03188 - SPIRITUALITÀ

Vai ai contenuti

Legge ► SILVIA CANEPARO

Vol.03 • cap.188 • La spelonca della maga e l'incontro con Felice chiamato poi Giovanni.

 13 giugno 1945.
  188.1 Il  Thabor è ora alle spalle dei camminatori. Già superato. Per una pianura  chiusa fra questo monte ed un altro che è in faccia, il gruppo cammina,  parlando dell’ascensione fatta da tutti, per quanto sembra che in  principio i più anziani se ne volessero risparmiare. Ma ora sono  contenti di essere andati là in cima.
   Il cammino è facile perché  si è su una via maestra abbastanza comoda. L’ora è fresca perché ho  l’impressione che abbiano pernottato sulle pendici del Tabor.
    «Quello è Endor», dice Gesù accennando un povero paese aggrappato  alle prime elevazioni di quest’altro gruppo montano. «Ci vuoi proprio  andare?».
   «Se mi vuoi fare contento…», risponde l’Iscariota[44].
   «E andiamo allora».
   «Ma ci sarà molto da camminare?», chiede Bartolomeo che per l’età non deve essere molto voglioso di escursioni panoramiche.
   «Oh! no! Ma se volete rimanere…», dice Gesù.
   «Sì, sì! Rimanete pure. Mi basta andare col Maestro», si affretta a dire Giuda di Keriot.
    «Ecco, io vorrei sapere cosa c’è di bello da vedere, prima di  decidere… In cima al Tabor abbiamo visto il mare, e dopo il discorso del  ragazzo devo confessare che l’ho visto per bene per la prima volta e  l’ho visto come vedi Tu: col cuore. Qui… vorrei sapere se c’è da  imparare qualche cosa, e allora vengo anche se devo fare fatica…», dice  Pietro.
   «Li senti? Tu non hai ancora detto le tue intenzioni. Per gentilezza verso i compagni, dille ora», invita Gesù.
   «Non è a Endor che Saul volle andare[45] per consultare la pitonessa?».
   «Sì. Ebbene?».
   «Ebbene, Maestro, mi piacerebbe andare in quel luogo e sentire da Te parlare di Saul».
   «Oh! allora ci vengo anche io!», esclama Pietro entusiasta.
   «E allora andiamo».
   Fanno a passo svelto l’ultimo tratto di via maestra e poi la lasciano per una via secondaria che porta diritta a Endor.
 188.2 È  un povero luogo, come ha detto Gesù. Le case sono abbarbicate alle  pendici che dopo, oltre il paese, si fanno più aspre. Povera gente le  abita. Per lo più i cittadini devono esercitare la pastorizia su per i  pascoli del monte e fra i boschi di querce secolari. Pochi campicelli di  orzo, o simile biada, nei ritagli propizi, e delle piante di melo e di  fico. Poche viti intorno alle case, a fare un poco di decorazione sulle  muraglie, oscure come questo fosse un posto piuttosto umido.
   «Ora domanderemo dove era il luogo della maga», dice Gesù. E ferma una donna che torna con le anfore dalla fontana.
   Questa lo guarda curiosamente, poi risponde sgarbata:
   «Non so. Ho ben altre cose, più importanti, io, di queste fole!», e lo pianta in asso.
   Gesù si rivolge ad un vecchietto che intaglia un pezzo di legno.
   «La maga?… Saul?… E chi se ne occupa più? Però, aspetta… C’è uno che ha studiato e forse saprà… Vieni».
    E il vecchietto arranca su per una vietta sassosa fino ad una casa  molto misera e molto sciatta. «Sta qui. Ora entro e lo chiamo».
    Pietro, accennando a del pollame che razzola in un cortiletto  sudicio, dice: «Questo uomo non è israelita». Ma non dice altro, perché  torna il vecchietto seguito da un uomo guercio, sporco e disordinato,  come tutto quanto è della sua casa.
