Dib-Prefazione - ilCATECUMENO.it

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                                                                           PREFAZIONE

«Quando gli uomini non credono più in Dio finiscono per credere a tutto...»
Il grande giornalista e scrittore cattolico Vittorio Messori aveva detto una volta, parlando ironicamente di sé, che quando un autore ha scritto il primo libro su un determinato argomento, tutti i successivi sarebbero stati in qualche modo una 'riedizione' del primo.
È per questo che - negli oltre miei venti libri di commento all'Opera valtortiana degli ultimi tre lustri - ho cercato di variare molto i temi affrontati di volta in volta.
Ciò nonostante non me ne voglia qualcuno di voi che - avendo letto i miei 'lavori' precedenti - ritrovi qui ora alcuni dei concetti che ho già avuto occasione di esprimere, in forma più articolata ed ampia, in un libro o nell'altro.
Se vi capita di raccontare più volte uno stesso film, potranno cambiare le parole, l'approccio o i toni ma la trama del film che racconterete sarà sempre più o meno la stessa anche se espressa in modo diverso e con l'aggiunta di particolari... inediti.
La Creazione dell'Universo, della Terra ed il racconto sulle Origini dell'uomo nella Genesi della Bibbia, sono considerati un ‘Mito’ dalla scienza che si basa solo sulla Ragione, ma sono una ‘Verità scientifica’ per la Scienza che si basa anche sulla Fede.
Ci sono almeno due modi per cercare di arrivare alla conoscenza delle origini dell’universo e dell’uomo: farlo con la ragione o attraverso la ragione e un atto di fede. La ragione umana è tuttavia limitata, a meno che essa non sia illuminata dalla Luce di Dio.
La ragione ci consente infatti di scoprire qualche segreto, ma si tratta di scoperte parziali, faticose, fatte nel corso di decenni, anzi di secoli, attraverso ipotesi, teorie spesso smentite da contro teorie o scoperte scientifiche successive.
Si rimane comunque lontani dal ‘nocciolo’ del problema: chi è Dio, chi siamo noi, perché siamo al mondo, quale è il fine che Dio si è proposto per noi nel momento in cui ha creato l’universo e poi l’uomo.
La Fede ci insegna invece che Dio si comunica agli uomini attraverso ‘rivelazioni’.
Poiché infatti l’uomo – da solo – non riesce a ‘conoscere’ Dio, allora è Dio che prende l’iniziativa e rivela Se stesso, nei limiti – ovviamente – in cui la nostra ragione limitata possa comprenderlo.
Dio si è fatto dunque conoscere - così crediamo per fede noi cristiani - parlando prima attraverso i ‘profeti’ dell’Antico Testamento e poi rivelandosi in maniera ancora più profonda attraverso il Profeta per eccellenza, il Verbo che – Parola di Dio – si è incarnato in un Uomo, Gesù, per parlare da Uomo a uomo un linguaggio diretto che gli esseri umani potessero comprendere ancora più facilmente, utilizzando il ‘miracolo’ e la Sua Sapienza quale ‘segno’ della origine divina Sua e della Sua Dottrina.
La Genesi e i Vangeli contengono dunque la sostanza di due distinte Rivelazioni: la prima fatta attraverso i Profeti, la seconda attraverso la persona del Verbo: la prima prepara la seconda e la seconda completa la prima.
I capitoli iniziali della Genesi – che appaiono scritti in una caratteristica forma poetica e narrativa con lo stile - come ho già detto - del buon padre che racconta al figlioletto una bella storia che questi ascolta ad occhi aperti – hanno insegnato agli uomini dell’antichità le verità primordiali che erano loro necessarie per orientarsi nella vita.
Era bene che essi sapessero che vi era un Dio che aveva creato l’universo, aveva creato la Terra e quindi i suoi mari, i monti, i vegetali, gli animali e infine l’uomo.
La creazione materiale ci mostra una scala ascensionale: mondo minerale, vegetale, animale.
La scala della creazione materiale non si ferma però all’animale ma si conclude con l’uomo, un ‘animale’ dotato di spirito immortale destinato a vivere in eterno in quella sorta di ‘dimensione spirituale’ che noi siamo soliti chiamare ‘Aldilà’.
L’uomo viveva originariamente nell’Eden, cioè in una Terra che beneficiava di condizioni di vita ideali, e possedeva doni soprannaturali e naturali, quali la Grazia santificante, l'integrità fisica, una durata di vita lunghissima ed infine una Sapienza adeguata al suo stato.5
Ad un certo punto però l’uomo sbagliò, e meritò per questo fatto la condanna, cioè la perdita dei doni soprannaturali, di quelli naturali e dei benefici dell’Eden, vedendosi per di più preclusa la strada di accesso al Paradiso celeste.
Con la condanna ebbe tuttavia – misericordia di Dio – una promessa che gli avrebbe dato forza e speranza: quella della salvezza spirituale grazie ad una Donna futura, che avrebbe ‘lavato’ la Colpa di Eva e avrebbe schiacciato con il suo ‘Calcagno’ la testa del Serpente tentatore e corruttore che avrebbe attentato al 'Calcagno stesso'.6
Era in sostanza la promessa di Gesù, Verbo incarnato che sarebbe nato 'umanamente' da una Donna.
