10601 - SPIRITUALITÀ

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Voce narrante ► SILVIA CANEPARO

Vol.10 • cap.601 • Passione e Morte di Gesù. Introduzione

  601.1Dice Gesù:
   «Ed ora vieni. Per quanto tu sia questa sera come uno prossimo a spirare, vieni, ché Io ti conduca verso le mie  sofferenze. Lungo sarà il cammino che dovremo fare insieme, perché  nessun dolore mi fu risparmiato. Non dolore della carne, non della  mente, non del cuore, non dello spirito. Tutti li ho assaggiati, di tutti mi sono nutrito, di tutti dissetato, fino a morirne.
    Se tu appoggiassi sul mio labbro la tua bocca, sentiresti che essa  ancora conserva l’amarezza di tanto dolore. Se tu potessi vedere la mia  Umanità nella sua veste, ora fulgida, vedresti che quel fulgore emana  dalle mille e mille ferite che coprirono con una veste di porpora viva  le mie membra lacerate, dissanguate, percosse, trafitte per amore di  voi.
   Ora è fulgida la mia Umanità. Ma fu un giorno che fu simile a  quella d’un lebbroso, tanto era percossa ed umiliata. L’Uomo-Dio, che  aveva in Sé la perfezione della bellezza fisica, perché Figlio di Dio e  della Donna senza macchia, apparve allora, agli occhi di chi lo guardava  con amore, con curiosità o con occhio sprezzante, brutto: un “verme”,  come dice Davide, l’obbrobrio degli uomini, il rifiuto della plebe.
    L’amore per il Padre e per le creature del Padre mio mi ha portato ad  abbandonare il mio corpo a chi mi percoteva, ad offrire il mio volto a  chi mi schiaffeggiava e sputacchiava, a chi credeva fare opera meritoria  strappandomi le chiome, svellendomi la barba, trapassandomi la testa  con le spine, rendendo complice anche la terra e i suoi frutti dei  tormenti inflitti al suo Salvatore, slogandomi le membra, scoprendo le  mie ossa, strappandomi le vesti e dando così alla mia purezza la più  grande delle torture, configgendomi ad un legno e innalzandomi come  agnello sgozzato sugli uncini di un beccaio, e abbaiando, intorno alla  mia agonia, come torma di lupi famelici che l’odore del sangue fa ancora  più feroci.
   Accusato, condannato, ucciso. Tradito, rinnegato,  venduto. Abbandonato anche da Dio perché su Me erano i delitti che m’ero  addossato. Reso più povero del mendico derubato da briganti, perché non  mi fu lasciata neppur la veste per coprire la mia livida nudità di  martire. Non risparmiato neppur oltre la morte dall’insulto di una  ferita e dalle calunnie dei nemici. Sommerso sotto il fango di tutti i  vostri peccati, precipitato sino in fondo al buio del dolore, senza più  luce del Cielo che rispondesse al mio sguardo morente, né voce divina  che rispondesse al mio invocare estremo.
 601.2Isaia la dice la ragione di tanto dolore: “Veramente Egli ha preso su di Sé i nostri mali ed ha portato i nostri dolori”.
   I nostri dolori! Sì, per voi li ho portati! Per sollevare i vostri, per addolcirli, per annullarli, se mi foste stati fedeli. Ma non avete voluto esserlo.  E che ne ho avuto? Mi avete “guardato come un lebbroso, un percosso da  Dio”. Sì, era su Me la lebbra dei vostri peccati infiniti, era su Me  come una veste di penitenza, come un cilicio; ma come non avete visto  tralucere Dio, nella sua infinita carità, da quella veste indossata per  voi sulla sua santità?
   “Piagato per le nostre iniquità, trafitto  per le nostre scelleratezze” dice Isaia, che coi suoi occhi profetici  vedeva il Figlio dell’uomo divenuto tutta una lividura per sanare quelle  degli uomini. E fossero state unicamente ferite alla mia carne!
    Ma ciò che più m’avete ferito fu il sentimento e lo spirito. Dell’uno  e dell’altro avete fatto zimbello e bersaglio; e mi avete colpito  nell’amicizia, che avevo posto in voi, attraverso Giuda; nella fedeltà,  che speravo da voi, attraverso Pietro che rinnega; nella riconoscenza  per i miei benefici, attraverso coloro che mi gridavano: “Muori!”, dopo  che Io li avevo risorti da tante malattie; attraverso l’amore, per lo  strazio inflitto a mia Madre; attraverso alla religione, dichiarandomi  bestemmiatore di Dio, Io che per lo zelo della causa di Dio m’ero messo  nelle mani dell’uomo incarnandomi, patendo per tutta la vita e  abbandonandomi alla ferocia umana senza dire parola o lamento.
