MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 554



DLIV. Il sabato ad Efraim, su un'isoletta nel torrente. Il peccato originale spiegato in parabola ai tre bambini.

   12 gennaio 1947.

   554.1«Alzatevi e andiamo lungo il torrente. Come gli ebrei fuori della loro patria e in luoghi dove non sono sinagoghe, celebreremo il sabato fra noi. Venite, fanciulli…», dice Gesù agli apostoli, oziosi nell’orto della casa, e tende la mano ai tre poveri bambini che stanno in gruppo in un angolo.
   Essi accorrono con una timida gioia sul visuccio precocemente pensoso di bambini che hanno visto cose troppo più grandi di loro, e i due più grandicelli mettono la loro manina in quella di Gesù, ma il più piccino vuole essere preso fra le braccia, e Gesù lo accontenta dicendo al più grande: «Tu mi starai al fianco ugualmente, mi terrai la veste come ieri. Ma Isacco è troppo stanco e piccino per fare da sé…». Il grandicello beve il sorriso di Gesù e accetta, contentandosi di camminare vicino a Gesù come un ometto.
   «Da’ a me il fanciullo, Maestro. Tu devi essere ancora stanco di ieri, e Ruben ci soffre a non darti la mano…», dice Bartolomeo e fa per levargli il fanciullino, che si attacca al collo di Gesù.
   «È caparbio come tutta la razza!», esclama l’Iscariota.
   «No. È spaurito. Tu non capisci nulla di figli. I piccoli sono così. Quando sono afflitti o spaventati cercano rifugio nel primo che ha loro sorriso e dato conforto», ribatte Bartolomeo e, non potendo prendere in braccio il più piccolo, dà la mano al più grande dopo averlo accarezzato sui capelli e avergli sorriso paterno.

   554.2Escono dalla casa, nella quale resta soltanto la donna, e vanno, seguendo il torrente oltre il paese. Sono belle le sue sponde che l’erba nuova ricopre e i fiori del prato costellano. L’acqua è limpida e chiacchierina fra i sassi e, sebbene sia poca, canta con note d’arpa e fruscia spezzandosi contro i sassi più grossi sparsi nel greto, o insinuandosi fra le frastagliature di qualche minuscola isola coperta di canne. Dalle piante presso le rive gli uccelli sfrecciano via con trilli di gioia, oppure si posano su qualche ramo in pieno sole e cantano le prime canzoni di primavera, o scendono, graziosi e vivaci, a cercare insetti e vermi nel suolo o a bere presso le rive. Due tortorine selvatiche fanno il loro bagno in una curva della riva e si sbeccuzzano tubando, poi se ne vanno a volo, tenendo nel becco un bioccolo di lana lasciato da qualche pecora contro una pianta di biancospino che comincia a fiorire nella cima.
   «Fanno così per fare il nido», dice il bambino più grande. «Hanno certo i tortorini…». China il capo basso basso e, dopo avere avuto una larva di sorriso alle prime parole, piange senza rumore asciugandosi gli occhi con la mano.
   Bartolomeo lo prende in braccio, comprendendo quale ferita hanno stuzzicato le due tortorelle con le loro cure. E sospira Bartolomeo, che ha l’animo buono di un buon padre di famiglia. Il bambino gli piange sulla spalla e l’altro, il secondo, vedendo quel pianto, si mette a piangere a sua volta, imitato dal terzo che chiama il padre con la sua vocina di piccolino che da poco sa parlare.
   «Oggi sarà questa la nostra orazione del sabato! Potevi lasciarli in casa! La donna è più adatta di noi in questi casi e…», osserva l’Iscariota.
   «Ma se non fa che piangere essa pure! Come del resto ho gran voglia di farlo io… Perché sono cose… che fanno piangere…», gli risponde Pietro prendendo in braccio il secondo bambino.
   «Sì. Sono cose che fanno piangere. È vero. E Maria di Giacobbe, povera vecchia afflitta, non è molto capace di consolare…», conferma lo Zelote.
   «Anche a noi non sembra che ci riesca molto.