Un Gesù Uomo-Dio che, offrendosi come Vittima sacrificale in olocausto, avrebbe riscattato l’Umanità di fronte al Padre, sconfiggendo così – grazie al proprio Amore – il Serpente dell’Odio, cioè Satana.
Egli avrebbe riaperto all’Umanità le porte sbarrate del Paradiso celeste, dopo aver indicato agli uomini con i suoi insegnamenti di perfezione la via migliore - perché vera, rapida e sicura - per accedere dopo la morte al Regno del Cielo.
Questo è l’insegnamento che si ricava dalla Genesi e dai Vangeli.
Genesi non è quindi un mito, ma una rivelazione in forma semplice ed immaginifica per gli uomini di allora – ma destinata anche agli uomini di ora – di una Verità di fondo che doveva indicare fin dall’inizio all’Umanità la sua origine ed il suo destino eterno nel Pensiero di Dio.
Inutile dire quanto il racconto della Genesi – per non parlare dei racconti dei Vangeli con i miracoli di Gesù e la sua Resurrezione ed Ascensione – sia stato oggetto di ironie e di veri e propri attacchi, da parte degli ambienti ‘illuministi’, laicisti ed atei, dal Settecento fino ai giorni nostri.
Come tuttavia succede per gli altri rami dello scibile, non basta 'leggere' per comprendere, ma bisogna 'saper' leggere, e soprattutto è sovente necessario che quanto si legge venga spiegato - in particolare nel campo degli scritti religiosi - da chi ne sa più di noi grazie anche ad una Tradizione di conoscenze bimillenarie.
Questa capacità di spiegazione è d’altronde alla base dell’insegnamento scolastico e scientifico in genere e - quanto alla Fede - questa è la missione fondamentale della Chiesa docente.
Guai a chi intenda avventurarsi nella lettura dei testi sacri senza la giusta preparazione e guida.
La dottrina del 'libero esame' delle Scritture da parte del mondo protestante - cioè senza la guida da parte del Magistero della Chiesa - ha dato origine ad esempio a decine e decine di migliaia di sette cosiddette cristiane, perché si richiamano a Cristo, ma dove ognuna, liberamente, interpreta i testi sacri a modo suo.
Il Cristianesimo finisce in tal modo per uscirne molto spesso snaturato: eresie a non finire, cristiani di nome ma non di fatto, oltre che indebolito per la perdita della 'unitarietà' dell'insegnamento per non parlare delle divisioni ed attriti derivati fra le varie 'Confessioni' fin dai secoli passati.
Come per le Sacre Scritture, bisogna stare altrettanto attenti anche alle 'libere interpretazioni' delle splendide rivelazioni private dei testi della mistica Maria Valtorta da parte di chi non li abbia approfonditi più che a sufficienza, per non incorrere anche qui in altri errori o fraintendimenti - come quelli di un'Opera: 'Genesi biblica' di don Guido Bortoluzzi, sulla quale fra poco ragioneremo - dove, in quella che si autodefinisce una 'visione' data da Dio, si parla di un Adamo che sarebbe stato personalmente responsabile di una ibridazione della razza umana a causa di un suo originario 'rapporto' con una scimmia, rapporto raccontato peraltro con particolari sessuali scabrosi.
Secondo quest'Opera, da tale rapporto sarebbe nato Caino - un ibrido uomo-scimmia - che della scimmia per parte di madre avrebbe avuto l'aspetto fisico mentre dell'uomo - per parte del padre Adamo - avrebbe acquisito il Pensiero, l'Intelligenza e la Parola.
A seguito di ulteriori rapporti sessuali bestiali fra l'uomo-scimmia Caino ed altre primitive scimmie antropoidi, ormai scomparse, ne sarebbe derivata - sempre secondo l'Opera suddetta - una seconda razza ibrida, che potremmo definire come una razza di 'ominidi'.
Gli uomini originari geneticamente puri (cioè i discendenti di Adamo e della donna che nella Bibbia è chiamata Eva) si sarebbero, ad un certo punto della storia, 'incrociati' con femmine di ominide dando così origine ad ulteriori ibridi fisicamente ed intellettivamente più 'evoluti' e somiglianti all'uomo, esseri che nel corso di decine di migliaia di anni si sarebbero gradatamente trasformati negli uomini attuali, uomini che quindi non apparterrebbero più alla razza pura di Adamo in quanto - nell'incrocio fra razze - i caratteri genetici selvatici più 'forti' degli antichi 'ominidi' avrebbero preso il sopravvento su quelli originariamente umani.
In buona sostanza ed in sintesi, noi uomini attuali - compresi voi che leggete - non saremmo più, secondo don Guido Bortoluzzi, i discendenti della razza del geneticamente puro Noè - ma di quella ibrida dell'uomo-scimmia ... Caino.
Ciò perché - sempre secondo la 'Genesi' di don Guido Bortoluzzi - la moglie di Noè sarebbe stata anche lei una... “ibrida” e conseguentemente lo sarebbero stati anche i suoi tre figli (Cam, Sem e Japhet) dai quali, secondo la Bibbia, a nostra volta noi tutti, uomini attuali, discendiamo.
