02154 - SPIRITUALITÀ

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Vol.02 • cap.154 • A Cesarea Marittima, discorso ai galeotti e incontro con Claudia Procula. Sollevata una stanchezza del "portavoce".

  4 maggio 1945.
  154.1  Gesù è al centro di una piazza, ampia e abbastanza bella, che continua  con una strada molto larga, quasi un prolungamento della piazza, sino ad  una riva di mare. Una galera deve avere lasciato da poco il porto e  prende il largo sotto la spinta del vento e dei remi. Un’altra deve fare  le manovre per entrare, perché le vele vengono ridotte e i remi vengono  mossi da una sola banda per fare virare la nave in posizione  conveniente. Il porto, dalla piazza, non si vede. Ma deve essere vicino.  Sui lati della piazza sono allineate vaste dimore dai caratteristici  muri esterni quasi privi di aperture. Nessuna bottega.
    «Dove  andiamo, ora? Sei voluto venire qui invece che nel lato orientale, e qui  è luogo di pagani. Chi vuoi che ti ascolti?», rimprovera Pietro.
    «Andiamo là, su quell’angolo verso il mare. Là parlerò».
    «Alle onde».
    «Anche le onde sono create da Dio».
     Vanno. Ora sono proprio sull’angolo e vedono il porto in cui entra  lenta la galera vista prima e viene legata al suo posto. Qualche  marittimo ozia lungo le banchine. Qualche venditore di frutta si  arrischia ad andare verso la nave romana a vendere la sua merce.  Nient’altro.
                                                                                                          
  154.2  Gesù, con le spalle addossate al muro, pare proprio che parli alle  onde. Gli apostoli, poco soddisfatti della situazione, gli stanno  intorno, parte in piedi, parte seduti su dei massi sparsi qua e là, con  la intenzione che facciano da panchine.
    «Stolto è quell’uomo che  vedendosi potente, sano, felice, dice: “Di che ho mai bisogno? E di  chi? Di nessuno. Nulla mi manca, basto a me stesso; perciò leggi e  decreti di Dio o di morale mi sono nulli. La mia legge è quella di fare  ciò che io posso, senza pensare se ciò è bene o male per gli altri”».
     Un venditore si volge udendo la voce sonora e viene verso Gesù, che  continua: «Così parla l’uomo e così la donna senza sapienza e senza  fede. Ma se con questo mostra di avere una potenza più o meno grande,  ugualmente denuncia di avere una parentela col Male».
    Degli uomini scendono dalla galera e da altre barche e vengono verso Gesù.
     «L’uomo mostra, non a parole ma a fatti, di avere parentela con Dio  e con la virtù quando riflette che la vita è più mutevole di onda  marina, che ora è placida e domani è furente. Ugualmente il benessere e  la potenza di oggi può domani essere miseria e impotenza. E che farà  allora l’uomo privo dell’unione con Dio? Quanti su quella galera furono  un giorno lieti e potenti, ed ora sono schiavi e considerati rei! Rei,  perciò schiavi due volte: della legge umana che inutilmente viene derisa  perché essa c’è e punisce i suoi trasgressori, e di Satana che in  eterno si appropria del colpevole che non giunge ad odiare la sua  colpa».
                                                                                                          
  154.3 «Salve, Maestro! Come qui? Mi conosci?».
    «Dio venga a te, Publio Quintilliano. Lo vedi? Sono venuto».
    «E proprio qui nel quartiere romano. Non speravo più di vederti. Ma ho piacere di udirti».
    «Io pure. Su quella galera sono molti al remo?».
    «Molti. Prigionieri di guerra per la più parte. Ti interessano?».
    «Vorrei andare presso quella nave».
    «Vieni. Sgomberate, voi», ordina ai pochi che si sono accostati e che si scansano subito borbottando improperi.
    «Lasciali pure. Sono abituato ad essere serrato fra la gente».
    «Sino a qui posso. Non oltre. Galera militare».
    «Mi basta. Dio ti compensi».
    Gesù riprende a parlare mentre il romano pare monti la guardia al suo fianco, tutto splendido nella sua veste.
     «Schiavi per un doloroso evento, ossia schiavi una volta sola.  Schiavi finché dura la vita. Ma ogni lacrima che cade sulle loro catene,  ogni percossa che scende a scrivere un dolore sulle loro carni,  assottiglia le manette, decora ciò che non muore, apre infine loro la  pace di Dio che è amico dei suoi poveri figli infelici e che darà loro  tanta gioia per quanto qui fu tanto il dolore».
    Dalle murate  della galera si affacciano uomini della ciurma e ascoltano. I galeotti,  naturalmente, non ci sono. Ma certo sentono giungere a loro da tutti i  fori degli scalmi la voce potente di Gesù, che si sparge per l’aria  quieta di quest’ora di bassa marea. Pubblio Quintilliano, chiamato da un  soldato, è andato via.
    «Io voglio dire, a questi infelici che  Dio ama, di essere rassegnati nel loro dolore, di non fare di esso altro  che una fiamma che più presto sciolga le catene della galera e della  vita, consumando in un desiderio di Dio questo povero giorno che è la  vita, giorno buio, burrascoso, pieno di paure e di stenti, per entrare  nel giorno di Dio, luminoso, sereno, senza più paure né languori. Nella  grande pace, nella infinita libertà del Paradiso entrerete, o martiri di  una penosa sorte, sol che sappiate esser buoni nel vostro soffrire e  aspiriate a Dio».
                                                                                                          
