Prefazione di Don MARCELLO STANZIONE
Ho scritto diversi libri sul rapporto degli angeli con i mistici come p. Pio o santa Faustina Kowalska e da diversi anni desideravavo scrivere qualcosa sulla Valtorta ed il mondo angelico.
Ho letto tanto su questa autrice di spiritualità che a me personalmente piace molto ma sentivo che da solo l’impresa era troppo superiore alle mie povere forze fino a quando non mi hanno parlato di Guido Landolina, un laico “innamorato” della Valtorta profondamente esperto dell’opera letteraria della nostra e dotato di intelligenza veramente acuta.
Telefonai a Guido immediatamente e gli proposi di scrivere insieme un libro e Guido, insieme a sua moglie, venne anche a trovarmi nella mia parrocchia di Campagna (Sa) affrontando un viaggio lunghissimo.
Landolina ha fatto un’opera veramente mirabile ed io ho non ho tolto niente di ciò che egli ha scritto su Maria Valtorta lasciando intatto il suo lavoro e aggiungendo ed integrando alla fine di quasi tutti i capitoli la parte propriamente angelologica frutto di molte anni di ricerche.
Siccome sono diversi anni che cerco di diffondere la devozione cattolica agli angeli, quando organizzo conferenze sugli spiriti celesti una delle domande che quasi sempre i diversi uditori mi rivolgono è come si fa a conoscere il nome del proprio angelo custode.
Certamente non consultando quei libercoli dei 72 geni della Cabalà dove per i 365 gradi dello zodiaco viene “rivelato” un nome di un protettore angelico per ogni 5 gradi-giorni!
Conoscere il nome del proprio angelo custode non è certamente indispensabile ma è certamente un privilegio che Dio ha concesso a pochissime anime elevate misticamente che avevano una grande missione da realizzare su questa terra. Una missione collegata con grandi sofferenze di tutti i tipi da sopportare per amore dell’Umanità peccatrice.
Una di queste anime elette è certamente Maria Valtorta il cui angelo protettore le era un giorno apparso presentandosi con il nome di Azaria.
Forse già questo basterebbe a far storcere il naso a più di qualche lettore. Parlare di nomi angelici è, al momento, una necessità richiesta dal mondo materiale dove noi viviamo. Se è certo che l’individualità degli Spiriti angelici impone che essi abbiano una identità, essa non si traduce in linguaggio terreno col ricorso ad un certo numero di sillabe articolate. I nomi degli Angeli sono infatti per essenza ineffabili. I veri nomi angelici ci restano impenetrabili, almeno nella realtà in cui noi siamo.
Benché cosciente di non aver accesso alla designazione vera degli Spiriti, l’Umanità non ha pertanto mai smesso di cercare i nomi degli Angeli. Scrupolo curioso e derisorio ? Forse, secondo le mentalità post-moderne, ma certamente non una volta.
Il 'nome', nelle coscienze antiche ed in tutte le civilizzazioni, è di una importanza primordiale. Nominare è un atto decisivo che rinviene dal Sacro. Può stabilire un legame personale ; può soprattutto dare un potere, una presa sull’essere o la cosa così chiamata. Quando Dio ha terminato la creazione degli animali, Egli li ha condotti davanti ad Adamo e gli ha chiesto di dare loro un nome a suo piacimento (Gen.2,19-20).
Il nome è sempre espressione dell’essenza di chi lo porta.
Adamo chiama la sua sposa Eva, da una radice ebraica che significa Vita, perché ella è destinata ad essere la Madre del genere umano.
Gabriele ordina a Zaccaria di dare al figlio che gli nascerà il nome, non usuale nella sua famiglia, di Giovanni, che significa “Yahvé è favorevole” (Lc.1,13). E, alcune settimane più tardi, egli chiede a Maria di chiamare il figlio Gesù, “Yahvé salva” (Lc.1,31).
Nomi strettamente legati alle missioni terrene del Precursore e del Redentore.
I nomi degli Angeli procedono dalla stessa logica: essi riflettono la missione dello spirito.
