INTRODUZIONE di Don MARCELLO STANZIONE
Come già ho precedentemente scritto sono diversi anni che mi impegno a diffondere la devozione cattolica agli angeli ed ho una particolarissima devozione personale per l’Arcangelo san Raffaele.
Dai miei studi, certamente assai incompleti, risulta che non sono tantissimi i mistici di cui conosciamo ufficialmente l’amore verso san Raffaele. Certamente sono numerosissimi ma dai documenti che abbiamo - lo ripeto - non ne conosciamo che una ventina.
L'Azaria che si presenta come l’angelo custode di Maria Valtorta non è però in realtà san Raffaele Arcangelo.
Malgrado i tratti specifici che gli sono propri, Raffaele normalmente non gode presso i cattolici della grande popolarità dei suoi “fratelli arcangeli” Michele e Gabriele.
Questo dipende senza dubbio dalla discrezione dei suoi interventi angelici presso i cristiani.
Certamente egli è stato soppiantato nella devozione popolare dagli Angeli custodi, di cui è il modello e coi quali egli si è rapidamente confuso, infatti Raffaele è l’archetipo dell’angelo custode ed il suo viaggio con Tobiolo simboleggia il ritorno del figlio presso il Padre celeste sotto la protezione dello spirito angelico.
Numerosi mistici, anche importanti nella storia della Chiesa, sono stati devoti a san Raffaele ma ne indico qui per brevità solo alcuni - rinviando per gli altri alla Appendice 2 di questo volume. Le loro esperienze ci saranno infatti utili per meglio comprendere in seguito i rapporti della mistica Valtorta con Azaria/Raffaele e con gli angeli in genere.
La storia di questo santo poco conosciuto, viene attribuita a Teofilo, Sergio e Igino, tre monaci di un monastero della Mesopotamia. Questi tre giovani, prima di entrare nella vita religiosa, avevano progettato di camminare, anche per tutta la loro vita, pur di raggiungere il punto in cui il cielo e la terra sembra si tocchino. Durante i loro viaggi incontrarono un venerabile vegliardo di nome Macario che raccontò loro tutta la sua storia. Macario era stato sposato contro la sua volontà ma il giorno stesso delle nozze si era nascosto e di notte era fuggito da Roma per raggiungere l’Oriente.
Dopo alcune settimane di viaggio, egli incontrò un simpatico compagno di cammino, con il quale giunse a pochi chilometri dall’antico paradiso terrestre.
Improvvisamente però il suo compagno di viaggio sparì ed il povero Macario restò solo. Poco tempo dopo, quel compagno ricomparve luminoso e si presentò come l’arcangelo Raffaele, che Dio aveva mandato per accompagnarlo nel deserto ove avrebbe potuto trovare la felicità e la pace dell’anima.
Macario avrebbe voluto proseguire il cammino verso il paradisio terrestre, ma una voce angelica gli proibì di andare oltre. Egli si fermò allora nella grotta dove lo trovarono i tre amici Teofilo, Sergio e Igino che poi resero alla posterità il racconto di Macario, grazie al quale anche essi divennero devoti dell’Arcangelo, di cui invocarono l’aiuto per poter ritornare a casa sani e salvi.
Riguardo alla vicenda di san Macario Romano, Cornelio La Pierre scrive: “San Raffaele è il protettore di quelli che fuggono il mondo per avvolgersi nel silenzio e nella pace della solitudine. Egli li guida verso le Tebaidi misteriose in cui essi vivono da soli con Dio. San Macario Romano, avendo concepito il generoso pensiero di lasciare la capitale del mondo per il deserto fu condotto dall’arcangelo in un luogo lontano da ogni abitazione e per 3 anni questi lo servì da compagno in maniera visibile in quella isolata regione”.
Marc Lorient, nel suo libro sull’arcangelo afferma: “Raffaele è sovente invocato come protettore degli eremiti. L’arcangelo ci conduce, a nostra insaputa, verso una specie di deserto al fine di rinunciare al mondo, come testimone, come amico intimo, come giudice. Egli ci rende a poco a poco ciechi e sordi a quella che non è la volontà di Dio. Il religioso obbediente fa gli stessi gesti del suo angelo! Il buon angelo conduce lontano dal mondo. Egli non conduce che al Signore. Attraverso la vita in Dio, l’uomo interiore si tiene ovunque lontano dal mondo. […] Nella vita nascosta si custodisce il segreto del re. Raffaele può comunque invitare alla testimonianza di fronte al mondo, al fine di rendere grazie a Dio!”.
