ha dentro un pensiero non buono. E i mali pensieri danno frutti di male azioni».
   L’uomo ha un sobbalzo e va vicino a Gesù. Ma di Gesù non si vedono che gli occhi, e anche questi velati dalle palpebre abbassate.
   «Mangia, mangia, amico. Non c’è altro da fare».

   561.6L’uomo torna vicino al fuoco e mangia lentamente, senza parlare. È pensieroso. Gesù è tutto un gomitolo nel suo cantuccio. L’uomo si ristora mano a mano. Il calore delle fiamme, il pane e la carne arrostita che Gesù gli ha dato, lo fanno lieto. Si alza, si stira, tende il cordone, che era la sua cintura, da una scheggia di roccia a un arpione rugginoso, chissà da chi infisso là dentro e da quando, e sopra ci stende la veste, il mantello, il copricapo ad asciugare, scuote i sandali, li presenta alla fiamma che alimenta generosamente.
   Gesù sembra sonnecchiare. L’uomo si siede a sua volta e pensa. Poi si volge a guardare lo Sconosciuto. Chiede: «Dor­mi?».
   Gesù risponde: «No. Penso e prego».
   «Per chi?».
   «Per tutti gli infelici. Di ogni specie. E sono tanti!».
   «Sei un penitente?».
   «Sono un penitente. La Terra ha molto bisogno di penitenza, perché sia data forza ai deboli di essa a respingere Satana».
   «Hai detto bene. Parli come un rabbi. Io me ne intendo perché sono saforim[21]. Sono con rabbi Gionata ben Uziel. Il suo più caro discepolo. E ora, se l’Altissimo mi assiste, gli diventerò ancor più caro. Il mio nome sarà esaltato da tutto Israele».
   Gesù non ribatte niente.

   561.7L’altro, dopo qualche momento, si alza e viene a sedersi presso Gesù. Dice, lisciandosi con la mano i capelli che si sono quasi asciugati e ravviandosi la barba: «Senti. Hai detto che vai ad Efraim. Ma ci vai per caso o ci stai?».
   «Abito ad Efraim».
   «Ma non sei samaritano, hai detto!».
   «Lo ripeto. Non sono samaritano».
   «E chi può abitare là se non… Senti. Si dice che ad Efraim si è rifugiato il Rabbi di Nazaret, il proscritto, il maledetto. È vero?».
   «È vero. Gesù, il Cristo del Signore, è là».
   «Non è il Cristo del Signore! È un mentitore! È un bestemmiatore! È un demonio! È la causa di ogni nostro male. E non sorge un vendicatore di tutto il popolo che lo abbatta!», esclama, fanatico nel suo odio.
   «Ti ha forse fatto del male che ne parli con tanto odio nella voce?».
   «A me no. L’ho appena visto una volta per i Tabernacoli, e in un tale tumulto che stenterei a riconoscerlo. Perché, se sono discepolo del grande rabbi Gionata ben Uziel, è da poco che sono definitivamente al Tempio. Prima… non potevo per molte ragioni, e soltanto quando il rabbi era alla sua casa io ero ai suoi piedi a bere giustizia e dottrina. Ma tu… Mi hai chiesto se lo odio, ed ho sentito un rimprovero nascosto nelle tue parole. Sei forse un seguace del Nazareno?».
   «Non lo sono. Ma chiunque è un giusto condanna l’odio».
   «L’odio è santo quando è contro un nemico di Dio e della Patria. Il Rabbi nazareno è tale. E santo è il combatterlo, l’odiarlo».
   «Combattere l’uomo, o l’idea che rappresenta e la dottrina che bandisce?».
   «Tutto! Tutto! Non si può combattere una cosa se si risparmia l’altra. Nell’uomo è la sua dottrina e la sua idea. O si abbatte tutto, o non serve. Quando si abbraccia un’idea, si abbraccia l’uomo che la rappresenta e la sua dottrina insieme. Lo so perché lo provo col mio maestro. Le sue idee sono le mie. I suoi desideri, leggi per me».
   «Infatti un buon discepolo così fa. Però bisogna saper distinguere se è buono il maestro, e seguire soltanto un maestro buono. Perché non è lecito perdere la propria anima per amore di un uomo».
   «Gionata ben Uziel è buono».
   «No. Non lo è».
   «Che dici? E a me lo dici? Mentre siamo qui soli e potrei ucciderti per vendicare il mio maestro? Sono forte, sai?».
   «Non ho paura. Non ho paura della violenza. E non ho paura anche sapendo che, se tu mi percuoti, Io non reagirò».