Ora, la Bibbia non cita nominativamente che tre Angeli : Michele, Gabriele, Raffaele. Per gli altri, è il silenzio completo. Questo silenzio annoia i curiosi che amerebbero entrare in rapporto stretto con l’universo invisibile. E' infatti impossibile conciliarsi uno Spirito del bene che non si può invocare, come è difficile avere uno 'sbarramento' su di uno Spirito del male che nasconde la sua identità. Conoscere il nome degli Spiriti, è infatti accedere ad un altro livello, è impadronirsi di un potere, benefico o negativo. Utilizzato con prudenza e saggezza, questo potere sbocca nella pratica dell’esorcismo. In cattive mani, il pericolo di giungere a delle pratiche magiche pericolose, nefaste, è evidente. Questo timore spiega il segreto, e i divieti che circondano i nomi degli Angeli.
Gli Esseni, nei loro monasteri di Qumran, pregavano molto gli Angeli e vivevano nella loro familiarità. Ma uno dei primi obblighi fatti ai giovani che raggiungevano le comunità era di custodire segreti i nomi degli Angeli (Giuseppe Flavio, Antichità ebraiche).
Questo bisogno di avere accesso ai segreti del mondo angelico, con gli sbandamenti obbligatori che ne possono derivare, era già noto all’ebraismo e passò poi nel cristianesimo dove si estese.
Le Chiese copta ed etìope, che praticavano una medicina tradizionale sacra, si servivano, per curare i mali imputati ai demoni, della recita litanica dei nomi dati agli Angeli.
Queste pratiche di esorcismo sono sopravvissute per molto tempo in queste Chiese.
Altrove, queste pratiche non tardarono a favorire degli usi dubbi, come pure francamente eretici. É contro di essi che la Chiesa iniziò a reagire.
Il Concilio di Roma condannò nel 492 l’uso, molto frequente, di chiamare gli Angeli con nomi di fantasia sotto i quali essi erano invocati dai fedeli. Questo divieto fu così poco rispettato che fu necessario rinnovarlo puntualmente.
Il secondo Concilio di Roma, nel 745, non si limitava più a gettare l’interdetto su di una pratica giudicata superstiziosa ; esso la condannava come invocazione demoniaca pura e semplice, condannando la preghiera di un chierico, Aldeberto, che invocava “I Sette che stanno davanti a Dio” sotto dei nominativi inverificabili relativamente a quattro di essi. L’evoluzione era capitale.
I Capitoli di Carlo Magno, cinquanta anni più tardi, si riferivano al II°Concilio di Roma per vietare l’uso di altri nomi diversi da quelli attestati dalla Bibbia (In eodem concilio praecipitur ut ignota angelorum nomina nec fingantur, nec nominentur, nisi illorum quos habemus in auctoritate. Ii sunt : Michael, Gabriel, Raphael), prova che le condanne della Chiesa non erano sempre rispettate.
All’inizio del XVI secolo, un occultista, Heinrich-Cornelius Agrippa von Nettesheim, iniziò a sviluppare tutta una “scienza” magica fondata sulla Cabala ebraica, la numerologia e le virtù legate ai nomi degli Angeli e dei demoni.
Di fatto, solo la disaffezione progressiva verso gli Angeli che s’impadronì dell’Occidente alla vigilia del Rinascimento mise un termine a queste preghiere superstiziose e condannate. Talune sopravvissero comunque, dissimulate nelle raccolte di magia bianca di cui facevano uso i congiurati campagnoli. Gli stregoni del Berry o del Maine raggiungevano così senza saperlo i sacerdoti etìopi.
Ma, questi nomi che, precisamente, non esistevano nella Bibbia, dove erano dunque andati a trovarli quelli che li invocavano?
Essenzialmente nei Libri apocrifi dell’Antico e del Nuovo Testamento. In primo luogo nel Libro di Enoch [7] ed in due Apocalissi apocrife, quella di Enoch e quella di Esdra.
Bisogna aggiungere a queste fonti un venerabilissimo testo della Chiesa primitiva, Il Pastore di Erma ed alcuni testi dell’Alto Medio Evo, litanie carolinge contemporanee di Carlo Magno e Libri di Beda.
Da lì vengono quelle litanie strane che, al momento, designano talvolta lo stesso Spirito sotto diverse denominazioni.
