Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
13 maggio 1946.
435.1Il sabato è il riposo. Già lo si sa. E riposano uomini e strumenti, ricoperti o deposti in bell’ordine ai loro posti.
Ora che il tramonto roggio di un venerdì estivo sta per compiersi, ecco che Maria, seduta all’ombra del grande melo al suo telaio più piccolo, si alza e lo ricopre e, con l’aiuto di Tommaso, lo riporta in casa al suo posto e invita Aurea, che, seduta su uno sgabelletto ai suoi piedi, cuciva con mano maldestra ancora le vesti datele dalle romane e riadattate al suo personale da Maria, a piegare il lavoro con ordine ed a riporre tutto sulla mensola della sua cameretta. E, mentre Aurea eseguisce, la Madre entra con Tommaso nello stanzone laboratorio dove Gesù, insieme allo Zelote, si spiccia a rimettere nei loro posti seghe, pialle, cacciaviti, martelli, bussoli di vernice e di colla, e a spazzare i banconi e il suolo dalla segatura e dai trucioli. Del lavoro fino allora fatto non restano che due assi messe ad angolo, strette nella morsa perché si solidifichi la colla negli incastri (forse è un futuro cassetto), e uno sgabello a metà verniciato, oltre l’odore acuto delle tinte ancor fresche.
435.2Entra anche Aurea, che va a curvarsi sul lavoro di bulino di Tommaso e lo ammira domandando, curiosetta e istintivamente civettuola, a che serve e se a lei starebbe bene.
«Bene ti starebbe, ma più bene ti sta l’esser buona. Questi sono ornamenti che non fanno più bello che il corpo, ma che per lo spirito non servono. Anzi, coltivando civetteria, fanno male allo spirito».
«E allora perché lo fai?», chiede logica la fanciulla. «Vuoi dunque fare male ad uno spirito?».
Tommaso, sempre bonario, sorride all’osservazione e dice: «Fa male il superfluo ad uno spirito debole. Ma ad uno spirito forte l’ornamento resta né più né meno di quello che è: un necessario fermaglio per tenere a posto la veste».
«Per chi lo fai? Per la tua sposa?».
«Non ho sposa io e non l’avrò mai».
«Allora per la tua sorella».
«Ne ha più di quanti gliene occorrono».
«Allora per tua madre».
«Povera vecchia! Cosa vuoi che se ne faccia?».
«Ma è per una donna…».
«Sì. Che però non sei tu».
«Oh! Non lo penso neppure… E poi, adesso che hai detto che quelle cose lì fanno male allo spirito debole, non lo vorrei. Leverò anche quei bordi alle vesti. Non voglio far male a ciò che è del mio Salvatore!».
«Brava fanciulla! Vedi, tu hai fatto un lavoro più bello del mio con questa tua volontà».
«Oh! lo dici perché sei buono!…».
«Lo dico perché è vero!
435.3Vedi: io ho preso questo blocco d’argento, l’ho ridotto a foglie man mano che mi necessitava, e poi collo strumento, anzi con molti strumenti, l’ho piegato così. Ma ancora devo fare il più. Riunire le parti, e in modo naturale. Per ora complete non sono che queste due fogliette col loro fiorellino unito», e Tommaso alza fra le grosse dita un aereo stelo di mughetti, raccolto nella foglia che imita alla perfezione quelle naturali. Fa un certo effetto vedere quel gingillo scintillante del luccicore bianco dell’argento puro fra le dita robuste e abbronzate dell’orafo.
«Oh! bello! Ce ne erano tanti nell’isola e ci lasciavano coglierli prima che il sole si alzasse. Perché noi bionde non dovevamo mai prendere il sole per avere più pregio. Le brune invece le facevano stare fuori, al sole, fino a sentirsi male, perché fossero più brune. Le… Come si dice vendere una cosa dicendo che è una, mentre è l’altra?…».
«Mah!… Con inganno… con truffa… non so».
«Ecco, le ingannavano dicendole arabe o dell’alto Nilo, là dove nasce. Una l’hanno venduta come discendente dalla regina Saba».
«Niente meno! Ma non ingannavano loro. Ma i compratori. Si dice allora: truffavano. Che razza di gente! Una bella sorpresa per il compratore quando avrà visto schiarirsi la… falsa etiopica! Ma lo senti, Maestro? Quante cose che noi ignoriamo!…».
