02148 - SPIRITUALITÀ

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Vol.02 • cap.148 • Gesù visita il Battista presso Enon.

  27 aprile 1945.
  148.1  Una chiara notte di luna, così nitida che il terreno si svela in tutti i  suoi particolari e i campi, col grano di pochi giorni, sembrano tappeti  di una felpa verd’argento rigati dai nastri scuri dei sentieri e  vegliati dai tronchi degli alberi tutti bianchi dal lato lunare, tutti  neri a ponente.
    Gesù cammina sicuro e solo. Va molto velocemente  per la sua via finché trova un corso d’acqua che scende gorgogliando  verso la pianura in direzione nord-est. Lo risale fino ad un posto  solitario presso una costa selvosa. Piega ancora, inerpicandosi per un  sentiero, e giunge ad un ricovero naturale nel fianco del colle.
     Entra e si curva su un essere giacente, che appena si intravede nel  chiarore lunare che illumina il sentiero ma che non penetra nello speco.  Lo chiama: «Giovanni».
    L’uomo si desta e si pone seduto, ancora  offuscato di sonno. Ma presto si rende conto di Chi lo chiama e balza  in piedi, per poi prostrarsi a terra dicendo: «Come mai è venuto a me il  mio Signore?».
    «Per fare contento il tuo ed il mio cuore. Mi  desideravi, Giovanni. Eccomi. Alzati. Usciamo nella luce lunare e  sediamo a colloquio sul masso presso la grotta».
    Giovanni  ubbidisce con l’alzarsi e l’uscire. Ma quando Gesù è seduto, egli, nella  sua pelle di pecora che male lo copre nel corpo magrissimo, si pone in  ginocchio di fronte al Cristo, respingendosi indietro i capelli lunghi e  scomposti, che gli sono ricaduti sugli occhi, per vedere meglio il  Figlio di Dio.
    Il contrasto è fortissimo. Gesù pallido e biondo,  dai capelli soffici e ravviati e la breve barba al basso del volto,  l’altro tutto un cespuglio di peli nerissimi dai quali appena emergono  due occhi incavati, direi febbrili, tanto brillano nel loro nero di  giaietto.
                                                                                                          
  148.2  «Sono venuto a dirti “grazie”. Tu hai compito e compi, con la  perfezione della Grazia che è in te, la tua missione di mio Precursore.  Quando l’ora sarà, al mio fianco entrerai in Cielo, perché tutto avrai  meritato da Dio. Ma nell’attesa sarai già nella pace del Signore, amico  mio diletto».
    «Molto presto entrerò nella pace. Mio Maestro e  Dio, benedici il tuo servo per fortificarlo nell’ultima prova. Non mi è  ignoto che essa è prossima ormai e che ancora una testimonianza io devo  dare: quella del sangue. E a Te, più ancora che a me, non è ignoto che  sta per giungere la mia ora. La tua venuta è stata la misericordiosa  bontà del tuo cuore di Dio che l’ha voluta, per fortificare l’ultimo  martire di Israele e il primo martire del nuovo tempo. Ma dimmi solo:  molto avrò da attendere la tua venuta?».
    «No, Giovanni. Non molto di più di quanto decorse dalla tua alla mia nascita».
    «Ne sia benedetto l’Altissimo. Gesù… Posso dirti così?».
     «Lo puoi, per il sangue e per la santità. Quel Nome, che anche i  peccatori dicono, può essere detto dal santo di Israele. Ad essi è  salvezza, a te sia dolcezza. Che vuoi da Gesù, tuo Maestro e cugino?».
     «Io vado a morire. Ma come un padre si preoccupa dei figli suoi, io  dei miei discepoli mi preoccupo. I miei discepoli… Tu sei Maestro e sai  come per essi è vivo in noi l’amore. L’unica pena del mio morire è la  tema che essi si perdano come pecore senza pastore. Raccoglili Tu. Io ti  rendo i tre che sono tuoi e che mi furono perfetti discepoli in attesa  di Te. In essi, e specie in Mattia, è realmente presente la Sapienza.  Altri ne ho. E a Te verranno. Ma questi, lascia che io te li affidi  personalmente.
    Sono i tre più cari».
    «Ed Io cari li ho. Va’ tranquillo, Giovanni. Non periranno.
    Né questi né gli altri che hai, veri discepoli. Io raccolgo la tua eredità e la veglierò come il tesoro più caro venuto dal perfetto amico mio e servo del Signore».
                                                                                                          
  148.3  Giovanni si prostra fino a terra e, cosa che pare impossibile in un  così austero personaggio, piange con forti singhiozzi di gioia  spirituale.
    Gesù gli posa la mano sul capo: «Il tuo pianto, che è  gioia e umiltà, ha riscontro in un canto lontano, al suono del quale il  tuo piccolo cuore ha balzato di giubilo. Sono, quel canto e questo  pianto, lo stesso inno di lode all’Eterno che “ha fatto grandi cose, Lui  che è potente negli spiriti umili”. Anche mia Madre sta per intonare di  nuovo il suo canto, già cantato allora. Ma, dopo, anche per Lei verrà  la più grande gloria, come per te dopo il martirio. Ti porto anche il  saluto di Lei. Tutti i commiati e tutti i conforti. Lo meriti. Qui non è  che la mano del Figlio dell’uomo che sta sul tuo capo, ma dal Cielo  aperto scende la Luce e l’Amore a benedirti, Giovanni».
    «Non merito tanto. Io sono il tuo servo».
     «Tu sei il mio Giovanni. Quel giorno, al Giordano, Io ero il Messia  che si manifestava; qui, ora, è il cugino e il Dio che ti vuole dare il  viatico del suo amore di Dio e di parente. Alzati, Giovanni. Diamoci il  bacio d’addio».
    «Non merito tanto… L’ho sempre desiderato, per tutta la vita. Ma non oso compiere questo atto su Te. Sei il mio Dio».
     «Sono il tuo Gesù. Addio. La mia anima sarà vicino alla tua fino  alla pace. E vivi e muori in pace, per i tuoi discepoli. Non posso darti  che questo, ora. Ma in Cielo ti darò il centuplo perché tu hai trovato  ogni grazia agli occhi di Dio».
    Lo ha alzato e lo ha abbracciato  baciandolo sulle guance ed essendone baciato. Poi Giovanni si  inginocchia ancora e Gesù gli impone le mani sul capo e prega con gli  occhi volti al cielo. Pare lo consacri. È imponente.
    Il silenzio  si prolunga per qualche tempo così. Poi Gesù si accomiata con il suo  dolce saluto: «La pace mia sia sempre con te», e riprende la via fatta  prima.


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