Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola
"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)
Una figura alta, bella, imponente, luminosa, ilare di paradisiaca letizia, e una voce piena, dalla parlata dolce. Nel tono mi ricorda il velluto d’amore della Maddalena, nell’accento la più schietta loquela toscana.
Mi dice: «Sorella, io pur son venuta. Scrivi le mie parole, ti daranno gioia e pace grande.» E attende mentre prendo il quaderno e scrivo questo. Adesso torna a parlare:
«Son Caterina[649]. Tu mi ami e non m’ami, perché mi sei simile, e pur ti sgomenti per la mia forza. Sorella dolce, a che ti sgomenti? Non sai che la mia forza è la stessa che è in te: quella del dolce, svenato Agnello? Oh! che tutto il suo Sangue è nei suoi amatori! E per questo Sangue che è fuoco, noi nel mondo possiamo, e in Cielo giubiliamo. Può, chi seco ha quel Sangue, non esser forza e fuoco? E non sai tu che quel Sangue è succo di Dio e seco ha ciò che è essenza di Dio: Carità perfetta? Giubila, sorella.
Bene sta che tu pure, agnella e falcone, avessi il tuo Tuldo. Bene sta. Più grande preda hai rapito col tuo rostro d’amore tu che non io sul palco. Quello: delinquente di sangue. Il tuo: delinquente per Satana e di spirito. Ad uno stesso pascolo tu l’hai condotto, dolce agnella del mio Pastore, al pascolo delle tre divine virtù e delle infinite verità. Sangue e fuoco hai dato. Sangue e fuoco qui avrai per veste e diadema.
Sorella, addio. La Pace, ossia il dolce svenato Agnello, sia sempre teco.»
[Segue il capitolo 64 dell’opera L’EVANGELO]