   Il vecchietto dice: «Vedi?  Quest’uomo dice che è là, oltre quella casa diroccata. Un sentiero, poi  un ruscello, poi un bosco e delle caverne; la più alta, quella che  mostra ancora delle mura diroccate sul suo fianco, è quella che cerchi.  Non hai detto così?».
   «No. Hai tutto confuso. Andrò io con questi  stranieri». L’uomo ha una voce aspra e gutturale, il che aumenta il  senso di disagio.
 188.3 Si  incammina. Pietro, Filippo e Tommaso fanno segni su segni a Gesù perché  non vada. Ma Gesù non dà retta. Cammina con Giuda, dietro all’uomo, e  gli altri lo seguono… di malavoglia.
   «Sei israelita?», chiede l’uomo.
   «Sì».
    «Io pure, o quasi, benché non sembri. Ma sono stato molto tempo in  altri paesi e ho preso abitudini che questi stolti deplorano. Sono  meglio degli altri. Ma mi dicono demonio perché leggo molto, allevo  pollame che vendo ai romani e so curare con le erbe. Da giovane, per una  donna, mi presi con un romano – allora stavo a Cintio – e lo pugnalai.  Lui morì, io vi persi l’occhio e le sostanze e fui condannato  all’ergastolo per molti anni… per sempre. Ma sapevo curare, e guarii la  figlia di un guardiano. Ciò mi valse la sua amicizia, e un poco di  libertà… L’ho usata per fuggire. Ho fatto male, perché l’uomo certo  scontò la mia fuga con la vita. Ma la libertà sembra bella quando si è  prigionieri…».
   «E non è bella, poi?».
   «No. È meglio la  carcere, dove si è soli, al contatto cogli uomini che non concedono di  esser soli e che ci stanno intorno per odiarci…».
   «Hai studiato i filosofi?».
   «Ero maestro a Cintium… Ero proselite…».
   «E ora?».
   «E ora sono nulla. Vivo nella realtà. E odio, come fui e come sono odiato».
   «Chi ti odia?».
    «Tutti. E Dio per il primo. Era mia moglie… e Dio ha permesso mi  tradisse e mi rovinasse. Ero libero e rispettato, e Dio ha permesso  divenissi un ergastolano. L’abbandono di Dio, l’ingiustizia degli  uomini. Ho annullato Quello e questi. Qui non c’è più niente…», e si  batte sulla fronte e sul petto. «Cioè, qui, nella testa, c’è il  pensiero, il sapere. Qui è che non c’è nulla», e sputa con sprezzo.
   «Ti sbagli. Lì hai ancora due cose».
   «Quali?».
   «Il ricordo e l’odio. Levale.
 188.4 Sii veramente vuoto… ed Io ti darò una cosa nuova da mettere lì».
   «Che cosa?».
   «L’amore».
    «Ah! Ah! Ah! Mi fai ridere! Sono trentacinque anni che non ridevo  più, uomo. Da quando ebbi la prova che la femmina mi tradiva col  mercante di vini romano. L’amore! L’amore a me! Come se io gettassi  gioielli ai miei polli! Morirebbero di indigestione se non riuscissero a  passarli nello sterco. Lo stesso a me. Mi farebbe peso il tuo amore se  non lo potessi digerire…».
   «No, uomo! Non dire così!». Gesù gli posa la mano sulla spalla, veramente e palesemente afflitto.
    L’uomo lo guarda col suo unico occhio, e quel che vede in quel viso  dolce e bellissimo lo fa ammutolire e cambiare espressione. Dal sarcasmo  passa ad una serietà profonda, da questa ad una vera mestizia. China il  capo e poi chiede con voce mutata: «Chi sei?».
   «Gesù di Nazaret. Il Messia».
   «Tu!!!».
   «Io. Non sapevi di Me, tu che leggi?».
