02156 - SPIRITUALITÀ

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Vol.02 • cap.156 • Annalia, la prima delle vergini consacrate.

  6 maggio 1945.
  156.1  Gesù, insieme a Pietro, Andrea e a Giovanni, bussa alla porta della sua  casa di Nazaret. Apre subito la Mamma, il cui volto si illumina di un  fulgido sorriso vedendo il suo Gesù.
    «Ben torni, Figlio mio! Da  ieri ho con me una pura colomba che ti attende. Viene da lontano. E chi  l’accompagna non poteva rimanere più oltre. Io, poiché ella voleva  consiglio, ho detto ciò che potevo. Ma Tu solo, Figlio mio, sei  Sapienza. Ben tornati voi pure. Venite a ristorarvi subito».
    «Sì. Rimanete qui. Io vado subito da questa creatura che mi attende».
     La curiosità è viva nei tre, in maniera diversa. Pietro sbircia con  interesse in ogni senso, quasi sperando di vedere oltre i muri.  Giovanni pare voglia leggere sul sorridente volto di Maria il nome della  sconosciuta. Andrea, che è vivamente arrossito, guarda invece con tutta  la forza delle sue pupille Gesù, e una supplica muta trema nel suo  sguardo e sulle sue labbra.
    Ma Gesù non cura nessuno. Mentre i  tre si decidono ad entrare nella cucina, dove Maria offre loro cibarie e  tepore di fuoco, Gesù alza la tenda che cela l’apertura che conduce  nell’orto-giardino ed esce in esso.
    Un dolce sole rende ancora  più aerei e irreali i rami tutti in fiore dell’alto mandorlo dell’orto.  Unico in fiore, il più alto delle piante che sono nell’orto, ricco nella  sua veste di seta bianco-rosata sulla povertà nuda degli altri – pero,  melo, fico, vite, melograno, tutti ancora aridi e spogli – pomposo nel  suo velo spumoso e vivo contro la grigia umiltà monotona degli ulivi,  pare che coi suoi lunghi rami abbia catturato una nuvoletta  leggerissima, sperduta sul campo azzurrino del cielo, e se ne sia  infiocchettato per dire a tutti: «Le nozze della primavera vengono.  Esultate, voi piante, voi animali. È l’ora dei baci coi venti, con le  api, o fiori. È l’ora dei baci sotto i tegoli o nel folto dei boschetti,  o uccellini di Dio, o candide pecore. Oggi baci, domani prole, per  perpetuare l’opera del Creatore Dio nostro».
    Gesù, con le  braccia conserte sul petto, sorride, ritto nel sole, alla pura, placida  grazia dell’orto materno con le sue aiuole di gigli che si denunciano  per i primi cespi di foglie, coi suoi rosai ancora nudi, e l’ulivo così  d’argento, con altre famiglie di fiori sparse fra le umili aiuole di  legumi e insalate che appena verzicano. Puro, ordinato, gentile, pare  esso pure spirare candore di verginità perfetta.
                                                                                                          
  156.2 «Figlio, vieni nella mia stanza. Te la condurrò, poiché è fuggita là in fondo udendo tante voci».
     Gesù entra nella cameretta materna, sempre la casta, castissima  cameretta che ha sentito le parole dell’angelico colloquio e emana,  ancor più dell’orto, l’essenza verginale, angelica, santa, di Colei che  l’abita da anni e dell’Arcangelo che in essa ha venerato la sua Regina.  Sono passati oltre trent’anni o solo ieri è avvenuto l’incontro? Anche  oggi una conocchia sorregge il suo morbido e quasi argenteo ciuffo di  stame e sul fuso è il filo, e un ricamo piegato è sulla mensola presso  la porta, fra un rotolo di pergamena e un’anfora di rame con dentro un  folto ramo di mandorlo fiorito; anche ora la tenda a righe palpita ad un  poco di vento, calata sul mistero della verginale dimora, e il letto,  ordinato nel suo angolo, ha sempre il gentile aspetto del letto di una  fanciulla appena giunta alle soglie della giovinezza. Che sogni si  faranno e si saranno fatti sul basso guanciale?…
    La tenda viene  alzata lentamente dalla mano di Maria; Gesù che, con le spalle voltate  alla porta, in piedi, contemplava quel nido di purezza, si volge.
     «Ecco, Figlio mio. Io te la conduco. Un’agnella. E Tu sei il suo  Pastore»; e Maria, che è entrata tenendo per mano una giovinetta  brunetta, snella, che arrossa vivamente apparendo al cospetto di Gesù,  si ritira dolcemente lasciando ricadere la tenda.
                                                                                                          
