10607 - SPIRITUALITÀ

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Voce narrante ► SILVIA CANEPARO

Vol.10 • cap.607 • Giovanni va a prendere la Madre.

                                                                                      
  607.1Ore 10,30 del Venerdì Santo 1944 (7-4-44). Ora che il mio interno ammonitore mi dice esser quella in cui Giovanni andò da Maria.
  Vedo il prediletto ancor più pallido di quando era nel cortile di  Caifa insieme a Pietro. Forse perché là la luce del fuoco acceso gli  dava un riflesso caldo alle guance. Ora appare scavato come da una grave  malattia ed esangue. Il suo viso emerge dalla tunica lilla come quello  di un annegato, tanto è di un pallore livido. Anche gli occhi sono  offuscati, i capelli opachi e spettinati, la barba, spuntata in quelle  ore, gli mette un velo chiaro sulle guance e il mento e le fa apparire,  biondo-chiara come è, ancor più pallide. Non ha più nulla del dolce,  ilare Giovanni, né del­l’in­quieto Giovanni che poco prima, con una  vampa di sdegno sul volto, a fatica si è contenuto dal malmenare Giuda.
    Bussa alla porta della casa e, come se dall’interno qualcuno,  timoroso di ritrovarsi di fronte Giuda, chiedesse chi è che picchia,  risponde: «Sono Giovanni». L’uscio si apre ed egli entra.
   Va anche lui subito nel cenacolo, non rispondendo alla padrona che gli chiede: «Ma che avviene in città?».
    Si chiude dentro e cade in ginocchio contro al sedile su cui era  Gesù e piange chiamandolo con dolore. Bacia la tovaglia nel posto dove  il Maestro tenne congiunte le mani, carezza il calice che fu tra le sue  dita… Poi dice: «Oh! Dio altissimo, aiutami! Aiutami a dirlo alla Madre!  Io non ho cuore!… Eppure devo dirlo. Io devo dirlo, poiché sono rimasto solo!».
    Si alza e pensa. Tocca ancora il calice come per attingere forza da  quell’oggetto toccato dal Maestro. Si guarda intorno… Vede, ancora nel  suo angolo dove Gesù l’ha posto, il purificatoio usato dal Maestro per  asciugarsi le mani dopo la lavanda e l’altro che si era cinto alla vita.  Li prende, li piega e li carezza e bacia.
   Resta ancora  perplesso, ritto in mezzo alla stanza vuota. Dice: «Andiamo!», ma non si  muove verso la porta. Anzi torna al tavolo e prende il calice e il pane  spezzato in un angolo da Gesù per staccarne il boccone da dare a Giuda,  intinto. Li bacia e, insieme ai due purificatoi, li prende e se li  tiene stretti contro al cuore come una reliquia. Ripete: «Andiamo!», e  sospira. Cammina verso la scaletta e la sale a spalle curve e a passi  riluttanti e strascicati. Apre, esce.
                                                                                                          