Nel primo millennio di storia cristiana, Orsola era una delle sante tra le più conosciute ed amate.
Fu protagonista di una leggenda che incontrò un favore popolare enorme in tutto il medioevo.
“Orsola e le sue compagne” è stato anche uno dei soggetti preferiti dai disegnatori di vetrate, pittori e ricamatori. La leggenda parla di Orsola, o Ursula, vergine e martire, e di altre undicimila caste compagne. Essa trae origine da una iscrizione, risalente al 400 circa, che attesta la costruzione a Colonia di una chiesa in onore di alcune martiri e vergini.
Secondo una delle leggende più diffuse, Orsola, vissuta nel III secolo, era la figlia di un re britannico, dotata di una rara bellezza e spiritualità.
Prese la decisione di consacrare a Cristo la propria verginità e quindi respinse con determinazione le insistenti proposte di matrimonio di un principe pagano. Di fronte alla minaccia di una guerra, Orsola, consigliata da un angelo, finse di acconsentire alle nozze ma chiese e ottenne una dilazione di 3 anni, durante i quali il promesso sposo avrebbe dovuto apprendere i contenuti della fede cristiana.
Alla giovane Orsola vennero affidate dieci compagne, della sua stessa età e di pari nobiltà, ciascuna delle quali accompagnata da un seguito di mille damigelle imbarcate a bordo di undici triremi.
Allo scadere dei 3 anni, le undicimila vergini salparono verso il continente ma vennero colte da una furiosa tempesta che le gettò nella foce del Reno. Di qui le giovani donne giunsero a Colonia, dove Orsola, misteriosamente, ricevette la profezia del martirio.
Sbarcarono prima in Germania e poi si diressero pellegrine verso Roma, ma mentre si trovavano sulla via del ritorno, nei pressi di Colonia, tutte le giovani vergini vennero trucidate dagli Unni di Attila che avevano cinto d’assedio la città. Anche Orsola, dopo aver respinto il loro capo, Attila, venne trafitta da una freccia.
Il loro sacrificio però non fu vano, poiché i barbari, colpiti da un’apparizione divina, vennero messi in fuga e così la città di Colonia fu risparmiata dall’assedio degli Unni.
L’arcangelo Raffaele le era apparso diverse volte e le aveva ordinato di andare a Roma con le sue compagne. Abbastanza prima di Colonia (luogo del loro martirio), l’angelo Raffaele era apparso ancora una volta ad Orsola in una visione e le aveva detto tutto quello che avrebbe dovuto fare e, fra le altre cose, che avrebbe dovuto opporre resistenza fino a che tutte quelle che erano con lei fossero state battezzate.
Orsola ha compiuto la sua missione con una costanza straordinaria.
La Beata Anna Caterina Emmerich - nelle sue Visioni, rivelate e trascritte dal poeta Brentano - riguardo al martirio di sant’Orsola riferisce che l’arcangelo Raffaele le era stato dato per guida: fu egli che le annunciò la sua missione e che le disse che Dio non voleva che tante donne fossero consegnate preda alle selvagge orde degli invasori Unni: esse dovevano morire come fanciulle ancora innocenti prima di poter cadere nel peccato.
SAN MAGNO DI ODERZO ED ERACLEA
Magno - nato alla fine del VI secolo ad Altino - una volta acquisita un’ottima educazione umanistica, scelse la vita eremitica durante la quale si preparò a ricevere l’ordinazione sacerdotale che avvenne nella città di Opitergium, oggi Oderzo.
In questa città san Magno diede inizio al suo impegno rivolto ad estirpare sia il paganesimo sia l’eresia ariana. Date le circostanze non proprio favorevoli per gli opitergini, san Magno organizzò, col consenso di papa Severino, una “transumanza” civica in un’isoletta che verrà successivamente chiamata Eraclea. Tra le prime cose fece costruire la cattedrale dedicata all’apostolo Pietro e altre chiese nei luoghi dove più tardi sorgerà Venezia.