   561.8«Ah! Ho capito! Sei un discepolo del Rabbi, un “apostolo”. Egli chiama così i suoi discepoli più fedeli. E vai a raggiungerlo. Forse chi era con te era un altro tuo simile. E aspetti qualcuno tuo simile».
   «Aspetto qualcuno. Sì».
   «Il Rabbi forse?».
   «Non c’è bisogno che Io lo attenda. Egli non ha bisogno della mia parola per essere guarito dal suo male. Non ha l’anima malata e non ha il corpo malato. Io aspetto una povera anima avvelenata, delirante. Per guarirla».
   «Sei un apostolo! Si sa infatti che Egli li manda ad evangelizzare, avendo paura ad andare Lui da quando è stato condannato dal Sinedrio. Ecco perché tu hai le sue dottrine! Non reagire a chi offende è una sua dottrina».
   «È una sua dottrina perché Egli insegna l’amore, il perdono, la giustizia, la mitezza. Egli ama i nemici come gli amici. Perché tutto vede in Dio».
   «Oh! Se mi incontrasse, se, come spero, lo incontrerò, non credo che mi amerà! Sarebbe uno stolto! Ma non posso parlare con te, suo apostolo. E mi pento di aver detto ciò che ho detto. Tu lo riferirai a Lui».
   «Non ce n’è bisogno. Ma in verità ti dico che Egli ti amerà, anzi ti ama, nonostante tu vada ad Efraim per trarlo in un tranello e consegnarlo al Sinedrio, che ha promesso un gran premio a chi farà questo».
   «Sei… profeta o hai lo spirito pitone? Egli ti ha comunicato il suo potere? Sei dunque un maledetto tu pure? Ed io ho accettato il tuo pane, la tua veste, mi sei stato amico! È detto[22]: “Non alzerai la mano contro chi ti ha beneficato”. Tu lo hai fatto! Perché, se sapevi che io… Forse per impedirmi di agire? Ma se risparmierò te, perché tu mi hai dato pane e sale, fuoco e veste, e mancherei alla giustizia nuocendoti, non risparmierò il tuo Rabbi. Perché Egli non lo conosco e non mi ha fatto del bene ma del male».
   «Oh! infelice! Non ti accorgi che deliri? Come può uno che non conosci averti fatto del male? Come puoi aver rispetto al sabato se non rispetti il precetto di non ammazzare?…».
   «Io non uccido».
   «Materialmente no. Ma non c’è differenza fra chi uccide e chi dà la vittima in mano all’uccisore. Tu rispetti la parola di un uomo che dice di non nuocere a chi ti ha beneficato, e poi non rispetti quella di Dio, e con tranello, per un pugno di monete, per un poco di onore, sozzo onore di aver saputo tradire un innocente, ti appresti ad un delitto!…».
   «Io non lo faccio solo per le monete e l’onore. Ma per fare cosa gradita a Jeové e salutare alla Patria.