  607.2«Giovanni,  sei venuto?». Maria è riapparsa sulla porta della sua stanza,  sorreggendosi allo stipite come se non avesse forza di star ritta da  sola.
   Giovanni alza il capo e la guarda. Vorrebbe parlare e apre  la bocca. Ma non riesce. Due lacrimoni gli rotolano giù dalle guance.  Curva il capo, vergognoso della sua debolezza.
   «Vieni qui, Giovanni. Non piangere. Tu non devi piangere. Tu lo hai sempre amato e fatto felice. Ciò ti conforti».
    Queste parole aprono le dighe al pianto di Giovanni, che diviene  tanto alto e fragoroso da fare affacciare la padrona, Maria Maddalena,  la moglie di Zebedeo e le altre…
   «Vieni da me, Giovanni». Maria  si stacca dallo stipite e prende per un polso il discepolo, e lo  trascina dentro alla stanza come fosse un bambino, e chiude la porta  piano, per isolarsi con lui.
   Giovanni non reagisce. Ma, quando si  sente posare sul capo la mano tremante di Maria, cade in ginocchio  posando al suolo gli oggetti che aveva contro il cuore e, viso contro il  suolo, tenendo un lembo della veste di Maria premuto sul suo viso  convulso, singhiozza: «Perdono! Perdono! Madre, perdono!».
   Maria,  ritta e ambasciata, con una mano sul cuore e l’altra pendente lungo il  fianco, con una voce di strazio dice: «Che ti devo perdonare, povero  figliuolo? Che? A te!».
   Giovanni alza il volto, mostrandolo così  come è, senza più traccia di orgoglio maschile, il volto di un povero  bambino piangente, e grida: «Di averlo abbandonato! Di esser fuggito! Di  non averlo difeso! Oh! Maestro mio! O Maestro, perdono! Dovevo morire  prima di lasciarti! Madre, Madre, chi mi leverà più questo rimorso?».
    «Pace, Giovanni. Egli ti perdona, ti ha già perdonato. Non ha mai  tenuto conto del tuo smarrimento. Ti ama». Maria parla con soste fra le  brevi frasi, come presa da affanno, tenendo una mano sul capo di  Giovanni e una sul suo povero cuore che palpita d’angoscia.
   «Ma  io non l’ho saputo capire neanche ieri sera… e ho dormito mentre Egli  chiedeva il conforto del nostro vegliare. Solo l’ho lasciato, il mio  Gesù! E poi sono scappato quando quel maledetto è venuto coi  manigoldi…».
   «Giovanni, non maledire. Non odiare, Giovanni. Lascia al Padre il giudizio di farlo.
                                                                                                          
  607.3Ascolta: dove è Egli, ora?».
   Giovanni torna a cadere faccia a terra, piangendo più forte.
   «Rispondi, Giovanni. Dove è mio Figlio?».
   «Madre… io… Madre, è… Madre…».
   «È condannato, lo so. Ti chiedo: dove è in questo momen­to».
    «Ho fatto tutto il possibile perché mi vedesse… ho cercato di  ricorrere a chi è potente per ottenere pietà, per farlo… per farlo  soffrire meno. Non gli hanno fatto molto male…».
   «Non mentire, Giovanni. Neppure per pietà di una madre. Non ci riusciresti. E sarebbe inutile. Io so.  Da ieri sera l’ho seguito nel suo dolore. Tu non le vedi. Ma le mie  carni sono contuse dai suoi stessi flagelli, ma alla mia fronte stanno  le spine, ho sentito le percosse… tutto. Ma ora… non vedo più. Ora  ignoro dove è il mio Figlio condannato alla croce!… alla croce!… alla  croce!… Oh! Dio, dammi forza! Egli mi deve vedere. Non devo sentire il mio dolore finché Egli sente il suo. Quando poi sarà… finito tutto, fàmmi morire allora, o Dio, se vuoi. Ora no.
   Per Lui no. Perché mi veda.
                                                                                                          
  607.4Andiamo, Giovanni. Dove è Ge­sù?».
    «Parte dalla casa di Pilato. Questo clamore è la turba che grida  intorno a Lui, legato, sugli scalini del Pretorio, in attesa della croce  o già camminante verso il Golgota».
   «Avverti tua madre,  Giovanni, e le altre donne. E andiamo. Prendi quel calice, quel pane,  quei lini… Mettili qui. Ci saranno di conforto… poi… e andiamo».
    Giovanni raccoglie gli oggetti rimasti al suolo ed esce per chiamare  le donne. E Maria lo attende, passandosi sul viso quei lini come per  ritrovare su essi la carezza della mano del Figlio, e bacia il calice e  il pane, e mette tutto su una scansia. E si ammanta ben stretta nel suo  manto calandolo fin sugli occhi, al di sopra del velo che le fascia il  capo e le si attorciglia al collo. Non piange. Ma trema. E pare che  l’aria le manchi tanto ansa a bocca aperta.
   Giovanni rientra seguito dalle donne piangenti.
   «Figlie! Tacete! Aiutatemi a non piangere! Andiamo». E si appoggia a Giovanni, che la guida e sorregge come fosse una cieca.
   La visione cessa così. Sono le 12,30 di ora, ossia le 11,30 dell’ora solare.


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