In questa impresa di trasferimento da Oderzo ad Eraclea, san Magno figurò agli occhi dei cittadini come un novello che guida il suo popolo alla terra promessa. Nel 665 Oderzo subì un grave attacco da parte dei Longobardi ariani che rasero la città completamente al suolo. Pochi anni dopo, verso il 670 circa, san Magno morì ed i suoi resti vennero inumati nella sua cattedrale.
Secondo una costante tradizione quando san Magno fu cacciato dai Barbari e cercò un rifugio nelle lagune di Venezia, san Raffaele si presentò a lui in una visione e gli disse che voleva avere un santuario in quel luogo. Il vescovo obbedì ed innalzò una chiesa in onore di san Raffaele nella parte della città chiamata Dorso Daro.
Illuminato da una luce soprannaturale, san Magno avrebbe visto svolgersi sotto i suoi sguardi gli eventi futuri della splendida storia di Venezia.
Nata a Roma nel 1384 da una nobile e ricca famiglia, Francesca avrebbe voluto entrare in convento ma, per obbedienza ai genitori che in quel tempo estendevano la loro autorità su tutto, sposò il nobile Lorenzo Ponziani e fu madre e sposa esemplare.
Per tutta la vita riuscì a conciliare le cure della responsabilità di una famiglia con una tensione mistica e spirituale altissima.
Rimasta vedova, si dedicò alla sua antica vocazione religiosa e fondò le Oblate di Maria, tuttora presenti nel Monastero di Tor de’ Specchi, a pochi passi dal Teatro di Marcello.
Tutta la sua esistenza è accompagnata da figure angeliche, in particolare da un angelo che Francesca vedeva accanto a sé.
Il primo intervento dell’angelo è del 1399 e consiste nello svolgere funzioni di “bagnino” salvando dall’annegamento Francesca e sua cognata Vannuzza che erano cadute nel fiume Tevere.
L’angelo le si presentava sotto forma di un fanciullo di una decina d’anni, coi capelli lunghi, gli occhi splendenti, vestito di una tunica bianca come quella usata dai suddiaconi nelle sacre liturgie.
Tale angelo svolgeva le funzioni di custode e di guida, ma se necessario anche quella di castigatore.
L’angelo fu soprattutto vicino alla santa nelle numerose e violente lotte che ella dovette sempre sostenere con il potere delle tenebre.
Questo angelo “bambino” rimase accanto a santa Francesca Romana per ben ventiquattro anni, poi fu sostituito da un altro spirito celeste “assai più risplendente del primo”, di gerarchia superiore, che restò con lei fino alla sua morte avvenuta il 9 marzo del 1440.
L’angelo le appariva spesso nell’atto di filare e tessere un filo d’oro: quello della vita della santa. In prossimità della morte, infatti, Francesca vide l’angelo intrecciare a velocità sempre maggiore i fili della tela ormai giunta al termine.
Gli affreschi del ‘400, opera di Antoniazzo Romano, che ornano la cappellina del monastero e che a più riprese mostrano la santa in compagnia dell’angelo, testimoniano questa celestiale presenza accanto a colei che fu amatissima da tutto il popolo di Roma.
Per quanto riguarda la sua devozione verso san Raffaele, si narra nella sua biografia che un giorno l’Arcangelo la condusse “in spirito” nel Purgatorio per farle conoscere la diversità delle pene che affliggono e purificano le anime in attesa di salire al cielo.
Un’altra volta san Raffaele, sempre “in spirito”, la condusse a vedere l’Inferno perché costatasse quali tremende pene soffrono i dannati.
Santa Francesca Romana, a tutti coloro che avvicinava raccomandava caldamente di mettersi sotto la protezione di san Raffaele Arcangelo per raggiungere l’importante meta della salvezza eterna. La santa fu canonizzata da papa Paolo V nel 1608.
SAN JOSÉ MARIA ESCRIVÀ DE BALAGUER
Nato a Barbastro, in Spagna, il 9 gennaio 1902 in una famiglia profondamente religiosa, all’età di 13 anni si trasferisce a Logroño. Qui avrebbe dovuto lavorare nell’impresa del padre, ma la sua vita ebbe una svolta: dopo aver visto sulla neve le orme dei piedi nudi di un carmelitano scalzo, intuì che Dio voleva qualcosa da lui, pensò che avrebbe potuto scoprirlo più facilmente se si fosse fatto sacerdote.