   561.9Ripeto il gesto di Giaele[23] e Giuditta». È più fanatico che mai.
   «Sisara e Oloferne erano nemici della nostra Patria. Erano invasori. Erano crudeli. Ma che è il Rabbi di Nazaret? Che invade? Che usurpa? Egli è povero e non vuole ricchezze. Egli è umile e non vuole onori. Egli è buono. Con tutti. Sono a migliaia i suoi beneficati. Perché lo odiate? Tu perché lo odi? Non ti è lecito nuocere al prossimo tuo. Tu servi il Sinedrio. Ma sarà il Sinedrio che ti giudicherà nell’altra vita, o sarà Iddio? E come ti giudicherà? Non dico: come ti giudicherà perché uccisore del Cristo; ma ti dico: come ti giudicherà perché uccisore di un innocente. Tu non credi che il Rabbi di Nazaret sia il Cristo, e perciò, per la tua idea che non lo è, non sarai imputato di questo delitto. Dio è giusto e non giudica colpa l’atto compiuto senza piena avvertenza. Non ti giudicherà, dunque, per aver ucciso il Cristo, perché per te Gesù di Nazaret non è il Cristo. Ma di aver ucciso un innocente ti accuserà. Perché tu sai che è innocente. Ti hanno avvelenato, reso ebbro con parole di odio. Ma non lo sei tanto da non capire che Egli è innocente. Le sue opere parlano in suo favore. La vostra paura, più quella dei maestri che la vostra di discepoli, teme e vede ciò che non è. La paura di chi teme che Egli li soppianti. Non temete. Egli vi apre le braccia per dirvi: “Fratelli”! Non vi manda contro milizie. Non vi maledice. Vorrebbe soltanto salvarvi. Voi, i grandi e i discepoli dei grandi, come vuole salvare l’ultimo di Israele. Voi più dell’infimo di Israele, più del fanciullo che ancor non sa che sia odio e amore. Perché voi ne avete bisogno più degli ignoranti e dei fanciulli, perché sapete, e peccate sapendo. La tua coscienza di uomo, se la spogli dalle idee che vi hanno messe, se la depuri dai tossici che ti fanno delirare, ti può dire che Egli è colpevole? Dillo! Sii sincero. Lo hai forse visto un giorno mancare alla Legge, o consigliare di mancare alla Legge? Lo hai visto rissoso, avido, lussurioso, calunniatore, duro di cuore? Parla! Lo hai forse visto irrispettoso al Sinedrio? Egli è come un proscritto per ubbidire al verdetto del Sinedrio. Potrebbe lanciare un grido, e tutta la Palestina lo seguirebbe per marciare contro i pochi che lo odiano. Ed Egli, invece, consiglia ai suoi discepoli pace e perdono. Potrebbe — come rende vita ai morti, vista ai ciechi, moto ai paralitici, udito ai sordi, liberazione agli indemoniati, perché né Cielo né Inferno sono insensibili al suo volere — potrebbe fulminarvi col fulmine divino e liberarsi così dai suoi nemici. Ed Egli invece prega per voi e vi guarisce i parenti, vi guarisce il cuore, vi dà pane, vesti, fuoco.

   561.10 Perché Io sono Gesù di Nazaret, il Cristo, Colui che tu cerchi per avere la taglia promessa a chi lo consegna al Sinedrio e gli onori del liberatore di Israele. Io sono Gesù di Nazaret, il Cristo. Eccomi. Prendimi, dunque. Come Maestro e come Figlio di Dio ti libero e assolvo dall’obbligo e dal peccato di non alzare o di aver alzato la mano su chi ti ha beneficato».
   Gesù si è alzato, liberandosi dal mantello il capo, e tende le mani come per esser preso, legato. Ma alto così — e pare anche più snello, essendo rimasto con la sola sottoveste corta e attillata, col mantello scuro che pende dalle spalle, ben eretto, gli occhi puntati in viso al suo persecutore, nel riflesso mobile delle fiamme che gli accendono punti luminosi nei capelli fluenti e fanno brillare le sue larghe pupille fra il cerchio zaffireo delle iridi — così maestoso, leale, senza paura, incute più rispetto che se fosse contornato da un esercito a sua difesa.
   L’uomo è come affascinato… paralizzato di stupore. Solo dopo qualche tempo riesce a mormorare: «Tu! Tu! Tu!». Pare che non sappia dire altro.
   Gesù insiste: «Prendimi, dunque! Leva quell’inutile cordone steso a sostenere una veste sporca e stracciata, e lega le mie mani. Ti seguirò come un agnello segue il beccaio. E non ti odierò perché mi porti a morire. Te l’ho detto[24]
. È il fine che giustifica l’azione e ne cambia la natura. Per te Io sono la rovina di Israele e tu credi di salvare Israele uccidendomi. Per te Io sono colpevole di ogni delitto, e perciò servi la giustizia sopprimendo un malfattore. Non sei dunque più colpevole del carnefice che eseguisce un ordine ricevuto. Vuoi immolarmi qui, sul posto? Lì, ai miei piedi, è il coltello col quale ti ho affettato il cibo. Prendilo. Da lama che ha servito all’amore per il mio prossimo, può mutarsi in coltello di sacrificatore. La mia carne non è più dura della carne dell’agnello arrostito, che il mio amico mi aveva lasciata per la mia fame e che Io ho data per sfamare te, mio nemico. Ma tu temi le pattuglie romane. Esse arrestano gli uccisori di un innocente. E non permettono che la giustizia sia amministrata da noi. Perché noi siamo i soggetti ed essi i dominatori. Per questo tu non osi uccidermi e poi andare a chi ti manda coll’Agnello sgozzato sulle spalle, come una merce che farà guadagnare denaro. Ebbene, lascia qui il mio cadavere e va’ ad avvertire i tuoi padroni. Perché tu non sei un discepolo, ma uno schiavo, tanto hai rinunciato a quella sovrana libertà di pensiero e di volere che lo stesso Iddio lascia agli uomini. E servi, supinamente servi, i tuoi padroni. Fino al delitto li servi. Ma non sei colpevole. Sei “avvelenato”. Sei tu l’anima avvelenata che attendevo. Su dunque! La notte e il luogo sono propizi al delitto. Dico male: alla redenzione di Israele!

