Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
29 settembre 1945.
290.1 La carovana esce dal cortilone di Alessandro. Ordinata come per una parata militare. In coda Gesù con tutti i suoi. I cammelli vanno, dondolando nel passo ritmico il loro carico potente, e le teste, sul collo arcuato, paiono chiedere ad ogni passo: «Perché? Perché?», in una mossa muta ma tipica, come quella dei colombi che ad ogni passo sembrano dire: «sì, sì», a tutto quanto vedono. Deve attraversare la città, la carovana. E lo fa nell’aria nitida del mattino. Sono tutti imbacuccati perché fa fresco. Il sonaglio dei cammelli, il crrr crrr dei cammellieri, il versaccio di un cammello che rimpiange la stalla oziosa, fanno avvisati i geraseni della partenza di Gesù.
La nuova si diffonde rapida come il baleno, e dei geraseni vengono a salutarlo e a portare offerte di frutta e altri cibi. Corre anche un uomo con un piccolino malato: «Benedicilo, che guarisca. Abbi pietà!».
Gesù alza la mano e benedice, aggiungendo: «Vai sicuro. Abbi fede».
E l’uomo risponde un “sì” così pieno di fiducia che una donna chiede: «Il mio uomo malato di ulceri agli occhi lo guariresti?».
«Se siete capaci di credere, sì».
«Allora vado a prenderlo. Attendimi, Signore», e vola via come una rondine.
Attendere! È una parola! I cammelli vanno avanti. Alessandro, in testa alla colonna, non sa ciò che si vuole in coda. Non c’è che mandare un avviso all’uomo.
«Corri, Marziam. Va’ a dire al mercante che si fermi prima di uscire dalle mura», dice Gesù.
E Marziam sfreccia via, a fare la sua missione. La carovana sosta mentre il mercante viene verso Gesù.
«Che accade?».
«Resta e vedrai».
290.2 Presto è di ritorno la donna di Gerasa col marito malato d’occhi. Altro che ulceri! Quelle sono due tane di marciume aperte in mezzo al viso. L’occhio appare là in mezzo, appannato, arrossato, semicieco, fra scoli di lacrime ripugnanti. Non appena l’uomo solleva la benda scura che fa velo alla luce, il pianto aumenta perché la luce aumenta il dolore dell’occhio malato.
L’uomo geme: «Pietà! Soffro tanto!».
«Hai anche molto peccato. Di quello non ti lamenti? Solo della povera vista del mondo ti affliggi di poterla perdere? Non sai nulla di Dio? Non ti fa paura una tenebra eterna? Perché hai mancato?».
L’uomo piange e si curva senza parlare. La moglie anche piange e geme: «Io ho perdonato…».
«E Io pure perdonerò se egli qui mi giura di non ricadere più nel suo peccato».
«Sì, sì! Perdono. Ora so cosa il peccato porta con sé. Perdono. Come la donna perdonami. Tu sei il Buono».
«Io ti perdono. Va’ a quel rio e lavati nell’acqua il volto e guarirai».
«L’acqua fredda gli fa peggio, Signore», geme la donna.
Ma l’uomo non pensa altro che ad andare, e va brancolando finché l’apostolo Giovanni, pietoso, non lo prende per mano e lo guida da solo finché la moglie non lo sorregge per l’altra mano. L’uomo scende fino al limite della gelida acqua che borbotta fra i sassi, si curva, prende l’acqua nella coppa delle mani unite e si lava e rilava il viso. Non dà segno di dolore. Pare anzi trovarne sollievo.
Poi, col volto ancora bagnato, risale la sponda, torna da Gesù che gli chiede: «Ebbene? Sei guarito?».
«No, Signore. Non per ora. Ma Tu lo hai detto e io guarirò».
«Allora resta nella tua speranza. Addio».
La donna si accascia piangendo… È delusa. Gesù fa cenno al mercante che si può andare. E il mercante, deluso lui pure, fa passare la voce. I cammelli si rimettono in marcia col loro moto di barca che alzi e abbassi la prora e il tagliamare sull’onda, escono dalle mura, prendono la carovaniera ampia e polverosa che si dilunga in direzione sud-ovest.