   554.3L’unico che poteva consolare era il Maestro. E non lo ha fatto».
   «Non lo ha fatto? E che doveva fare di più? Ha persuaso i ladroni, ha fatto miglia coi bambini fra le braccia, ha provveduto ad avvertire i parenti loro…».
   «Tutte cose secondarie. Egli, che è Colui che comanda anche alla morte, poteva, anzi doveva scendere all’ovile e risuscitare il pastore. Lo ha pur fatto per Lazzaro, che non era utile a nessuno! Qui un padre, e vedovo per giunta, dei bambini che restano soli… Questa risurrezione era da farsi. Io non ti capisco, Maestro…».
   «E noi non si capisce te, così irrispettoso…».
   «Pace, pace! Giuda non comprende. Non è solo a non comprendere le ragioni di Dio e le conseguenze del peccato. Tu pure, Simone di Giona, non comprendi perché gli innocenti devono soffrire. Non vogliate perciò giudicare Giuda di Simone, che non comprende perché l’uomo non è risuscitato. Se Giuda rifletterà, lui che sempre mi rimprovera di andare solo e lontano, comprenderà che non potevo andare così lontano… Perché
   l’ovile era nella pianura di Gerico, ma oltre la città, verso il guado. Che avreste detto se fossi stato lontano almeno tre giorni?».
   «Potevi comandare col tuo spirito al morto di risorgere».
   «Sei tu da più dei farisei e scribi, che vollero la prova di un mor­­to già disfatto per poter dire che Io risuscito realmente i morti?».
   «Ma essi la volevano perché ti odiano. Io la vorrei perché ti amo e vorrei vederti schiacciare tutti i tuoi nemici».
   «Il tuo vecchio sentimento e il tuo disordinato amore. Non hai saputo sbarbare dal tuo cuore le piante vecchie per sostituirle con le nuove; e le vecchie, fertilizzate dalla Luce alla quale ti sei accostato, sono diventate ancor più robuste. Il tuo è l’errore di molti, presenti e futuri. Di quelli che, nonostante gli aiuti di Dio, non si trasformano perché non rispondono con eroico volere al soccorso di Dio».
   «Forse che costoro, che sono come me tuoi discepoli, hanno distrutto le vecchie piante?».
   «Le hanno almeno molto potate e molto innestate. Tu non lo hai fatto. Non hai nemmeno guardato con attenzione se esse meritavano innesti, potatura, o di essere levate. Sei un giardiniere improvvido, Giuda».
   «Solo per la mia anima, però. Perché per i giardini so fare».
   «Sai fare. Per tutte le cose terrestri sai fare. Ti vorrei vedere ugualmente capace per le cose del Cielo».
   «Ma la tua luce dovrebbe fare da sé ogni prodigio in noi! Non è forse buona? Se rende fertile il male e lo irrobustisce, allora non è buona, ed è colpa sua se noi non si diviene buoni».
   «Parla per te, amico. Io non trovo che il Maestro mi abbia fatto più forti le cattive tendenze», dice Tommaso.
   «E neppure io», «E io», dicono Andrea e Giacomo di Zebedeo.
   «A me, poi, la sua potenza mi ha liberato dal male e fatto nuovo. Perché parli così? Non rifletti a ciò che dici?», chiede Matteo.