   561.11Oh! povero fanciullo! Dici parole profetiche senza saperlo! Veramente la mia morte sarà redenzione, e non di Israele soltanto, ma di tutta l’Umanità. E Io sono venuto per essere immolato. Ardo di esserlo per essere Salvatore. Di tutti. Tu, saforim del dotto Gionata ben Uziel, certo conosci Isaia. Ecco. L’Uomo dei dolori ti è davanti. E se non sembro tale, se non sembro Colui che vide anche Davide[25], con le ossa scoperte e slogate, se non sono come il lebbroso visto da Isaia, è perché non vedete il mio cuore. Io sono tutto una ferita. Il disamore, l’odio, la durezza, l’ingiustizia vostra mi ha tutto ferito e spezzato. E non tenevo nascosto il volto, mentre tu mi vilipendevi per ciò che realmente sono: il Verbo di Dio, il Cristo? Ma Io sono l’uomo avvezzo al patire! E non mi giudicate voi come un percosso da Dio? E non mi sacrifico perché voglio sacrificarmi per risanarvi col mio sacrificio?

   561.12Su! Colpisci! Guarda: Io non ho paura e tu non devi aver paura. Io perché sono l’Innocente e non temo il giudizio di Dio, Io perché porgendo il mio collo al tuo coltello faccio che si compia la volontà di Dio, anticipando di qualche tempo la mia ora per vostro bene. Anche quando nacqui anticipai l’ora[26] per amor vostro, per darvi prima del tempo la pace. Ma voi, di questa mia ansia d’amore, ne fate arma di negazione… Non temere! Non invoco su te il castigo di Caino, né le folgori di Dio. Prego per te. Amo te. Nulla di più. Sono troppo alto per la tua mano d’uomo? Ecco, è vero! L’uomo infatti non potrebbe colpire Iddio se Iddio non si mettesse volontariamente nelle mani dell’uomo. Ebbene, Io mi inginocchio davanti a te. Il Figlio dell’uomo ti è davanti, ai piedi. Colpisci, dunque!».
   Gesù si inginocchia, infatti, e porge il coltello, tenendolo per la lama, al suo persecutore che arretra mormorando: «No! No!».
   «Su! Un momento di coraggio… e sarai più celebre di Giaele e Giuditta! Guarda. Io prego per te. Lo dice[27] Isaia: “… e pregò per i peccatori”. Non vieni ancora? Perché ti allontani? Ah! forse temi di non vedere come muore un Dio. Ecco, vengo lì, presso il fuoco. Il fuoco non manca mai nei sacrifici. Fa parte di essi. Ecco. Ora mi vedi bene». Si è inginocchiato vicino al fuoco.
   «Ma non mi guardare! Non mi guardare! Oh! dove fuggo per non vedere il tuo sguardo?», grida l’uomo.
   «Chi? Chi è che non vuoi vedere?».
   «Te… e il mio delitto. Veramente il mio peccato mi è davanti!

   561.13Dove, dove fuggire!». L’uomo è terrorizzato…
   «Sul mio cuore, figlio! Qui, fra queste braccia cessano gli incubi e le paure. Qui è pace. Vieni! Vieni! Fammi felice!». Gesù si è alzato e tende le braccia. Il fuoco è fra loro. Gesù sfavilla nel riflesso delle fiamme.
   L’uomo cade a ginocchi coprendosi il viso e gridando: «Pietà di me, o Dio! Pietà di me! Cancella il mio peccato! Io volevo colpire il tuo Cristo! Pietà! Ah! non può esservi pietà per tale delitto! Io sono dannato!». Piange col volto a terra, squassato dai singhiozzi, e geme: «Pietà», e impreca: «Maledetti!»…
   Gesù gira intorno alla fiamma e va da lui, si china, lo tocca sulla testa, gli dice: «Non maledire coloro che ti traviarono. Ti hanno ottenuto il più grande bene, quello che Io ti parlassi. Così. E ti tenessi così fra le mie braccia».
   Lo ha preso per le spalle e sollevato, e sedutosi per terra se lo attira sul cuore, e l’uomo gli si abbandona sui ginocchi in un pianto meno frenetico, ma così purificatore! Gesù lo carezza sul capo bruno, lasciandolo calmare.
   L’uomo infine alza il capo e col volto mutato geme: «Il tuo perdono!».
   Gesù si china e lo bacia in fronte.