L'Opera di cui sopra - tradotta e pubblicata in varie lingue - pare che incominci ad incontrare un discreto successo di consensi non solo fra i non credenti ma - quel che è peggio - anche fra gli stessi cristiani dei quali non pochi sono ormai dimentichi delle proprie origini e delle verità della Fede trasmesseci dalla Bibbia e dalle antiche Tradizioni dei Padri della Chiesa.
Sembra, in effetti, in questo caso più che mai vero il detto - di non ricordo più quale autore - per cui 'quando gli uomini non credono più in Dio finiscono per credere a tutto'.
Questo mio modesto ma spero chiaro e talvolta ironico volumetto (ironico non per mancanza di rispetto verso l'opera di un altro autore, ma al fine di rendere più 'leggibile' e 'leggero' questo mio scritto per certi altri aspetti spiritualmente impegnativo grazie alle rivelazioni della mistica Maria Valtorta) si propone di cercare di sfatare l'ulteriore 'mito evoluzionista' dell'opera in questione..., mito evoluzionista in fin dei conti non molto diverso da quell'altro universalmente conosciuto che preferirebbe farci discendere nemmeno da un Caino-uomo-scimmia ma sic et sempliciter direttamente da una scimmia.
Per chi non 'crede' nel Dio della Genesi, fra le due anzidette teorie non c'è che l'imbarazzo della scelta.
Più che esprimere un 'giudizio' sulla 'Genesi biblica' di don Guido Bortoluzzi, opera che - lo ripeto - si autodefinisce 'rivelata da Dio', giudizio che non ho l'autorità di dare perché spetterebbero semmai alla Chiesa, mi limiterò ad esporre alcune mie personali riflessioni sulla stessa ma soprattutto metterò a confronto le rivelazioni 'autentiche' della Sacra Scrittura, cioè della Genesi della Bibbia, con quelle della suddetta 'Genesi biblica', facendolo anche alla luce delle rivelazioni fatte alla mistica Valtorta.
Che costei sia stata una mistica 'autentica' è dimostrato non solo dal riconoscimento mondiale che ormai le viene oggigiorno riconosciuto e dalle numerose conversioni dovute alla lettura della sua Opera, ma anche dalla attestazione/consiglio sulla pubblicazione dell'Opera che diede a suo tempo lapidariamente, il 26 febbraio 1948, Papa Pio XII ai padri serviti dell'Ordine dei Servi di Maria (Pio XII: «Pubblicatela così come è... Chi legge quest'opera capirà»7).
Riconoscimento anche dalle numerose dichiarazioni di altri autorevoli uomini di Chiesa ed infine da quella del Beato padre Gabriele Maria Allegra (che prima di essere beatificato fu missionario ed insigne biblista che tradusse in cinese l'intera Sacra Scrittura) del quale farò conoscere di seguito una sua Presentazione dell'Opera valtortiana, arrivando egli a dire della stessa, senza alcuna ombra di dubbio, che ...'Digitus Dei est hic!'.
Il mio - tengo ancora a ribadirlo - non vuole essere, per quanto mi concerne, un 'giudizio' sull'Opera di don Guido Bortoluzzi, ma un 'raffronto' con le Sacre Scritture e con l'Opera valtortiana, raffronto dal quale ognuno che leggerà sarà poi libero di trarre le proprie personali conclusioni. L'autore
L'Opera di Maria Valtorta nella Presentazione del Beato Padre Gabriele Maria Allegra
(da 'Pro e contro Maria Valtorta' - di Emilio Pisani - Centro Editoriale Valtortiano)
Una relazione completa
Nel giugno 1970, approfittando di una degenza nell'ospedale di Macao, Padre Allegra stende una relazione sull'Opera di Maria Valtorta nell'intento di illustrarla ad eventuali traduttori.
La riportiamo tralasciando la prima parte, nella quale ricostruisce per sommi capi la storia dell'Opera basandola su informazioni approssimative.

Il
Poema8 contiene, anzi è una serie di visioni alle quali l'Autrice assiste, come se fosse una contemporanea, e perciò vede e sente quanto riguarda la vita di Gesù a cominciare dalla nascita di Maria SS.ma, avvenuta per grazia celeste nella vecchiaia di Anna e Gioacchino, sino alla Resurrezione e Ascensione del Signore, anzi sino all'Assunzione della Beata Vergine in Cielo.
La Veggente-ascoltatrice comincia di solito a descrivere il sito della scena che contempla, riporta il chiacchiericcio della folla e dei discepoli e poi, a seconda di quanto vede e ascolta, descrive i miracoli, riferisce i discorsi del Signore, ovvero i dialoghi dei presenti con Lui, o coi discepoli, o fra di loro.
La rievocazione della vita di Gesù, dei tempi e dell'ambiente, nei suoi diversi aspetti: fisico, politico, sociale, familiare, è fatta senza sforzo alcuno; l'Autrice riporta quello che ha visto e sentito; il suo stile non sente l'erudizione, che si nota anche nelle più famose vite di Gesù; è il resoconto di una teste oculare e auricolare.