  156.3 «La pace sia a te, fanciulla».
    «La pace… Signore…». La fanciulla, molto emozionata, resta senza parole, ma si inginocchia col capo verso terra.
    «Alzati. Che vuoi da Me? Non avere paura…».
     «Non paura… ma… ora che ti sono davanti… dopo averlo tanto voluto…  tutto quello che mi pareva facile, necessario di dirti… io non lo trovo  più… non mi pare più quello… Stolta sono… perdona, mio Signore…».
     «Chiedi grazia per la Terra? Hai bisogno di miracolo? Hai anime da  convertire? No? E allora? Suvvia, parla! Tanto coraggio hai avuto ed or  ti manca? Non sai che Io sono Colui che aumenta fortezza? Sì? Lo sai? E  allora su, parla, come fossi un padre per te. Sei giovane. Quanti anni  hai?».
    «Sedici, Signor mio».
    «Da dove vieni?».
    «Da Gerusalemme».
    «Che nome hai?».
    «Annalia…».
    «Il caro nome della nonna mia e di tante altre sante donne d’Israele, e con esso, a farne un solo[120], quello della buona, fedele, amorosa e mansueta moglie di Giacobbe. Ti sarà augurale.
    Sarai sposa e madre esemplare. No? Scuoti il capo? Piangi? Sei forse stata respinta? Neppure? È morto l’uomo a te promesso?
    Ancor non sei stata scelta?».
     La giovinetta scuote sempre il capo. Gesù fa un passo, la carezza e  la forza ad alzare il capo e a guardarlo… Il sorriso di Gesù vince  l’orgasmo della fanciulla. Si rinfranca.
    «Mio Signore, io sarei sposa e felice, e per merito tuo. Non mi riconosci, mio Signore? Sono la malata[121] di tisi, la morente fidanzata che Tu hai guarito per preghiera del tuo Giovanni…
     Dopo la tua grazia io… io ho avuto un altro corpo, sano questo in  luogo di quello che avevo prima, morente; e ho avuto un’altra anima… Non  so. Non mi sentivo più io… La gioia di essere guarita, la certezza  perciò di potermi sposare – era il mio rimpianto nel morire questo non  giungere ad essere sposa – non sono durate che nelle prime ore. E poi…».
    La giovinetta si fa sempre più franca, ritrova le parole e le idee perdute nello sconvolgimento di essere sola col Maestro…
     «… E poi ho sentito che non dovevo essere solo egoista, pensare  solo: “Ora sarò felice”, ma che dovevo pensare a qualche cosa di più, e  che venisse a Te e a Dio, tuo e mio Padre. Qualche piccola cosa, ma che  dicesse che ero grata. Ho molto pensato, e quando il sabato successivo  ho veduto lo sposo gli ho detto: “Ascolta, Samuele. Senza il miracolo io  sarei morta fra qualche mese e per sempre mi avresti perduta. Ora io  vorrei fare a Dio un sacrificio, io con te, per dire a Dio che lo lodo e  ringrazio”. E Samuele ha detto subito, poiché mi ama: “Andiamo al  Tempio insieme ad immolare la vittima”. Ma io non volevo questo. Sono  povera e popolana, mio Signore. Poco so e meno posso. Ma attraverso la  tua mano, posata sul mio petto malato, qualcosa era venuto non solo nei  polmoni corrosi, ma dentro al cuore. Nei polmoni salute, nel cuore  sapienza. E capivo che il sacrificio di un agnello non era il sacrificio  voluto dal mio spirito che ti… che ti amava».
    La fanciulla tace, arrossendo, dopo questa sua professione d’amore.
                                                                                                          
  156.4 «Continua senza timore. Che voleva il tuo spirito?».
     «Sacrificarti cosa degna di Te, Figlio di Dio! E allora… e allora  io pensavo che dovesse essere cosa spirituale come ciò che è da Dio,  ossia il mio sacrificio di attesa alle nozze per amore di Te, mio  Salvatore. Grande gioia le nozze, sai? Quando ci si ama è grande cosa!  Un desiderio, un’ansia di compierle!… Ma non ero più quella di pochi  giorni avanti. Non volevo più questo come la cosa più bella… L’ho detto a  Samuele… ed egli mi ha capita. Lui pure ha voluto farsi nazir per un  anno, cominciando dal giorno che avrebbe dovuto esser quello nuziale,  ossia il giorno dopo le calende di adar. Intanto è venuto alla tua  ricerca per amare Chi gli aveva resa la sposa, amarlo e conoscerlo: Te. E  ti ha trovato, dopo molti mesi, all’Acqua Speciosa. Io pure sono  venuta… e la tua parola ha finito di cambiarmi il cuore. Ora non mi  basta più il voto di prima… Come quel mandorlo lì fuori, che sotto il  sole sempre più caldo è ri nato dopo essere stato morto per mesi e ha  messo fiori e poi metterà foglie e poi frutti, così io ho sempre più  progredito nella sapienza di ciò che è migliore. L’ultima volta, ormai  sicura di me e di ciò che volevo – per tutti questi mesi io ci ho  pensato – l’ultima volta che sono venuta all’Acqua Speciosa Tu non c’eri  più… Ti avevano cacciato. Ho pianto tanto e tanto ho pregato che  l’Altissimo mi ha esaudita, persuadendo mia madre a mandarmi qui con un  parente che andava a Tiberiade per parlare ai cortigiani del Tetrarca.  Il fattore mi aveva detto che qui ti avrei trovato. Ho trovato la Madre  tua… e le sue parole, solo l’udirla e starle al fianco in questi due  giorni, hanno finito di maturare il frutto della tua grazia».
    La fanciulla si è inginocchiata come davanti ad un altare, con le braccia conserte sul petto.
    «Va bene.
                                                                                                          