   554.4Pietro sta per parlare, ma preferisce andarsene, e si dà a camminare lesto col fanciullino in collo, imitando l’ondulare di una barca per farlo ridere, e nel passare prende per un braccio il Taddeo e grida: «Su, andiamo là, in quell’isola! È piena di fiori come un canestro. Venite, Natanaele, Filippo, Simone, Giovanni… Un bel salto e ci si è. Il torrente, così diviso, non è che due ruscelli al di qua e al di là dell’isola…».
   E salta per primo, posando piede su un’emergenza sabbiosa larga pochi metri, erbosa come un prato, fiorita dei primi fiori come un tappeto, al centro della quale è un solo pioppo alto e sottile che ondeggia la cima ad un venticello leggero. Lo raggiungono lentamente i chiamati, seguiti poi da quelli che erano più vicini a Gesù, che resta indietro parlando con l’I­sca­rio­ta.
   «Ma non ha ancora finito quello là?», chiede Pietro a suo fratello.
   «Il Maestro gli sta lavorando il cuore», risponde Andrea.
   «Eh! più facile che io riesca a far spuntare fichi su questa pianta che non nel cuore di Giuda venga giustizia».
   «E nel suo intelletto», rincara Matteo.
   «È stolto perché lo vuole essere, e in ciò che vuole», dice il Taddeo.
   «Soffre perché non è stato scelto per evangelizzare. Io lo so», spiega Giovanni.
   «Ma per me… Se vuole andare lui al mio posto… Non ci tengo proprio ad andare in giro!», esclama Pietro.
   «Nessuno di noi ci tiene. Ma lui sì. Invece mio fratello non lo vuole mandare. Questa mattina gliene ho parlato, perché avevo capito l’umore di Giuda e le cause di esso. Ma Gesù ha detto: “Proprio perché è un cuore così malato, lo tengo presso di Me. Sono i sofferenti e i deboli che hanno bisogno del medico e di chi li sorregge”».
   «Già!… Bene!…

   554.5Venite, fanciulli. Ora prendiamo queste belle canne e ne facciamo delle barchettine. Vedete che belle! E dentro, a far da pescatori, ci mettiamo questi fiorellini. Guardate qui se non sembrano teste, con un copricapo bianco e rosso… Qui facciamo il porto e qui, ecco, le casette dei pescatori… Ora leghiamo le barche con queste belle erbe fini, e voi le fate andare in acqua, così…, e poi le tirate sulla riva dopo la pesca… Potete anche fare il giro dell’isola… e attenti agli scogli, eh!…». Pietro è ammirabile di pazienza. Ha lavorato di coltello su pezzi di canna, tagliando da nodo a nodo e scoperchiando un lato per trasformare le canne in barchette, ha messo a fare da pescatori delle pratoline ancora in boccio, ha scavato nella rena un porto lillipuziano e creato delle casette con la sabbia umida e, ottenuto lo scopo di ricreare i bambini, si siede soddisfatto mormorando: «Povere creature!…».
   Gesù pone piede sull’isola proprio quando i due fanciulletti iniziano il loro giuoco e li carezza deponendo a terra il più piccino, che si unisce al giuoco dei fratellini.
   «Eccomi a voi. E ora parliamo di Dio. Perché parlare di Dio e parlare a Dio è prepararsi alla missione. E dopo aver fatto orazione, ossia dopo aver parlato a Dio, parleremo di Dio che è presente in tutte le cose per istruire alle cose buone. Su, alzatevi e preghiamo», e intona dei salmi in ebraico, ai quali fanno coro gli apostoli.
   I fanciulli, che si erano allontanati con le loro barchettine, sospendono il cinguettio delle loro vocette e i loro giuochi, e si avvicinano sentendo cantare quegli uomini. Ascoltano attenti, con gli occhi fissi su Gesù che per loro è tutto, e poi, con lo spirito di imitazione dei bambini, prendono la stessa postura degli oranti e cercano di seguire il canto, con la sola voce, non sapendo le parole dei salmi. Gesù abbassa gli occhi e li guarda con un sorriso che aumenta il canto delle vocette innocenti. Si sentono approvati e si rincuorano…
   Il canto dei salmi ha fine.