Se Maria di Magdala o Giovanna di Cusa, durante la loro vita, avessero potuto vedere quello che vide Maria Valtorta e l'avessero scritto, credo che la loro testimonianza non differirebbe molto da quella del Poema.
La Valtorta osservava con tanta intensità il luogo e i personaggi delle sue visioni che chi è stato per ragioni di studio in Terra Santa e ha letto ripetutamente i Vangeli non fa uno sforzo eccessivo per ricostruire le scene.
Che un romanziere o un drammaturgo di genio creino dei caratteri indimenticabili, lo si sapeva; ma dei tanti romanzieri o drammaturghi che si sono accostati al Vangelo per utilizzarlo nelle loro creazioni, io non ne conosco uno che ne abbia cavato tanta ricchezza e abbia abbozzato con tanta forza o con tanta soavità - ometto per ora di Gesù e di Maria Vergine - le figure di Pietro, di Giovanni, di Maria Maddalena, di Lazzaro, di Giuda, specialmente di Giuda e della sua tragica e pietosa madre, Maria di Simone, e di tanti e tanti altri, come fa con la massima naturalezza e senza il minimo sforzo la Valtorta.
Penso che non pochi lettori del Poema ben sovente si siano soffermati a riflettere e, come M. Vinicio allorché ascoltava la rievocazione della Passione del Signore fatta da san Pietro all'Ostrianum, abbiano detto: costei ha visto.
La cosa più impressionante, almeno per me, sono i discorsi del Signore.
Naturalmente ci sono tutti quelli che si trovano nei SS. Vangeli, ma sviluppati, come pure sono stati sviluppati parecchi temi che nel Vangelo sono appena abbozzati o accennati.
Inoltre sono riportati molti altri discorsi di cui nulla si dice nel Vangelo, ma che le circostanze indussero Gesù a pronunziare.
Anche questi son costruiti come i primi; è lo stesso Signore che parla, sia che adoperi lo stile parabolico - il Poema contiene una quarantina di parabole "agrapha" - sia quello esortativo o profetico, sia in ultimo quello sapienziale in uso presso i rabbini dell'epoca Neo-testamentaria.
Pertanto, oltre ai grandi discorsi dei Vangeli, come quello della montagna, quello della missione degli Apostoli, quello escatologico, quelli dell'ultima settimana e quelli dell'ultima Cena, nel Poema ce ne sono moltissimi altri che spiegano il Decalogo, le opere di misericordia corporali e spirituali, ovvero che costituiscono speciali istruzioni alle discepole, ai discepoli, a persone singole, a uditori misti di giudei e di gentili... e in fine i discorsi sul Regno di Dio o più chiaramente sulla Chiesa, prima della Passione tenuti come un colloquio col fratello-cugino Giacomo sul Carmelo, e dopo la Resurrezione sviluppati parlando agli Apostoli e ai discepoli sul Tabor e su un altro monte della Galilea, il di cui tema è indicato da san Luca con la semplice frase: loquens de Regno Dei.
A considerarne sommariamente la materia, si trova in essi tutta la Fede, la Vita, la Speranza cristiana.
Il tono e lo stile non si smentisce mai, è sempre lo stesso: lucido, forte, profetico, a volte pieno di maestà, a volte riboccante di tenerezza. Arreco qualche esempio.
Tutti sanno gli affanni dei più grandi esegeti per collocare e spiegare secondo il contesto vitale il colloquio con Nicodemo, il discorso sul Pane di vita, i discorsi teologico-polemici pronunziati a Gerusalemme: quanti sforzi e quanto diversi!
Nel Poema la loro concatenazione è spontanea, naturale, comecché fluisce logicamente dalle circostanze.
Quello che si dice dei discorsi, vale per i miracoli.
Nel Poema ce ne sono tanti, che il Vangelo comprende con le frasi: e guariva e sanava tutti... come pure ci sono alcuni avvenimenti, cui né esegeti, né romanzieri, né apocrifi hanno pensato.
Per esempio l'evangelizzazione della Giudea, accennata da san Giovanni (Gv 3, 22) all'inizio del ministero di Gesù, il misericordioso apostolato del Signore in favore dei Samaritani, dei poveri, dei contadini di Doras e di Giocana, degli abitanti del quartiere dell'Ofel, i viaggi continui dell'instancabile Maestro per il territorio di tutte le dodici antiche tribù, e la congiura ordita, da alcuni in buona fede, in mala fede dai più, per proclamarlo re, onde distruggerlo più facilmente per mano romana, congiura cui Giovanni (6, 14-15) accenna così sobriamente.
E come dimenticare l'eroica fedeltà dei dodici pastori betlemiti, e la duplice prigionia di Giovanni Battista, e i convertiti del convertito Zaccheo; e quelle persone che Gesù salvò anche materialmente, come Sintica, Aurea Galla, Beniamino di Aenon; e le ultime voci profetiche del Popolo eletto: Sabea di Bethlechi, il samaritano lebbroso guarito, Saul di Kerioth; e le relazioni di Gesù con Gamaliele, con alcuni membri del sinedrio, con un gruppo di donne pagane che gravitano attorno a Claudia Procula, la moglie di Pilato; e la storia e la figura di Maria Maddalena, del fanciullo Marziam, dei singoli Apostoli il cui carattere si imprime indelebilmente nel cuore del lettore attento, specialmente il caratteri Pietro, Giovanni e Giuda e della sua pia e sventurata madre?