    «Sapevo… Ma non che eri vivo e non… oh! soprattutto questo non  sapevo! Non sapevo che eri buono con tutti… così… anche con gli  assassini… Perdona quanto ti ho detto… di Dio e dell’amore… Ora capisco  perché Tu vuoi darmi l’amore… Perché senza l’amore il mondo è un  inferno, e Tu, Messia, ne vuoi fare un paradiso».
   «Un paradiso in ogni cuore. Dàmmi il ricordo e l’odio che ti tengono malato e lascia che Io ti metta in cuore l’amore!».
    «Oh! se ti avessi conosciuto prima!… allora… Ma quando io uccidevo  Tu non eri certo nato… Ma dopo… dopo… quando, libero come è libero il  serpente nelle foreste, io vissi per avvelenare col mio odio».
   «Ma hai fatto anche del bene. Non hai detto che curavi con le erbe?».
    «Sì. Per essere tollerato. Ma quante volte ho lottato con la voglia  di avvelenare coi filtri!… Vedi? Mi sono rifugiato qui perché… è un  paese dove si ignora il mondo e che il mondo ignora. Un paese maledetto.  Altrove ero odiato e odiavo e avevo paura di essere riconosciuto… Ma  cattivo sono».
   «Hai un rimpianto per avere causato del male al  guardiano della prigione. Vedi che ancora sei munito di bontà? Non sei  malvagio… Sei solo con una grande ferita aperta, e nessuno te la medica…  La tua bontà fugge da essa come il sangue dalle ferite. Ma se ci fosse  chi ti cura e chiude la tua ferita, povero fratello, la tua bontà, non  più sfuggente man mano che si forma, crescerebbe in te…».
   L’uomo  piange a capo chino, senza che nulla tradisca quel pianto. Solo Gesù,  che gli cammina al fianco, lo vede. Sì, lo vede. Ma non dice più altro.
 188.5 Arrivano  ad una spelonca che è fatta di macerie crollate e di caverne nel monte.  L’uomo cerca di fare ferma la voce e dice: «Ecco, è qui. Entra pure».
   «Grazie, amico. Sii buono».
    L’uomo non dice nulla e resta dove è, mentre Gesù coi suoi,  superando pietroni che certo erano pezzi di muraglie ben robuste,  disturbando ramarri e altre brutte bestie, entrano in una vasta grotta  affumicata sulle cui pareti, graffiti nel masso, sono ancora segni dello  zodiaco e simili storie. In un angolo affumicato vi è una nicchia e,  sotto, un buco come fosse un tombino per lo scolo di liquidi. I  pipistrelli decorano il soffitto dei loro grappoli che fanno ribrezzo, e  un gufo, disturbato dalla luce di un ramo che Giacomo ha acceso per  vedere se calpestano scorpioni o aspidi, si lamenta sbattendo le ali  ovattate e stringendo gli occhiacci feriti dalla luce. È proprio  appollaiato nella nicchia, e un fetore di topi morti, di donnole, di  uccelli in putrefazione fra i suoi piedi, si mescola all’odore dello  sterco e del suolo umido.
   «Un bel posto in verità!», dice Pietro.  «Era meglio il tuo Tabor e il mare, ragazzo!». E poi, volgendosi a  Gesù: «Maestro, accontenta presto Giuda perché qui… non è certo la sala  regale di Antipa!».
   «Subito. Che vuoi sapere di preciso?», chiede a Giuda di Keriot.
    «Ecco… Vorrei sapere se e perché Saul ha peccato venendo qui… Vorrei  sapere se è possibile che una donna possa evocare i morti. Vorrei  sapere se… Oh! insomma, parla Tu. Io ti farò domande».
   «Affare lungo! Andiamo almeno lì fuori, al sole, sui massi… Ci salveremo dall’umido e dal fetore», prega Pietro.
   E Gesù acconsente. Si siedono come possono sulle muraglie crollate.