   561.14L’uomo gli getta le braccia al collo, e col capo reclinato sulla spalla di Gesù piange e racconta; vorrebbe raccontare come lo avevano suggestionato al delitto. Ma Gesù glielo vieta dicendogli: «Taci! Taci! Non ignoro nulla. Quando sei entrato ti ho conosciuto, e per quel che eri e per ciò che volevi fare. Avrei potuto allontanarmi di là e sfuggirti. Sono rimasto per salvarti. Lo sei. Il passato è morto. Non rievocarlo più».
   «Ma… così ti fidi? E se io peccassi di nuovo?».
   «No. Tu non peccherai di nuovo. Io so. Sei guarito».
   «Sì. Lo sono. Ma essi sono tanto astuti. Non mi rimandare da loro».
   «E dove vuoi andare, che essi non ci siano?».
   «Con Te. A Efraim. Se vedi nel mio cuore, vedrai che non è un tranello che ti tendo, ma solo preghiera di essere protetto».
   «Lo so. Vieni. Ma ti avverto che là è Giuda di Keriot, venduto al Sinedrio e traditore del Cristo».
   «Divina Misericordia! Anche questo Tu sai?!». Lo stupore è al colmo.
   « So tutto. Egli crede che Io non sappia. Ma so tutto. E so anche che tu sei tanto convertito che non parlerai a Giuda né ad alcun altro di questo. Ma, pensaci, se Giuda sa tradire il suo Maestro, che non saprà fare a tuo danno?».
   L’uomo pensa, a lungo. Poi dice: «Non importa! Se Tu non mi scacci, resto con Te. Almeno per qualche tempo. Sino alla Pasqua. Sino a che Tu ti riunisci coi tuoi discepoli. Io mi unirò ad essi. Oh! se è vero che mi hai perdonato, non mi cacciare!».
   «Non ti caccio.

   561.15Ora andremo là, su quelle foglie ad attendere il mattino, e all’alba andremo ad Efraim. Diremo che il caso ci ha uniti e che tu sei venuto fra noi. È la verità».
   «Sì. È la verità. All’alba saranno asciutte le mie vesti e ti renderò la tua…».
   «No. Lascia là quelle vesti. Un simbolo. L’uomo che si spoglia del suo passato e veste la nuova assisa. La madre di Samuele, l’antico, ha cantato[28] nel suo giubilo: “Il Signore fa morire e fa vivere, conduce al soggiorno dei morti e ne fa ritornare”. Tu sei morto e rinato. Vieni dal soggiorno dei morti alla vera Vita. Lascia le vesti che hanno subìto il contatto dei sepolcri pieni di lordura. E vivi! Vivi per la tua vera gloria: servire Dio con giustizia, possederlo per l’eternità».
   Si siedono nell’insenatura dove sono accatastate le foglie e presto il silenzio scende, perché l’uomo, stanco, si addormenta col capo abbandonato sull’omero di Gesù che prega ancora. 

   561.16… Ed è un bel mattino di primavera quando essi giungono, per il sentiero del torrente — che sta tornando limpido dopo l’acquata, e canta più forte per le acque cresciute, e brilla al sole fra il brillare delle sponde ancor lucide di pioggia — davanti alla casa di Maria di Giacobbe.
   Pietro, che è sull’uscio, dà un grido e corre loro incontro, precipitandosi ad abbracciare Gesù che è strettamente ammantellato, e dice: «Oh! Maestro mio benedetto! Che triste sabato mi hai fatto fare! Non mi decidevo a partire senza averti visto. Sarei stato stolto tutta la settimana a partire con l’incertezza in cuore e senza il tuo commiato!».
   Gesù lo bacia senza liberarsi dal mantello. Pietro è tanto preso nel contemplare il suo Maestro che non nota l’estraneo che è con Lui.
   Ma intanto anche gli altri sono accorsi e Giuda di Keriot ha un grido: «Tu, Samuele!».
   «Io. Il Regno di Dio è aperto a tutti in Israele. Vi sono entrato», risponde l’uomo, sicuro.
   Giuda ha una risatina strana, ma non ribatte niente.
   L’attenzione di tutti converge sul nuovo venuto, e Pietro chiede: «Chi è?».
   «Un nuovo discepolo. Il caso ci ha fatti incontrare. Ossia, Dio ci ha fatti incontrare, e come uno mandato a Me dal Padre mio Io l’ho accolto, e così dico a voi di fare. E dato che è gran festa quando uno entra a far parte del Regno dei Cieli, posate sacche e mantelli, voi che eravate per partire, e stiamo uniti sino a domani.