E quanto non s'impara circa la situazione politica, religiosa, economica, sociale, familiare della Palestina nel primo secolo della nostra era, anche dai discorsi dei più umili, anzi specialmente da questi, che l'Autrice, veggente e ascoltatrice, riporta!
Direi che in questa opera il mondo palestinese del tempo di Gesù risusciti davanti ai nostri occhi; e gli elementi migliori e peggiori del carattere del popolo eletto - il popolo degli estremi e schivo di ogni mediocrità - balzino vivi dinanzi a noi.
Il Poema ci si presenta come il completamento dei quattro Vangeli e una lunga spiegazione di essi; l'Autrice è l'illustratrice delle scene evangeliche.
La spiegazione e il completamento sono giustificati in parte dalle parole di San Giovanni: «molti altri prodigi fece Gesù dinanzi ai suoi discepoli, che non sono scritti nel presente libro..." (20, 30); e: "molte altre cose fece Gesù che se si dovessero scrivere una a una, penso che il mondo intero non potrebbe contenere i libri da scriversi" (21, 25).
Completamento e spiegazione, ripeto, giustificati solo in parte o in principio, giacché dal punto vista storico-teologico la rivelazione si è chiusa con gli Apostoli e tutto ciò che si aggiunge al deposito rivelato, anche se non lo contraddice ma felicemente lo completa, potrà al massimo essere frutto di un carisma particolare, individuale, che obbliga alla fede colui che lo riceve e coloro che credono trattarsi di un vero carisma o di più veri carismi, che nel caso nostro sarebbero quelli della rivelazione, della visione, del discorso della sapienza e del discorso della scienza (cfr. 1 Cor 12, 8; 2 Cor 12, 1...).
Insomma la Chiesa non ha bisogno di questa opera per svolgere la sua missione salvatrice sino alla seconda venuta del Signore come non aveva bisogno delle apparizioni della Madonna a La Salette, a Lourdes, a Fatima...
Sennonché la Chiesa può tacitamente e pubblicamente riconoscere che certe rivelazioni private possono giovare alla conoscenza e alla pratica del Vangelo e all'intelligenza dei suoi misteri, e quindi approvare in forma negativa, cioè dichiarando che le rivelazioni in parola non sono contrarie alla fede o può ufficialmente ignorarle, lasciando ai suoi figli piena libertà di formarsi il proprio giudizio.
In forma negativa sono state approvate le rivelazioni di santa Brigida, di santa Matilde, di santa Gertrude, della Ven. D'Agreda, di san Giovanni Bosco e di molti altri santi e sante.
Chi si mette a leggere con animo onesto e con impegno può ben vedere da sé l'immensa distanza che esiste tra Il poema e gli Apocrifi del Nuovo Testamento, specialmente gli Apocrifi dell'Infanzia e quelli dell'Assunzione, e può anche notare la distanza che c'è fra quest'opera e le Rivelazioni della Ven. Emmerich, D'Agreda etc.
Negli scritti di queste due visionarie è impossibile non sentire l'influsso di terze persone, influsso, invece, che mi pare si debba assolutamente escludere dal nostro Poema.
Per convincersene basta fare il paragone tra la vasta e sicura dottrina teologica, biblica, geografica, storica, topografica... che si addensa in ogni pagina del Poema e la stessa materia o le stesse materie nelle opere summenzionate.
Non parlo poi di opere letterarie, ché di quelle che coprono tutta la vita di Gesù, a cominciare dalla nascita all'Assunzione della Madonna, non ce ne sono, o almeno mi sono sconosciute.
Ma anche se ci limitiamo all'intreccio delle più celebri, come: Ben Hur, La Tunica, Il grande pescatore, The silver chalice, The spear... questo non può affatto sostenere il paragone con l'intreccio naturale, spontaneo, sgorgante dal contesto degli eventi e dal carattere delle tante persone - una vera folla! - che forma la possente travatura del Poema.
Ripeto: è un mondo che risuscita e l'Autrice lo domina come se possedesse il genio dello Shakespeare o del Manzoni. Però le opere di questi due grandi, quanti studi non richiesero, quante veglie, quante meditazioni!
Maria Valtorta, invece, pur possedendo una intelligenza brillante, una memoria tenace e pronta, neppure terminò gli studi medi superiori, fu per anni e anni afflitta da diverse malattie e confinata al letto, aveva pochi libri che stavano tutti in due palchetti del suo scaffale, non lesse alcuno dei grandi commentari della Bibbia, che avrebbero potuto giustificare o spiegare la sua sorprendente cultura scritturistica, ma si serviva della versione popolare della Bibbia del P. Tintori ofm; eppure scrisse i dieci volumi del Poema dal 1943 al 1947, in quattro anni!