L’ultima coppia del gruppo apostolico, ossia Giovanni di Endor e Simone Zelote, ha superato di un venti metri le mura, quando un grido taglia l’aria silenziosa, pare empire di sé il mondo, si ripete, sempre più alto, lieto, osannante: «Io vedo! Gesù! Benedetto mio! Io vedo! Io vedo! Ho creduto! Io vedo! Gesù, Gesù! Benedetto mio!», e l’uomo, dal volto completamente risanato, dagli occhi tornati belli — due carbonchi pieni di luce e di vita — fende le file apostoliche e piomba ai piedi di Gesù, finendo quasi sotto le zampe del cammello del mercante, che fa appena a tempo a scansare la bestia dal prostrato.
L’uomo bacia la veste di Gesù ripetendo: «Ho creduto! Ho creduto e vedo. Benedetto mio!».
«Alzati e sii felice. E buono, soprattutto. Di’ a tua moglie che sappia credere completamente. Addio». E Gesù si libera dalla stretta del miracolato e riprende ad andare.
290.3 Il mercante si liscia la barba pensieroso… Infine chiede: «E se non avesse saputo persistere a credere dopo la delusione del lavaggio?».
«Sarebbe rimasto quale era».
«Perché esigi tanta fede per fare miracolo?».
«Perché la fede testimonia presenza di speranza e di amore in Dio».
«E perché prima hai voluto il pentimento?».
«Perché il pentimento fa amico Dio».
«Io che non ho malattie, che dovrei fare per testimoniare che ho fede?».
«Venire alla Verità».
«E potrei venirci senza amicizia di Dio?».
«Non ci potresti venire senza la bontà di Dio. Il Signore permette che chi, ancora senza pentimento, lo cerca, lo trovi;
perché il pentimento generalmente viene quando l’uomo, scientemente o con appena una larva di coscienza di ciò che vuole la sua anima, conosce Iddio. Prima è come un ebete guidato dal solo istinto. Tu non hai mai sentito il bisogno di credere?».
«Molte volte. Non ero soddisfatto, ecco, di ciò che avevo. Sentivo che c’era dell’altro. Più forte del denaro e dei figli, speranze mie… Ma non mi davo poi la cura di cercare di sapere ciò che senza sapere cercavo».
«La tua anima cercava Dio. La bontà di Dio ha permesso che tu trovassi Dio. Il pentimento per il tuo inerte passato lontano da Dio ti darà l’amicizia di Dio».
«Allora per… per avere il miracolo di vedere con l’anima la Verità, dovrei pentirmi del passato?».
«Certamente. Pentirti e risolverti ad un completo mutamento di vita…».
L’uomo si torna a lisciare la barba, e pare che stia studiando e contando i peli del collo del cammello, tanto sta a occhi fissi. Senza volere, urta col tallone la bestia, e questa prende l’urto per un incitamento ad accelerare il passo, e lo fa portando oltre il mercante, verso la testa della carovana.
290.4 Gesù non lo trattiene. Anzi si ferma lasciandosi sorpassare dalle donne e dagli apostoli, finché lo raggiungono Simone Zelote e Giovanni di Endor. Gesù si unisce a loro.
«Di che parlate?», chiede.
«Parlavamo dello sconforto che deve provare chi non crede a nulla o chi perde una fede che aveva. Ieri Sintica era proprio angosciata, pur essendo passata ad una fede perfetta», risponde lo Zelote.
«Io dicevo a Simone che, se è penoso passare dal Bene al Male, è anche sconcertante passare dal Male al Bene. Nel primo caso si è torturati dalla coscienza che rampogna. Nel secondo si è… straziati… Come deve esserlo uno che si trova portato in paese straniero, assolutamente ignoto… Oppure è lo sgomento di chi, essendo un miserabile e incolto, si trovasse messo in mezzo ad una Corte di re, fra dotti e signori. È una sofferenza… Io so… Tanta sofferenza… Non si può credere che ciò sia vero, che possa durare… che lo si possa meritare… specie quando si ha l’anima macchiata… come era la mia…».
«E ora, Giovanni?», chiede Gesù.
Il viso estenuato di Giovanni di Endor, estenuato e triste, si illumina di un sorriso che lo fa meno scarno. Dice: «E ora non più. Resta la gratitudine, anzi essa cresce, per il Signore che ha voluto questo. Resta il ricordo del passato a tenermi umile. Ma c’è la sicurezza. Mi sento acclimatato, non più straniero in questo dolce mondo che è il tuo, di perdono e di amore. E sono pacificato, sereno, felice».
