10603 - SPIRITUALITÀ

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Voce narrante ► SILVIA CANEPARO

Vol.10 • cap.603 • Riflessioni sull'agonia nel Getsemani  e premessa agli altri dolori della Passione.

 15 febbraio 1944.
  603.1Dice Gesù:
    «La sofferenza della mia agonia spirituale tu l’hai contemplata  nella sera del Giovedì. Hai visto il tuo Gesù accasciarsi come uomo  colpito a morte che sente fuggire la vita attraverso le ferite che lo  svenano, o come creatura soverchiata da un trauma psichico superiore  alle sue forze. Ne hai visto le fasi crescenti, di questo trauma,  culminate nell’effusione sanguigna, provocata dallo squilibrio  circolatorio causato dallo sforzo di vincermi e di resistere al peso che  mi si era abbattuto sopra.
   Io ero, sono, il Figlio del  Dio altissimo. Ma ero anche il Figlio dell’uomo. Da queste pagine  voglio che sgorghi nitida questa mia duplice natura, ugualmente totale e  perfetta.
   Della mia Divinità vi fa fede la mia parola, la quale  ha accenti che solo un Dio può avere. Della mia Umanità i bisogni, le  passioni, le sofferenze che vi presento e che patii nella mia carne di  vero Uomo, proposta a modello della vostra umanità, così come vi  istruisco lo spirito con la mia dottrina di vero Dio.
   Tanto la  mia santissima Divinità come la mia perfettissima Umanità, nel corso dei  secoli e per l’azione disgregante della “vostra” umanità imperfetta,  sono risultate menomate, svisate nella loro illustrazione. Avete resa  irreale la mia Umanità, l’avete resa inumana, così come avete resa  piccola la mia figura divina, negandola in tante parti che non vi faceva  comodo riconoscere o che non potevate più riconoscere con i vostri  spiriti, menomati dalle tabi del vizio e dell’ateismo, dell’umanismo,  del razionalismo.
   Io vengo, in quest’ora tragica, prodromo di  universali sventure, vengo a rinfrescarvi nella mente la mia duplice  figura di Dio e di Uomo, perché voi la conosciate quale Essa è, perché  voi la riconosciate dopo tanto oscurantismo con cui l’avete coperta ai vostri spiriti, perché voi la amiate e torniate ad Essa e vi salviate per mezzo di Essa. È la figura del vostro Salvatore, e chi la conoscerà e l’amerà sarà salvo.
                                                                                                          
  603.2In  questi giorni ti ho fatto conoscere le mie sofferenze fisiche. Esse  hanno torturato la mia Umanità. Ti ho fatto conoscere le mie sofferenze  morali, connesse, intrecciate, fuse a quelle della Madre mia, così come  sono le inestricabili liane delle foreste equatoriali, che non si  possono separare per reciderne una sola, ma che si deve spezzarle con un  unico colpo d’accetta per aprirsi il varco, uccidendole insieme; così  come sono le vene di un corpo, che non se ne può privare di sangue una  perché un unico umore le empie; così, meglio ancora, così come non si  può impedire che nella creatura, che si forma nel seno della madre,  entri la morte se la madre muore, perché è la vita, il calore, il  nutrimento, il sangue della madre quello che, con ritmo sonante sul moto  del materno cuore, penetra, attraverso le interne membrane, sino al  nascituro e lo completa alla vita.
   Ella, oh! Ella, la pura Madre  mia, mi ha portato non solo per i nove mesi con cui ogni femmina d’uomo  porta il frutto dell’uomo, ma per tutta la vita. I nostri cuori erano  uniti da spirituali fibre e hanno palpitato insieme sempre, e non c’era  lacrima materna che cadesse senza rigarmi il cuore del suo salso, e non  c’era mio interno lamento che non risuonasse in Lei svegliando il suo  dolore.
   Vi fa pena la madre di un figlio destinato alla morte per  morbo insanabile, la madre di un condannato al supplizio dal rigore  dell’umana giustizia. Ma pensate a questa Madre mia, che dal momento in  cui mi ha concepito ha tremato pensando che ero il Condannato, a questa  Madre che quando m’ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee di  neonato ha sentito le future piaghe della sua Creatura, a questa Madre  che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la sua vita per impedirmi di  divenire Uomo e di giungere al momento dell’Immolazione, a questa Madre  che sapeva e che doveva desiderare quell’ora  tremenda per accettare la volontà del Signore, per la gloria del  Signore, per bontà verso l’Umanità. No, non vi è stata agonia più lunga,  e finita in un dolore più grande, di quella della Madre mia.
                                                                                                          