Tutti sanno quante ricerche abbiano fatto gli eruditi, specialmente ebrei, per disegnare le differenti carte della geografia politica della Palestina, dal tempo dei Maccabei sino all'insurrezione di Barcocheba; hanno dovuto compulsare per più di vent'anni un cumulo di documenti: il Talmud, G. Flavio, l'epigrafia, il folklore, gli antichi itinerari... eppure l'identificazione di parecchie località rimane ancora incerta; nel Poema, invece, quale che possa essere il giudizio che si dà della sua origine, non vi è alcuna incertezza (almeno per quattro cinque casi, i recenti studi danno ragione alle identificazioni in esso supposte, e il numero penso che crescerebbe se qualche specialista volesse studiare a fondo questa questione).
L'Autrice vede il biforcarsi delle strade, i cippi miliari che ne indicano la direzione, le diverse colture a seconda della diversa qualità del terreno, i tanti ponti romani gettati su diversi fiumi o torrenti, le sorgenti vive in certe stagioni e disseccate in altre; essa nota la differenza della pronunzia fra i diversi abitanti delle diverse regioni della Palestina e un cumulo di altre cose che rendono perplesso o almeno pensoso il lettore.
Una serie di visioni, nelle quali il mistero della nascita di Gesù, della sua agonia, della sua passione e della sua resurrezione vien descritto con parole e immagini celesti, con
un eloquio angelico, mentre d'altra parte tanta luce si proietta sul mistero di Giuda, sul tentativo di proclamare re Gesù, sui due fratelli-cugini9 che non credevano in Lui, sull'impressione da Lui destata nei Gentili, sul suo amore per i lebbrosi, i poveri, i vecchi, i bambini, i Samaritani e specialmente sul suo amore così ardente, soave e delicato per l'Immacolata sua Madre.
E chi, dal punto di vista non solo umano, ma specialmente teologico, può rimanere indifferente leggendo i due capitoli sulla desolazione della SS.ma Madre dopo la tragedia del Calvario, che ci rivelano come la Corredentrice sia stata tentata da Satana come era stato tentato il suo Figlio Redentore? Si paragoni la sublime teologia di questi due capitoli con quella dei tanti Planctus dell'Addolorata.
Oggi sulla storicità del Vangelo dell'Infanzia e sui racconti della Resurrezione gli esegeti, anche cattolici, si prendono le più strane e audaci libertà, come se con la "Formgeschichte" e con la "Redaktionsgeschichte Methode" si sia trovato il toccasana per tutte le difficoltà, che non furono ignote ai Padri della Chiesa.
Veramente, per parlare solo di alcuni recenti esegeti, Fouard, Sepp, Fillior, Lagrange, Ricciotti... su questi punti difficili dissero la loro parola equilibrata e luminosa, ma oggi altri sono i maestri, che anche i nostri seguono con tanta fiducia.
Ebbene, per tornare a noi, io invito i lettori del Poema a leggere le pagine consacrate alla resurrezione, alla ricostruzione degli eventi del giorno di Pasqua, e constateranno come tutto vi è armoniosamente legato, così come si sforzarono di fare, ma senza riuscirci pienamente, tanti esegeti che seguivano il metodo critico-storico-teologico, i quali non turbavano ma allietavano il cuore dei fedeli e ne rafforzavano la fede!
Ma c'è un'altra sorpresa: questa donna del secolo ventesimo, che, confinata sul letto di dolore, è divenuta la fortunata contemporanea e seguace di Cristo, all'infuori di certi momenti da lei diligentemente notati, quando cioè gli Apostoli e Gesù pregavano in ebraico o aramaico, li sente parlare in italiano, ma in un italiano aramaizzante.
Inoltre il Signore, la Madonna, gli Apostoli, anche quando trattano di argomenti trattati nel Nuovo Testamento, adoperano il linguaggio teologico di oggi, cioè il linguaggio iniziato dal primo grande teologo san Paolo e arricchitosi attraverso tanti secoli di riflessione e di meditazione e diventato preciso, chiaro, insostituibile.
C'è dunque nel Poema una trasposizione, una traduzione della buona novella annunziata da Gesù nella lingua della sua Chiesa di oggi, trasposizione voluta da Lui, giacché la veggente era priva di qualsiasi formazione teologica tecnica: e questo, penso, per farci comprendere che il messaggio evangelico annunziato oggi, dalla sua Chiesa di oggi, con la lingua di oggi, è sostanzialmente identico alla sua predicazione di venti secoli fa.
Un libro di grande mole, composto in circostanze eccezionali e in un tempo relativamente brevissimo: ecco un aspetto del fenomeno valtortiano.
L'Autrice confessa ripetutamente che lei è solo un portavoce, un fonografo, una che scrive quello che vede e sente mentre sta "crocifissa a letto". Quindi, secondo lei, il Poema non è suo, non le appartiene; le è stato rivelato, mostrato, essa altro non ha fatto che descrivere quello che ha visto, riferire quello che ha sentito, pur partecipando con tutto il suo cuore di donna e di devota cristiana alle visioni.
Da questa sua intima partecipazione nasce l'antipatia che sente per Giuda, e al contrario l'affetto intenso che sente per Giovanni, per la Maddalena, per Sintica... e non parlo del Signore Gesù e della Madonna Santissima, verso i quali a volte effonde il suo cuore e il suo amore con parole di un lirismo appassionato, degno delle più grandi mistiche della Chiesa.