Il 28 marzo del 1925 fu ordinato sacerdote e, dopo aver fatto il parroco in campagna e poi a Saragozza si trasferì a Madrid. “Il 2 ottobre 1928, festa dei santi angeli custodi - ricordò una volta mons. Escrivà - il Signore volle che venisse alla luce l’Opus Dei, una mobilitazione di cristiani disposti a sacrificarsi con gioia per gli altri, a rendere divini tutti i cammini umani della terra, santificando ogni lavoro retto, ogni lavoro onesto, ogni occupazione terrena”.
Da quel momento don José si dedica anima e corpo al compito dell’Opus Dei: far sì che uomini e donne di tutti gli ambienti sociali si impegnino a seguire Cristo, amare il prossimo e cercare la santità nella vita quotidiana.
Nel 1933 apre un’accademia universitaria, convinto che scienza e cultura rappresentino un punto nevralgico per l’evangelizzazione dell’intera società. Nel 1934 pubblica con il titolo di “Consideraciones espirituales”, la prima edizione di Cammino, un libro di spiritualità, del quale sono stati pubblicate oltre cinque milioni di copie, con 372 edizioni in 44 lingue.
Josémaria Escrivà aveva una fede enorme nel suo Angelo Custode, che gli ha reso immensi servizi, tra cui quello di salvargli la vita. Notiamo che la fondazione dell’Opus Dei ha avuto luogo il 2 ottobre 1928, festa dei Santi Angeli Custodi. Josémaria vi ha visto una manifestazione della divina Provvidenza.
Lui stesso, trovandosi in strada, è aggredito da uno sconosciuto, in pieno giorno, alle tre del pomeriggio. Preso alla gola, egli è liberato da un ragazzo, altrettanto sconosciuto, che gli mormora in un orecchio “asinello, asinello”. Solo Dio ed il suo confessore conoscevano questo modo che egli aveva di designare se stesso nella sua preghiera. Il fondatore attribuì questo attacco ad un’azione diabolica, e la difesa al suo Angelo Custode.
Quando entrava in una stanza, si spostava in modo impercettibile per lasciar passare dapprima il suo Angelo Custode, e salutava sempre anche l’Angelo Custode delle persone che incontrava.
Ricevendo un giorno un vescovo suo amico, accompagnato dal suo segretario, gli chiese: “Indovinate chi ho salutato per primo”. L’arcivescovo rispose: “Me”.
“No. Ho salutato dapprima il personaggio”.
“Ma, riprese il prelato, tra il mio segretario ed io, il personaggio sono io”.
San Josémaria rispose: “No, il personaggio è il vostro Angelo Custode”.
Trovandosi in una estrema povertà, e non avendo i mezzi per far riparare il suo orologio, Josémaria si affidò al suo Angelo custode per risvegliarlo all’ora giusta. Egli si è sempre mostrato puntuale, ed era come se giungesse a toccare Josémaria sul fianco. Questi lo chiamava quindi “il mio piccolo orologiaio”.
Egli aveva inoltre l’abitudine di consacrare il martedì a pregare il suo Angelo Custode, e tutti gli altri Angeli Custodi.
Ai membri dell’Opus Dei diceva: “Tutti noi abbiamo bisogno di una compagnia: la compagnia del cielo e quella della terra. Onorate i santi angeli! La memoria degli angeli custodi è anche una festa dell’umiltà, perché in un’amorosa umiltà queste potenze
celesti compiono la volontà di Dio e soltanto un’umiltà “infantile”, cioè davvero semplice, permette agli uomini di affidarsi ad essi”.
Il santo era devotissimo ai tre santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.
Escrivà morirà a Roma il 26 giugno 1875, papa Giovanni Paolo II lo dichiara beato e lo canonizza il 6 ottobre 2002: “Scelto dal Signore - disse papa Wojtila - per annunciare la chiamata universale alla santità e per indicare che la vita di tutti i giorni, le attività comuni, sono cammino di santificazione. Si potrebbe dire che egli fu il santo dell’ordinario”.