  603.3E  non vi è stato un dolore più grande, più completo del mio. Ero Uno col  Padre. Egli mi aveva dall’eternità amato come solo Dio può amare. Si era  compiaciuto di Me ed aveva trovato in Me la sua divina gioia. Ed Io  l’avevo amato come solo un Dio può amare, e trovato nell’unione con Lui  la mia gioia divina. Gli ineffabili rapporti che legano ab eterno il  Padre col Figlio non possono esservi spiegati neppure dalla mia parola,  perché, se essa è perfetta, la vostra intelligenza non lo è, e non  potete comprendere e conoscere ciò che è Dio finché non siete seco Lui  nel Cielo. Ebbene, Io sentivo, come acqua che monta e preme contro una  diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Me.
   A  testimonianza contro gli uomini-bruti, che non volevano comprendere chi  ero, Egli aveva aperto, durante il tempo della mia vita pubblica, tre  volte[6]  il Cielo: al Giordano, al Tabor e in Gerusalemme nella vigilia della  Passione. Ma l’aveva fatto per gli uomini, non per dare sollievo a Me.  Io ormai ero l’Espiatore.
   Molte volte, Maria, Dio fa conoscere  agli uomini un suo servo perché essi ne siano scossi e trascinati,  attraverso esso, a Lui, ma ciò avviene anche attraverso il dolore di  quel servo. È desso che paga in proprio, mangiando il pane amaro del  rigore di Dio, i conforti e la salvezza dei fratelli. Non è vero? Le  vittime d’espiazione conoscono il rigore di Dio. Poi viene la gloria. Ma  dopo che la Giustizia è placata. Non è come per il mio Amore, che alle  sue vittime dà i suoi baci. Io sono Gesù, Io sono il Redentore, Colui  che ha sofferto e sa, per personale esperienza, cosa sia il  dolore d’esser guardato con severità da Dio ed essere abbandonato da  Lui, e non sono mai severo, e non abbandono mai. Consumo ugualmente, ma  in un incendio d’amore.
                                                                                                          
  603.4Più  l’ora dell’espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il  Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre  meno sorretta dalla Divinità di Dio. E ne soffrivo in tutte le maniere.  La separazione da Dio porta seco paura, porta seco attaccamento alla  vita, porta seco languore, stanchezza, tedio. Più è profonda e più sono  forti queste sue conseguenze. Quando è totale, porta disperazione. E  quanto più chi, per un decreto di Dio, la prova senza averla meritata,  più ne soffre, perché lo spirito vivo sente la recisione da Dio così  come una carne viva sente la recisione di un arto. È uno stupore  doloroso, accasciante, che chi non l’ha provato non intende.
   Io  l’ho provato. Tutto ho dovuto conoscere per potere di tutto perorare  presso il Padre in vostro favore. Anche le vostre disperazioni. Oh, Io  l’ho provato cosa vuol dire: “Sono solo. Tutti mi hanno tradito,  abbandonato. Anche il Padre, anche Dio non m’aiuta più”. Ed è per questo  che opero misteriosi prodigi di grazia presso i poveri cuori che la  disperazione soverchia, e che chiedo ai miei prediletti di bere il mio  calice così amaro di esperienza, perché essi, coloro che naufragano nel  mare della disperazione, non ricusino la croce che offro per àncora e  per salvezza, ma vi si afferrino ed Io li possa portare alla beata riva  dove non vive che pace.
                                                                                                          