Nei dialoghi e nei discorsi che formano l'ossatura dell'opera c'è, accanto a una inimitabile spontaneità (dialoghi), qualcosa di antico e a volte di ieratico (discorsi), si sente insomma una traduzione ottima di una parlata aramaica, o ebraica, in un italiano vigoroso, polimorfo, robusto.
È ancora da notarsi che nella struttura di questi discorsi Gesù, o si muove nella scia dei grandi Profeti, ovvero si accorda al metodo dei grandi rabbini che spiegavano il Vecchio Testamento applicandolo alle circostanze contemporanee; si ricordi il Pesher di Habacuc trovato a Qumran e si confronti, passi la parola, col "pesher" che ce ne dà Gesù.
Si paragonino pure altre spiegazioni che il Signore dà di altri passi del Vecchio Testamento, e per i quali possediamo in tutto o in parte i commentari dei Rabbi del 3° o 4° secolo d. C., ma che evidentemente seguono uno stile tradizionale di composizione molto più antico e probabilmente contemporaneo a Gesù, e si constaterà, accanto a una somiglianza esterna di forma, una tale superiorità quanto al fondo, alla sostanza, che comprendiamo finalmente appieno perché la folla diceva: nessuno ha parlato come quest'uomo.
Io ritengo che l'Opera esiga una origine soprannaturale, penso che essa sia il prodotto di uno o più carismi e che essa va studiata alla luce della dottrina dei carismi, pur giovandosi dei contributi dei recenti studi di psicologia e scienze affini, che certo non potevano essere conosciute dagli antichi teologi, come il Torquemada, il Lanspergius, lo Scaramelli etc.
È proprio dei carismi che essi vengano elargiti dallo Spirito di Gesù per il bene della Chiesa, per l'edificazione del Corpo di Cristo; e io non vedo come si possa ragionevolmente negare che il Poema edifichi e diletti i figli della Chiesa.
Senza dubbio la carità è la via più eccellente (1 Cor 13, 1); è pure risaputo che alcuni carismi, che abbondavano nella Chiesa primitiva, si sono in seguito rarefatti, ma è del pari certo che essi non si sono mai estinti del tutto. La Chiesa attraverso i secoli deve perciò continuare a saggiare se essi provengono dallo Spirito di Gesù ovvero sono un camuffamento dello spirito delle tenebre, travestitosi in angelo di luce: probate spiritus si ex Deo sint! (1 Gv 4, 1).
Ora, senza prevenire il giudizio della Chiesa, che sin da questo momento accetto con sottomissione assoluta, mi permetto di affermare che, essendo per il discernimento degli spiriti principale criterio la parola del Signore: ex fructibus eorum cognoscetis..., e producendo il Poema buoni frutti in un numero sempre crescente di lettori, io penso che esso venga dallo Spirito di Gesù.

1 Maria Valtorta: 'I Quaderni del 1945/1950' - 30.12.46 - Centro Editoriale Valtortiano.
2 Maria Valtorta: 'Lezioni sull'Epistola di Paolo ai Romani' - 21/28-5-1948 - Centro Editoriale Valtortiano
3 Maria Valtorta: 'Lezioni sull'Epistola di Paolo ai Romani' - 21/28.5.1948 - Centro Editoriale Valtortiano.
4 http://www.ilcatecumeno.net/libri/depliant.pdf
5 In merito alla straordinaria e plurisecolare durata della vita - secondo la Genesi - dei primi patriarchi discendenti da Adamo, vedere le spiegazioni scientifiche e spirituali fornite dall’autore ne “LA ‘GENESI BIBLICA’ FRA SCIENZA E FEDE”, Vol. II, Cap. 20.2. - Ed. Segno, 2006. Vedi l’opera, liberamente scaricabile, anche dal sito internet dell’autore: http://www.ilcatecumeno.net.
Oppure cfr. Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 170. Secondo discorso della Montagna: il dono della Grazia e le beatitudini, ed. CEV.
“[…] I più dotti fra voi sanno di quali doni Dio aveva fatto ricco Adamo, per sé e per i suoi discendenti. Anche i più ignoranti fra i figli d'Israele sanno che in noi vi è lo spirito. Solo i poveri pagani lo ignorano questo ospite regale, questo soffio vitale, questa luce celeste che santifica e vivifica il nostro corpo. Ma i più dotti sanno quali doni erano stati dati all'uomo, allo spirito dell'uomo. Non fu meno munifico allo spirito che alla carne e al sangue della creatura da Lui fatta con poco fango e col suo alito. E come dette i doni naturali di bellezza e integrità, di intelligenza e di volontà, di capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali con la soggezione del senso alla ragione, di modo che nella libertà e padronanza di sé e della propria volontà, di cui Dio aveva beneficato Adamo, non si insinuava la malvagia prigionia dei sensi e delle passioni, ma libero era l'amarsi, libero il volere, libero il godere in giustizia, senza quello che fa schiavi voi facendovi sentire il mordente di questo veleno che Satana sparse e che rigurgita, portandovi fuor dell'alveo limpido su campi fangosi, in putrescenti stagni, dove fermentano le febbri dei sensi carnali e dei sensi morali. Perché sappiate che è senso anche la concupiscenza del pensiero. Ed ebbero doni soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore, la visione di Dio.
