02141 - SPIRITUALITÀ

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Vol.02 • cap.141 • Andando verso Arimatea con i discepoli e con Giuseppe di Emmaus.

 19 aprile 1945.
  141.1  «Signore, che ne faremo di costui?», chiede Pietro a Gesù indicando  l’uomo di nome Giuseppe, che li segue da quando hanno lasciato Emmaus e  che ora sta ascoltando i due figli di Alfeo e Simone, che si occupano  particolarmente di lui.
    «L’ho detto. Viene con noi fino in Galilea».
    «E poi?…».
    «E poi… resta con noi. Vedrai che così avviene».
    «Discepolo lui pure? Con quel fatto sul suo conto?».
    «Sei fariseo tu pure?».
    «Io no! Ma… mi pare che i farisei ci tengano d’occhio fin troppo…».
     «E se lo vedono con noi ci daranno delle noie. Tu vuoi dire questo.  E allora, per la paura di essere disturbati, si dovrebbe lasciare un  figlio di Abramo in balia della desolazione? No, Simon Pietro. È  un’anima che si può perdere o si può salvare a seconda di come è curata  la sua grande ferita».
    «Ma non siamo già noi i tuoi discepoli?…».
     Gesù guarda Pietro e sorride finemente. Poi dice: «Un giorno, molti  mesi or sono, Io ti ho detto: “Molti altri ne verranno”. Il campo è  vasto, vastissimo. I lavoratori saranno sempre insufficienti per la  vastità di esso… anche perché molti faranno come Giona: moriranno  nell’aspro lavoro. Ma voi sarete sempre i miei prediletti», termina Gesù  attirandosi vicino il rannuvolato Pietro, che con questa promessa si  rasserena.
    «Allora viene con noi?».
    «Sì. Finché si è ristorato il cuore. È avvelenato da tanto astio che ha dovuto assorbire. È intossicato».
    Anche Giacomo e Giovanni, insieme ad Andrea, raggiungono il Maestro e ascoltano.
                                                                                                          
  141.2  «Voi non potete valutare l’immenso male che l’uomo può fare all’uomo  con una intransigenza ostile. Io vi prego di ricordarvi che il Maestro  vostro fu sempre molto benigno coi malati spirituali. Voi credete che i  miei più grandi miracoli e la mia principale virtù siano dati dalle  guarigioni sui corpi. No, amici… Sì, venite qui anche voi che state  avanti e voi che siete dietro di Me. La via è larga e possiamo camminare  in gruppo».
    Tutti si stringono a Gesù che prosegue: «Le mie  principali opere, quelle che più testimoniano della mia natura e della  mia missione, quelle che sono guardate con gioia dal Padre mio, sono le  guarigioni dei cuori, sia che siano guarigioni da un vizio o da più vizi  capitali, sia che siano desolazioni che abbattono nella persuasione di  essere colpiti da Dio e abbandonati da Dio.
    Un’anima che ha  perduto questa certezza dell’aiuto di Dio, che è mai? È un vilucchio  sottile che striscia nella polvere non potendo più afferrarsi all’idea  che era la sua forza e la sua gioia. Vivere senza la speranza è un  orrore. La vita è bella, nelle sue asprezze, solo perché riceve  quest’onda di sole divino. Essa vita ha per fine quel sole. È tetro il  giorno umano, molle di pianto, segnato di sangue? Sì. Ma dopo ci sarà il  sole. Non più dolore, non più separazioni, non più asprezze, non più  odii, non più miserie e solitudine nelle nebbie opprimenti. Ma  luminosità e canto, ma serenità e pace, ma Dio. Dio: il Sole eterno!  Guardate come è triste la Terra quando avviene un’eclissi. Se l’uomo si  dovesse dire: “Il sole è morto” non gli parrebbe di vivere per sempre in  un oscuro ipogeo murato, sepolto, morto prima d’esser morto? Ma l’uomo  sa che oltre quell’astro che nasconde il sole e fa funebre il mondo c’è  sempre il lieto sole di Dio. Così è il pensiero dell’unione con Dio  durante una vita. Gli uomini feriscono, derubano, calunniano? Ma Dio  medica, rende, giustifica. E a colma misura. Gli uomini dicono: “Dio ti  ha respinto”? Ma l’anima sicura pensa, deve pensare: “Dio è  giusto ed è buono. Vede le cause ed è benigno. E lo è ancor più di  quanto il più benigno uomo lo sia. Lo è infinitamente. Perciò, no, che  non mi respingerà se curvo il volto piangente sul suo seno e gli dico: ‘  Padre, Tu solo mi resti. Il figlio tuo è afflitto e abbattuto. Dàmmi la  tua pace… ’ ”.
                                                                                                          