Raffaele è chiamato così Surgian in alcuni testi; esso si accosta a degli Angeli difficilmente identificabili: Raguele, Sarachiele, Zutele, Rufaele, Fanuele, Tohibele, Rumiele, Paniele, Renele, Azaele, Barachiele ; e ad altri ancora i cui nomi hanno delle consonanze più bizzarre ancora : Gabuleton, Aker, Arfugitonos, Beburos, Zebulon, Pantasaron, Urian, Arsialaliun...
Bisogna dunque veramente meravigliarsi se dei sacerdoti prudenti hanno temuto che si trattasse di demoni ?
Eppure, nei primi secoli della Chiesa, taluni degli Angeli invocati sotto questi nomi hanno avuto la loro ora di gloria.
Il Libro di Enoch mette in scena Phanuel o Fanuel, Spirito guerriero che combatte i demoni, esorcista: tutte qualità che lo collegano al Coro delle Potenze. Fanuel è un difensore attivo dell’Umanità nella misura in cui egli impedisce agli Spiriti ribelli di avvicinarsi al trono di Dio per accusare gli uomini davanti a Lui.
Su questa credenza dell’ebraismo secondo la quale Lucifero ed i suoi compagni non avrebbero perduto il diritto di avvicinare Dio, è possibile rileggere un Libro canonico, quello di Giobbe 1,7-11, che mostra Satana che chiede l’autorizzazione di mettere la fede del giusto alla prova cercando di spingerlo alla bestemmia.
Enoch lo considera come l’Angelo del pentimento e della penitenza. É' molto verosimilmente questo Fanuele quello di cui parlano, senza nominarlo, Clemente d’Alessandria ed Erma quando invocano “l ‘Angelo della Penitenza che tiene il diavolo sotto la sua potenza”.
Meno celebri sono due Spiriti incontrati nell’Apocalisse di Esdra : Geremiele e Praviele.
Per Esdra, Praviele è l’ispiratore degli autori sacri, Geremiele l’Angelo della morte, un psicagogo che sarà presto dimenticato a vantaggio dell’Arcangelo Michele, protettore titolato delle anime nel loro viaggio verso l’Aldilà.
Nella sua Storia ecclesiastica, Eusebio di Cesarea, narrando la morte del martire palestinese Procopio, fa allusione ad un Angelo Emmanuele, totalmente sconosciuto d’altronde, forse perché il suo nome messianico poteva favorire l’eresia ebionita, che voleva fare di Cristo, non Dio veramente incarnato in una natura umana ma un Angelo in missione sulla terra...
Altri Angeli compaiono qui o là, in preghiere o su dei bassorilievi o in pitture, senza che sia però possibile sapere ciò che essi rappresentavano per quelli che li pregavano...
Tale è il caso di Raguele, sfuggito dall’Apocalisse di Enoch, e la cui immagine è due volte raffigurata, in compagnia di Raffaele, su dei sarcofagi, che datano del V secolo, ritrovati a Poitiers.
Più misteriosi ancora sono gli Spiriti citati da un calendario tedesco medievale : Malkiele, Zadkiele, Peliele, Raziele.
Le condanne successive spinsero nel dimenticatoio questi Angeli dall’identità inverificabile. Esse vi spinsero anche uno Spirito in cui certi Padri della Chiesa, come Sant’Ambrogio, o certi Dottori, come Sant’Isidoro di Siviglia, avevano detto essere uno dei Principi del primo Ordine, talvolta chiamato per questo il quarto Arcangelo.
Il suo nome era Uriele, o ben Ouriel, che sarebbe l’Urjan del Libro di Enoch. Uriele significherebbe “Fuoco di Dio” o “Dio è la mia Luce”.
Poiché figura in compagnia di Adamo su di una pittura palermitana, Uriele potrebbe essere il primo dei Cherubini, colui che scacciò l’uomo dal Paradiso terrestre.
Sant’Isidoro riconosceva in lui l’Angelo che fermò il braccio di Abramo pronto ad immolare suo figlio, e colui che si fece vicino a Mosé, il messaggero di Dio nel roveto ardente. Egli era l’Angelo della rivelazione patriarcale. Tali riferimenti giustificano la vivissima devozione che circondò Uriele durante i primi secoli cristiani.