  603.5Nella  sera del Giovedì, Io solo so se avrei avuto bisogno del Padre! Ero uno  spirito già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più  grandi dolori di un uomo: l’addio ad una madre amatissima, la vicinanza  dell’amico infedele. Erano due piaghe che mi bruciavano il cuore. Una  col suo pianto, l’altra col suo odio.
   Avevo dovuto spezzare il  mio pane col mio Caino. Avevo dovuto parlargli da amico per non  accusarlo agli altri, della cui violenza non ero sicuro, e per impedire  un delitto, inutile d’altronde poiché tutto era già segnato nel gran  libro della vita: e la mia Morte santa, ed il suicidio di Giuda. Inutili  altre morti riprovate da Dio. Nessuno altro sangue che non fosse il mio  doveva esser sparso, e sparso non fu. Il capestro strozzò quella vita  chiudendo nel sacco immondo del corpo del traditore il suo sangue impuro  venduto a Satana, sangue che non doveva mescolarsi, cadendo sulla  Terra, al Sangue purissimo dell’Innocente.
   Sarebbero bastate quelle due piaghe a fare di Me un agonizzante nel mio Io.  Ma ero l’Espiatore, la Vittima, l’Agnello. L’a­gnello, prima d’esser  immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo  spogliamento, conosce la vendita al beccaio. Solo per ultimo conosce il  gelo del coltello che penetra nella gola e svena e uccide. Prima deve  lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito e scaldato, i compagni con cui ha vissuto. Tutto. Io ho conosciuto tutto: Io, Agnello di Dio.
                                                                                                          
  603.6Perciò  è venuto Satana, mentre il Padre si ritirava nei Cieli. Era già venuto  all’inizio della mia missione, a tentarmi per sviarmi da essa. Ora  tornava. Era la sua ora. L’ora della tregenda satanica.
   Torme e  torme di demoni erano quella notte sulla Terra, per portare a termine la  seduzione nei cuori e farli pronti a volere il domani l’uccisione del  Cristo. Ogni sinedrista aveva il suo, e il suo Erode, e il suo Pilato, e  il suo ogni singolo giudeo che avrebbe invocato su lui il mio Sangue.  Anche gli apostoli avevano il loro tentatore al fianco, che li assopiva  mentre Io languivo, che li preparava alla viltà. Osserva il potere della  purezza. Giovanni, il puro, si liberò primo fra tutti della grinfia demoniaca e tornò subito presso il suo Gesù e lo comprese nel suo inespresso desiderio, e mi condusse Maria.
    Ma Giuda aveva Lucifero, ed Io avevo Lucifero. Egli nel cuore, Io al  fianco. Eravamo i due principali personaggi della tragedia, e Satana si  occupava personalmente di noi. Dopo aver condotto Giuda al punto di non  potere più retrocedere, si volse a Me.
   Con la sua astuzia  perfetta, mi presentò le torture della carne con un verismo  insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne. Lo vinsi  pregando. Lo spirito signoreggiò le paure della carne.
    Mi presentò allora l’inutilità del mio morire, l’utilità di vivere  per Me stesso senza occuparmi degli uomini ingrati. Vivere ricco,  felice, amato. Vivere per la Madre mia, per non farla soffrire. Vivere  per portare a Dio con un lungo apostolato tanti uomini, i quali, una  volta Io morto, m’avrebbero dimenticato, mentre se fossi stato Maestro  non per tre anni ma per lustri e lustri avrebbero finito ad  immedesimarsi della mia dottrina. I suoi angeli mi avrebbero aiutato a  sedurre gli uomini. Non vedevo che gli angeli di Dio non intervenivano  nell’aiutarmi? Dopo, Dio mi avrebbe perdonato vedendo la messe di  credenti che gli avrei portato. Anche nel deserto m’aveva indotto a  tentare Iddio con l’imprudenza. Lo vinsi con la preghiera. Lo spirito signoreggiò la tentazione morale.
                                                                                                          