«Lo sento. Ma il più triste non è nella truffa al compratore… È nella sorte di quelle fanciulle…».
«È vero. Anime profanate per sempre. Perdute…».
«No. Dio può sempre intervenire…».
«Per me lo ha fatto. Tu mi hai salvata!…», dice Aurea volgendosi al Signore col suo sguardo chiaro, sereno. E termina: «E io sono tanto felice!», e non potendo andare ad abbracciare Gesù, va a cingere con un braccio Maria, chinando la sua testa bionda sulla spalla della Vergine in atto di confidente amore. Le due teste bionde spiccano nelle loro diverse sfumature contro la parete oscura. Un gruppo dolcissimo.
Ma Maria pensa alla cena. Si sciolgono e se ne vanno.
435.4«Si può entrare?», dice alla porta, che dallo stanzone va sulla via, la voce un po’ rauca di Pietro.
«Simone! Aprite!».
«Simone! Non ha saputo stare via!», dice Tommaso ridendo, mentre corre ad aprire.
«Simone! Era da prevedersi…», dice sorridendo lo Zelote.
Ma non è solo il viso di Pietro quello che si inquadra nel vano della porta. Sono tutti gli apostoli del lago, tutti meno Bartolomeo e meno l’Iscariota. E con loro sono già Giuda e Giacomo d’Alfeo.
«La pace a voi! Ma perché siete venuti con questo caldo?».
«Perché… non potevamo più stare via. Sono due settimane e mezza, sai? Capisci? Due e mezza che non ti vediamo!», e Pietro pare dica: «Due secoli! Un’enormità!».
«Ma vi avevo detto di attendere Giuda ogni sabato».
«Sì. Ma per due sabati non è venuto… e il terzo veniamo noi. Là è rimasto Natanaele, che non sta troppo bene. E lo riceverà, se Giuda andrà… Ma non ci va certo… Passando da Tiberiade per venire da noi, prima di andare verso l’Ermon grande, Beniamino e Daniele ci hanno detto di averlo visto a Tiberiade e… Già. Ti dirò dopo…», dice Pietro che è stato fermato nel dire da una tirata di veste che gli dà suo fratello.
«Va bene. Mi dirai… Ma però eravate così desiderosi di riposo e ora che potete riposare fate queste corse! Quando siete partiti?».
«Ieri sera. Con un lago che era uno specchio. Siamo sbarcati a Tarichea per evitare Tiberiade per… per non incontrare Giuda…».
«Perché?».
«Perché, Maestro, volevamo godere Te in pace».
«Siete egoisti!».
«No. Lui ha già le sue gioie… Mah! Io non so chi gli dà tanto denaro per goderlo con… Sì, ho capito, Andrea. Ma non tirarmi più la veste così fortemente. Non ho che questa, lo sai. Mi vuoi far ripartire stracciato?».
Andrea si fa rosso. Gli altri ridono. Gesù sorride.
«Bene. Siamo scesi a Tarichea anche perché, ecco, non mi rimproverare… Sarà il caldo, sarà che lontano da Te incattivisco, sarà che pensare che lui si è separato da Te per unirsi a… Insomma, smettila di strapparmi la manica! Vedi che mi so fermare in tempo!… Dunque, Maestro, sarà per tante cose… io non volevo peccare e, se vedevo Giuda, lo facevo. E allora ho diretto a Tarichea. E all’alba ci siamo messi in cammino».
«Siete passati da Cana?».
«No. Non volevamo allungarla… Ma è stata molto lunga lo stesso. E il pesce se ne andava… Lo abbiamo dato ad una casa per avere ricovero per qualche ora, le più calde. E siamo partiti a metà tempo dopo l’ora di nona… Un forno!…».
«Potevate risparmiarvelo. Presto sarei venuto Io…».
«Quando?».
«Dopo che il sole è uscito dal leone».
«E ti pare che si potesse stare tanto senza di Te? Ma mille calori simili sfidiamo, ma veniamo a vederti. Il nostro Maestro! Il nostro adorato Maestro!», e Pietro si abbraccia il suo ritrovato Tesoro.
«E pensare che quando siamo insieme non fate che lamentarvi del tempo, della lunghezza del cammino…».