   «Il peccato di Saul non è stato che uno  dei peccati dello stesso. Fu preceduto e seguito da molti altri. Tutti  gravi. Ingratitudine duplice verso Samuele che lo unge re e che si  eclissa poi per non dividere col re l’ammirazione del popolo. Ingrato  più volte verso Davide che lo libera da Golia, che lo risparmia nella  caverna di Engaddi e ad Achila. Colpevole di multiple disubbidienze e di  scandalo nel popolo. Colpevole di avere addolorato Samuele suo  benefattore mancando alla carità. Colpevole di gelosia e di attentati  verso Davide, altro suo benefattore, e infine del delitto commesso qui».
   «Contro chi? Non vi ha ucciso nessuno».
   «La sua anima ha ucciso, ha finito di uccidere, qui dentro.
 188.6 Perché abbassi il capo?».
   «Penso, Maestro».
   «Pensi. Lo vedo. Che pensi? Perché sei voluto venire? Non per pura curiosità di studioso, confessalo».
    «Sempre si sente parlare di maghi, di negromanzie, di spiriti  evocati… Volevo vedere se scoprivo qualcosa… Mi piacerebbe sapere come  avviene… Penso che noi, destinati a stupire per attirare, dovremmo  essere un poco negromanti. Tu sei Tu e fai col tuo potere. Ma noi  dobbiamo chiederlo un potere, un aiuto, per fare opere strane, che si  impongano…».
   «Oh! ma sei folle? Ma che dici?», urlano in molti.
   «Tacete. Lasciatelo parlare. Non è follia la sua».
    «Sì, insomma mi pareva che, venendo qui, qualche poco della magia di  un tempo potesse entrare in me e farmi più grande. Per l’interesse tuo,  credilo».
   «So che sei sincero in questo tuo desiderio attuale.  Ma ti rispondo con parole eterne, perché sono del Libro, e il Libro sarà  finché sarà l’uomo. Creduto o schernito, impugnato[46] in nome della Verità o deriso, sarà, sempre sarà.
    È detto: “Ed Eva, visto che il frutto dell’albero era buono a  mangiarsi e bello a vedersi, lo colse e ne mangiò e ne diede al marito… E  allora i loro occhi si apersero e si accorsero di essere nudi e si  fecero delle cinture… E Dio disse: ‘Come vi siete accorti di essere  nudi? Solo per avere mangiato il frutto proibito’. E li cacciò dal  paradiso di delizie”. E nel libro di Saul è detto: “Disse Samuele  apparendo: ‘Perché mi hai disturbato col farmi evocare? Perché  interrogarmi dopo che il Signore si è ritirato da te? Il Signore ti  tratterà come ti ho detto… perché tu non hai ubbidito alla voce del Signore’”.
    Figlio, non tendere la mano al frutto proibito. Anche solo  accostarlo è imprudenza. Non avere curiosità di conoscere l’ultraterreno  per tema che non ti se ne apprenda il satanico veleno. Fuggi l’occulto e  ciò che non si spiega. Una sola cosa va accolta con santa fede: Dio. Ma  ciò che Dio non è, e che non è spiegabile con le forze della ragione e  creabile con le forze dell’uomo, fuggilo, fuggilo, ché non ti si aprano le fonti della malizia e tu non comprenda di essere “nudo”. Nudo: repellente nella umanità mista al satanismo.  Perché vuoi stupire con prodigi oscuri? Stupisci con la tua santità, e  sia luminosa come cosa che viene da Dio. Non avere desiderio di lacerare  i veli che separano i viventi dai trapassati. Non disturbare i defunti.  Ascoltali, se saggi, finché sono sulla Terra, venerali con l’ubbidirli  anche dopo la morte. Ma non turbare la loro seconda vita. Chi non  ubbidisce alla voce del Signore perde il Signore. E il Signore ha  proibito l’occultismo, la negromanzia, il satanismo in tutte le sue  forme. Che vuoi sapere più di quanto la Parola non ti dica già? Che  vuoi operare più di quanto la tua bontà e il mio potere ti concedono di  operare? Non appetire al peccato, ma alla santità, figlio.
