0706 - SPIRITUALITÀ

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Legge ► SILVIA CANEPARO

Legge ► DANIELA CIAVONI

6 luglio 1943

  In attesa che parli Gesù, parlo io per chiarire alcuni punti.
    Avrà notato che in data 28 giugno vi è una preghiera al Ss. Sangue.  Però, mentre Gesù si lamenta che troppo poco sia venerato il suo Sangue,  non impone, prepotentemente, che quella preghiera sia fatta  conoscere. Mentre quella del 4 giugno, in riparazione a Gesù  Sacramentato, non mi dette tregua fintanto che io gliela mandai. Gesù mi  fa capire che va molto detta questa preghiera e, personalmente, me la fa dire con la frase dettata da Lui “... per mano di Satana”.
    Mi spiace disubbidire al censore ecclesiastico. Ma fra lui e il  Maestro scelgo il Maestro. Già anche volessi fare diverso non mi  riuscirebbe.
   Come mi spiace dovere dire che non conosco  chi ha scritto quella preghiera. Oh, se lo conosco! Ma Egli si nasconde  dietro l’anonimo. Ci dà una formula perfetta nella sua concisione,  completa, quale solo Egli la poteva fare, chiede che sia detta e basta.  Sicché io, ai lontani di qui, dico che fu scritta da una inferma.
    Scritta: è formula molto ampia. Io posso scrivere la Divina Commedia,  se mi ci metto con pazienza. Ma non sono certo io che l’ho composta.  Ugualmente ora. Io l’ho scritta e Lui l’ha composta. Ma ai vicini che  potrebbero chiedere dove sta questa inferma, dico: “Non so chi ha scritto quella preghiera”.
    Se dicessi: “L’ho scritta io”, ne avrei lodi che sarebbero ingiuste.  Se dicessi chi l’ha dettata, la gente crederebbe in due forme diverse.  Di una - pazienza! - la subirei pensando a Gesù chiamato “pazzo”[123]. Ma l’altra non voglio  sia detta. Perché se Gesù si curva, vero samaritano pietoso, sulla mia  anima che è tutta uno strappo, ciò è prova della sua infinita  Misericordia e non di merito da parte mia.
   Sento, con la medesima  esattezza che se l’avessi già vissuto, che se la superbia entrasse in  me tutto finirebbe. Glielo dicevo stamane. È una mia persuasione  personale, e il buon Gesù la conferma dicendomi che “la superbia uccide  tutte le virtù, la carità per prima. Conduce quindi con sé la perdita  della luce di Dio. Il superbo”, mi spiega Gesù, “non tratta con santo  rispetto il buon Padre dei Cieli, non ha viscere di misericordia per i  fratelli, si crede superiore alle debolezze della carne e alle regole  della Legge. Pecca perciò continuamente, e dello stesso peccato che fu  causa della rovina di Lucifero prima, d’Adamo e della progenie d’Adamo  poi. Ma soprattutto uccide la carità. Distrugge perciò l’unione con  Dio”.
   A proposito di carità. La prego insistere caldamente  su questo soggetto presso le Suore dell’Ospedale. È comprensibile e  scusabile che siano stanche, indaffarate, nervose, sempre chiamate e  richiamate come sono da malati esigenti e sovente ingrati. Ma vestono  l’assisa della carità. Della carità attiva e della più santa attività.  Hanno fra le mani anime che soffrono in corpi sofferenti, anime che,  delle volte, incontrano il volto di Dio, nelle sue serve, proprio nelle  corsie dell’ospedale, anime che possono essere prossime ad incontrarsi  col Dio eterno nel giudizio particolare.
   Oh! quanta  responsabilità ha chi cura un infermo! Può, col suo modo di fare,  impedire il contatto, l’incontro fra due che, almeno da parte di Uno, si  erano cercati senza potersi incontrare.