   561.17E ora lasciami andare, Simone, perché ho dato la mia veste a costui, e l’aria del mattino morde le mie carni stando qui fermo».
   «Ah! mi pareva! Ma ti ammalerai, Maestro, a fare in tal modo!».
   «Io non volevo. Ma Egli volle», si scusa l’uomo.
   «Sì. Era stato travolto da una fiumana e si è salvato per la sua volontà. Perché nulla del penoso momento durasse su lui, e venisse a noi senza lordura, ho fatto che lasciasse là dove ci incontrammo la sua veste lacerata e sporca, e l’ho rivestito della mia», dice Gesù e guarda Giuda di Keriot, che ripete la sua risatina strana come all’inizio e come quando Gesù disse che si fa gran festa quando uno entra a fare parte del Regno dei Cieli. E poi entra in casa svelto, per andarsi a vestire.
   Gli altri si avvicinano al nuovo venuto, dandogli il saluto di pace.

[20] alternativamente, invece di successivamente, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
[21] saforim dovrebbe significare scriba, cioè dottore della Legge, ma qui potrebbe stare per allievo che aspira a diventarlo. Infatti egli si dichiara “discepolo” di un rabbi e più sotto dice che durante l’insegnamento si pone “ai suoi piedi”, proprio come usavano fare gli allievi. Anche in 202.1 e in 594.4 i saforim sembrano distinti dai dottori. – Gli scribi sono spesso associati ai farisei, pur costituendo i primi una classe d’israeliti e i secondi un partito o una setta. Origine, funzione e degenerazione degli uni e degli altri sono delineate da Gesù nel discorso che inizia in 596.14, di cui vi sono varie anticipazioni, come in 252.10.
[22] È detto, non proprio alla lettera, in: Proverbi 3, 29; Siracide 7, 12; e altri passi simili. Ma potrebbe trattarsi di un detto rabbinico, poiché Gesù lo considera, più sotto, “parola di un uomo”.
[23] il gesto di Giaele (contro Sisara) in: Giudici 4, 17-22, e Giuditta (contro Oloferne) in: Giuditta 12, 10-20; 13.
[24] Te l’ho detto. Così introducendo l’affermazione sul fine che giustifica l’azione e ne cambia la natura, Gesù la riferisce al caso particolare del suo interlocutore (che pensava di uccidere un falso Messia, era istigato a farlo da persone autorevoli ed era convinto di compiere una buona azione). Allo stesso modo Egli giustifica i casi considerati in 66.3, in 159.5/6 e in 580.3. Non si tratta, perciò, dell’affermazione di un principio morale da ritenersi sempre valido.
[25] Davide (in: Salmo 22 ) e Isaia (in: Isaia 52, 13-15; 53, 1-12 ) prefigurano Gesù nell’Uomo dei dolori, come è detto qui e altrove, per esempio in: 10.6 - 22.3 - 41.7 - 194.5 - 275.10 - 324.8.11 - 361.5 - 382.7 - 395.5 - 414.3 - 436.5 - 520.7 - 565.9 - 597.5.7/11 - 598.8 - 601.1/2 - 604.41 - 609.30 - 610.13 - 625.7/8.
[26] anticipai l’ora, per merito della Madre, come dice in 52.9 (“per sua preghiera anticipo anche il tempo della Grazia”), in 136.6 (“affrettò la venuta del Cristo con la forza del suo amare”), in 412.3 (“il suo profumo di santità fu tanto forte che mi aspirò dal Cielo”) e in 620.1 (dove dice che le preghiere di Maria fecero anticipare anche la Risurrezione). La stessa Maria Ss. lo afferma in 649.14.
[27] Lo dice, in: Isaia 53, 12.
[28] ha cantato, in: 1 Samuele 2, 6.