Rispettando l’usanza che poneva sotto l’invocazione degli Arcangeli le torri delle chiese e diversi grandi santuari, ivi compresa la cattedrale di Milano, si posero i loro campanili sotto la quadruplice protezione di Michele, Gabriele, Raffaele ed Uriele.
Tutta l’iconografia primitiva lo mette con essi su di un piede d’uguaglianza, poiché è dipinto, come essi, in piedi davanti al trono dell’Agnello.
A Santa Petronilla di Roma, la tomba dell’imperatrice Maria, moglie di Onorio III, chiede l’intercessione dei quattro Arcangeli per la defunta.
Beda il Venerabile invoca a diverse riprese “Uriele il Protettore”.
Le Chiese orientali lo pregano in questi termini : “Custodisci, Signore, il Tuo Popolo, con le preghiere dei più grandi tra gli Angeli e lo splendore di Michele, di Gabriele, di Raffaele, di Uriele e delle tre anime non incarnate”. Le tre 'anime' non incarnate sono i tre altri Spiriti di cui il Libro di Tobia dice che essi sono dei Sette che stanno davanti a Dio, ma il cui nome è sconosciuto....
La festa di Sant’Uriele è solennizzata nella Chiesa latina e nella Chiesa greca, il 15 luglio nella Liturgia romana.
Bruscamente però, nel 745, il secondo Concilio di Roma cancella Uriele dal calendario, dalle preghiere, dalla liturgia, ed interdice che gli sia resa alcuna devozione...
Severità estrema, giustificata solamente dall’assenza della menzione nominale di Uriele nei Libri canonici e dall’angoscia di rendere sotto questo nome un culto inconsapevole ad un Angelo decaduto.
Severità che la cristianità avrà difficoltà ad ammettere. Infatti le Litanie carolinge, che datano del 783, nonostante i Capitoli carolingi avessero diffuso nell’impero le decisioni del Concilio di Roma, continuano ad invocare - dopo Michele, Gabriele e Raffaele - anche Sant’Uriele, San Raguele e San Tobiele.
Nel XV secolo, una formula di esorcismo invoca ancora Uriele, prova che è lungi dall’essere unanimemente preso per un demonio.
In Russia, i Vecchi Credenti, che hanno rifiutato di collegarsi alle Riforme liturgiche del XVII secolo, considerano sempre Uriele come quarto Arcangelo e nulla, al momento, prova che non lo sia. Nulla, se non la prudenza della Chiesa: “Eccetto quelli di Michele, di Gabriele, di Raffaele, tutti i nomi dati ad altri Angeli sono dei nomi di demoni !”.
Altra domanda che spesso mi fanno alle mie conferenze è come sia l’aspetto degli angeli quando si rivelano in forma sensibile agli esseri umani.
L’argomento interessa il nostro libro da vicino perché Maria Valtorta offre una descrizione degli angeli e degli arcangeli che le appaiono. Ebbene le apparizioni degli Angeli riempiono l'Antico Testamento. Alcune di esse rivestivano un carattere essenzialmente transitorio come quella dell'Angelo di Gedeone, altre si prolungavano durante una durata più o meno lunga. In quest'ultimo caso, gli Spiriti celesti conversavano letteralmente in mezzo agli uomini, e si rendevano pubblicamente visibili.
Così fecero i tre Angeli che vennero a trovare Abramo; così fece in particolare San Raffaele quando discese in soccorso della famiglia di Tobia.
Sono soprattutto queste ultime apparizioni che ci interessano, perché è evidente che gli Angeli, manifestandosi in tal modo, avevano preso un corpo visibile, palpabile e - in una parola - materiale come i nostri.
Noi ci chiederemo, di conseguenza, in quale misura erano uniti a questi corpi .
Dapprima queste apparizioni così manifestamente umane, prese dalla Sacra Scrittura, sono una prova senza replica che la materia obbedisce alla volontà degli Angeli, ch'essi possono condensarla, schiacciarla più sottilmente dell'artista che schiaccia una pasta molliccia, mettervi una rassomiglianza di vita, infine, adattarsela come un abito, o, per meglio dire, servirsene come di uno strumento.