   Il dolore è molto di  frequente catena, scintilla, calamita fra Iddio e la creatura. Ma quando  e quanto più la creatura non conosce Iddio, bisogna saper sfruttare il  mezzo - malattia - con tanto infinito di carità, per ottenere che  l’anima vada dove Gesù l’attira al suo Cuore amabile, e non ne fugga  scandalizzata, urtata, scettica, perché vede che una serva di Gesù è...  un mazzo di ortiche invece d’essere un vellutato mazzo di violette.
    Altri malati possono essere cattolici tiepidi... Ma come si possono  accendere se sono circondati da cuori che sotto la infiammata insegna  della Croce sono gelidi come carne morta?
   Consegnare anime a  Gesù, prendere queste povere anime che la vita getta sulle dolorose  spiagge di un ospedale come tanti naufraghi feriti e disperati, e  raccoglierle con amore, curarle, calmarle, infondere le tre sublimi  virtù teologali, le altre soavissime virtù cardinali, condurle verso la  Luce. Fare sì che, nella vita se superano la malattia, nella morte se  l’ora della morte è venuta, esse se ne vadano fuori dal nosocomio, o  dalla vita, con nell’anima, accesa dalla pietosa sorella infermiera, la  Luce che non muore.
   Se è grande responsabilità esser madrine di  battesimo, quale responsabilità è mai questa delle “madrine del dolore e  della morte”? Sono stata infermiera, e so e compatisco. Ma non tutti lo  sono stati.
   Perché scandalizzare, far fare mormorazioni, ferire le anime, chiuderle, nell’ora che dovrebbero più stare aperte, perché si colpiscono con dell’anticarità?
    Mi scusi e mi scusino le Suore. Ma per pietà di esse, che dovranno  rispondere, per esse stesse e per le anime assistite, al Giudice eterno,  ma per pietà di chi soffre nel corpo e ha tanto bisogno di  luce nell’anima, mi raccomando di insistere sulla carità che “ci fa  serve pronte”, come diceva il nostro motto di infermiere samaritane.
   Dalla carità viene alla infermiera la pazienza, la calma, il sorriso (così utile presso chi soffre e così eroico).  Viene tutto in questa vita e viene il bacio di Cristo nell’altra (delle  volte anche in questa), quel bacio che è passaporto per il regno di  Dio.
   Riguardo alla sua malata, da 14 anni inferma, pregherò per  lei, soffrendo. Sarò felice se il mio dolore le otterrà la visione del  nostro divino e dolce Gesù. È sorda e muta. Ma fosse anche cieca, Gesù  potrebbe sempre brillare nelle sue tenebre e parlare ai suoi timpani  spenti. Basterebbe si svelasse un attimo... Dopo non si può più uscire  dal suo solco di luce...
   Pregherò molto per questa paralizzata  nelle membra, come prego per le altre anime che lei dirige e che sono  più o meno appesantite nello spirito. Oh! vorrei molto soffrire per  salire a Dio trascinandomi dietro, come volo d’angeli, una vera tribù di  anime. Non ho paura di soffrire troppo, perché soffro per fare piacere a  Gesù.
   Ed ora grazie della sorpresa proprio inaspettata. Avevo, domenica, fatto un vero sacrificio respingendo la tentazione di comperare un libro: “La vita di G. M. Vianney”, che mi avevano data a leggere.
    Ma vede come è buono il Signore? Quando io contemplo la sua divina  bontà mi salgono le lacrime agli occhi. Perché io in tutto quello che  ricevo vedo Gesù. È la mano di Gesù che mi dà questo o quello. Una  sensazione così viva per cui dico prima “grazie” a Gesù e poi al pietoso  che, ispirato da Gesù, dà un conforto alla povera Maria. Gesù sta come  uno schermo fra me e il mondo, ed io lo vedo sovrapporsi a tutto e a  tutti.
   Perciò: grazie, Padre, d’aver seguito l’ispirazione di Gesù e avermi...
   Comincia a parlare Gesù e taccio io.
  