   554.6Gesù si siede sull’erba e inizia a parlare:
   «Quando i re d’Israele, di Edom e di Giuda[122] si riunirono per combattere il re di Moab e si rivolsero per consiglio a Eliseo profeta, egli rispose al messo dei re: “Se non avessi rispetto a Giosafat, re di Giuda, neppure ti avrei guardato. Ma ora conducetemi un suonatore d’arpa”. E mentre l’arpista suonava, Dio parlò al suo profeta comandando di fare scavare fosse e fosse nel torrente arido, perché si empisse d’acqua per uomini e bestie. E all’ora del sacrificio del mattino il torrente, senza che fosse vento o pioggia, si empì come il Signore aveva detto. Quali, secondo voi, le lezioni di questo episodio? Parlate!».
   Gli apostoli si consultano fra loro. Chi dice: «Nel turbamento del cuore non parla Dio. Eliseo vuole placare il suo sdegno, sorto nel vedersi di fronte il re d’Israele, per potere sentire Dio». Chi invece dice: «È lezione di giustizia. Eliseo, per non punire l’innocente re di Giuda, salva anche il colpevole». Altri ancora: «È lezione di ubbidienza e di fede. Essi scavarono le fosse ubbidendo al comando in apparenza stolto e attesero con fede l’acqua benché fosse sereno e senza vento il cielo».
   «Avete risposto bene, ma non ampiamente bene. Nel turbamento del cuore non parla Iddio. È vero. Ma non necessitano arpe a calmare il cuore. Basta avere la carità, che è l’arpa spirituale che dà note di paradiso. Quando un’anima vive nella carità ha il cuore calmo e sente la voce di Dio e la comprende».
   «Allora Eliseo non aveva carità, perché era turbato».
   «Eliseo è del tempo della Giustizia. Bisogna saper trasportare al tempo della Carità gli episodi antichi e vederli non alla luce delle folgori ma a quella degli astri. Voi siete del tempo nuovo. Perché dunque tanto sovente siete più iracondi e turbati di quelli del tempo antico? Spogliatevi del passato. Lo ripeto, anche se a Giuda non piace sentirlo ripetere. Estirpate, potate, innestate, mettete piante nuove. Rinnovatevi, scavate le fosse dell’umiltà, dell’ubbidienza, della fede. Quei re lo seppero fare ed erano, due contro uno, non di Giuda, e non sentirono Dio, ma il profeta di Dio ripetere i voleri dell’Altissimo. Sarebbero morti di sete nell’aridità se non avessero saputo ubbidire. Ubbidirono e l’acqua empì le fosse scavate, e non solo furono salvi dalla sete ma vinsero i nemici. Io sono l’Acqua della Vita.
   Scavate fosse nei vostri cuori per poter ricevere Me.

   554.7E ora ascoltate. Non faccio lunghi discorsi. Vi do delle sentenze perché voi le meditiate. Sarete sempre come questi fanciulli, e anche meno di loro, perché essi sono innocenti e voi non lo siete e perciò è più fosca in voi la luce spirituale, se non vi abituate a meditare. Sempre ascoltate, mai non ritenete, perché la vostra intelligenza dorme in luogo di essere attiva. Dunque sentite[123]. Quando alla Sunamite morì il figlio, ella volle andare dal profeta nonostante che il marito le dicesse che non era il primo del mese e non era sabato. Ma ella sapeva di dover andare, perché per certe cose non sono ammesse dilazioni. E poiché seppe comprendere lo spirito delle cose, ebbe risuscitato il figlio. Che ne dite di questo fatto?».
   «Che esso è rimprovero a me per il sabato», dice l’Iscariota.
   «Vedi dunque, o Giuda, che quando vuoi sai capire? Apri dunque il tuo spirito alla giustizia».
   «Sì… ma Tu non hai violato il sabato per risuscitare l’uo­mo».
   «Ho fatto di più. Ho impedito la rovina, la morte di questi, la vera morte. E ho ricordato ai ladroni che…».
   «Oh! attendi a consolarti di aver fatto qualcosa! Io non credo che essi ti abbiano ubbidito…».
   «Se il Maestro lo dice…».
   «Anche Eliseo, nel racconto della Sunamite, dice: “Il Signore me lo ha tenuto nascosto”. Dunque non sempre tutto si sa neanche da parte dei profeti», ribatte l’Iscariota.
   «Nostro fratello è da più di un profeta», osserva il Taddeo.
   «Lo so. È il Figlio di Dio. Ma è anche l’Uomo. Come tale può essere soggetto a non sapere cose secondarie, come questa di una conversione e di un ritorno… Maestro, sai proprio sempre, sempre tutto? Io me lo chiedo sovente…», incalza, tenace nel suo cuore, l’Iscariota.
   «E con quale spirito? Per darti pace, per darti consiglio, per darti turbamento?», chiede Gesù.
   «Ma… Non saprei. Me lo chiedo e…».
   «E sembri turbato anche nel chiedertelo», dice Tommaso.
   «Io? Certo la perplessità turba sempre…».
   «Quante sottigliezze! Io non me ne propongo tante. Credo sen­za indagare, e non sono perplesso e turbato per niente. Ma lasciamo parlare il Maestro. A me non piace questa lezione. Di’ una bella parabola, Maestro. Piacerà anche ai fanciulli», dice Pietro.