Tutto ciò è incontestabile. Ma andiamo più lontano, e non crediamo che questi Angeli fossero stati uniti a questi corpi - ch'essi prendevano per compiere tale o talaltra missione - come la nostra anima è unita al nostro corpo col quale essa non fa che un
unico essere.
Tra la nostra anima ed il nostro corpo, vi è un legame sostanziale che fonde queste due sostanze nell'unità di una stessa natura. Tra gli Angeli e questi corpi ch'essi rivestivano temporaneamente, non vi era invece che un legame del tutto accidentale.
I nostri abiti non fanno un tutt'uno con noi; lo strumento di cui ci serviamo non appartiene alla nostra natura di uomo. I corpi presi dagli Angeli erano dunque per essi come dei semplici abiti sotto i quali essi si rendevano in qualche modo visibili, semplici strumenti di cui facevano uso con una meravigliosa sottilità.
Non essendo - l'unione degli Spiriti angelici con questi corpi presi in prestito - un'unione vitale, essi non esercitavano in essi alcuna funzione organica.
Essi sembrano mangiare, e mangiavano anche realmente, ma - che ci si perdoni questo dettaglio necessario! - essi non 'digerivano' gli alimenti.
"Io sembravo mangiare e bere con voi, dice l'Arcangelo Raffaele alla famiglia di Tobia, in realtà, io ho il mio cibo invisibile, e la mia bevanda che occhio non vede" (Tb.12,19).
Terminata la loro missione temporanea, gli Angeli dissolvevano in elementi impalpabili il corpo ch'essi avevano preso e sparivano come il lampo. Così fece l'Arcangelo Raffaele (Tb.12, 21).
Non essendo sostanzialmente uniti a questi corpi materiali, gli Angeli - nello stesso tempo in cui li mettevano in movimento - potevano agire spiritualmente ed a distanza su altri corpi ed altri esseri. Così, mentre Raffaele accompagna Tobia a Babilonia, egli cattura Asmodeo e se ne va a legarlo nei deserti della Tebaide. La sfera di attività di quest'Arcangelo poteva quindi estendersi da un luogo all’altro.
Quest'azione a distanza, basterebbe a convincerci che gli Angeli dimorano pienamente indipendenti dai corpi sotto i quali essi apparivano ai giusti dell'Antica Alleanza, e che non vi era unione sostanziale.
Sotto la Nuova Alleanza, sembra che queste apparizioni siano cessate.
Siccome esse avevano per oggetto principale di annunciare e di rappresentare sotto forma sensibile l'Incarnazione di Gesù, non bisogna meravigliarsi ch'esse non siano più così frequenti né così pubbliche come prima. Non si può dire, d'altronde, che esse non si producano assolutamente più. Tutto ci porta a credere che, verso gli ultimi tempi del mondo, il fenomeno soprannaturale dell'apparizione degli Angeli buoni o cattivi si riprodurrà su di una vasta scala.
Comunque sia, l'unione ad un corpo materiale è per l'Angelo uno stato accidentale e transitorio che non modifica in niente le sue relazioni generali con il mondo visibile e che non altera in nulla le sue proprietà quale 'essere' unicamente spirituale.
Come tale, egli ha potenza di agire sui corpi in una determinata sfera, di mettere in moto le più latenti energie della materia. E la sua azione è tanto più impenetrabile quanto essa è più interiore, più in armonia con la natura delle cose.
Vedendo l'Arcangelo Raffaele muoversi ed agire umanamente, la famiglia di Tobia si diceva: 'É un uomo; è Azaria, figlio del grande Anania!'.
Contemplando l'ordine della natura così bello e così costante, così vario e così uniforme, ci si dice: 'É la natura!'.
Non si discerne l'azione degli Angeli. Essa è così ben fusa ed armonizzata, essa si adatta così bene alle proprietà naturali degli esseri senza mai violentarli che - ad imitazione dell'azione divina - essa riempie tutto e non si mostra da nessuna parte allo scoperto.
[7] N.d..A.: Occorre d’altronde notare che il Libro di Enoch è guardato come canonico da talune Chiese cristiane, principalmente l’etìope.