«Giudichi buona la tua esperienza?».
«Sì. Se non fosse che mi dolgo di aver peccato, perché con esso peccato ho contristato Iddio, direi che sento che è stato bene questo mio passato. Mi può molto servire a sostenere anime, volonterose ma smarrite, nei primi momenti del loro nuovo credere».
«Simone, va’ a dire al ragazzo di non saltare tanto. Questa sera sarà sfinito».
Simone guarda Gesù, ma capisce la verità del comando. Ha un sorriso intelligente e se ne va lasciando soli i due.
290.5 «Ora che siamo soli, Giovanni, ascolta questo mio desiderio. Tu, per molte ragioni, hai l’ampiezza di giudizio e di pensiero che nessun altro ha fra i miei seguaci. E hai una cultura più vasta di quella comune fra gli israeliti. Perciò Io ti prego di aiutarmi…».
«Io aiutare Te? In che?».
«Per Sintica. Tu sei tanto un bravo pedagogo! Marziam impara presto e bene con te. Tanto che Io conto lasciarvi insieme per qualche mese, perché voglio in Marziam una conoscenza più vasta di quella del piccolo mondo d’Israele. A te dà gioia occuparti di lui. Anche a Me dà gioia vedere voi uniti, tu a insegnare, lui ad apprendere; tu a ringiovanire, egli a maturare nell’occupazione. Ma anche Sintica dovresti curare. Come una sorella smarrita. Tu l’hai detto: è uno smarrimento… Aiutala ad acclimatarsi nell’atmosfera mia. Mi fai questo favore?».
«Ma è grazia per me farlo, mio Signore! Io non l’avvicinavo perché mi pareva di essere un superfluo. Ma se Tu vuoi. Ella legge i miei rotoli. Ce ne sono di sacri e di unicamente colti: libri di Roma e di Atene. Vedo che medita e compulsa. Ma non mi ero mai intromesso ad aiutarla. Se Tu lo vuoi…».
«Sì, lo voglio. Voglio vedervi amici. Anche lei, come Marziam e come te, sosterete a Nazaret qualche tempo. Sarà bello.
Mia Madre e tu maestri di due anime che si aprono a Dio. Mia Madre, l’angelica Maestra della scienza di Dio; tu, l’esperto maestro dell’umano sapere, che però ora puoi spiegare con riferimenti soprannaturali. Sarà bello. E buono».
«Sì, mio benedetto Signore! Troppo bello per il povero Giovanni!…», e l’uomo sorride al pensiero di questi prossimi giorni di pace presso Maria, nella casa di Gesù…
290.6 E la strada si snoda, in un tepore di sole sempre più sensibile, in una vaghezza di campagna ormai tutta piana dopo aver costeggiato quelle piccole elevazioni che sono subito dopo Gerasa. Una strada anche ben tenuta, su cui è comodo l’andare. E riprendere ad andare dopo la sosta del mezzodì.
È quasi sera quando sento ridere per la prima volta di gusto Sintica, alla quale Marziam ha raccontato non so che, che fa ridere tutte le donne. Vedo che la greca si china ad accarezzare il bambino e a sfiorargli la fronte con un bacio. Dopo di che il fanciullo riprende a saltellare come non sentisse stanchezza.
Ma stanchi sono tutti gli altri, e con gioia è appresa la decisione di pernottare alla fonte del Cammelliere. Il mercante dice: «Io vi pernotto sempre. Troppo lunga è la tappa da Gerasa a Bozra. Per uomini e per bestie».
«È umano questo mercante», osservano fra loro gli apostoli, confrontandolo con Doras…
La “fonte del Cammelliere” non è che un pugno di case intorno a pozzi numerosi. Una specie di oasi non nell’arido del deserto, perché qui non c’è aridità. Ma è un’oasi nella vastità disabitata dei campi e dei frutteti, che si seguono gli uni agli altri per delle miglia e che, nel venire della sera ottobrina, emanano la stessa tristezza del mare al crepuscolo. Perciò vedere case, udire rumori di voci, pianti di bimbi, sentire l’odore dei camini che fumano e vedere le prime lucerne accese, è dolce come l’arrivo alla propria casa.