  141.3 Ora Io, il Mandato da Dio, raccolgo coloro che l’uomo ha turbato o che Satana ha travolto e li salvo. Ecco l’opera mia.
     Questa è veramente mia. Il miracolo sulle carni è potenza divina.  La redenzione degli spiriti è l’opera di Gesù Cristo, il Salvatore e  Redentore. Io penso, e non erro, che questi che hanno trovato in Me la  loro riabilitazione agli occhi di Dio e agli occhi loro, saranno i miei  discepoli fedeli, quelli che con maggiore forza potranno trascinare le  turbe a Dio dicendo: “Voi peccatori? Io pure. Voi avviliti? Io pure. Voi  disperati? Io pure. Eppure lo vedete? Della mia miseria spirituale il  Messia ha avuto pietà e mi ha voluto suo sacerdote, perché Egli è la  Misericordia e vuole che il mondo di ciò si persuada. E nessuno è più  atto a persuadere di colui che in se stesso l’ha provata”.
    Ora  Io, ai miei amici e ai miei adoratori da quando nacqui, a voi perciò e  ai pastori, unisco questi. Anzi, li unisco ai pastori, ai guariti, a  quelli che senza speciale elezione, come è la vostra di voi dodici, si  sono messi nella mia via e la seguiranno fino alla morte. Presso  Arimatea è Isacco, mi ha chiesto ciò Giuseppe amico nostro. Io prenderò  con Me Isacco perché si unisca a Timoneo quando giungerà. Se tu crederai  che in Me è pace e scopo di tutta una vita, potrai unirti a loro. Ti  saranno fratelli buoni».
                                                                                                          
  141.4  «O mio Conforto! È proprio come Tu dici. Le mie grandi ferite, e di  uomo e di credente, si medicano di ora in ora. Da tre giorni sono con  Te. E mi pare che quello che era il mio strazio di solo tre giorni or  sono, sia un sogno che si allontana. L’ho fatto. Ma più il tempo scorre e  più esso svanisce, nei suoi taglienti contorni, davanti alla tua  realtà. In queste notti ho molto pensato. A Joppe ho un buon parente.  Egli è stato… causa involontaria del mio male perché per lui ho  conosciuto quella donna. E questo ti dica se potevamo sapere di chi era  figlia… Di lei, della prima moglie di mio padre, sì, lo sarà stata. Ma  non del padre mio. Portava altro nome, veniva da lontano. Conobbe il  parente per scambio di merci. E io la conobbi così. Il parente ha molta  gola per i miei commerci. Io glieli offrirò. Perirebbero lasciandoli  senza padrone. Egli li acquisterà senza dubbio, anche per non sentire  tutto il rimorso di avere causato il mio male. Ed io potrò bastarmi e  seguirti tranquillo. Ti chiedo solo di concedermi questo Isacco che Tu  nomini. Ho paura di essere solo coi miei pensieri. Troppo tristi  ancora…».
    «Ti darò Isacco. È un animo buono. Il dolore lo ha perfezionato. Per trent’anni portò la sua croce. Sa cosa è il soffrire…
    Noi andremo avanti, intanto. E ci raggiungerete a Nazaret».
    «Non ci fermiamo da Giuseppe, nella sua casa?».
     «Giuseppe è a Gerusalemme probabilmente… Il Sinedrio ha molto da  fare. Ma lo sapremo da Isacco. Se c’è gli porteremo la nostra pace. Se  non c’è sosteremo solo per riposare una notte. Ho fretta di giungere in  Galilea. Vi è una Madre che soffre. Perché, ricordatevelo, vi è chi si  fa premura di affliggerla. Io la voglio rassicurare».

FINE DEL PRIMO ANNO DI VITA PUBBLICA DI GESUÙ


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