   Non ti mortificare. Mi piace che tu ti sveli nella tua umanità. Quello che piace a te piace a molti, a troppi.  Solo, il fine che tu metti a questo tuo desiderio: “essere potente per  attirare a Me”, leva a quest’umanità molto peso e vi mette ali. Ma sono  di uccello notturno. No, mio Giuda. Mettivi ali solari, ali d’angelo al  tuo spirito. Col solo vento di esse attirerai cuori e li trasporterai,  nella tua scia, a Dio. Possiamo andare?».
   «Sì, Maestro! Ho sbagliato…».
    «No. Sei stato un indagatore… Il mondo ne sarà sempre pieno. Vieni,  vieni. Usciamo da questo luogo di puzzo. Incontro al sole andiamo! Fra  pochi giorni è Pasqua, e dopo andremo da tua madre. Io ti evoco quella:  la tua casa onesta, la tua madre santa. Oh! che pace!».
   Come sempre, il ricordo della madre, la lode del Maestro alla madre, rasserena Giuda.
 188.7 Escono dalle rovine e cominciano a scendere per il sentiero fatto prima. L’uomo guercio è ancora lì.
   «Qui ancora?», chiede Gesù mostrando di non vedere il viso rosso per il molto pianto versato.
   «Qui. Se mi permetti ti seguo. Ho da dirti una cosa…».
   «Vieni dunque con Me. Che vuoi dirmi?».
    «Gesù… Io trovo che per avere forza di parlare, e di fare la magia  santa di cambiare me stesso, di evocare la mia anima morta come la maga  evocò, per Saulle, Samuele, devo dire il tuo Nome, dolce come il tuo  sguardo, santo come la tua voce. Tu mi hai dato una nuova vita ed essa è  informe, incapace come quella di un neonato mal generato. Si dibatte  ancora fra le strette di una scorza malvagia. Aiutami ad uscire dalla  mia morte».
   «Sì, amico».
   «Io… io ho conosciuto di avere  ancora un poco di umanità nel mio cuore. Non tutto belva sono, e posso  ancora amare ed essere amato, perdonare ed essere perdonato. Il tuo  amore, il tuo amore che è perdono, me lo insegna. Non è vero che è  così?».
   «Sì, amico».
   «Allora… portami con Te. Io ero  Felice! Ironia! Ma Tu dàmmi un nuovo nome. Che il passato sia realmente  morto. Ti seguirò come un cane randagio che finalmente trova un padrone.
   Sarò il tuo schiavo se vuoi. Ma non lasciarmi solo…».
   «Sì, amico».
   «Che nome mi dai?».
   «Un nome a Me caro: Giovanni. Poiché tu sei la grazia che fa il Signore».
   «Mi prendi con Te?».
   «Per ora sì. Poi mi seguirai fra i discepoli. Ma la tua casa?».
   «Non ho più casa. Lascerò ai poveri quanto ho. Dàmmi solo amore e un pane».
    «Vieni». E Gesù si volge chiamando gli apostoli. «Amici, e specie  tu, Giuda, abbiate il mio grazie. Per te, per voi un’anima viene a Dio.  Ecco il nuovo discepolo. Viene con noi finché non potremo affidarlo ai  fratelli discepoli. Siate felici di avere trovato un cuore e benedite  con Me Iddio».
   Molto felici veramente non sembrano i dodici. Ma fanno buon viso per ubbidienza e cortesia.
   «Se permetti vado avanti. Mi troverai sulla soglia di casa».
   «Va’ pure».
   L’uomo parte di corsa. Pare un altro.
   «Ed ora che siamo soli vi ordino, questo lo ordino, di essere buoni con lui e di tacere il suo passato a chicchessia.  Chi parlasse, o chi mancasse verso la carità al fratello redento,  verrebbe all’istante respinto da Me. Avete inteso? E vedete quanto è  buono il Signore! Venuti qui per fine umano, ci concede di ripartirne  avendo ottenuto un fatto soprannaturale. Oh! Io giubilo per la gioia che  ora è nel Cielo per il nuovo convertito».