  154.4  Torna Publio Quintilliano con altri soldati, e dopo di lui viene una  lettiga portata da schiavi, alla quale i soldati fanno fare un posto.
     «Chi è Dio? Io parlo a gentili che non sanno chi è Dio. Parlo a  figli di popoli sottomessi che non sanno chi è Dio. Nelle vostre  foreste, o galli, o iberi, o traci, o germani, o celti, voi avete una  parvenza di Dio. L’anima tende all’adorazione, spontaneamente, perché si  ricorda del Cielo. Ma non sapete trovare il Dio vero che ha messo  un’anima nei vostri corpi, un’anima uguale a quella di noi d’Israele,  uguale a quella dei romani potenti che vi hanno soggiogato, un’anima che  ha gli stessi doveri e gli stessi diritti verso il Bene e alla quale il  Bene, ossia il Dio vero, sarà fedele. Siatelo ugualmente voi verso il  Bene. Il dio, o gli dèi, che avete sin qui adorato, imparando il suo o  il loro nome sulle ginocchia materne; il dio che ora forse non pensate  più, perché da lui non sentite venire un conforto sul vostro soffrire,  che forse giungete ad odiare e a maledire nella disperazione della  vostra giornata, non è il Dio vero. Il Dio vero è Amore e Pietà. Erano  forse così i vostri dèi? No. Essi pure erano durezza, ferocia, menzogna,  ipocrisia, vizio, ladroneccio. E ora vi hanno lasciati senza quel  minimo di conforto che è la speranza di essere amati e la certezza di un  riposo dopo tanto soffrire. Così è perché i vostri dèi non sono. Ma  Dio, il Dio vero che è Amore e Pietà, e del quale Io vi dico la sicura  esistenza, è Colui che ha fatto i cieli, i mari, i monti, le foreste, le  piante, i fiori, gli animali, l’uomo. È quello che all’uomo vittorioso  inculca pietà e amore, come Egli è, verso i poveri della Terra.
                                                                                                          
  154.5  O potenti, o padroni, pensate che siete tutti di un’unica pianta. Non  infierite su coloro che una sventura vi ha dato fra le mani, e siate  umani anche verso quelli che un delitto ha legato al banco della galera.  Molte volte l’uomo pecca. Nessuno è senza colpe più o meno segrete. Se  questo pensaste, sareste ben buoni verso i fratelli che meno fortunati  di voi sono stati puniti per colpe che voi pure avete fatte rimanendo  impuniti.
    La giustizia umana è una cosa così incerta nel  giudicare che guai se ugualmente lo fosse la divina. Vi sono rei che  tali non sembrano, vi sono innocenti che sono giudicati rei. Non  indaghiamo perché. Ciò sarebbe troppa accusa per l’uomo ingiusto e pieno  di odio verso il suo simile! Vi sono rei che tali sono, ma portati al  delitto da forze prepotenti che scusano in parte la colpa. Perciò voi,  preposti alle galere, siate umani. Sopra la giustizia umana vi è una  Giustizia divina ben più alta. Quella del Dio vero, del Creatore del re e  dello schiavo, della rupe e del granello di rena. Egli vi guarda, voi  del remo e voi preposti alla ciurma, e guai a voi se sarete crudeli  senza ragione. Io, Gesù Cristo, il Messia del Dio vero, ve lo assicuro:  Egli, alla vostra morte, vi legherà ad una galera eterna, affidando lo  staffile macchiato di sangue ai demoni, e sarete torturati e percossi  come torturaste. Perché, se è legge umana che il reo sia punito, occorre  nella punizione non passare la misura. Sappiatelo ricordare. Il potente  di oggi può essere il miserabile di domani. Dio solo è eterno.
     Io vorrei mutarvi il cuore e vorrei soprattutto sciogliere le catene,  rendervi alle libertà e alle patrie perdute. Ma, fratelli galeotti che  non vedete il mio volto e dei quali Io non ignoro il cuore con tutte le  sue ferite, per la libertà e la patria della Ter ra che Io non vi posso  dare, o poveri uomini schiavi dei potenti, Io vi darò una più alta  libertà e patria. Per voi mi sono fatto prigioniero e senza la patria  mia, per voi darò Me stesso a riscatto, per voi, anche per voi, non  obbrobrio della Terra, come siete detti, ma vergogna dell’uomo che  dimentica la misura nel rigore della guerra e della giustizia, Io farò  una nuova legge sulla Terra e una dolce dimora in Cielo.
     Ricordate il mio Nome, figli di Dio che piangete. È il nome dell’Amico.  Ditelo nelle vostre pene. Siate sicuri che se mi amerete mi avrete anche  se sulla Terra mai ci vedremo. Sono Gesù Cristo, il Salvatore, l’Amico  vostro. In nome del Dio vero Io vi conforto. Presto venga la pace su di  voi».
                                                                                                          