  156.5 Ma che vuoi di preciso? Che ti posso fare?».
     «Signore, io vorrei… io vorrei una grande cosa. E Tu solo, Datore  di vita e salute, me la puoi dare, perché io penso che ciò che Tu puoi  dare Tu anche puoi togliere… Io vorrei che la vita, che mi hai dato, Tu  me la levassi durante l’anno del voto mio, prima che esso abbia  termine…».
    «Ma perché? Non sei grata a Dio della salute avuta?».
    «Tanto! Senza misura! Ma per una cosa sola: perché vivendo per sua grazia e per tuo miracolo ho compreso il migliore».
    «Che è?».
     «Che è vivere da angeli. Come tua Madre, mio Signore… come Tu vivi…  come vive il tuo Giovanni… I tre gigli, le tre fiamme bianche, le tre  beatitudini della Terra, Signore. Sì. Perché io penso che è beatitudine  possedere Dio e che Dio sia possesso dei puri. Il puro io credo sia un  cielo col suo Dio al centro e gli angeli intorno… Oh! mio Signore!  Questo vorrei!… Poco ti ho udito, e poco tua Madre, e il discepolo e  Isacco. Altri non ho avvicinato che mi dicessero le tue parole. Ma mi  sembra che lo spirito mio sempre ti senta e Tu gli sia maestro… Ho  detto, mio Signore…».
    «Annalia, molto è ciò che chiedi e molto è  ciò che dài… Figlia, hai compreso Dio e la perfezione a cui la creatura  può salire per somigliare al Purissimo e per piacere al Purissimo».  Gesù ha preso fra le sue mani la testa bruna della fanciulla  inginocchiata e le parla stando curvo su lei. «Colui che è nato da una  Vergine – perché non poteva che farsi nido su un cumulo di gigli – è  nauseato, figlia, della libidine triplice del mondo, e piegherebbe  schiacciato da tanta nausea se il Padre, che sa di che vive il Figlio  suo, non intervenisse con amorosi aiuti a sostenere la mia anima  angosciata. I puri sono la mia gioia. Tu mi rendi ciò che il mondo mi  leva con la sua inesausta bassezza. Ne sia benedetto il Padre e te,  fanciulla. Va’ tranquilla. Qualcosa interverrà a far eterno il tuo voto.  Sii uno dei gigli sparsi sulle sanguinose vie del Cristo».
                                                                                                          
  156.6 «Oh! mio Signore… io vorrei ancora una cosa…».
    «Quale?».
    «Non esserci alla tua morte… Non potrei vedere morire Colui che è la mia Vita».
     Gesù sorride dolcemente e con la mano asciuga due righe di pianto  che scendono sul visetto bruno. «Non piangere. I gigli non sono mai a  lutto. Tu riderai con tutte le perle della tua corona angelica quando  vedrai il Re coronato entrare nel suo Regno. Va’. Lo Spirito del Signore  ti ammaestri fra l’una e l’altra delle mie venute. Ti benedico con le  fiamme dell’eterno Amore».
    Gesù si affaccia all’orto e chiama:  «Madre! Ecco una piccola figlia, tutta per te. Ora è felice. Ma tu  immergila nei tuoi candori, ora e ogni volta che alla Città Santa  andremo, perché sia neve di petali celesti sparsa sul trono  dell’Agnello». E Gesù torna dai suoi mentre Maria carezza la fanciulla  rimanendo con lei.
                                                                                                          
  156.7 Pietro, Andrea e Giovanni lo guardano interrogativamente.
    E il viso splendente di Gesù dice loro che è felice.
    Pietro non si tiene e chiede: «Con chi hai parlato tanto, Maestro mio? E che udisti per essere così luminoso di gioia?».
    «Con una donna all’alba della vita; con colei che sarà l’alba di tante che verranno».
    «Chi?».
    «Le vergini».
    Andrea mormora, piano, a se stesso: «Non è lei…».
     «No. Non è lei. Ma non stancarti di pregare, paziente e buono. Ogni  parola della tua preghiera è come un richiamo, un lume nella notte, e  la sorregge e la guida».
    «Ma chi aspetta mio fratello?».
    «Un’anima, Pietro. Una grande miseria che egli vuole mutare in una grande ricchezza».
    «E dove l’ha trovata, Andrea, che non si muove mai, non parla mai, che non ha mai iniziative?».
     «Sul mio sentiero. Vieni con Me, Andrea. Andiamo da Alfeo a  benedirlo fra i suoi molti nipoti. Voi attendetemi in casa di Giacomo e  Giuda. Mia Madre ha bisogno di essere lasciata sola per tutto il  giorno».
    E andando così, chi di qua e chi di là, il segreto  fascia la gioia della prima consacrata per amore del Cristo alla  verginità.

[120] a farne un solo, poiché in esso sono uniti il nome Anna e il nome Lia.
[121] la malata incontrata in 85.6 e 86.4/5.


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