«Perché siamo stolti. Perché, finché si è insieme, noi non si capisce bene ciò che Tu sei per noi… Ma eccoci qui. Abbiamo già posto. Chi da Maria d’Alfeo, chi da Simone d’Alfeo, chi da Ismaele, chi da Aser e chi da Alfeo qui vicino. Ora si riposa e domani sera si riparte, più contenti».
435.5«Sabato scorso ebbimo qui Mirta e Noemi, venute a rivedere la fanciulla», dice Tommaso.
«Vedi che chi appena può viene qui?».
«Sì, Pietro. E voi che avete fatto in questi tempi?».
«Pescato… verniciato le barche… aggiustato le reti… Adesso Marziam esce spesso coi garzoni, cosa che fa diminuire gli improperi di mia suocera contro “il fannullone che fa morire di fame la moglie dopo che le ha portato anche un bastardo”. E pensare che Porfirea non è mai stata tanto bene come ora che ha Marziam, per il cuore e… per tutto il resto. Le pecorelle da tre sono diventate cinque, e presto saranno di più… Non è poco utile per una piccola famiglia come la nostra! E Marziam, con la pesca, sopperisce a quel che io non faccio più che molto di rado. Ma quella donna ha lingua viperina per quanto sua figlia l’ha di colomba… Ma anche Tu hai lavorato, vedo…».
«Sì, Simone. Abbiamo lavorato. Tutti. I miei fratelli nella loro casa, Io con questi nella mia. Per far contente e riposate le nostre madri».
«Già! Anche noi», dicono i figli di Zebedeo.
«E io la moglie, lavorando ad alveari e vigneti», dice Filippo.
«E tu, Matteo?».
«Io non ho alcuno da far felice… e allora ho fatto felice me stesso, scrivendo le cose che più mi piacciono ricordare…».
«Oh! allora ti diremo la parabola della vernice. L’ho provocata io, molto inesperto pittore…», dice lo Zelote.
«Ma hai presto imparato il mestiere. Guardate come ha lisciato bene questo sedile!», dice il Taddeo…
L’accordo fra loro è perfetto. E Gesù, dal volto più riposato da quando è nella sua casa, sfavilla di gioia per avere intorno i suoi cari apostoli.
435.6Entra Aurea e rimane sorpresa sulla soglia.
«Oh! eccola! Ma guarda come sta bene! Proprio sembra una piccola ebrea, vestita così!».
Aurea si fa di porpora e non sa che dire. Ma è così bonario e paterno Pietro che poi si riprende e dice: «Mi sforzo a divenirlo e… con la mia Maestra presto spero di esserlo… Maestro, vado a dire a tua Madre che ci sono costoro…», e si ritira svelta.
«È una buona fanciulla», dichiara lo Zelote.
«Sì. Vorrei restasse a noi d’Israele. Bartolomeo ha perduto una buona occasione e una gioia col respingerla…», dice Tommaso.
«Bartolomeo è molto ligio alle… formule», lo scusa Filippo.
«Il suo unico difetto», osserva Gesù.
Entra Maria…
«La pace a te, Maria», dicono i venuti da Cafarnao.
«La pace a voi… Non sapevo che eravate qui. Ora provvederò subito… Venite intanto…».
«Da casa verrà nostra madre con diverse cibarie, e anche Salome. Non ti preoccupare, Maria», dice Giacomo di Alfeo.
«Andiamo nell’orto… Si alza il vento della sera e si sta bene…», dice Gesù.
Ed entrano nell’orto sedendosi qua e là, in fraterni discorsi, mentre i colombi sgrugolano mentre si contendono l’ultimo pasto che Aurea sparge al suolo… Poi è l’inaffiagione delle aiuole fiorite, o semplicemente utili e belle di verdure necessarie all’uomo. E gli apostoli vogliono farlo loro, allegramente, intanto che Maria d’Alfeo, sopraggiunta, con Aurea e Maria preparano il cibo per gli ospiti. E l’odore delle vivande che sfrigolano si mesce a quello della terra inaffiata, così come il cinguettio degli uccelli, che si contendono petulanti un buon posto fra le fronde folte sull’orto, si mescolano alle voci profonde o squillanti degli apostoli…