   Dice Gesù:
    «L’avermi visto cessare di soffrire nella carne fu un sollievo per  mia Madre, ma non fu “l’allegrezza”. Vedeva non più spasimare la Carne  del Figlio, sapeva che l’orrore del deicidio materiale era finito.
    Ma nella “Piena di Grazia” vi era anche la conoscenza dei secoli  avvenire, in cui torme incalcolabili di uomini avrebbero continuato a  ferire spiritualmente il Figlio suo, ed era sola.
   Il deicidio non è finito sul Golgota nell’ora della mia morte.  Esso si ripete ogni qualvolta un mio redento uccide la sua anima,  sconsacra il tempio vivo del suo spirito, leva la mente sacrilega a  bestemmiare Me, non solo con il turpiloquio osceno, ma con mille maniere  del vivere attuale, sempre più contrario alla mia Legge e sempre più  neutralizzante i meriti incalcolabili della mia Passione e Morte.
   Maria, Corredentrice eccelsa, non cessa di soffrire, come non cesso Io. Nella gloria intangibile dei Cieli, Noi si soffre per gli uomini che ci rinnegano e ci offendono.
   Maria è l’eterna puerpera che vi dà alla luce con un dolore senza pari, perché sa che quel dolore genera non beati al Cielo ma, nella maggior parte,  dannati all’Inferno. Sa che genera creature morte o destinate a morire  fra breve. Morte, perché su certe creature il mio Sangue non penetra,  come fossero di durissimo diaspro. Dalla più giovane età uccidono se  stesse. O destinate a morire fra breve, ossia coloro che, dopo una larva  di vitalità cristiana, soccombono sotto la loro inerzia che niente scuote.
    Può Maria non soffrire di vedere perire le sue creature che costano  il Sangue del Figlio? Il Sangue sparso per tutti e che giova a così  pochi!
   Quando il tempo cesserà d’essere, allora Maria cesserà di  soffrire, perché il numero dei beati sarà compiuto. Ella avrà generato,  con dolore inenarrabile, il corpo che non muore, di cui il suo  Primogenito è il capo.
   Se considerate questo, potete ben capire come il dolore di Maria fu sommo dolore. Potete capire come - grande nel Concepimento immacolato, grande nella gloriosa sua Assunzione - Maria fu grandissima  nel ciclo della mia Passione, ossia dalla sera della Cena all’alba  della Resurrezione. Allora Ella fu il secondo - in numero e potenza - il secondo Cristo, e mentre il cielo si oscurava sulla tragedia compiuta e si squarciava il velo del Tempio, i nostri Cuori si squarciarono d’uguale ferita vedendo il numero immisurabile per cui la Passione fu inutile.
   Tutto compiuto[124], in quell’ora, del  sacrificio materiale. Tutto da iniziare, in rapporto del cammino delle  genti nel solco della Chiesa, nella matrice della Madre Vergine,  per dare alla luce gli abitanti della Gerusalemme che non muore. E, per  iniziarsi con quell’impronta di Croce, che tutto quanto è fatto per il  Cielo deve portare, si iniziò nel dolore della solitudine.
   Era l’ora delle tenebre. Chiusi i Cieli. Assente l’Eterno. Il Figlio nella morte. Maria sola iniziava il suo secondo mistico con­cepimento.»
   E adesso finisco io.
    Dicevo dunque: grazie, Padre, d’avere seguito l’ispirazione di Gesù e  di avermi dato modo di rileggere la Vita del Curato d’Ars[125]. Mi piace molto, perché fu un’anima vittima.
    Riguardo a me, sto, nel mio soffrire, placida come un bimbo nella  cuna e un uccellino sotto l’ala materna. Il mio Sole mi tiene funzione  di vita, di antidolore, di tutto. Mi tengo sotto il suo raggiare e sono  felice.
   Ha mai osservato i colombi? Quando possono farlo, si  accoccolano al sole, aprono le alucce, le alzano a turno per farsi  baciare dal sole sotto le ali, alzano il capino e guardano, con palese  soddisfazione, direi quasi con animale beatitudine, il sole d’oro. Sono  felici di farsi riscaldare da esso, né si sa come possano resistere  tanto tempo sotto il raggio di fuoco che scende a perpendicolo  dall’astro su di loro.
   Io sembro una colombella sotto al sole.  Sto lì, fissa fissa, e non mi muovo, lieta di sentirmi invadere,  struggere dal suo fuoco con la speranza d’esser presto consumata,  attirata a Lui.
   Oh! il mio Sole! Come dice lei tanto bene,  dovrebbe un altro provare ciò che provo per capirlo... Io mi sforzo  inutilmente a spiegare come è quella Luce: Pace, Maestà, Scienza,  Bellezza... No. Non si può dire cosa sia per l’anima questo  inestinguibile, inesprimibile, letificante splendore.

[123] chiamato “pazzo”, come in Marco 3, 21 e Giovanni 10, 20; samaritano pietoso, come nella parabola narrata in Luca 10, 29-37.
[124] Tutto compiuto, come in Giovanni 19, 30.
[125] la Vita del Curato d’Ars, cioè del sunnominato Giovanni Maria Vianney, santo (1786-1859).
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