Mentre i cammellieri sostano per una prima abbeverata ai cammelli, gli apostoli e le donne seguono Gesù, che col mercante entrano nel… molto preistorico albergo che li ospiterà per la notte…
290.7 …Nella fumosa stanzaccia dove hanno preso il pasto, dove dormiranno gli uomini, e mentre già i servi preparano i giacigli di fieno ammucchiato su graticci, si radunano tutti presso un ampio focolare che tiene tutta la parete stretta dello stanzone. Il fuoco è acceso perché la sera ha portato umido e freddo.
«Purché il tempo non si metta all’acqua», sospira Pietro.
Il mercante lo rassicura: «Vi è ancora da finire questa luna prima che venga il maltempo. Qui fa così a sera. Ma domani avremo sole».
«È per le donne, sai? Non per me. Io sono pescatore e nell’acqua ci vivo. E ti assicuro che preferisco l’acqua alle montagne e alla polvere».
Gesù parla con le donne e coi due cugini. Lo ascoltano anche Giovanni di Endor e lo Zelote. Invece Timoneo ed Ermasteo con Matteo leggono uno dei rotoli di Giovanni, e i due israeliti spiegano ad Ermasteo i passi biblici più oscuri per lui.
Marziam li ascolta incantato, ma con un visetto che si vela di sonno. Lo vede Maria d’Alfeo e dice: «Quel bambino è stanco. Vieni, caro, ché andiamo a dormire noi. Vieni, Elisa. Vieni, Salome. Vecchi e bambini stanno meglio a letto. E fareste bene andarci tutti. Siete stanchi». Ma oltre le anziane, eccettuate Marcella e Giovanna di Cusa, nessuno si muove.
Quando, dopo esser state benedette, esse se ne sono andate, Matteo mormora: «Chi lo avesse detto a queste donne di avere a dormire sulla paglia, tanto lontane da casa, solo poco tempo fa!».
«Non ho mai dormito tanto bene», afferma recisa Maria di Magdala. E Marta conferma la stessa cosa.
Però Pietro dà ragione al compagno: «Matteo ha ragione. E io mi chiedo, senza capire, perché il Maestro vi ha portate qui».
«Ma perché siamo le discepole!».
«Allora se andasse… dove stanno i leoni, ci andreste?».
«Ma sicuro, Simon Pietro! Gran che fare qualche passo! E con Lui vicino!».
«Ecco, veramente sono molti passi. E per delle donne disabituate a questo…».
Ma le donne protestano, tanto che Pietro si stringe nelle spalle e tace.
Giacomo d’Alfeo, alzando la testa, vede un sorriso così luminoso sul volto di Gesù che gli chiede: «Ci vuoi dire il vero scopo di questo viaggio, fra di noi, con le donne e… con poco frutto rispetto alla fatica?».
«Tu potresti pretendere di vedere ora il frutto del seme sepolto nei campi che abbiamo traversato?».
«Io no. Lo vedrò in primavera».
«Io pure ti dico: “Lo vedrai a suo tempo”».
Gli apostoli non ribattono nulla.
290.8 Si alza la voce argentina di Maria: «Figlio mio, oggi fra noi parlavamo di quanto hai detto a Ramot. E ognuna di noi aveva sensazioni e riflessioni diverse. Vorresti dirci il tuo pensiero? Io dicevo che era meglio chiamarti subito. Ma Tu parlavi con Giovanni di Endor».
«Veramente ero io quella che aveva suscitato la questione. Perché sono una povera pagana, io, e non ho le luci splendide della vostra fede. Bisogna compatirmi».
«Ma vorrei avere la tua anima, sorella mia!», dice impulsiva la Maddalena. E, sempre esuberante, l’abbraccia tenendola stretta a sé con un braccio.
Splendida nella sua bellezza, pare da sola illuminare la misera stamberga e mettervi l’opulenza della sua casa sontuosa. Stretta a lei, la greca, tutt’affatto diversa, eppure singolare nella sua persona, mette una nota di pensiero presso il grido d’amore che pare sprigionarsi sempre dalla passionale Maria; mentre, seduta col dolce viso alzato verso il Figlio, le mani intrecciate quasi pregasse, il profilo purissimo in risalto contro la parete nera, la Vergine è la perpetua Adorante. Susanna sta nella penombra dell’angolo e sonnecchia, mentre Marta approfitta della luce del focolare per assicurare delle fibbie alla vesticciola di Marziam, attiva anche nonostante la stanchezza e le insistenze altrui.
