02158 - SPIRITUALITÀ

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Vol.02 • cap.158 • Sul lago di Genezaret con Giovanna di Cusa.

                                                                                      
  8 maggio 1945.
  158.1  Gesù è sul lago, sulla barca di Pietro, dietro altre due bar che: una,  la comune barca da pesca, gemella a quella di Pietro; l’altra, una barca  snella, ricca, da diporto. È la barca di Giovanna di Cusa.
    Ma  la padrona della stessa non è nella sua barca. È ai piedi di Gesù, nella  rustica barca di Pietro. Direi che il caso li ha riuniti in qualche  punto della sponda fiorita di Genezaret, bellissima in questa prima  apparizione della primavera palestinese, che sparge le sue nuvole di  mandorli in fiore e mette perle di futuri fiori sui peri e meli,  melograni, cotogni, tutti, tutti gli alberi più ricchi e gentili nel  fiore e nel frutto. Quando la barca rasenta una sponda al sole, già si  svelano i milioni di bocci che gonfiano sui rami, in attesa di fiorire,  mentre sfarfallano per l’aria quieta, fino a posarsi sulle onde chiare, i  petali dei mandorli precoci.
    Le sponde, fra l’erba nuova che  pare una seta di un verde lieto, sono costellate degli occhi d’oro dei  ranuncoli, delle stelle raggiate delle margheritine, e presso a queste,  rigidi sul loro stelo come piccole regine incoronate, sorridono lievi,  placidi come iridi di bambini, i miosotis sottili, azzurrini, gentili  tanto, e pare dicano «sì, sì» al sole, al lago, alle erbe sorelle, che  sono felici di fiorire e di fiorire sotto gli occhi ceruli del loro  Signore.
    In questo inizio di primavera il lago non ha ancora  quell’opulenza che lo farà un trionfo nei mesi successivi, non ha ancora  quella pompa sontuosa, direi sensuale, dei mille e mille rosai rigidi o  flessuosi che fanno ciuffo nei giardini o velo ai muri, dei mille e  mille corimbi dei citisi e delle acacie, delle mille e mille schiere  delle tuberose in fiore, delle mille e mille stelle cerate degli agrumi,  di tutto questo fondersi di colori, di profumi violenti, molli,  inebrianti, che fanno quadro e sprone alla smania umana di godere che  profana, troppo profana quest’angolo di terra, così puro, che è il lago  di Tiberiade, il luogo scelto dai secoli per essere teatro del più gran  numero di prodigi del Signore Gesù nostro.
                                                                                                          
  158.2  Giovanna guarda Gesù assorto nella grazia del suo lago galileo e il  volto di lei sorride ripetendo come specchio fedele il sorriso di Lui.
     Nelle altre barche si parla. Qui vi è silenzio. Unico rumore, il  rumore sordo dei piedi nudi di Pietro e Andrea, che regolano le manovre  della barca, e il sospiro dell’acqua rotta dalla prua e sussurrante il  suo dolore ai fianchi della nave per poi mutarsi in riso a poppa, quando  la ferita si rimargina in una argentea scia che il sole accende come  fosse di polvere diamantina.
    Infine Gesù lascia la sua  contemplazione e volge lo sguardo sulla discepola. Le sorride. Le  chiede: «Siamo quasi giunti, non è vero? E tu dirai che il tuo Maestro è  un compagno molto poco amabile. Non ti ho detto una parola».
    «Ma io le ho lette sul tuo viso, Maestro, e ho sentito tutto quanto Tu dicevi a queste cose che ci stanno intorno».
    «Che dicevo, allora?».
    «Amate, siate puri, siate buoni. Perché venite da Dio, e dalla sua mano nulla è uscito di malvagio e di impuro».
    «Hai letto bene».
    «Ma, Signor mio, le erbe ancora lo faranno. E lo faranno gli animali. L’uomo… Perché non lo fa, egli, il più perfetto?».
     «Perché il dente di Satana è solo entrato nell’uomo. Ha preteso  demolire il Creatore nel suo prodigio più grande, più simile a Lui».
                                                                                                          