  603.7Mi  presentò l’abbandono di Dio. Egli, il Padre, non mi amava più. Ero  carico dei peccati del mondo. Gli facevo ribrezzo. Era assente, mi  lasciava solo. Mi abbandonava al ludibrio di una folla feroce. E non mi  concedeva neppure il suo divino conforto. Solo, solo, solo. In quell’ora  non c’era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti,  perché non mi amavano. Mi odiavano o erano indifferenti. Io pregavo per  coprire col mio orare le parole sataniche. Ma la preghiera non saliva  più a Dio. Ricadeva su Me come le pietre della lapidazione e mi  schiacciava sotto la sua macia. La preghiera, che per Me era sempre  carezza data al Padre, voce che saliva, ed alla quale rispondeva carezza  e parola paterna, ora era morta, pesante, invano lanciata contro i  Cieli chiusi.
   Allora sentii l’amaro del fondo del calice. Il sapore della disperazione. Era questo che voleva Satana. Portarmi a disperare per fare di Me un suo schiavo. Ho vinto la disperazione e l’ho vinta con le sole mie forze, perché ho voluto vincerla.  Con le sole mie forze di Uomo. Non ero più che l’Uomo. E non ero più  che un uomo non più aiutato da Dio. Quando Dio aiuta è facile sollevare  anche il mondo e sostenerlo come giocattolo di bimbo. Ma quando Dio non  aiuta più, anche il peso di un fiore ci è faticoso.
   Ho vinto la  disperazione, e Satana suo creatore, per servire Dio e voi dandovi la  Vita. Ma ho conosciuto la Morte. Non la morte fisica del crocifisso —  quella fu meno atroce — ma la Morte totale, cosciente, del lottatore che  cade, dopo aver trionfato, col cuore spezzato e il sangue che si  stravasa nel trauma di uno sforzo superiore al possibile. Ed ho sudato  sangue. Ho sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio.
                                                                                                          
  603.8Ecco  perché l’angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza di tutti i  salvati per il mio sacrificio come medicina al mio morire.
   I  vostri nomi! Ognuno m’è stato una stilla di farmaco infuso nelle vene  per ridare loro tono e funzione, ognuno m’è stato vita che torna, luce  che torna, forza che torna. Nelle inumane torture, per non urlare il mio  dolore di Uomo, e per non disperare di Dio e dire che Egli era troppo  severo e ingiusto verso la sua Vittima, Io mi sono ripetuto i vostri  nomi. Io vi ho visti. Io vi ho benedetti da allora. Da allora vi ho  portati nel cuore. E quando è per voi venuta la vostra ora di essere  sulla Terra, Io mi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra  venuta, giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era nato nel  mondo e che avrebbe vissuto per Me.
   Oh! miei benedetti! Conforto  del Cristo morente! La Madre, il Discepolo, le Donne pietose erano  intorno al mio morire, ma voi pure c’eravate. I miei occhi morenti  vedevano, insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visi  amorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perché vi avevano  salvati, o voi che meritate il Sacrificio di un Dio».
                                                                                                          
  16 febbraio 1944.
  603.9Dice Gesù:
    «Hai conosciuto ormai tutti i dolori che hanno preceduto la Passione  propriamente detta. Ora ti farò conoscere i dolori della Passione in  atto. Quei dolori che più colpiscono la vostra mente quando li meditate.
    Ma li meditate molto poco. Troppo poco. Non riflettete a quanto mi  siete costati e di quale tortura è fatta la vostra salvezza. Voi che vi  lamentate di una scorticatura, di un urto contro uno spigolo, di un male  di capo, non pensate che Io ero tutto una piaga, che quelle piaghe  erano invelenite da molte cose, che le cose stesse servivano a tormento  del loro Creatore, perché torturavano il già torturato Dio-Figlio senza  rispetto a Colui che, Padre del creato, le aveva formate.
   Ma le  cose non erano colpevoli. Era ancora e sempre l’uomo il colpevole. Il  colpevole dal giorno che ascoltò Satana nel Paradiso terrestre. Non  spine, non tossico, non ferocia avevano sino a quel momento le cose del  creato per l’uomo creatura eletta. Dio lo aveva fatto re, questo uomo,  fatto a sua immagine e somiglianza, e nel suo paterno amore non aveva  voluto che le cose potessero essere insidiose all’uomo. Satana mise  l’insidia. Nel cuore dell’uomo per prima. Poi essa partorì all’uomo,  colla punizione del peccato, triboli e spine.
                                                                                                          