 188.8 Giungono  davanti alla casa. Sulla soglia, con una veste scura e pulita, un  mantello uguale, un paio di sandali nuovi e una capace sacca sulle  spalle, è l’uomo. Chiude l’uscio e poi, strano in un uomo che si  potrebbe pensare insensibile, prende una gallinella bianca, forse la  prediletta, che si accoccola domestica sulle sue mani, e la bacia e  piange, e poi la posa.
   «Andiamo… e perdona. Ma essi, i miei polli, mi hanno amato… Parlavo con loro e… mi capivano…».
   «Ti capisco anche Io… e ti amo. Tanto. Ti darò tutto l’amore che in trentacinque anni il mondo ti ha negato…».
    «Oh! lo so! Lo sento! Per questo vengo. Ma compatisci l’uomo che…  che ama un animale che… che… che gli è stato più fedele dell’uomo…».
    «Sì… sì. Non pensare più al passato. Avrai tanto da fare! E con la  tua esperienza farai tanto bene. Simone, vieni qui, e tu, Matteo. Vedi?  Questo fu più che prigioniero, e lebbroso fu. Questo fu peccatore. Ed Io  li ho cari perché sanno capire i poveri cuori… Non è vero?».
   «Per bontà tua, Signore. Ma certo, credi, amico, che tutto si annulla nel servirlo. Resta solo la pace», dice lo Zelote.
    «Sì. La pace e una giovinezza nuova succede dove era vecchiezza di  vizio o di odio. Io ero pubblicano. Ma ora sono l’apostolo. Abbiamo  davanti il mondo. E noi siamo istruiti circa esso. Non siamo i fanciulli  svagati che passano presso il frutto nocivo e la pianta che piega e non  vedono la realtà. Noi sappiamo. Possiamo evitare il male e insegnare ad  altri ad evitarlo. E sappiamo raddrizzare chi piega. Perché sappiamo  come è di sollievo essere sorretti. E sappiamo chi sorregge: Lui», dice Matteo.
    «È vero! È vero! Mi aiuterete. Grazie. È come io passassi da un  luogo oscuro e fetido all’aperto di un prato fiorito… Ho provato  qualcosa di simile quando sono uscito, libero, finalmente libero, dopo  venti anni di ergastolo e di lavoro brutale nelle miniere dell’Anatolia,  e mi sono trovato – ero fuggito in una sera burrascosa – in cima ad un  monte aspro, ma aperto, ma pieno di sole per l’aurora e coperto di  boschi odorosi… La libertà! Ma ora è di più! Tutto in me si dilata! Non  avevo più catene da quindici anni. Ma l’odio, ma la paura, ma la  solitudine mi erano sempre catene… Ora sono cadute!…
 188.9 Eccoci alla casa del vecchio che vi ha portati a me. Uomo! Uomo!».
   Il vecchietto accorre e resta di stucco vedendo che il guercio è pulito, in veste da viaggio, e con un viso sorridente.
   «Tieni. Questa è la chiave della mia casa. Io vado via, per sempre. Ti sono grato perché tu sei il mio benefattore. Mi hai reso la famiglia. Fa’ del mio tutto quello che vuoi…  e cura i miei polli. Non li maltrattare. Ogni sabato viene un romano e  compera le uova… Ti daranno dell’utile… Trattale bene le mie gallinelle…  e Dio te ne rimuneri».
   Il vecchietto è trasecolato… Prende la chiave e resta a bocca aperta.
   Gesù dice: «Sì, fa’ come egli dice, e Io pure te ne sarò grato.
   In nome di Gesù ti benedico».
   «Il Nazareno! Sei Tu! Misericordia! Ho parlato col Signore!
   Donne! Donne! Uomini! Il Messia è fra noi!». Strilla come un’aquila e corrono persone da ogni parte.
   «Benedici! Benedici!», gridano. E altri: «Resta!»; e altri:
   «Dove vai? Almeno di’ dove vai».
   «A Naim. Restare non posso».