6 Gn 3, 14-19: 14Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. 15Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
16Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà».
17All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato: «Non devi mangiarne», maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. 18Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. 19Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!».
7 http://www.movimentoneval.altervista.org/pdf/pio_xii.pdf
8 N.d.R.: il Poema, sta per 'Il Poema dell'Uomo-Dio', titolo originario dell'Opera principale di Maria Valtorta che è stato poi modificato in 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' dal Centro Editoriale Valtortiano di Isola del Liri (FR), Italia.
9 N.d.R.: Nell'Opera valtortiana i 'due fratelli-cugini' di cui qui si parla sono Giuseppe e Simone d'Alfeo, fratelli fra di loro come essi erano anche i fratelli dei due più giovani apostoli Giacomo e Giuda d'Alfeo. Tutti e quattro erano figli di Maria Cleofa di Nazareth e di Alfeo, fratello di San Giuseppe, padre putativo di Gesù (di stirpe davidica), e quindi tutti lontani 'cugini' di Gesù attraverso Maria SS (anche lei discendente della casa di Davide). All'inizio della missione di Gesù, dichiaratosi Messia, essi - che nulla sapevano della sua nascita divina e della sua Messianicità, mantenuta fin dall'inizio segreta da Maria SS. e San Giuseppe per ragioni di prudenza risalente al tentativo di uccidere il neonato Messia con la 'strage degli innocenti' - non riuscivano a credere in Lui, salvo ricredersi invece completamente alla Sua Passione e Morte.

L'Autrice confessa ripetutamente che lei è solo un portavoce, un fonografo, una che scrive quello che vede e sente mentre sta "crocifissa a letto". Quindi, secondo lei, il Poema non è suo, non le appartiene; le è stato rivelato, mostrato, essa altro non ha fatto che descrivere quello che ha visto, riferire quello che ha sentito, pur partecipando con tutto il suo cuore di donna e di devota cristiana alle visioni.
Da questa sua intima partecipazione nasce l'antipatia che sente per Giuda, e al contrario l'affetto intenso che sente per Giovanni, per la Maddalena, per Sintica... e non parlo del Signore Gesù e della Madonna Santissima, verso i quali a volte effonde il suo cuore e il suo amore con parole di un lirismo appassionato, degno delle più grandi mistiche della Chiesa.
Nei dialoghi e nei discorsi che formano l'ossatura dell'opera c'è, accanto a una inimitabile spontaneità (dialoghi), qualcosa di antico e a volte di ieratico (discorsi), si sente insomma una traduzione ottima di una parlata aramaica, o ebraica, in un italiano vigoroso, polimorfo, robusto.
È ancora da notarsi che nella struttura di questi discorsi Gesù, o si muove nella scia dei grandi Profeti, ovvero si accorda al metodo dei grandi rabbini che spiegavano il Vecchio Testamento applicandolo alle circostanze contemporanee; si ricordi il Pesher di Habacuc trovato a Qumran e si confronti, passi la parola, col "pesher" che ce ne dà Gesù.
Si paragonino pure altre spiegazioni che il Signore dà di altri passi del Vecchio Testamento, e per i quali possediamo in tutto o in parte i commentari dei Rabbi del 3° o 4° secolo d. C., ma che evidentemente seguono uno stile tradizionale di composizione molto più antico e probabilmente contemporaneo a Gesù, e si constaterà, accanto a una somiglianza esterna di forma, una tale superiorità quanto al fondo, alla sostanza, che comprendiamo finalmente appieno perché la folla diceva: nessuno ha parlato come quest'uomo.
Io ritengo che l'Opera esiga una origine soprannaturale, penso che essa sia il prodotto di uno o più carismi e che essa va studiata alla luce della dottrina dei carismi, pur giovandosi dei contributi dei recenti studi di psicologia e scienze affini, che certo non potevano essere conosciute dagli antichi teologi, come il Torquemada, il Lanspergius, lo Scaramelli etc.
È proprio dei carismi che essi vengano elargiti dallo Spirito di Gesù per il bene della Chiesa, per l'edificazione del Corpo di Cristo; e io non vedo come si possa ragionevolmente negare che il Poema edifichi e diletti i figli della Chiesa.
Senza dubbio la carità è la via più eccellente (1 Cor 13, 1); è pure risaputo che alcuni carismi, che abbondavano nella Chiesa primitiva, si sono in seguito rarefatti, ma è del pari certo che essi non si sono mai estinti del tutto. La Chiesa attraverso i secoli deve perciò continuare a saggiare se essi provengono dallo Spirito di Gesù ovvero sono un camuffamento dello spirito delle tenebre, travestitosi in angelo di luce: probate spiritus si ex Deo sint! (1 Gv 4, 1).
Ora, senza prevenire il giudizio della Chiesa, che sin da questo momento accetto con sottomissione assoluta, mi permetto di affermare che, essendo per il discernimento degli spiriti principale criterio la parola del Signore: ex fructibus eorum cognoscetis..., e producendo il Poema buoni frutti in un numero sempre crescente di lettori, io penso che esso venga dallo Spirito di Gesù.
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