   554.8«Ho ancora da chiedere una cosa. Questa. Che significato ha per voi la farina che leva l’amaro alla minestra dei figli dei profeti?».
   Un profondo silenzio è la risposta alla domanda.
   «E che? Non sapete rispondere?».
   «Forse perché la farina assorbì l’amaro…», dice incerto Matteo.
   «Tutto sarebbe stato amaro, anche la farina».
   «Per un miracolo del profeta, che non voleva mortificato il servo», suggerisce Filippo.
   «Anche. Ma non per questo soltanto».
   «Il Signore volle far brillare la potenza del profeta anche sulle materie comuni», dice lo Zelote.
   «Sì. Ma non è ancora il significato giusto. Le vite dei profeti anticipano ciò che poi sarà nel tempo pieno: il mio; rispecchiano il mio giorno terreno sotto simboli e figure. Dunque…».
   Silenzio. Si guardano. Poi Giovanni curva il capo, divenendo acceso nel volto, e sorride.
   «Perché non dici il tuo pensiero, Giovanni?», lo interroga Gesù. «Non è mancanza di amore parlare, perché non lo fai per mortificare alcuno».
   «Penso che voglia dire questo. Che nel tempo della fame della Verità e della carestia della Sapienza, questo nel quale Tu sei venuto, ogni albero si è inselvatichito ed ha dato frutti amari, immangiabili come tossico per i figli degli uomini, che in tal modo invano li colgono e se li preparano per nutrirsene. Ma la bontà dell’Eterno manda Te, farina di grano eletto, e Tu con la tua perfezione levi il tossico da ogni cibo, rendendo novellamente buoni e gli alberi delle Scritture, che i secoli hanno snaturato, e i palati degli uomini, che la concupiscenza ha corrotto. In questo caso, colui che ordina di portare la farina e la versa nell’amara caldaia è il Padre tuo, e Tu sei la farina che si sacrifica per farsi cibo agli uomini. E dopo la tua consumazione nulla più di amaro sarà nel mondo, perché Tu avrai ristabilito l’amicizia con Dio.

   554.9Posso aver sbagliato».
   «Non hai sbagliato. Questo è il simbolo».
   «Oh! e come hai fatto a pensarlo?», chiede stupito Pietro.
   Gli risponde Gesù: «Io te lo dico con le tue stesse parole di poc’anzi. Un bel salto e si è sull’isola pacifica e fiorita della spiritualità. Ma bisogna avere il coraggio di fare il salto, abbandonando la riva, il mondo. Saltare senza pensare se c’è chi può ridere per il nostro salto goffo o deridere per la nostra semplicità di preferire un isolotto solitario al mondo. Saltare senza paura di ferirsi o bagnarsi, o di essere delusi. Lasciare tutto per rifugiarsi in Dio. Mettersi sull’isola separata dal mondo e di là uscirne unicamente per distribuire, a quelli che sono rimasti sulle rive, i fiori e le acque pure raccolti nell’isola dello spirito, dove è un unico albero: quello della Sapienza. Standogli vicino, lontano dai fragori del mondo, se ne afferrano tutte le parole e si diviene maestri sapendo essere discepoli.
   Anche questo è un simbolo.