   «Ti seguiamo! Lo vuoi?».
   «Venite. E a chi resta pace e benedizione».
   Si avviano verso la via maestra. La prendono.
 188.10 L’uomo,  che cammina vicino a Gesù e che fatica sotto la sua sacca, attira la  curiosità di Pietro. «Ma che hai lì dentro di tanto pesante?», chiede.
   «Le vesti… e dei libri… I miei amici dopo e con i polli. Non ho potuto separarmi. E pesano».
   «Eh! la scienza pesa! Già! E a chi piace, eh?».
   «Mi hanno impedito di impazzire».
   «Eh! ci devi volere bene! Ma, che libri sono?».
   «Filosofia, storia, poesia greca, romana…».
   «Belli, belli. Certo belli. Ma… pensi poterteli portare dietro?».
   «Forse riuscirò anche a separarmene. Ma tutto insieme non si può fare, non è vero, Messia?».
    «Chiamami Maestro. Sì, non si può. Ma ti farò avere un luogo dove  potrai dare un ricovero ai tuoi amici, i libri. Ti potranno servire per  discutere con i pagani di Dio».
   «Oh! come hai netto il pensiero da ogni restrizione!».
   Gesù sorride e Pietro esclama: «Sfido io! È la Sapienza, Lui!».
   «È la Bontà, credilo. E tu sei colto?».
    «Io? Oh! coltissimo! Distinguo un agone da una carpa, e la mia  coltura resta lì. Sono pescatore, amico!», e Pietro ride, umile e  schietto.
   «Sei un onesto. È una scienza che si impara da sé. Ed è molto difficile ad aversi. Mi piaci».
    «Anche tu mi piaci. Perché sei schietto. Anche nell’accusarti. Io  perdono tutto, aiuto tutti. Ma sono nemico spietato dei falsi. Mi fanno  ribrezzo».
   «Hai ragione. Il falso è un delinquente».
   «Un  delinquente. Lo hai detto. Di’, non ti fidi a darmi un poco la tua  sacca? Tanto, sta’ certo, coi libri non scappo… Mi pare che fai  fatica…».
   «Venti anni di miniera spezzano… Ma perché vuoi faticare tu?».
    «Perché il Maestro ci ha insegnato ad amarci come fratelli. Da’ qui.  E prendi i miei stracci. È leggera la mia… Non ci sono storie, né  poesie. La mia storia, la mia poesia e quell’altra cosa che hai detto, è  Lui, il mio Gesù, il nostro Gesù».

[44] risponde l’Iscariota è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[45] volle andare, come si narra in: 1 Samuele 28, 3-25; 1 Cronache 10, 13-14; Siracide 46, 20; con analogie in: 2 Re 21, 6; Isaia 8, 19-20.  La storia di Saul e dei “molti altri” suoi peccati, come si dirà in  188.5 (ed anche in altri passi, come in 263.2), è soprattutto in: 1 Samuele 9-31. – La pratica della divinazione, o magia, o negromanzia, è vietata in: Levitico 19, 26.31; 20, 6.27; Deuteronomio 18, 9-14.  L’epiteto di “pitonessa”, dato alla maga, risale al nome di un dio  pagano (Apollo Pizio). Lo “spirito pitone” (o “pitonico” come in 352.11)  è proprio dei pagani (come si è visto in 59.4 e 129.3). Satana “parla  sulle labbra dei pitoni” (come si dirà in 420.10). Dall’opera risulta  che la setta dei sadducei, fortemente ostile a Gesù e contraria  alla sua dottrina (come si può notare in 356.5, in 406.9 e in 594.6/7),  era dedita a simili pratiche, verso le quali si sentiva attratto anche  Giuda Iscariota (come in 334.8 e 357.6). Un’invettiva contro i  negromanti in 503.7.
[46] impugnato non significa, in questo contesto, oppugnato e contrastato, bensì stretto in pugno, nel senso di difeso e proclamato.   


Torna ai contenuti