  154.6 La folla, per la più parte romana, si è assiepata intorno a Gesù, i cui concetti nuovi hanno sbalordito tutti.

     «Per Giove! Mi hai fatto pensare a cose nuove alle quali mai avevo  pensato. Ma che sento vere…». Pubblio Quintilliano guarda Gesù,  pensieroso e trasportato insieme.
    «Così è, amico. Se l’uomo usasse il pensiero non giungerebbe a commettere delitto».
    «Per Giove, per Giove! Che parole! Me le devo ricordare! Hai detto: “Se l’uomo usasse il pensiero…”».
    «…non giungerebbe a commettere delitto».
    «Ma è vero! Per Giove! Ma sai che sei grande?!».
    «Ogni uomo che volesse potrebbe esserlo come Me, se fosse tutt’uno con Dio».
    Il romano continua la sua sequela di «per Giove», uno più ammirativo dell’altro.
     Ma Gesù gli dice: «Potrei dare un conforto a quei galeotti? Ho del  denaro… Un frutto, un sollievo, perché sappiano che li amo».
     «Da’ qui. Lo posso fare. E del resto là vi è una dama che molto può.  L’interrogo». Pubblio va alla lettiga e parla presso le tendine appena  aperte a fessura. Torna: «Ne ho pieno potere. Provvedo io alla  distribuzione acciò gli aguzzini non se ne abusino. E sarà l’unica volta  che un soldato imperiale userà pietà agli schiavi di guerra».
     «La prima. Non l’unica. Vi sarà un giorno in cui non vi saranno più  schiavi; e prima ancora i miei discepoli saranno scesi fra i galeotti e  gli schiavi a chiamarli fratelli».
    Un’altra serie di «per Giove»  vanno per l’aria calma mentre Pubblio attende di avere sufficientemente  frutta e vino per i galeotti.
                                                                                                          
  154.7  Poi, prima di salire sulla galera, dice, accostandosi all’orecchio di  Gesù: «Là dentro vi è Claudia Procula. Vorrebbe udirti ancora. Ma  intanto ti vuole chiedere qualcosa. Va’».
    Gesù va verso la lettiga.
    «Salve, Maestro». La tendina si scosta appena, mostrando una bella donna sui trent’anni.
    «Venga in te desiderio di sapienza».
    «Hai detto che l’anima si ricorda dei Cieli. È dunque eterna questa cosa che voi dite essere in noi?».
    «È eterna. Perciò si ricorda di Dio[115]. Del Dio che l’ha creata».
    «Cosa è l’anima?».
     «L’anima è la vera nobiltà dell’uomo. Tu sei gloriosa perché dei  Claudi. L’uomo lo è di più perché è di Dio. In te è il sangue dei  Claudi, la famiglia potente ma che ebbe un’origine e avrà una fine.  Nell’uomo, per l’anima, è il sangue di Dio. Perché l’anima è il sangue  spirituale – essendo Dio Spirito purissimo – del Creatore dell’uomo: di  Dio eterno, potente, santo. L’uomo è dunque eterno, potente, santo, per  l’anima che è in lui e che è viva finché è unita a Dio».
    «Io sono pagana. Non ho dunque anima…».
    «L’hai. Ma è avvolta in letargo. Svegliala alla Verità e alla Vita…».
    «Addio, Maestro».
    «La Giustizia ti conquisti. Addio».
                                                                                                          