   554.10Ma ora racconteremo una bella parabola ai fanciullini. Venite qui ben vicino».
   I tre bambini vanno tanto vicino che gli si siedono addirittura sulle gambe. Gesù li cinge con le braccia e incomincia a narrare:
   «Un giorno il Signore Iddio disse: “Farò l’uomo, e l’uomo vivrà nel Terrestre Paradiso dove è il gran fiume che poi si divide in quattro capi, che sono il Fison, il Geon, l’Eufrate e il Tigri, che scorrono la Terra. E l’uomo sarà felice, avendo tutte le bellezze e bontà del Creato e il mio amore per gaudio del suo spirito”. E così fece. Era come se l’uomo fosse su una grande isola, ma ancor più fiorita di questa e con piante di ogni specie e con tutti gli animali. E sopra lui fosse l’amore di Dio a far da sole per l’anima, e la voce di Dio era nei venti, più melodiosa di canto d’uccello.
   Ma ecco che in questa bell’isola fiorita, fra tutte le bestie e le piante, entrò strisciando un serpente diverso da quelli che erano stati creati da Dio e che erano buoni, senza veleno nei denti, senza ferocia nelle spire del corpo flessuoso. Anche questo serpente si era vestito della pelle dai colori di gemme che avevano gli altri, anzi si era fatto ancor più bello di questi, tanto che pareva un grande monile di re che andasse guizzando fra gli splendidi alberi del Giardino. Andò ad attorcigliarsi intorno ad un albero che sorgeva in mezzo al giardino, un albero bello, solitario, alto molto più di questo, coperto di foglie e frutti meravigliosi. E il serpente pareva un gioiello intorno al bell’albero, e scintillava al sole, e tutti gli animali lo guardavano perché nessuno si ricordava di averlo visto creare, né di averlo visto prima di allora. Ma nessuno gli si avvicinava, anzi tutti si allontanavano dall’albero, ora che aveva attorno al fusto il serpente.
   Soltanto l’uomo e la donna si avvicinarono là, la donna prima dell’uomo, perché le piaceva quella cosa lucente che brillava al sole e muoveva il capo simile ad un fiore ancor semichiuso, e ascoltò quello che diceva il serpente, e disubbidì al Signore e fece disubbidire Adamo. Soltanto dopo avere disubbidito, videro il serpente per ciò che era e compresero il peccato, perché ormai avevano perduto l’innocenza del cuore. E si nascosero a Dio che li cercava, e poi mentirono a Dio che li interrogava.
   Allora Dio mise degli angeli a confine del Giardino e cacciò gli uomini da esso. Fu come se gli uomini fossero, dalla riva sicura dell’Eden, gettati nei fiumi terrestri colmi d’acque come quando vengono le piene di primavera. E Dio lasciò però nel cuore degli scacciati il ricordo del loro destino eterno, ossia del passaggio dal bel Giardino, dove sentivano la voce e l’amore di Dio, al Paradiso dove avrebbero goduto di Dio completamente. E col ricordo lasciò lo stimolo santo a risalire verso il luogo perduto con una vita di giustizia.
   Ma, fanciulli miei, voi lo avete provato poco fa che, finché la barca scende seguendo la corrente, è facile il suo cammino, mentre quando risale la corrente fatica a stare a galla, a non esser travolta dall’onda, a non naufragare fra le erbe e le sabbie o le pietre del fiume. Se Simon Pietro non avesse legato le vostre barchettine con i giunchi sottili della riva, le avreste perdute tutte, così come è accaduto a Isacco per aver lasciato andare il giunco.
   Lo stesso succede degli uomini gettati sulle correnti della Terra. Devono stare sempre nelle mani di Dio, affidando la loro volontà, che è come il giunco, alle mani del buon Padre che è nei Cieli e che è Padre di tutti e specie degli innocenti, e devono avere l’occhio vigilante ad evitare le erbe ed i falaschi, le pietre, i mulinelli e il fango che potrebbero trattenere, frantumare o inghiottire la barca della loro anima, strappando il filo della volontà che li tiene uniti a Dio. Perché il Serpente, che non è più nel Giardino, è ora sulla Terra, e cerca proprio di far naufragare le anime, cerca di non farle risalire, per l’Eufrate, il Tigri, il Geon e il Fison, al Gran Fiume che scorre nel Paradiso eterno e alimenta gli alberi della Vita e Salute, che portano perpetui frutti, di cui godranno tutti coloro che hanno saputo risalire la corrente per riunirsi a Dio e agli angeli suoi senza avere mai più a soffrire di nulla».