  603.10Ed  ecco che Io, l’Uomo, ho dovuto soffrire anche per le cose e dalle cose,  oltre che dalle persone. Queste mi dettero insulti e sevizie; quelle ne  furono arma.
   La mano che Dio aveva fatto all’uomo per  distinguerlo dai bruti, la mano che Dio aveva insegnato all’uomo ad  usare, la mano che Dio aveva messo in rapporto con la mente rendendola  esecutrice dei comandi della mente, questa parte di voi così perfetta e  che avrebbe dovuto aver solo carezze per il Figlio di Dio, dal quale  aveva avuto solo carezze e guarigione se era malata, si rivoltò contro  il Figlio di Dio e lo colpì di guanciate, di pugni, si armò di flagelli,  si fece tenaglia per strappare capelli e barba, e maglio per conficcare  i chiodi.
   I piedi dell’uomo, che avrebbero dovuto unicamente  correre solerti ad adorare il Figlio di Dio, furono veloci per venire a  catturarmi, a sospingermi e trascinarmi per le vie dai miei carnefici, e  per colpirmi di calci come non è lecito fare con un mulo restio.
    La bocca dell’uomo, che avrebbe dovuto usare della parola, la parola  che è dote data unicamente all’uomo su tutti gli animali creati, per  lodare e benedire il Figlio di Dio, si empì di bestemmie e menzogne e  gettò queste, insieme con la sua bava, contro la mia persona.
   La  mente dell’uomo, quella che è la prova della sua origine celeste, stancò  se stessa per escogitare tormenti di un raffinato rigore.
                                                                                                          
  603.11L’uomo,  tutto l’uomo usò di se stesso, nelle sue singole parti, per torturare  il Figlio di Dio. E chiamò la terra, con le sue forme, ad aiuto nel  torturare. Fece, delle pietre dei torrenti, proiettili per ferirmi; dei  rami delle piante, randelli per percuotermi; della ritorta canapa,  laccio per trascinarmi, segandomi le carni; delle spine, una corona di  pungente fuoco al mio capo stanco; dei minerali, un esasperato flagello;  della canna, uno strumento di tortura; delle pietre delle vie,  un’insidia al piede vacillante di Colui che saliva, morendo, per morire  crocifisso.
   E alle cose della terra si unirono le cose del cielo.  Il freddo dell’alba al mio corpo già esausto dell’agonia dell’orto, il  vento che esaspera le ferite, il sole che aumenta arsione e febbre e  porta mosche e polvere, che abbacina gli occhi stanchi a cui le mani  prigioniere non possono far riparo.
   E alle cose del cielo si  uniscono le fibre concesse all’uomo per rivestire la sua nudità: nel  cuoio che diviene flagello, nella lana della veste che si attacca alle  aperte piaghe dei flagelli e dà tortura di confricamento e di  lacerazione ad ogni mossa.
                                                                                                          
  603.12Tutto,  tutto, tutto ha servito per tormentare il Figlio di Dio. Egli, per cui  tutte le cose sono state create, nell’ora in cui era l’Ostia offerta a  Dio ebbe tutte le cose nemiche. Non ha avuto sollievo, Maria, il tuo  Gesù da nessuna cosa. Come vipere inferocite, tutto quanto è si volse a  mordermi le carni e ad accrescere il patire.
   Questo occorrerebbe  pensare quando soffrite e, paragonando le vostre imperfezioni alla mia  perfezione e il mio dolore al vostro, riconoscere che il Padre ama voi  come non amò Me in quell’ora, ed amarlo perciò con tutti voi stessi,  come Io l’ho amato nonostante il suo rigore».

[6] tre volte : in 45.5/7, in 349.6/7 e in 598.14.


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