Gesù dice a Sintica: «Ma non era pensiero penoso. Ti ho sentita ridere».
«Sì, per il bambino, che risolveva la questione agilmente, dicendo: “Io non voglio ritornare altro che se torna Gesù. Ma se tu vuoi sapere tutto, va’ di là e poi torna a dirci se ti ricordi”».
Ridono tutte ancora e dicono che Sintica domandava a Maria spiegazioni sulla non ben capita spiegazione del ricordo che le anime conservano, e che spiega certa possibilità nei pagani di avere ricordi vaghi della Verità.
«Io dicevo: “Forse che questo conferma la teoria della rincarnazione creduta da molti pagani?”; e tua Madre, Maestro, mi spiegava che altra cosa è quello che Tu dici. Ora voglimi spiegare anche questo, mio Signore».
290.9 «Ascolta. Non devi credere che, perché gli spiriti hanno spontanei ricordi di Verità, sia dimostrato che noi si vive più vite. Ormai sai già abbastanza per sapere come fu creato l’uomo, come l’uomo peccò, come fu punito. Ti è stato spiegato come nell’animale-uomo da Dio sia incorporata un’anima singola. Questa è creata di volta in volta e non mai più usata per successive incarnazioni. Questa certezza dovrebbe annullare la mia asserzione sui ricordi delle anime. Dovrebbe per qualunque altro essere che non fosse l’uomo, dotato di un’anima fatta da Dio. L’animale non può ricordare nulla, nascendo una volta sola. L’uomo può ricordare, pur nascendo una volta sola. Ricordare con la sua parte migliore: l’anima. Da dove viene l’anima? Ogni anima d’uomo? Da Dio. Chi è Dio? Lo Spirito intelligentissimo, potentissimo, perfetto. Questa mirabile cosa che è l’anima, cosa da Dio creata per dare all’uomo la sua immagine e somiglianza come segno indiscutibile della sua Paternità Ss., risente delle doti proprie di Colui che la crea. È dunque intelligente, spirituale, libera, immortale, come il Padre che l’ha creata. Essa[97] esce perfetta dal Pensiero divino e nell’attimo della sua creazione essa è uguale, per un millesimo di attimo, a quella del primo uomo: una perfezione che comprende la Verità per dono gratis dato. Un millesimo di attimo. Poi, formata che sia, è lesionata dalla colpa d’origine. Per farti capire meglio dirò che è come se Dio fosse gravido dell’anima che crea e che il creato, nel nascere, venisse ferito da un segno incancellabile.
Mi comprendi?».
«Sì. Finché è pensata, è perfetta. Un millesimo d’attimo, questo pensiero creante. Poi, il pensiero tradotto in fatto, il fatto è soggetto alla legge provocata dalla Colpa».
«Bene hai risposto. L’anima si incarna perciò così nel corpo umano, portando seco, quale gemma segreta nel mistero del suo essere spirituale, il ricordo dell’Essere Creatore, ossia della Verità. Il bimbo nasce. Può essere un buono, un ottimo come un perfido. Tutto può divenire, perché è libero di volere. Sui suoi “ricordi” getta le luci il ministero angelico e le tenebre l’insidiatore. A seconda che l’uomo appetisce alle luci, e perciò anche a virtù sempre più grande, facendo l’anima signora del suo essere, ecco che si aumenta in lei la facoltà di ricordare, come se sempre più la virtù assottigliasse la parete che si frappone fra l’anima e Dio. Ecco perché i virtuosi di ogni paese sentono la Verità, non perfettamente, perché ottusi da contrarie dottrine o da ignoranze letali, ma sufficientemente per dare pagine di formazione morale ai popoli ai quali appartengono.
Hai compreso? Sei persuasa?».
«Sì. Concludendo: la religione delle virtù praticate eroicamente predispone l’anima alla Religione vera e alla conoscenza di Dio».
«Proprio così. E ora vai al riposo e sii benedetta. E tu pure, Mamma; e voi, sorelle e discepole. La pace di Dio sul vostro riposo».