   554.11«Lo diceva anche la mamma», dice il più grandicello dei bambini.
   «Sì, lo diceva», cinguetta il più piccolo.
   «Tu non puoi sapere. Io sì, perché sono grande. Ma se dici le cose non vere, tu nel Paradiso non ci entri».
   «Il padre però diceva che non era vero niente», obbietta quello di mezzo.
   «Perché lui non credeva nel Signore della mamma».
   «Non era samaritano tuo padre?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «No. Era di altri luoghi. Ma la mamma lo era, e noi lo siamo perché lei ci voleva come lei. E ci raccontava del Paradiso e del Giardino, ma non bene come hai detto Tu. Io avevo paura del serpente e della morte, perché la mamma diceva che uno era il diavolo e perché il padre diceva che la morte finisce tutto. Per questo ero tanto infelice di essere solo, e anche dicevo che è inutile essere buoni ormai, perché, finché c’era la madre e il padre, si dava gioia a essere buoni, ma ora non c’era più nessuno da far godere con le nostre bontà. Invece ora so… E sarò buono. Non leverò mai il mio filo dalle mani di Dio per non essere portato via dalle acque della Terra».
   «Ma la mamma è andata in su o in giù?», chiede con perplessità il secondo fanciullo.
   «Che vuoi dire, fanciullo?», chiede Matteo.
   «Dico: dove è? È andata al fiume del Paradiso eterno?».
   «Speriamolo, fanciullo. Se era buona…».
   «Era samaritana…», dice con sprezzo l’Iscariota.
   «E allora non c’è Paradiso per noi, perché si è samaritani? Allora non avremo Dio, noi? Lui lo ha chiamato: “Padre di tutti”. A me orfano piaceva pensare che ho un Padre ancora… Ma se per noi non c’è…», china il capo afflitto.
   «Dio è il Padre di tutti, fanciullo mio. Ti ho forse amato meno Io, perché sei samaritano? Ti ho conteso ai ladroni, e ti contenderò al demonio, nello stesso modo con cui contenderei il piccolo figlio del Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme, se egli non riputasse obbrobrio che il Salvatore salvasse la sua creatura. Anzi, più ancora contendo te, perché sei solo e infelice. Non c’è differenza per Me fra lo spirito di un giudeo e quello di un samaritano. E fra poco non ci sarà più divisione fra Samaria e Giudea, perché il Messia avrà un unico popolo, che porterà il suo Nome e nel quale saranno tutti quelli che lo ameranno».
   «Io ti amo, Signore. Ma mi porti dalla mia mamma?», dice il più grande dei tre fanciulli.
   «Tu non sai dove è. Lo ha detto quell’uomo lì, che è solo da sperare…», dice il secondogenito.
   «Io non lo so, ma il Signore lo sa. Ha saputo anche dove eravamo noi, e noi invece non sappiamo neppure dove eravamo».
   «Coi ladroni… Ci volevano ammazzare…». Il terrore torna sul visetto del secondogenito.
   «I ladroni erano come i demoni. Ma Lui ci ha salvati, perché i nostri angeli lo hanno chiamato».
   «Anche la mamma l’hanno salvata gli angeli. Io lo so, perché me la sogno sempre».
   «Tu sei bugiardo, Isacco. Non puoi sognarla. Non la ricor­di».
   Il piccolino piange dicendo: «No. No. Io la sogno. La sogno io…».
   «Non dire bugiardo al tuo fratello, Ruben. La sua anima può ben vedere la mamma, perché il buon Padre dei Cieli può concedere che l’orfanello la sogni e la conosca parzialmente, così come concede di conoscere Lui stesso. Perché da questa conoscenza limitata venga una buona volontà di conoscerlo perfettamente, cosa che si ottiene con l’essere sempre molto buoni.