    Sarebbe bastato un volgere di occhi per incenerire accusatori, giudici e carnefici. Ma ero venuto volontariamente per compiere il sacrificio, e come agnello, perché ero l’Agnello di Dio e lo sono in eterno, mi sono lasciato condurre per essere spogliato e ucciso e per fare della mia Carne la vostra Vita.
   Quando fui innalzato ero già consumato da patimenti senza nome, con tutti i nomi.  Ho cominciato a morire a Betlemme nel vedere la luce della Terra, così  angosciosamente diversa per Me che ero il Vivente del Cielo. Ho  continuato a morire nella povertà, nell’esilio, nella fuga, nel lavoro,  nell’incomprensione, nella fatica, nel tradimento, negli affetti  strappati, nelle torture, nelle menzogne, nelle bestemmie. Questo ha  dato l’uomo a Me che venivo a riunirlo con Dio!
 601.3Maria,  guarda il tuo Salvatore. Non è bianco nella veste e biondo nel capo.  Non ha lo sguardo di zaffiro che tu gli conosci. Il suo vestito è rosso  di sangue, è lacero e coperto di immondezze e di sputi. Il suo volto è  tumefatto e stravolto, il suo sguardo velato dal sangue e dal pianto, e  ti guarda attraverso la crosta di questi e della polvere che  appesantiscono le palpebre. Le mie mani — lo vedi? — sono già tutte una  piaga e attendono la piaga ultima.
   Guarda, piccolo Giovanni, come  mi guardò tuo fratello Giovanni. Dietro il mio andare restano impronte  sanguigne. Il sudore dilava il sangue che geme dalle lacerazioni dei  flagelli, che ancor resta dall’agonia dell’Orto. La parola esce,  nell’anelito dell’affanno di un cuore già morente per tortura d’ogni  nome, dalle labbra arse e contuse.
   D’ora in poi mi vedrai sovente  così. Sono il Re del Dolore e verrò a parlarti del dolore mio con la  mia veste regale. Seguimi, nonostante la tua agonia. Saprò, poiché sono  il Pietoso, mettere davanti alle tue labbra, attossicate dal mio dolore,  anche il miele profumato di più serene contemplazioni. Ma devi ancor  più preferire queste di sangue, perché per esse tu hai la Vita e con  esse porterai altri alla Vita. Bacia la mia mano sanguinosa e vigila  meditando su Me Redentore».
 601.4Vedo Gesù così come Egli si descrive. Questa sera, dalle 19 in poi (sono le 1,15 dell’11, ormai) sono proprio in agonia.
 601.5Mi dice Gesù questa mattina, 11 febbraio, alle 7,30:
    «Ieri sera non ho voluto che parlarti di Me penante, perché ho  iniziato la descrizione e visione dei miei dolori. Ieri sera è stata  l’introduzione. Ed eri così sfinita, amica mia! Ma, prima che l’agonia  torni, ti devo fare un dolce rimprovero.
   Ieri mattina sei stata egoista. Hai detto al Padre[1]: “Speriamo che io duri, perché la mia fatica è la più grande”. No. La sua  è la più grande, perché è faticosa e non compensata dalla beatitudine  del vedere e dall’avere Gesù presente, come tu hai, anche con la sua  santa Umanità. Non essere mai egoista, neppure nelle cose minime. Una  discepola, un piccolo Giovanni, deve essere umilissimo e  caritatevolissimo come il suo Gesù.
   Ed ora vieni a stare con Me.  “I fiori sono apparsi… il tempo di potare è venuto… si è sentita nelle  campagne la voce della tortorella…”. E sono i fiori nati nelle pozze del  Sangue del tuo Cristo. E Colui che sarà reciso come ramo potato è il  Redentore. E la voce della tortora, che chiama la sposa al suo convito  di nozze dolorose e sante, è la mia che ti ama.
   Sorgi e vieni, come dice[2] la Messa d’oggi. Vieni a contemplare ed a soffrire. È il dono che concedo ai prediletti».

[1] al Padre, cioè a Padre Migliorini, la cui fatica viene spiegata in nota a 174.10.
[2] dice, da: Cantico dei cantici 2, 10-12,  che comprende la citazione riportata sopra tra virgolette. Per i  riferimenti a Davide e Isaia, come per altri che non annoteremo,  rimandiamo all’indice tematico alla fine del volume.


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