SERVE DI DIO: MADRE MARIA OLIVA BONALDO E MADDALENA VOLPATO
É la Fondatrice delle Suore Figlie della Chiesa, nasce il 26 marzo 1893 a Castelfranco Veneto (TV). Nel 1913 durante la processione del Corpus Domini riceve dal Signore l’ispirazione dell’Opera delle Figlie della Chiesa. Per obbedienza ai suoi direttori spirituali entra nell’Istituto delle Suore Canossiane dove ricopre importanti incarichi di superiora. Nel 1938 inizia a Roma l’esperimento del nuovo Istituto delle Suore Figlie della Chiesa che nel 1946 riceve l’approvazione diocesana a Venezia. Madre Maria Oliva, per espresso desiderio del papa Pio XII, fa la professione perpetua dell’Istituto delle Figlie della Chiesa e ne diventa la Superiora generale che riceverà l’approvazione pontificia nel 1957.
La madre muore il 10 luglio 1976. Fu devota agli angeli ed in modo particolare all’arcangelo Raffaele. Infatti il 24 ottobre del 1928, madre Oliva aveva fatto la sua professione perpetua nel già citato Istituto delle Suore Canossiane e, nel 1944, madre Oliva ritenne di essere stata miracolosamente salvata dall’Arcangelo dagli zoccoli di un cavallo che si era imbizzarrito. Di questo singolare episodio, la madre, in onore di san Raffaele, aveva fatto fare un bassorilievo, negli anni 50-60, nel cortile del giardino della Casa generalizia.
La Madre era talmente devota a san Raffaele arcangelo che anche negli ascensori faceva mettere l’icona dello spirito celeste perché diceva che anche prendere un ascensore era sempre come fare un viaggio. Inoltre regalava a tutti i benefattori dell’istituto, una stampa che raffigurava i tre Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.
Nell’estate-autunno del 1958 scrisse a Lourdes la breve biografia della Serva di Dio Maddalena Volpato (1918-1946) che nel 1943 fece il suo ingresso tra le Figlie della Chiesa.
La Madre, nella sua piccola Biografia raccontò che Maddalena entrò in comunità il 23 ottobre 1943 e lei l’accolse dicendole: “Che gioia, signorina, proprio oggi, primi Vespri di san Raffaele!”.
Riguardo la devozione di Maddalena verso san Raffaele che gli era stata inculcata da Madre Maria Oliva Bonaldo, un’altra postulante delle Figlie della Chiesa raccontò: “La sua pietà era semplice, la Madre ci aveva insegnato fin dai primi giorni, con l’amore a Gesù e a Maria, anche una tenera devozione ai santi angeli e Maddalena li invocava con affetto fraterno. A proposito del suo Arcangelo sono stata presente a un grazioso avvenimento. Mi trovavo con lei una sera: eravamo ancora postulanti e stavamo percorrendo in bicicletta un lungo tratto di strada che ci separava dalla casetta di sfollamento aperta nell’ottobre del 1943 a Morgano di Treviso. Era scoppiato un grande temporale e la strada, fiancheggiata dai fossati pieni, era tutta buche e pozzanghere. Temevamo di cadere ad ogni istante, perché eravamo cariche; la notte si faceva buia e pregavamo san Raffaele e gli angeli di aiutarci. Le strade non erano illuminate per il coprifuoco e solo la bicicletta di Maddalena aveva un fanaletto, ma non funzionava. Ad un certo momento, in una svolta brusca, dopo un’invocazione, non si sa come, scattò la molletta e si accese il fanale! Solo gli angeli potevano averlo acceso, perché, quando nelle vicinanze del paese la strada si fece più praticabile, il fanaletto si spense da solo” (Madre Maria Oliva Bonaldo, Maddalena, Editrice Istituto Suore Figlie della Chiesa, Roma 1996, pp. 41-42).
Potremmo dilungarci ulteriormente con altri mistici devoti a San Raffaele, come ad esempio il Beato Rosmini, Fondatore dell’Istituto della Carità che aveva progettato un Collegio medico dedicato a san Raffaele Arcangelo, oppure Don Dolindo Ruotolo (che diceva di scrivere i suoi commenti esegetici ispirati da un angelo del quale non faceva il nome ma che aveva fatto capire essere san Raffaele) e tante altre figure.
Ci fermiamo però qui, rinviando – come già detto - all’Appendice 1, dove si evince che - in 2000 anni di storia della santità - san Raffaele ha avuto sempre dei grandi estimatori e imitatori, come appunto Maria Valtorta, nell’amore a Dio e dei fratelli sofferenti.