   554.12E ora andiamo. Abbiamo parlato di Dio, e il sabato si è santificato». Si alza in piedi e intona altri salmi.
   Della gente di Efraim, sentendo il coro, viene a quella volta e attende con rispetto la fine del salmo per salutare, e dice a Gesù: «Hai preferito venire qui anziché da noi? Non ci ami dun­que?».
   «Nessuno di voi mi aveva invitato. Sono perciò venuto qui coi miei apostoli e coi fanciulli».
   «È vero. Ma credevamo che il tuo discepolo ti avesse detto il nostro desiderio».
   Gesù guarda Giovanni e Giuda. E Giuda risponde: «Me ne sono dimenticato di dirlo ieri, e oggi, con questi fanciulli, me ne sono distratto».
   Gesù intanto lascia l’isoletta e passa il braccio minuscolo d’acqua, andando presso quelli di Efraim. Gli apostoli lo seguono, mentre i fanciulli si attardano per slegare le due superstiti barchettine di canna, e a Pietro che li sollecita spiegano: «Le vogliamo tenere per ricordarci la lezione».
   «E io? Io l’ho perduta! E non ricorderò. E non andrò in Paradiso», piange il più piccino.
   «Aspetta! Non piangere. Te la faccio subito la barchettina. Sicuro. Anche tu ti devi ricordare la lezione. Eh! Bisognerebbe farsela tutti una barchettina col suo giunco legato a prua per ricordare. Più noi, uomini, di voi fanciulli! Mah!», e Pietro taglia e forma la barchettina col suo giunco e prende in braccio, una bracciata sola, i tre fanciulli e salta il rio andando presso Gesù.
   «Sono questi?», interroga Malachia di Efraim.
   «Questi».
   «E son di Sichem?».
   «Così diceva il pastorello: che i parenti erano delle campagne».
   «Poveri fanciulli! Ma se i parenti non venissero, che fare­sti?».
   «Li terrei meco. Ma verranno».
   «Quei ladroni… Non verranno essi pure?».
   «Non verranno. Ma non temete per essi. Anche se venissero… Io sarei il loro predatore, e non essi i vostri predatori. Ho già strappato loro quattro prede e spero aver strappato un poco della loro anima al peccato, almeno in qualcuno».
   «Ti aiuteremo per questi fanciulli. Questo ce lo concederai».
   «Sì. E non perché sono della vostra regione, ma perché sono innocenti, e l’amore per gli innocenti è via che conduce rapidamente a Dio».
   «Ma Tu solo non fai distinzione fra innocenti e innocenti. Un giudeo non avrebbe raccolto questi piccoli samaritani, e neppure un galileo. Non siamo amati. E il disamore per noi lo hanno anche per quelli che neppur sanno ancora cosa è essere samaritani e giudei. E questa è cosa crudele».
   «Sì. Ma non sarà più così quando si seguirà la mia Legge. Lo vedi, Malachia? Essi sono fra le braccia di Simon Pietro, di mio fratello e di Simone Zelote. Nessuno di essi è samaritano, né padre. Eppure, neppure tu stringi sul cuore con tanto amore i tuoi figli come questi miei discepoli fanno con gli orfani di Samaria. L’idea messianica è questa: riunire tutti nell’amore. Questa è la verità dell’idea messianica. Un solo popolo sulla Terra sotto lo scettro del Messia. Un solo popolo in Cielo sotto lo sguardo di un solo Dio».
   Si allontanano, parlando, verso la casa di Maria di Giacobbe.

[122] i re d’Israele, di Edom e di Giuda, invece di i re d’Israele, quello di Joram (nome del re d’Israele) e quello di Giuda, è correzione nostra, conforme al racconto di: 2 Re 3, 1-20, in particolare del versetto 9.
[123] sentite ciò che si narra in: 2 Re 4, 18-37. Ai successivi versetti 38-41 farà poi riferimento Gesù ricordando la farina che leva l’amaro.