  154.8 «Come vedete, anche qui ho avuto ascoltatori», dice Gesù ai discepoli.
    «Sì. Ma, meno i romani, chi ti avrà capito? Sono barbari!».
     «Chi? Tutti. La pace è in loro e si ricorderanno di Me molto più  che molti altri in Israele. Andiamo nella casa che ci ospita per il  pasto».
    «Maestro, quella donna è la stessa che mi ha parlato quel giorno[116] che Tu guaristi quel malato. Io l’ho vista e riconosciuta», dice Giovanni.
     «Vedete dunque che vi era chi anche qui ci attendeva. Ma non ne  sembrate molto soddisfatti. Molto avrò fatto quel giorno che vi avrò  fatti persuasi che non solo per gli ebrei ma per tutti i popoli Io sono  venuto e per tutti Io vi ho preparati. Vi dico però: ricordate tutto del  Maestro vostro. Non vi è fatto, per insignificante che sia, che non vi  abbia a divenire un giorno regola nell’apostolato».
    Nessuno risponde e Gesù ha un mesto sorriso di compatimento.
                                                                                                          
  154.9 Questa mattina ne ha avuto uno anche per me…
     Mi era preso un così completo sconforto che mi sono messa a  piangere per tante cose, non ultima fra esse la stanchezza di scrivere e  scrivere con la convinzione che tanta bontà di Dio e tanta fatica del  piccolo Giovanni siano proprio inutili. E ho invocato piangendo il mio  Maestro e, poi che per sua bontà è venuto tutto per me, gli ho detto il  mio pensiero.
    Ha avuto un moto delle spalle equivalente ad un:  «Lascia perdere il mondo e le sue storie», e poi mi ha accarezzata  dicendo: «E che? Non vorresti aiutarmi ancora? Il mondo non vuole la  conoscenza delle mie parole? Ebbene, raccontiamocele fra noi, per mia  gioia nel ripeterle ad un cuore fedele, per la tua di udirle. Le  stanchezze dell’apostolato!… Più accascianti di quelle di qualsiasi  lavoro! Levano luce al giorno più sereno e dolcezza al più dolce cibo.  Tutto diviene cenere e fango, nausea e fiele. Ma, anima mia, sono queste  le ore in cui noi ci carichiamo della stanchezza, del dubbio,  della miseria dei mondani che muoiono di non possedere ciò che noi  abbiamo. E sono le ore in cui facciamo di più. Te l’ho detto anche lo  scorso anno. “A che pro?” si chiede l’anima sommersa di ciò che sommerge  il mondo, ossia delle onde mandate da Satana. E il mondo affoga. Ma  l’anima inchiodata col suo Dio sulla croce non affoga. Perde per un  attimo la luce e sprofonda sotto l’onda nauseante della stanchezza  spirituale, e poi emerge più fresca e più bella. Il tuo dire: “Io non  sono più buona a nulla” è una conseguenza di questa stanchezza. Tu non  saresti mai buona a nulla. Ma Io sono sempre Io e perciò tu sarai sempre  buona al tuo compito di por tavoce. Certo che, se vedessi che, come  pesante e preziosissima gemma, il mio dono venisse con avarizia  nascosto, con imprudenza usato, o con ignavia non cercato di tutelare  sotto quelle garanzie che la cattiveria umana impone di usare in questi  casi per tutelare il dono e la creatura attraverso alla quale il dono  viene dato, Io direi il mio “basta”. E questa volta senza ritorni. Basta  per tutti, fuorché per la mia piccola anima che oggi sembra proprio un  fiorellino sotto un acquazzone. E puoi, con queste carezze, dubitare che  Io ti ami? Su! Mi hai aiutato nel tempo di guerra. Aiutami ora, ancora…  C’è tanto da fare».
    E mi sono calmata sotto la carezza della  lunga mano e del sorriso così dolce del mio Gesù, candido come sempre  quando è tutto per me.

[115] si ricorda di Dio… sangue di Dio. Dio, per bontà infinita e paterna – così annota MV su una copia dattiloscritta – fa  che in ogni anima d’uomo sia uno stimolo verso la Sorgente da cui  venne; ciò che dà origine alla legge naturale anche nel selvaggio.  Parlando a pagani o ignoranti, Gesù usa termini materiali, come  “sangue”, per far capire. Quanto alla legge naturale, in 288.4 si dimostrerà che essa è rispecchiata nei dieci comandamenti.
[116] mi ha parlato quel giorno, come ha già riferito in 116.1.


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