  158.3  Giovanna china il capo e pensa. Pare una che tergiversi e soppesi due  opposte volontà. Gesù la osserva. Infine alza la testa e dice: «Signore,  sdegneresti avvicinare delle amiche mie, pagane? Tu sai… Cusa è della  Corte. E il Tetrarca – e più ancora la vera padrona della Corte,  Erodiade, alla cui volontà si piega ogni desiderio d’Erode, per… moda,  per mostrarsi più fini degli altri palestinesi, per essere protetti da  Roma adorando Roma e tutto ciò che è romano – amoreggia con i romani  della casa proconsolare… e quasi ce li impone. In vero devo dire che non  sono donne peggiori di noi. Anche fra noi, e su queste stesse rive, ve  ne sono alcune scese bene in basso. E di che possiamo parlare se non  parliamo per Erodiade?… Quando persi la mia creatura e fui malata,  furono molto buone con me che non le avevo cercate. E, dopo, l’amicizia è  rimasta. Ma se Tu mi dici che è male, la sciolgo. No? Grazie, Signore.  Ieri l’altro io ero da una di queste amiche. Visita di amicizia la mia,  di dovere da parte di Cusa. Era ordine del Tetrarca che… vorrebbe  tornare qui e che non si sente sicuro troppo e allora… annoda più  interessati vincoli con Roma per avere tutelate le spalle. Anzi… ti  prego… Tu sei parente del Battista. Non è vero? Digli allora di non  fidarsi troppo. Non esca mai dai confini della Samaria. Ma anzi, se non  ne ha sdegno, vi si infoschi per qualche tempo. La serpe si fa vicina  all’agnello e l’agnello ha molto da temere. Di tutto. Stia sull’avviso, Maestro. E che non si sappia che io l’ho detto. Sarebbe la rovina di Cusa».
    «Sta’ tranquilla, Giovanna. Avvertirò il Battista con un mezzo che servirà senza far danno».
     «Grazie, Signore. Io ti voglio servire… ma non vorrei con questo  nuocere al mio sposo. Anzi… io… non potrò sempre venire con Te. Delle  volte dovrò rimanere, perché egli lo vuole, ed è giusto…».
    «Vi starai, Giovanna. Capisco tutto. Non dire di più, ché non necessita».
    «Però nelle ore per Te più pericolose mi vorrai vicina?».
    «Sì, Giovanna. Certamente».
    «Oh! questa cosa come mi pesava a doverla dire e a dirla!
    Ma ora sono sollevata…».
    «Se avrai fede in Me sarai sempre sollevata.
                                                                                                          
  158.4 Ma tu parlavi di una tua amica romana…».
     «Sì. Ella è molto intima di Claudia e credo debba essere sua  parente. E vorrebbe parlare con Te, per lo meno sentirti parlare. E non è  sola. Ora poi che Tu hai guarito la bambina di Valeria, e la notizia è  venuta rapida come il baleno, in loro è ancora più vivo il desiderio.  Nel banchetto dell’altra sera vi erano molte voci in pro e in contro a  Te. Perché erano presenti anche degli erodiani e dei sadducei… per  quanto, a chiederlo loro, lo negherebbero… e c’erano anche donne… ricche  e… e non oneste. C’era… mi spiace dirlo perché so che Tu sei amico del  fratello… ma c’era Maria di Magdala col suo nuovo amico e un’altra  donna, greca io credo, e licenziosa quanto lei. Sai… presso i pagani le  donne sono a tavola con gli uomini e ciò è molto… molto… Che disagio! La  gentilezza dell’amica mia mi ha scelto a compagno il mio stesso sposo e  ciò mi ha sollevata molto. Ma le altre… oh!… Ebbene… si parlava di Te  perché il miracolo su Faustina ha fatto rumore e se i romani ammiravano  in Te il grande medico o mago – perdona, Signore – gli erodiani e i  sadducei gettavano veleno sul tuo Nome, e Maria, oh! Maria! che orrore!…  Ha principiato con lo scherno e poi… No, questo non te lo voglio dire.  Ne ho pianto tutta la notte…».
    «Lasciala fare. Guarirà».
    «Ma sta bene, sai?».
    «Nella carne. Il resto è tutto intossicato. Guarirà».
     «Tu lo dici… Le romane, sai come sono… hanno detto: “Noi non  temiamo stregonerie, né crediamo alle fole. Vogliamo giudicare da noi”; e  dopo, a me, hanno detto: “Non potremmo sentirlo?”».
    «Di’ loro che alla fine della luna di scebat Io sarò in casa tua».
    «Lo dirò, Signore. Credi che verranno a Te?».
    «Vi è un mondo da rifare in loro. Prima occorre distruggere e poi edificare. Ma non è cosa impossibile.
                                                                                                          
  158.5  Giovanna, ecco la tua casa, col suo giardino. In essa lavora per il  Maestro tuo, come ti ho detto. Addio, Giovanna. Il Signore sia con te.  Ti benedico in suo nome».
    La barca accosta. Giovanna prega: «Non vieni proprio?».
    «Non ora. Ho da risvegliare le fiamme. In pochi mesi di assenza si sono quasi spente. E il tempo vola».
     La barca si ferma al piccolo seno che penetra nel giardino di Cusa.  Servi accorrono per aiutare la padrona a scendere. La barca padronale  succede a quella di Pietro al pontile, dopo che Giovanni, Matteo,  l’Iscariota e Filippo ne sono usciti salendo su quella di Pietro, che  poi lenta si stacca e riprende il suo navigare verso la sponda opposta.


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